Chimica industriale/Depurazione delle acque

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Depurazione delle acque[modifica]

Trattamenti preliminari[modifica]

In tutti i processi “naturali” o “artificiali” di depurazione, prima di sottoporre i liquami ai veri e propri processi di depurazione risulta sempre opportuno o indispensabile provvedere a dei trattamenti preliminari, aventi lo scopo di eliminare le parti grossolane, abrasive, oleose, ecc., che non possono essere ammesse ai trattamenti successivi, pena tutta una serie di inconvenienti ai processi o ai macchinari, o addirittura l’impossibilità di operare. Nei liquami si trovano corpi grossolani di ogni genere; allo scopo di evitare di introdurli negli impianti o nei corpi idrici naturali, i liquami sono quasi sempre sottoposti ad un trattamento preliminare di separazione che può essere di grigliatura, di triturazione od entrambe. Altri trattamenti opportuni sono quelli di dissabbiatura e di disoleazione.

Vagliatura o grigliatura

È la prima stazione di trattamento, sia per acqua superficiale che per acqua di scarico. Il suo scopo è:

  • Proteggere la struttura a valle dai grandi oggetti in grado di generare ostruzioni in alcune unità dell'impianto,
  • Separare e rimuovere facilmente materiale di grandi dimensioni trasportato dall'acqua grezza, che potrebbe influenzare negativamente l'efficienza delle successive fasi di trattamento o rendere la loro esecuzione più difficile.

L'efficienza del funzionamento delle operazioni di vagliatura dipende dalla distanza fra le barre del vaglio:

  • Vagliatura fine, per una spaziatura inferiore ai 10 mm
  • Vagliatura media, per una spaziatura di 10 - 40 mm
  • Vagliatura grossolana, per una spaziatura superiore ai 40 mm

La vagliatura fine è solitamente preceduta da una vagliatura preliminare, grossolana, a scopo protettivo.

Stacciatura

Risultati simili a quelli attuabili con la grigliatura si ottengono con la stacciatura, che consiste nel far passare il liquame grezzo attraverso reti metalliche o lamiere forate, in genere supportate da un cilindro metallico (tamburo) rotante, con pulizia automatica, attuata con vari dispositivi. Le aperture di passaggio possono essere anche di pochi millimetri, a volte anche inferiori al millimetro, per cui la quantità di materiale raccolto è normalmente assai superiore a quella raccolta con la grigliatura fine. Oltre al consentire l’arresto di materiali particolarmente minuti, gli stacci presentano il vantaggio, rispetto alle griglie, di trattenere tutto il materiale al disopra delle dimensioni dei passaggi della rete; con le griglie, invece, basta che il materiale presente nel liquame si disponga con la maggiore dimensione parallelamente alle sbarre della griglia, che riesce a passare.

Dissabbiatura

La presenza, nelle acque di rifiuto, di sabbie ed altre sostanze abrasive o pesanti, può comportare notevoli inconvenienti negli impianti di depurazione o, comunque, in tutti i sistemi di smaltimento delle acque di rifiuto, in cui sono presenti tubazioni o macchinari, che possono essere erosi o intasati, e vasche che possono essere riempite da materiale inerte, che ne diminuisce la capacità utile. Si provvede all’eliminazione delle “sabbie” (si intendono come tali anche quelle particelle e corpi che hanno caratteristiche di peso specifico ed idrodinamiche analoghe: pezzetti di vetro e metallo, chicchi di caffè, ceneri, noccioli di frutta, terra, ...) con appositi dispositivi chiamati, appunto, dissabbiatori. La dissabbiatura è una fase assai delicata in quanto deve provvedere ad una separazione differenziata dei solidi: non deve catturare troppe sostanze sospese (poiché con la sabbia si accumulerebbero sostanze organiche putrescibili), né troppo poche, venendo meno alla sua funzione. Normalmente si usano dissabbiatori a canale, conformati con una sezione di forma particolare e dotati all’estremità finale di un organo di regolazione (venturimetro) allo scopo di creare in tutta la sezione liquida una velocità praticamente costante, indipendentemente dalla portata in arrivo e dai livelli delle vasche e dei canali di collegamento posti a valle del dissabbiatore. Mentre nei grandi impianti hanno trovato larga applicazione dissabbiatori a canale dotati di efficienti dispositivi di raccolta meccanica delle sabbie (pompe su ponti mobili, coclee, raschiatori di fondo, ...), nei piccoli-medi impianti vengono adottati dissabbiatori in cui si immette “energia” (aria insufflata o agitatori) dosata opportunamente in modo da mantenere in sospensione le particelle organiche leggere, e da lasciar sedimentare le sabbie. Il dissabbiamento aerato si è dimostrato un metodo molto versatile per l’abbattimento delle sabbie, presentando anche il vantaggio che può essere efficacemente combinato, in una sola struttura, con la disoleatura.

Disoleatura

Oli e grassi sono presenti in tutti gli scarichi civili, specialmente in quelli di utenze particolari (ristoranti, grandi cucine, ...) e sono tipicamente presenti in molte acque di rifiuto industriali. Il loro abbattimento risulta necessario prima del trattamento depurativo se si considera che oli e grassi possono indurre gravi inconvenienti in tutte le fasi di trattamento. Per la raccolta di oli e grassi immessi in fognatura il modo più razionale è quello di effettuarla in una o più vasche a monte del trattamento depurativo e a valle del dissabbiamento, in quanto le sabbie tenderebbero ad accumularsi nel disoleatore ed ivi resterebbero non prevedendo la disoleatura semplice anche la raccolta del materiale sul fondo. Questa fase comporta nel contempo l’eliminazione dei residui “leggeri” in genere presenti nelle acque reflue, genericamente chiamati “schiume”. Il processo di eliminazione normalmente utilizzato sfrutta aria compressa che facilita la flottazione sulla superficie di oli e grassi. Allorquando oli e grassi sono essenzialmente di origine animale e vegetale, cioè sono abbastanza biodegradabili, in presenza di un impianto biologico si può pensare di avviarli alla stabilizzazione aerobica o anaerobica del fango, dove subiscono una lenta degradazione, o, in impianti a fanghi attivi, di riciclarli continuamente dalla fase di sedimentazione secondaria alla fase di aerazione (piccoli impianti ad aerazione prolungata privi di sedimentazione primaria). Quando, invece, siano presenti concentrazioni di oli minerali lo smaltimento finale deve essere in apposita discarica controllata o l’incenerimento.

Trattamenti integrativi[modifica]

Risulta talora opportuno sottoporre le acque reflue ai trattamenti integrativi, la cui convenienza dipende da molte variabili. Essi sono: preaerazione, equalizzazione, disinfezione e postaerazione.

Preaerazione

Può risultare utile in quegli impianti medio-grandi, dotati di fase di sedimentazione primaria, e consiste nell’immettere nei liquami, entro apposite vasche, aria insufflata (meno frequentemente sono adottati sistemi di aerazione meccanica), con obiettivi molteplici:

  • arricchire di ossigeno il liquame, evitando fenomeni settici durante la sedimentazione
  • realizzare un’azione biologica di “preflocculazione” dei liquami, in modo da conseguire una maggior efficienza nell’abbattimento dei solidi sospesi
  • eliminare una certa porzione dei gas presenti, in particolare NH3 e H2S, per azione di “strippaggio” (ma produzione di odori molesti)

La riduzione del BOD conseguibile con la preaerazione è modesta. La fase di preaerazione si presta poi anche ad attuare una flocculazione del liquame successiva alla coagulazione attuata con l’aggiunta di reagenti chimici, cui far poi seguire la sedimentazione.

Equalizzazione

Le variazioni concomitanti di portata e concentrazione portano a conseguenti variazioni di “carico di massa”, tanto più sensibili quanto minore è la comunità servita. Queste variazioni assumono un significato economico e funzionale particolarmente importante in quanto:

  • le varie fasi di depurazione devono essere dimensionate sui valori delle punte (o di carico idraulico o di carico organico)
  • punte improvvise di carico (“shock loads”) possono provocare arresti della fase depurativa, agendo negativamente sulla fase di rimozione biologica, che ha scarsa flessibilità

Emerge pertanto la necessità, nei piccoli e medi impianti, di provvedere ad un’equalizzazione, generalmente a monte del trattamento depurativo, con l’adozione di apposite vasche di compensazione (equalizzazione o bilanciamento)

Disinfezione

La costante presenza, nelle acque di rifiuto civili, di microrganismi patogeni che, in occasioni epidemiche, possono raggiungere concentrazioni elevatissime, oltre che di parassiti assai pericolosi, rende indispensabile poter disporre di sistemi di disinfezione delle acque efficienti e sufficientemente economici, atti ad eliminare, o almeno a ridurre sensibilmente, i pericoli di malattie. Fra i processi di disinfezione utilizzabili per le acque (cloro e suoi derivati, bromo, ozono, raggi UV, sali di Ag, radiazioni ionizzanti, ...) specificatamente per le acque di rifiuto si è imposto l’uso del cloro e dei suoi derivati, sia per la sua efficacia, sia per la sua economicità. Oltre ad esercitare un’azione disinfettante, il cloro induce anche un’azione depurativa (intesa come rimozione per via ossidativa di parte delle sostanze organiche disciolte, contenute nei liquami). Una clorazione semplice del liquame grezzo si rivela utile in quei casi in cui, sversando liquami in un corpo idrico, si desidera evitare di immettervi una carica batterica potenzialmente pericolosa. La clorazione dei liquami grezzi è sempre un processo di dubbia efficacia, da evitarsi non appena possibile, e da utilizzarsi solo in circostanze provvisorie o di emergenza.

Postaerazione

In corpi d’acqua recettori, ad esempio fiumi a corso lento, in cui occorra garantire comunque ed in qualsiasi punto la presenza di concentrazioni di ossigeno disciolto tali da evitare qualsiasi danno alle forme di vita presenti, l’immissione dell’effluente di un impianto di depurazione non adeguatamente ossigenato può contribuire ad un depauperamento del patrimonio di ossigeno disciolto preesistente. Può risultare pertanto opportuno provvedere all’arricchimento di ossigeno dell’effluente prima della sua immissione nel corpo idrico. Si utilizzano apposite “vasche di postaerazione” nelle quali possono trovare applicazione tutti i vari dispositivi di aerazione utilizzati nell’aerazione dei fanghi attivi. Un metodo semplice di postaerazione, ove le condizioni locali lo permettano, è quello di utilizzare un dislivello in uscita dall’impianto tramite un’aerazione a cascata, sfruttando l’effetto di turbolenza indotta da salti a gradini successivi.

Trattamenti primari[modifica]

Sedimentazione

Il processo di sedimentazione (o decantazione) costituisce un trattamento fra i più importanti, utilizzato sia come fase a sé stante, sia come fase preliminare (sedimentazione primaria), sia come fase finale (sedimentazione secondaria). Nella sedimentazione si sfrutta la forza di gravità per separare dall’acqua le particelle solide “sedimentabili”, caratterizzate da peso specifico maggiore di quello dell’acqua e che sono in grado di depositarsi in tempi accettabili. La sedimentazione si realizza in vasche appositamente conformate, in modo da facilitare al massimo:

  • la separazione delle particelle dal mezzo liquido
  • la raccolta delle particelle come fango
  • la concentrazione del fango
  • l’allontanamento del fango

È facile intuire, specie per le vasche a flusso ascensionale, che per un’efficace sedimentazione occorre:

  • che sia assicurato un sufficiente tempo di detenzione del liquido in vasca
  • che il carico idraulico superficiale (rapporto Q/S, portata di liquame e superficie della vasca) non superi certi valori-limite.

La vasca di sedimentazione è un elemento molto “rigido” del circuito depurativo, comportandosi come vasca a livello fisso, con limitate escursioni: ogni diverso valore della portata in arrivo comporta, in breve tempo, una proporzionale variazione della velocità ascensionale nella vasca, con un’attenuazione limitata dei valori di punta della portata, determinanti il sollevamento del fango depositato sul fondo della vasca e la sua “fuga” nel recapito. I solidi sedimentabili presenti nelle acque reflue sono sommariamente classificabili in due categorie:

  • particelle “granulose” che sedimentano individualmente, senza sensibili interazioni con le particelle vicine
  • particelle “fioccose” che per il loro carattere fioccoso e per le forze di attrazione superficiale che le caratterizzano, durante la fase di caduta tendono ad agglomerarsi.

Le particelle granulose, dopo un iniziale periodo di moto accelerato, tendono ad assumere una velocità di caduta costante, v, detta velocità di sedimentazione, che viene raggiunta quando l’energia di caduta della particella viene esattamente equilibrata dall’energia dispersa dall’attrito della particella con le molecole di fluido. Nel caso si verifichi un regime di moto laminare la particella scende con una velocità bassa tale da non indurre moti vorticosi nel fluido (legge di Stokes)

Nel caso in cui si verifichi regime di moto turbolento, la velocità di sedimentazione delle particelle non varia più linearmente con il loro diametro.

Le particelle fioccose, che tendono ad agglomerasi tra loro, aumentano il loro diametro equivalente e, pur continuando a valere le formule precedenti, man mano che aumentano le loro dimensioni, col passare del tempo lungo il loro percorso, aumenta anche la loro velocità di sedimentazione.

Il fango raccolto nella fase di sedimentazione primaria ha un aspetto grigiastro, odore molto molesto ed un elevato grado di putrescibilità, è particolarmente ricco di microrganismi, anche patogeni. Occorre perciò che sia opportunamente trattato con un processo di stabilizzazione, in modo che sia reso facilmente e sicuramente manipolabile per i successivi trattamenti di smaltimento. In genere, i fanghi raccolti nella sedimentazione primaria, sono sottoposti ad un trattamento di digestione anaerobica (vedi in seguito). Il trattamento dei fanghi primari con stabilizzazione aerobica è una pratica non usuale, e ancora meno è il trattamento del fango allo stato “fresco” (grandi impianti con incenerimento finale). Più frequente è, eventualmente, la stabilizzazione chimica. Negli impianti molto piccoli (100-200 a.e.) la sedimentazione è molto spesso realizzata nel comparto apposito di sedimentazione di fosse Imhoff mentre per impianti fino a qualche migliaio di a.e., sono ancora utilizzate vasche del tipo statico (flusso ascensionale). Per potenzialità di impianto che richiedono capacità superiori a 1000 m3, le vasche a flusso ascensionale diventano troppo profonde per cui si dispongono le vasche sopraelevate oppure si ricorre a vasche a flusso longitudinale o a flusso longitudinale-ascensionale, meno profonde. Attualmente si utilizzano vasche meccanizzate, dotate di fondo con limitata pendenza e di particolari dispositivi di raschiamento meccanico del fondo che, spostandosi molto lentamente, spingono il fango sedimentato verso le tramogge di raccolta.

Coagulazione - Flottazione

È d’abitudine classificare in tre categorie i composti dell’acqua: solidi sospesi, particelle colloidali (meno di 1 micron) e sostanze dissolte (meno di alcuni nanometri). Il processo di coagulazione-flocculazione facilita la rimozione dei solidi sospesi e delle particelle colloidali.

La coagulazione è la destabilizzazione delle particelle colloidali causata dall’addizione di un reagente chimico detto coagulante.

La flocculazione è l’agglomeramento di particelle destabilizzate prima in un microfiocco e poi in corpi fioccosi detti comunemente fiocchi. L’addizione di un altro reagente detto flocculante o di un precursore di fiocchi può promuovere la flocculazione. I fattori che possono favorire la coagulazione-flocculazione sono il gradiente di velocità, il tempo ed il pH.

Inversamente, la flottazione è una procedura di separazione solido-liquido o liquido-liquido che è applicata nella rimozione di particelle con densità più basa di quella del liquido in cui si trovano. Ci sono tre tipi di flottazione: naturale, aiutata ed indotta. Flottazione naturale: Valida se la differenza di densità è naturalmente sufficiente per la separazione Flottazione aiutata: Avviene quando si utilizzano mezzi esterni per promuovere la separazione di particelle che sono naturalmente flottabili Flottazione indotta: Avviene quando la densità delle particelle è diminuita artificialmente per farle flottare. Si basa sulla capacità di certe particelle solide e liquide di legarsi sopra bolle di gas (normalmente aria) per formare una “gas-particella” che ha una densità più bassa di quella del liquido

La DAF (“Dissolved air flotation”) è un procedimento per indurre la flottazione con bolle d’aria molto fini o «microbolle», di 40-70 microns.

Trattamenti secondari[modifica]

Microorganismi coinvolti nella depurazione

I batteri sono la classe di microrganismi che riveste la maggiore importanza nei processi di depurazione; tuttavia possono essere utilizzati nel trattamento delle acque anche alghe, virus, protozoi, rotiferi, funghi e muffe. La presenza di tutte queste specie è strettamente dipendente dalle caratteristiche chimiche e fisiche del sistema ed è inoltre legata alle probabili interazioni fra microbi della stessa specie o di specie diversa. Tali interazioni possono essere sia di tipo positivo (sinergismo, parassitismo) sia di tipo negativo (predazione, competitività). I batteri sono organismi monocellulari eterotrofi, cioè devono assumere dall'esterno le sostanze organiche che non sono in grado di sintetizzare da soli. Possono essere classificati in:

  • aerobi, se per la loro sopravvivenza è necessaria la presenza di ossigeno;
  • anaerobi, se per la loro sopravvivenza è necessaria l'assenza di ossigeno;
  • facoltativi, quando possono vivere in entrambe le condizioni precedenti;

Un'ulteriore classificazione basata sulla temperatura ambientale ottimale per la crescita di microrganismi li suddivide in:

  • criofili (288,15 K)
  • mesofili (298,15-313,15 K)
  • termofili (323,15-333,15 K):

Il pH ottimale di crescita è compreso fra i valori di 6,5 e 7,5. Tutti i microrganismi come ogni specie vivente, hanno bisogno di nutrimento per la crescita e la moltiplicazione. Lo svolgimento di queste funzioni comporta un consumo di energia. I processi depurativi per via biologica sfruttano proprio le necessità dei batteri di utilizzare sostanze organiche nutritive e sostanze organiche energetiche per soddisfare le loro esigenze. La trasformazione delle sostanze presenti negli scarichi porta alla formazione di materia vivente (rappresentata dai batteri in crescita e moltiplicazione) e di materiali generalmente gassosi, prodotti dal metabolismo dei microrganismi.

Considerando un sistema chiuso, l'aumento del numero di microrganismi segue un andamento caratterizzato da diverse fasi. Le prime due fasi consistono nell'attivazione degli enzimi da parte dei microrganismi; gli enzimi, definiti anche biocatalizzatori servono per l'attacco alle sostanze organiche. La terza fase, detta di accrescimento esponenziale, è caratterizzata da un'enorme moltiplicazione di individui dovuta all'elevata concentrazione di nutrimento. Nella quarta fase si assiste dapprima a un rallentamento e successivamente a un arresto della crescita della colonia dovuto all'esaurimento del materiale nutritizio. L'ultima fase consiste nell'autodistruzione dei microrganismi che, non avendo più a disposizione nutrimento esterno, consumano il loro stesso protoplasma autodistruggendosi. I sistemi di depurazione biologici utilizzati, possono essere suddivisi in trattamenti aerobici e anaerobici. Nel primo caso i microrganismi eterotrofi traggono dal carbonio contenuto nella sostanza organica la loro energia, formando anidride carbonica con l'ossigeno, e lo usano come materia prima per la sintesi cellulare. Nel secondo caso, in assenza di ossigeno, i microrganismi eterotrofi traggono energia direttamente dalla demolizione dei composti organici. I processi aerobici hanno la caratteristica di utilizzare l'ossigeno per creare condizioni favorevoli a mantenere una corretta attività dei microrganismi. Il risultato è la formazione di una massa fioccosa biologica, che secondo la tipologia dell'impianto si dispone in determinate zone al suo interno. Questa massa aggrega le particelle colloidali del liquame e adsorbe sostanze disciolte di altro genere. Perché questa massa biologica si mantenga attiva è necessario che la concentrazione di ossigeno disciolto si mantenga sempre sopra ad una specifica concentrazione e poiché il consumo di ossigeno è molto elevato, questo deve essere prodotto artificialmente a mezzo di apposite apparecchiature.

L'osservazione al microscopio di una porzione di fango attivo, mostra che il fango attivo presenta una comunità di vita formata da molti organismi differenti.

I batteri sono i più importanti ma anche i più piccoli esseri viventi presenti nel fango attivo. Possono raggiungere un numero di molti miliardi per litro. La loro grandezza, va da pochi millesimi a centesimi di millimetro. Sebbene i batteri si presentino sotto molteplici forme, vi sono specie imparentate che, nella maggior parte dei casi, sono così simili da rendere difficile il loro riconoscimento al microscopio. La maggior parte delle specie può essere distinto solo in base alle caratteristiche metaboliche: ad esempio mediante la capacità di convertire ben definite sostanze organiche in altre.


I flagellati vengono situati in una posizione intermedia fra il mondo animale e il mondo vegetale. Mediamente più grandi dei batteri, la maggior parte di questi esseri monocellulari raggiunge appena la lunghezza di un ventesimo di millimetro. Questi organismi devono il loro nome alla presenza di uno o più filamenti mobili a flagello, che con il loro movimento permettono agli organismi di spostarsi. I flagellati possono raggiungere una densità di parecchi milioni per litro. A causa della loro dimensione così ridotta, la determinazione è molto difficile. I flagellati, nella maggior parte dei casi, sono visibili al microscopio solo a campo oscuro o in caso di illuminazione in contrasto di fase.

Il nome di amebe dal greco amoibé, che significa trasformazione, deriva dalla capacità tipica di questi microrganismi di cambiare incessantemente la loro forma. Allo stesso modo, le diverse specie mostrano, al momento dello spostamento strisciante-fluttuante, una netta differenza nella momentanea formazione delle appendici corporee, i cosiddetti pseudopodi. Le amebe più piccole raggiungono appena la lunghezza di un centesimo di millimetro; vi sono però specie comparative enormi di lunghezza che supera il millimetro, che possono essere viste ad occhio nudo.

I ciliati costituiscono il gruppo più multiforme degli organismi presenti nel fango attivo. Sebbene questi siano apparentemente anche esseri viventi monocellulari, la loro struttura interna è notevolmente complicata ed altamente sviluppata. La superficie esterna dei ciliati è ricoperta da molte protuberanze plasmatiche a forma di ciglia, dalle quali deriva il loro nome. Con l'aiuto delle loro ciglia, questi esseri attirano a sé il cibo e si spostano. La molteplicità degli organismi presenti nel fango attivo rappresenta la condizione principale per il rendimento ottimale della decomposizione. Solamente per mezzo della abitudini di alimentazione differenziate di questi esseri viventi, il fango si può adattare alla grande varietà di sostanze presenti nelle acque di scarico. Il fango attivo comprende così diversi regimi alimentari. Molti organismi possono nutrirsi solamente di alimenti in soluzione o in forma colloidale. L'ingestione avviene in modo diffuso sull'intera superficie corporea, oppure presso una ben definita parte sviluppatasi come "bocca cellulare". I principali utilizzatori delle sostanze disciolte nelle acque di scarico sono i batteri. Molti di questi, inoltre, espellono degli enzimi con l'aiuto dei quali riescono a liquefare particolari sostanze alimentari insolute.

Trattamento biologico a fanghi attivi

Gli impianti che realizzano la depurazione per via biologica secondo il principio dei fanghi attivi sono armai da lunga data presenti nella storia del trattamento delle acque reflue (1913). Con la sedimentazione si completa il trattamento primario dei liquami e con i trattamenti successivi inizia la fase del trattamento biologico. I reflui, privi della maggior parte delle sostanze sedimentabili ma carichi ancora di sostanze organiche disciolte e colloidali, sono inviati alla fase ossidativa, ove avvengono trattamenti di aerazione intensa artificiale per durate che vanno da 1,5 a 6 ore, a seconda del tipo di liquame e dei criteri di dimensionamento.

Come in tutti i processi biologici che avvengono nel mezzo liquido, l’ossigeno occorrente ai microrganismi deve essere disponibile allo stato disciolto. In questo ambiente ricco di ossigeno si instaurano complessi processi fisici, chimici e, soprattutto, biologici: si realizza anzitutto un’ossidazione chimica di composti riducenti quali H2S, solfuri, solfiti, aldeidi, mercaptani, ... (“richiesta immediata” di ossigeno), poi con processi fisici e biologici intervengono i microrganismi, presenti in concentrazioni elevatissime, che agglomerano i solidi sedimentabili sfuggiti alla sedimentazione primaria e bloccano i solidi colloidali non sedimentabili (fenomeni di adsorbimento e di coagulazione diretta). Infine, nei tempi successivi più lunghi, i microrganismi utilizzano per il loro sviluppo parte delle sostanze organiche solubili trasformandole in sostanza vivente e rendendole così sedimentabili e, contemporaneamente, procedono all’elaborazione dei solidi sedimentabili e colloidali inglobati nella massa fioccosa, previa solubilizzazione con attacco enzimatico extracellulare. Ne risulta un netto incremento dei microrganismi. Nella successiva fase di sedimentazione secondaria, i fiocchi in cui sono agglomerati sedimentano sul fondo delle vasche, mentre il liquame purificato sfiora dai canali di raccolta e viene avviato ai trattamenti terziari. Un fondamentale risultato del trattamento biologico è quello di rendere sedimentabili sostanze organiche prima disciolte e colloidali che, altrimenti, non potrebbero essere bloccate ed allontanate dalla fase liquida. Le alte concentrazioni di microrganismi nelle vasche di aerazione sono rese possibili dal ricircolo del fango attivo raccolto nella fase di sedimentazione secondaria e condotto a miscelarsi con il liquame influente, in modo che le reazioni biologiche si innescano rapidamente senza tempi di induzione. D’altro canto, i fanghi continuamente ricircolati sono soggetti a tempi di aerazione di gran lunga maggiori dei tempi di detenzione della fase di aerazione, per cui possono subire trasformazioni ben più sostanziali di quelle che sarebbero rese possibili dal solo tempo di ritenzione della vasca. Poiché si verifica un accrescimento della massa batterica e delle sostanze inerti presenti in miscela nella vasca dia aerazione, la concentrazione del fango in vasca andrebbe gradualmente aumentando se non si procedesse all’estrazione ed all’allontanamento periodico del fango di supero. Normalmente il fango di supero vengono miscelati con i fanghi primari ed avviati ai trattamenti specifici dei fanghi.

Le sostanze organiche biodegradabili, sia solubili che insolubili, sono quelle che costituiscono essenzialmente il “cibo” dei microrganismi che presiedono ai processi di depurazione biologica.

Dopo un’iniziale fase di acclimatamento, in ambiente favorevole e ben ossigenato e con grande quantità di substrato nutritivo a disposizione, i batteri trovano le condizioni ideali per la loro riproduzione, che avviene con progressione geometrica: “fase di crescita logaritmica”.

Dopo il periodo di crescita della fase logaritmica, cominciando ad esaurirsi il cibo a disposizione, si determinano condizioni non più ideali di crescita ed inizia la “fase di crescita declinante” o “fase stazionaria”

Con un tempo di contatto ancora più elevato, esaurito gran parte del substrato nutritivo, i microrganismi consumano e riducono la loro massa cellulare o muoiono spontaneamente oppure entrano in conflitto tra loro ed inizia la “fase endogena” o “fase di autossidazione” o “fase di lisi”.

Accanto alla fase di costruzione si manifesta anche la fase di degradazione o autodistruzione nella fase di “respirazione endogena” o catabolica.

Le reazioni che avvengono nei processi biologici sono in genere sensibilmente influenzate dalle variazioni di temperatura nell’ambiente liquido: almeno entro certi limiti, ad un aumento della temperatura corrisponde un aumento della velocità delle reazioni biologiche e, viceversa, al diminuire della temperatura.

Trattamento biologico a filtri percolatori

Gli impianti a filtri percolatori sono da annoverarsi tra i primi ideati per una depurazione piuttosto spinta delle acque reflue e fecero la loro comparsa in Inghilterra nel 1893, prima degli impianti a fanghi attivi. I filtri percolatori “tradizionali” sono diventati capostipite di una tecnica generalizzata di trattamenti biologici utilizzando reattori biologici detti “a biomassa fissa” cioè con crescita dei microrganismi su un apposito materiale fisso di supporto (“attached” o “fixed growth”), a differenza degli impianti a fanghi attivi in cui la biomassa è in sospensione (“suspended growth”). Nella sua forma più semplice e tradizionale, il filtro percolatore (o letto percolatore o biofiltro o letto batterico) è costituito da una massa di materiale (pietrisco, pezzi di carbone, coke, scorie di altoforno, ecc.) attraverso la quale il liquame, precedentemente chiarificato e distribuito alla superficie attraverso particolari organi, percola per ruscellamento, cioè scorre sulla superficie dei vari elementi costituenti l’ammasso. L’altezza dello strato filtrante è normalmente di 2-3 metri. Dopo un periodo di applicazione del liquame, generalmente di qualche settimana, sul supporto inerte si forma gradualmente una pellicola o membrana biologica, cioè uno strato di mucillagini dello spessore di 2-3 mm, costituito da un’associazione di batteri, funghi, protozoi, alghe (limitatamente alla parte superiore del letto esposta alla luce) e anche da organismi più complessi come vermi ed insetti. Questi organismi adsorbono e degradano, con processi biologici essenzialmente aerobi, le sostanze organiche nutritive, disciolte e colloidali, presenti nei liquami. Per effetto di complessi fenomeni la membrana biologica si distacca, periodicamente o con continuità, dal materiale di supporto e viene raccolta in una fase di sedimentazione. In definitiva, il processo biologico consente di trasformare in “membrana biologica” le sostanze organiche prima disciolte e colloidali, rendendole sedimentabili, con una meccanica molto simile a quella degli impianti a fanghi attivi. Nei filtri percolatori moderni, il riempimento lapideo è sostituito da supporti in materiale plastico, appositamente sagomati in modo da massimizzare la superficie per unità di volume. Questi materiali plastici, infatti, oltre ad essere imputrescibili, leggeri e facilmente utilizzabili, hanno percentuali di vuoti del 93-97% e superfici specifiche di 100-200 m2/m3, contro percentuali del 40-60% e superfici specifiche di 50-70 m2/m3 dei materiali lapidei.

Dischi biologici

Utilizza come supporto per la membrana biologica appositi dischi in materiale plastico, detti dischi biologici ("rotating biologic contactors"), immersi parzialmente (40%) in appositi bacini e ruotanti su un tamburo orizzontale. I dischi, distanziati tra di loro di 2-3 cm, hanno diametro variabile da 1 a 3 metri ed una velocità che varia rispettivamente da 3-4 a 1-2 giri/min. Dopo un certo tempo di esercizio, si forma sulla superficie dei dischi una membrana biologica del tutto analoga a quella dei filtri percolatori tradizionali e che, alternativamente, durante il moto di rotazione, si carica di ossigeno nella fase esposta all’aria, per poi immergersi ed adsorbire e metabolizzare le sostanze organiche disciolte e colloidali presenti nel liquame. La pellicola biologica continua a svilupparsi finché non raggiunge lo spessore massimo dell’ordine di 2-5 mm e quindi si stacca autonomamente dalla superficie del disco.

Il liquame viene mantenuto in agitazione dallo stesso movimento dei dischi e viene così impedita la sedimentazione dei solidi sospesi e facilitata la distribuzione dell’ossigeno accumulato dai dischi nella fase di emersione. Il trattamento è normalmente realizzato in più stadi successivi, costituiti da singoli gruppi di dischi in parallelo.

Sedimentazione secondaria

Si è già più volte accennato alla grande importanza che assume un’efficiente sedimentazione dell’effluente dalla vasca di aerazione, onde ottenere elevati rendimenti depurativi. La conformazione generale delle vasche di sedimentazione secondaria è simile a quella delle vasche di sedimentazione primaria, con le seguenti differenze fondamentali:

  • la profondità media è maggiore, dato il carattere fioccoso del fango e la necessità del suo ispessimento
  • dato sempre il carattere fioccoso del fango, gli stramazzi di raccolta hanno uno sviluppo maggiore
  • è prevista una raccolta e ricircolo rapido del fango
Trattamenti terziari[modifica]

Rimozione di azoto e fosforo

La limitata attitudine dei trattamenti primari e secondari a rimuovere azoto e fosforo ha determinato la necessità di ricorrere a trattamenti specifici.

Nitrificazione

L’azoto si trova presente nei liquami grezzi principalmente sottoforma di ammoniaca, inizialmente legata nelle molecole organiche complesse e poi solubilizzata in seguito all’ossidazione biologica di queste sostanze. La trasformazione in ammoniaca delle sostanze organiche azotate si attua tramite reazioni successive molto complesse esemplificabili dalla reazione già vista C5H7O2N + 5O2 -> 5CO2 + 2H2O + NH3

L’azoto ammoniacale può essere successivamente ossidato per via biologica a nitriti: 2NH3 + 3O2 -> 2NO2- + 2H+ + 2H2O

Infine, i nitriti possono essere ulteriormente ossidati, ancora per via biologica, a nitrati: 2NO2- + O2 + -> 2NO3-

Cumulativamente, la trasformazione complessiva è NH3 + 2O2 -> NO3- + H+ + H2O

L’ammoniaca e i composti organici ammoniacali sono convertiti in nitrati tramite l’azione congiunta di due gruppi di batteri specializzati nitrificanti, di tipo autotrofo e strettamente aerobici: i Nitrosomas (ossidano ammoniaca a nitriti) e i Nitrobacter (ossidano nitriti a nitrati).

Denitrificazione

I nitrati formatisi per ossidazione dei composti ammoniacali costituiscono una riserva di ossigeno nell’ambito stesso dell’impianto di depurazione da cui i batteri possono attingere ossigeno in assenza di sufficiente aerazione. L’assorbimento di ossigeno dai nitrati si sviluppa secondo un processo di “denitrificazione” nel senso che la reazione induttiva operata dai batteri determina la formazione di azoto che tende ad allontanarsi come gas dal mezzo liquido: 2NO3- -> 3O2 + N2

Questa reazione è attuata da numerosi batteri specializzati del tipo eterotrofo (Pseudomonas, Micrococcus, Achromobacter, Bacillus, Spirillum, ...), facoltativi, nel senso che in presenza di ossigeno disciolto nel mezzo utilizzano l’ossigeno stesso mentre in assenza di ossigeno utilizzano quello contenuto nei nitrati secondo la reazione indicata. Oltre che di ossigeno, questi batteri necessitano di un substrato costituito da sostanze organiche di tipo carbonioso che possono essere contenute nel liquame grezzo o aggiunte allo scopo. Come per la nitrificazione, la velocità di denitrificazione è fortemente influenzata dal pH e dalla temperatura. D’altro canto la nitrificazione stessa comporta un aumento di pH.

Rimozione di azoto e fosforo

La presenza di azoto e fosforo negli effluenti può comportare l’eutrofizzazione del corpo idrico recettore. Già una certa quota di azoto e fosforo viene rimossa dai trattamenti standard ma con rendimenti limitati e per giunta non facilmente controllabili. Azoto e fosforo risultano elementi indispensabili per la crescita e la moltiplicazione batterica (per il P basta pensare al ciclo ADP <-> ATP), per cui essi possono venire assimilati in percentuali considerevoli negli impianti biologici, con sostanziali rimozioni nel caso di rapido allontanamento dei fanghi di supero (si deve evitare la fase di lisi imputabile alla respirazione endogena). I processi attualmente utilizzati per la rimozione di N e P prevedono una nitrificazione e successiva denitrificazione controllate, entrambe per via biologica: dopo un’abbondante ossidazione biologica con conseguente nitrificazione spinta, si fa passare l’effluente in un ambiente con carenza di ossigeno, in modo che nelle condizioni anossiche della vasca si instaurano le reazioni di denitrificazione. La nitrificazione controllata per via biologica può avvenire nella stessa fase di ossidazione a fanghi attivi (o a filtri percolatori) oppure in vasche a parte. La denitrificazione controllata per via biologica può essere realizzata in vari modi, uno dei quali è l’utilizzo di filtri a sabbia rapidi. In impianti di media-grande potenzialità, la denitrificazione è attuata in vasche del tipo a fanghi attivi, dotate anch’esse di una fase di sedimentazione finale e di un sistema di ricircolo del fango, provviste di semplici miscelatori lenti sommersi che hanno la funzione di mantenere in sospensione le particelle di fango ma non di trasferire ossigeno. La tendenza prevalente è ancora quella di evitare l’aggiunta di sostanze nutritive aggiuntive ricorrendo alle sostanze organiche presenti nel liquame come nutrimento dei batteri denitrificanti anche se con minori rendimenti di denitrificazione. La reazione interessata può essere così indicata: C5H7O2N + 4NO3 -> 5CO2 + 2N2 + NH3 + 4OH-

La rimozione controllata del fosforo è stata fino a tempi recenti attuata essenzialmente per mezzo di processi di precipitazione chimica usando prodotti coagulanti-flocculanti. Due tipiche reazioni di precipitazione con solfato di alluminio e con calce, efficaci soprattutto sugli ortofosfati, sono: Al2(SO4)3 . 14H2O + 2PO43- -> 2AlPO4(s) + 2SO42- + 14H2O 3Ca(OH)2 + 2PO43- -> Ca3(PO4)2 (s) + 6OH-

Affinamento

In tutti gli impianti con trattamento secondario del liquame, l’abbattimento dei solidi sospesi che si attua nella sedimentazione secondaria, risulta non perfetto. È per questo che si può ricorrere a trattamenti di affinamento (“polishing”) finale, atti a rimuovere anche buona parte di quelle particelle sospese sfuggite alla sedimentazione e di permettere di ottenere un netto miglioramento della qualità dell’effluente. Alcuni di questi processi (filtrazione, lagunaggio), oltre a produrre un effluente finale più limpido, migliorano l’affidabilità complessiva di tutta la catena dei trattamenti, in quanto hanno un “potere tampone” che consente loro di far fronte a carenze temporanee e all’irregolarità delle fasi a monte.

Microfiltri

In casi particolari, ad esempio la poca disponibilità di aree, si ricorre ai microfiltri, costituiti da un cilindro, ruotante sul proprio asse, sulla cui superficie (suddivisa in singoli pannelli elementari) è disposta una tela finissima in acciaio inox con orifizi del diametro di 20-50 micron. L’acqua di lavaggio dei filtri, carica dei solidi trattenuti, è restituita a monte della vasca di aerazione o del filtro percolatore.

Filtrazione rapida

Un filtro rapido è costituito da uno o più strati di materiale granulare, supportati da un fondo drenante, attraversati dall’altro verso il basso dalla corrente di acqua entrante. La filtrazione si realizza con un processo ciclico discontinuo: il filtro viene mantenuto in esercizio finché o l’acqua in uscita è eccessivamente torbida o le perdite di carico indotte dalle impurezze raccolte raggiungono valori eccessivi: a questo punto il flusso di acqua viene interrotto e si procede al lavaggio del materiale filtrante, in controcorrente, a mezzo di un energico flusso di acqua (o acqua e aria) per tempi di 15-20 minuti. Nei filtri moderni, superando il concetto della filtrazione “a superficie”, basata sull’intercettazione della torbidità da parte dei primi strati filtranti, si è fatto ricorso ad una filtrazione “a volume” o “in profondità”, che consente di sfruttare a pieno la massa filtrante, aumentando così la durata di filtrazione. La filtrazione “a volume” viene ottenuta adottando materiale filtrante con granulometria piuttosto elevata (1-2 mm) in modo da lasciar penetrare i solidi sospesi senza intasamenti rapidi della massa filtrante, ed adottando strati filtranti molto alti (1,5-2 m) per far sì ce il fronte di torbidità avanzante nella massa filtrante, impieghi un tempo adeguatamente lungo prima di poter procedere al lavaggio del filtro.

Disinfezione[modifica]

Clorazione

Sul liquame precedentemente sottoposto a sedimentazione, o meglio ancora a un trattamento depurativo “completo” di tipo biologico, chimico, ecc., la clorazione si presenta come un processo di disinfezione particolarmente efficace. Una clorazione continua dell’effluente finale dopo una depurazione è sicuramente consigliata quando:

  • i liquami provengono da strutture ospedaliere;
  • l’effluente dell’impianto sversa direttamente, senza che sia garantita una sufficiente diluizione, in acque di balneazione o ad uso ricreativo;
  • l’effluente sversa in un corpo idrico in cui sono effettuate colture di molluschi;
  • l’effluente viene riciclato ad uso industriale;
  • l’effluente è utilizzato per irrigazione di colture destinate all’alimentazione umana oppure per l’irrigazione di pascoli per bestiame da latte o comunque aperti al pubblico.

Per tutti gli impianti con una certa potenzialità è comunque da ritenere sempre opportuna una clorazione di emergenza, da far entrare in funzione in occasione di epidemie. La disinfezione è normalmente effettuata o con cloro gas o con ipoclorito di sodio. In alcuni casi è stato utilizzato anche biossido di cloro.

Clorazione mediante cloro gas

L’utilizzo di cloro gassoso esige che il personale di servizio dia dotato di un particolare patentino di abilitazione e, per l’intrinseca pericolosità del cloro, richiede particolari precauzioni di manipolazione. L’utilizzo di cloro gas è indicato per impianti con capacità sufficientemente elevata e, soprattutto, in quei casi in cui è richiesta una clorazione continua.

Clorazione mediante ipoclorito

Il dosaggio di ipoclorito può essere realizzato con una pompa dosatrice, con possibilità di variazione della capacità dosatrice in relazione alla portata effluente. Attraverso l'aggiunta di ipoclorito di sodio all'acqua si forma acido ipocloroso: NaOCl + H2O → HOCl + NaOH- L'acido ipocloroso si divide in acido cloridrico (HCl) e ossigeno (O). L'atomo di ossigeno è un agente ossidante molto forte. L'ipoclorito di sodio è efficace contro batteri, virus e funghi. L'ipoclorito di sodio disinfetta allo stesso modo del cloro.

Clorazione mediante diossido di cloro

La ricerca di un disinfettante sostitutivo al cloro ha fornito parecchie possibili soluzioni. Anche se nessun disinfettante è perfetto, il diossido di cloro è un'ottima alternativa date le sue caratteristiche. Come ozono e cloro, il diossido di cloro è un pesticida ossidante e non una tossina metabolica. Ciò significa che il diossido del cloro uccide i microrganismi tramite interruzione del trasporto delle sostanze nutrienti attraverso la parete cellulare, non tramite interruzione di un processo metabolico. Il diossido di cloro stabilizzato è sostanzialmente ClO2 diluito in una soluzione acquosa. L'aggiunta di un acido alla concentrazione richiesta attiva il disinfettante.

Ozonizzazione

L’ozono, O3, forma allotropica dell’ossigeno, è un gas incolore con un caratteristico odore pungente normalmente associato alle scariche elettriche dei temporali. È un gas instabile che decompone a temperatura ambiente: O3 -> O2 + O

con formazione di ossigeno molecolare e “ossigeno nascente”, caratterizzato da un’elevatissima capacità ossidante, che si esplica in un efficace azione di rottura di molte molecole organiche complesse in molecole più semplici, che così diventano biodegradabili. Oltre alla capacità battericida, l’ozono ha notevole efficacia nei riguardi dei virus, ha azione decolorante e deodorante. La decomposizione è accelerata dal contatto con superfici solide, con sostanze chimiche e per effetto del calore. L’ozono è normalmente prodotto sul posto facendo passare aria (o ossigeno) in appositi generatori (“ozonizzatori”): una parte dell’ossigeno si trasforma in ozono fer effetto dell’effluvio elettrico fra elettrodi caricati a potenziali di 15000 V a corrente alternata. La miscela di aria/ozono viene poi insufflata nel liquame da trattare o con un diffusore o un venturi.

UV

La disinfezione dei reflui da depuratore può anche essere eseguita con raggi UV. Le radiazioni UV emesse dalle lampade sono assorbite dalle cellule, e causano una reazione fotochimica che danneggia il processo di riproduzione dei microrganismi. Contrariamente ad altri mezzi di disinfezione, non è stato ancora provato che i batteri possano sviluppare una resistenza alla radiazione UV. Al contrario, molti organismi patogeni sono estremamente sensibili a questo tipo di radiazione. È uno dei vantaggi principali dell'utilizzo di questo metodo. La disinfezione con raggi UV ha numerosi vantaggi: richiede energia elettrica ed elimina i pericoli derivanti da produzione, trasporto, stoccaggio e uso di agenti chimici; alle giuste dosi (quantità per tempo di esposizione) non produce sottoprodotti tossici; è semplice da effettuare dal punto di vista dell'addetto al depuratore; ha una durata di 20-30 secondi contro i 30 minuti del processo di clorazione; richiede un impianto meno esteso per l'assenza di vasche di contatto. La disinfezione con raggi UV, naturalmente, ha anche svantaggi: le acque da disinfettare con UV devono contenere poco particolato, materiale in sospensione, che impedirebbe l'arrivo dei raggi ai batteri e virus; acque con solidi sospesi in quantità superiore a 30 mg per litro non vengono disinfettate a sufficienza. La manutenzione delle guaine delle lampade deve essere accurata, per evitare la formazione di incrostazioni che schermerebbero i raggi.

Trattamento e smaltimento finale del fango[modifica]

Le sostanze inquinanti che vengono eliminate dal flusso liquido tramite il processo depurativo si ritrovano allo stato più o meno concentrato sottoforma di “fanghi” che richiedono un trattamento e smaltimento finale. Accanto alla linea “acque” in ogni impianto di depurazione è pertanto individuabile una più o meno complessa linea “fanghi”, cui viene avviato il fango di supero; esso viene prelevato ed allontanato periodicamente o con continuità dalla linea acque per evitare che le concentrazioni di solidi sospesi presenti superino i valori accettabili per un corretto funzionamento dell’impianto. Inoltre, nonostante i volumi di fango siano proporzionalmente limitati rispetto al volume dei liquami (da 0,3-0,5% per impianti percolatori a 0,8-2% per impianti a f.a.), in termini reali essi sono sempre comunque molto ragguardevoli; nel fango prelevato si trovano poi concentrati i batteri patogeni, i virus ed i parassiti rimossi dai liquami, che possono assumere aspetti di pericolosità ed esigono particolari specifiche cautele. I trattamenti che possono essere ipotizzati per i fanghi dipendono da numerosi fattori: caratteristiche ambientali, locali, caratteristiche intrinseche dei fanghi, potenzialità dell’impianto, tipo di smaltimento finale, ... Normalmente vengono effettuate una fase di concentrazione (ispessimento per gravità, per flottazione o per centrifugazione), una fase di stabilizzazione (digestione aerobica, digestione anaerobica, stabilizzazione chimica), un’eventuale fase di post-ispessimento e/o di condizionamento (condizionamento chimico, pastorizzazione, condizionamento termico) una fase di disidratazione (letti e stagni di essiccamento, centrifugazione, filtropressatura, nastropressatura, filtrazione a vuoto, essiccamento termico), una fase di incenerimento o compostaggio ed uno smaltimento finale (su terreno allo stato solido o liquido, in stagni di accumulo permanenti, in discarica controllata, in corsi d’acqua [non ammesso in Italia], in mare). Il trattamento chimico/biologico dell'acqua reflua riduce gli inquinanti disciolti nell'acqua reflua. Essi devono essere recuperati dal fango di scarico alla fine del processo di trattamento dell'acqua. Il trattamento dei fanghi è necessario per ridurre e migliorare i fanghi prodotti dal trattamento biologico dell'acqua reflua.

I fanghi estratti dalla linea acque come fanghi di supero sono ancora in genere caratterizzati da un elevato grado di putrescibilità, ovvero fermentazione settica con formazione di odori molesti e con l’acquisizione di caratteristiche chimico-fisiche che male si adattano ai trattamenti successivi. Diventa quindi indispensabile una fase di stabilizzazione del fango che consenta di ottenere un fango non più putrescibile (biologicamente quasi inattivo), facilmente disidratabile, meglio manipolabile e con riduzione della carica batterica. La stabilizzazione del fango può essere ottenuta per via biologica o per via chimica. Quella conseguita per via biologica, in condizioni controllate, si dice “digestione del fango”.

Digestione anaerobica

La digestione anaerobica del fango è applicata da lunga data, praticamente dai primi del ‘900 (fosse Imhoff) e verso gli anni ’40 si è proceduto all’applicazione dei digestori riscaldati artificialmente. Le sostanze organiche presenti nel fango, in mancanza di un sufficiente apporto di ossigeno, diventano sede di processi riduttivi anaerobici che portano ad una progressiva stabilizzazione.

Negli impianti di depurazione questi processi vengono attuati in appositi manufatti chiusi, veri e propri fermentatori, detti “digestori anaerobici” in cui le reazioni biologiche si sviluppano in assenza di contatto con l’atmosfera. I microrganismi di tipo facoltativo ed anaerobico utilizzano l’ossigeno occorrente per i processi di nutrizione e di sviluppo, prelevandolo dalla massa delle sostanze organiche biodegradabili presenti nel fango, inducendo un’effettiva riduzione biologica: trasformazione dei composti solforati a base di zolfo in idrogeno solforato e mercaptani, i composti azotati in ammoniaca, i carboidrati in metano ed anidride carbonica. Risultato della digestione anaerobico è la produzione di “biogas”, che è una miscela di gas con la seguente composizione il CH4 60-70%, CO2 25-30%, N2 2-5% oltre a piccole porzioni di altri gas (H2S, H2), caratterizzato da un buon potere calorifico (6000-7000 kCal/m3) e che rappresenta in pratica circa il 90% dell’energia originariamente presente nelle sostanze organiche biodegradabili del fango. Il metano, essendo poco solubile in acqua, si libera facilmente dal fango, accumulandosi nella parte superiore del digestore, da dove viene recuperato, purificato ed avviato alla combustione. Il calore prodotto dalla combustione viene utilizzato per il riscaldamento del digestore. Infatti, un aumento di temperatura della massa di fango favorisce un rapido sviluppo delle reazioni biologiche e, quindi, abbrevia i tempi occorrenti per la digestione tecnica del fango, con una diminuzione dei volumi occorrenti a parità di grado di stabilizzazione del fango. Si può stimare che, mediamente, la produzione di biogas con digestori riscaldati ammonti a 600-1200 litri/kg di solidi volatili “distrutti”, ovvero a 20-25 l/ab x giorno in impianti con sola sedimentazione primaria e 30-50 l/ab x giorno in impianti dotati anche di sedimentazione secondaria.

Nei digestori risulta conveniente l’agitazione del fango avente lo scopo di attuare un omogeneo contatto del fango fresco con i microrganismi anaerobi e di creare condizioni omogenee di temperatura nella massa di fango. Nel contempo un’adeguata miscelazione favorisce la diluizione ai limiti di tolleranza di eventuali sostanze tossiche introdotte. I sistemi di miscelazione sono di vario tipo, dai meccanici all’insufflazione di biogas appositamente estratto. Negli impianti a medio ed alto carico, cioè riscaldati a temperature comprese tra 30 e 38 °C, si ha un fango “tecnicamente digerito” (cioè con una riduzione del 50% dei solidi volatili) con un’età del fango dai 30-40 giorni (medio carico) ai 15-20 giorni (alto carico).

Digestione aerobica

Negli anni ’50 si è sviluppato, in concomitanza con l’introduzione degli impianti a f.a. ad aerazione prolungata, il processo di digestione aerobica e, negli anni ’60-’70 le notevoli semplificazioni di gestione consentite da questo processo hanno portato a molteplici applicazioni anche su impianti di media potenzialità, in sostituzione della digestione anaerobica. A causa dei continui e crescenti costi dell’energia, il suo campo di applicazione si sta ridimensionando ad impianti di piccola potenzialità. Con la digestione aerobica si completano quei processi di assimilazione e degradazione biologica delle sostanze organiche presenti nel fango, già avviate nella fase di ossidazione biologica. La digestione aerobica è essenzialmente applicata in impianti a f.a., soprattutto in quelli a schema semplificato, senza sedimentazione primaria. In questo caso la degradazione avviene essenzialmente per respirazione endogena. In caso sia presente la sedimentazione, avviene anche una respirazione assimilativa delle sostanze organiche. Il fango viene immesso in modo discontinuo nel digestore, una vasca aperta in cui viene applicata agitazione ed ossigenazione per mezzo di un’insufflazione d’aria assiale. In modo discontinuo viene anche prelevato il surnatante dopo un congruo periodo di ispessimento del fango e dopo arresto dell’ossigenazione. Per impianti di adeguata potenzialità (1000-2000 a.e.) il fango viene immesso in modo continuo evitando che i batteri, nel periodo intercorrente tra due alimentazioni successive, si riducano di numero per reciproca competizione. Affinché un fango possa essere considerato “tecnicamente” digerito per via aerobica, occorre che il processo determini una riduzione di circa il 40% dei solidi volatili e, con condizioni sfavorevoli di temperatura (periodi invernali) occorrono età del fango di 45-60 giorni; con temperature maggiori l’età del fango necessaria si riduce notevolmente (20 giorni a 30 °C).

Stabilizzazione chimica

La stabilizzazione chimica del fango può essere raggiunta o creando un ambiente con condizioni tali da rendere impossibile la via e lo sviluppo di microrganismi, oppure con reazioni ossidanti che degradano chimicamente le sostanze organiche. Normalmente viene effettuata o la stabilizzazione con calce, con aggiunta di elevate quantità di calce (viva o idrata) tali da portare il pH del fango a valori di 11-12 a cui viene praticamente inibita la vita dei microrganismi in genere, o l’ossidazione chimica a mezzo di cloro (gas).

Smaltimento del fango

Pur avendo lo smaltimento del fango liquido, in agricoltura o per immissione in profondità in acque marine, indubbi vantaggi di semplicità ed immediatezza, ci sono indubbi inconvenienti legati al costo del trasporto di masse liquide diluite. Si comprende pertanto il grande vantaggio conseguibile da una sufficiente disidratazione del fango. Un fango è normalmente considerato solido quando è “palabile”, cioè può essere conformato in cumuli mantenenti la propria forma e può essere raccolto con una pala a mano per essere agevolmente caricato su un mezzo di trasporto. Come per i processi di ispessimento e di stabilizzazione del fango, anche nella disidratazione si ha la formazione di acqua surnatante, più o meno carica di sostanze inquinanti, riciclata normalmente a monte del ciclo depurativo. L’essiccamento dei fanghi può essere ottenuto (impianti fino a 50000 a.e.) in letti di essiccamento per effetto del drenaggio attraverso strati di sabbia e ghiaia e per effetto dell’evaporazione naturale. Per impianti in cui non siano disponibili adeguati spazi per la realizzaizone dei letti di essiccamento, diventa indispensabile ricorrere a sistemi meccanici con particolari macchinari (filtri a vuoto, presse a nastri, filtri pressa, centrifughe). Prima dell’avviamento alla disidratazione meccanica, il fango viene normalmente sottoposto ad un processo di condizionamento avente lo scopo di conseguire una più facile disidratabilità. Normalmente si pratica il condizionamento chimico che è attuato immettendo nel fango rettivi particolari quali sali minerali a cationi polivalenti (di ferro ed alluminio, molto utilizzato è il FeCl3) o polielettroliti organici. I reattivi possono essere usati da soli o in combinazione con calce. Il sistema più drastico per pervenire alla completa eliminazione dell’acqua del fango e nel contempo conseguire una stabilizzazione perfetta (una vera e propria sterilizzazione) è quello di provvedere all’incenerimento del fango con un apposito impianto disposto direttamente nell’area dell’impianto di depurazione. Chiaramente, all’incenerimento si adattano bene i fanghi freschi non stabilizzati. Per l’incenerimento del fango, la cui combustione non può autosostenersi se l’umidità è superiore al 70%, occorre un combustibile di apporto almeno per elevare la temperatura finale e togliere gli odori molesti dai fumi. È anche per questo motivo, oltre che per gli elevati costi iniziali e la delicata gestione, che l’incenerimento è un sistema di trattamento poco raccomandato per i piccoli impianti. Il fango può anche essere sottoposto ad un essiccamento termico, con una varietà di dispositivi (essiccatori a letto fluido, a piani multipli, a tamburo rotante, ...) in grado di abbassare il tenore di acqua a valori del 10-15% e anche inferiori. Il fango stabilizzato, più o meno disidratato, alternativamente alla dispersione sul suolo o in mare, può essere avviato, se privo di sostanze pericolose di cui al D.L. 367/2003, alle operazioni di compostaggio volte alla produzione di fertilizzanti. Il compostaggio consiste in un trattamento biologico aerobico dei rifiuti organici, di carattere termofilo, con temperatura dell’ordine di 60-70 °C, condotto per un periodo di almeno 48 ore, onde attuare una decomposizione sufficientemente spinta delle sostanze organiche che porti alla loro stabilizzazione (in definitiva una stabilizzazione aerobica del tutto analoga a quella vista per il fango liquido).