Elettrotecnica/Campo magnetico

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L'esperienza insegna che lo spazio nelle vicinanze di un conduttore percorso da corrente è sempre sede di un particolare campo di forze che prende nome di campo magnetico: al punto tale, anzi, che corrente elettrica e campo magnetico appaiono come due grandezze tutt'affatto indivisibili nel senso che la ove circola una corrente elettrica è reperibile nello spazio un campo magnetico.

Di più, può per via sperimentale mettersi in luce un complesso di qualità caratteristiche del campo che può così riassumersi:

  • la configurazione del campo magnetico è determinata unicamente dalla forma dei circuiti attraversati da corrente,
  • può ottenersi per mezzo di un solenoide rettilineo sufficientemente lungo rispetto al suo diametro un campo magnetico praticamente uniforme per tutta la lunghezza del solenoide stesso,
  • un campo magnetico generato da un magnete permanente non è in nulla distinguibile da quello generato dalle correnti elettriche.

È ora possibile definire una grandezza che appare caratteristica di un campo magnetico, nel senso che essa è capace di determinarlo perfettamente una volta nota in ogni suo punto.

Per orientare la mente pensiamo di disporre di un campo magnetico uniforme quale quello, ad esempio, che può essere generato da un solenoide. Si abbia anche a disposizione un apparecchio capace di indicare la presenza di un campo magnetico. Sappiamo che un apparecchio di questo genere può essere costituito da un semplice ago magnetico cui sia lasciata la possibilità di ruotare rispetto ad un asse verticale passante per il baricentro. La posizione di un simile ago, normalmente definita dal campo magnetico terrestre, varierà in presenza di un campo magnetico in conseguenza dell'azione deflettrice che quest'ultimo esercita su di esso.

Se ad un simile apparecchio vuol riservarsi anche la possibilità di indicare o meno l'eguaglianza di due campi, allora sarà necessario sottoporlo ad una coppia antagonista, quale può essere ad esempio quella di una molla, che ne definisca la posizione iniziale.

In presenza di campi magnetici l'ago devierà dalla sua posizione normale di riposo sin tanto che non si sia arrivati all'equilibrio tra coppia deviatrice e coppia antagonista. Essendo quest'ultima costante sarà sempre possibile collegare la deviazione alla intensità del campo che fornisce la coppia di deviazione.

Inseriamo ora nell'interno del nostro solenoide, il magnetoscopio con l'ago in direzione, ad esempio, normale all'asse geometrico del solenoide. Sotto l'azione del campo magnetico l'ago devierà dalla posizione di equilibrio di una certa deviazione angolare.

Variamo ora in ogni possibile modo le caratteristiche del solenoide: potremo variarne la lunghezza o il diametro o il numero di spire o il numero degli strati. In ogni caso avremo all'interno del solenoide un campo magnetico uniforme la cui intensità sarà in nostro potere di controllare con la semplice regolazione della corrente che attraversa il solenoide.

Regolato ogni volta il valore della corrente in modo che il magnetoscopio subisca la stessa deviazione angolare, eseguiamo per ognuno dei casi sperimentati il rapporto .

Ove: N è il numero di spire del solenoide;

  • i la corrente che lo attraversa
  • l la sua lunghezza.

Noteremo che, a parità di deviazione del magnetoscopio, questa grandezza ha un valore costante per tutti i casi sperimentati.

A questa grandezza, che appare perciò caratteristica del campo, ed indipendente dal suo modo di generazione, daremo in nome di forza magnetica.

Essa si indica col simbolo H e si misura in ; essa ha carattere vettoriale con direzione pari a quella delle linee di forza e verso convenzionalmente individuato dalla direzione sud-nord di un ago magnetico posto nel campo.

Poiché una corrente elettrica altro non è che un moto di cariche elettriche è spontaneo pensare che il moto di un portatore di carica abbia anch'esso la possibilità di generare un campo magnetico. Ciò è ampiamente confermato dalla esperienza che stabilisce, anzi, che il campo generato da una carica elettrica Q che ruoti lungo il percorso del circuito elettrico con velocità pari a n giri\sec. quando

.

Esiste infine la possibilità di generare campi magnetici per mezzo di magneti permanenti. Contrariamente a quanto può apparire a prima vista non vi è discordanza tra questo caso e la posizione generale, dianzi accennata, secondo la quale l'esistenza di un campo magnetico è sempre collegabile al moto di cariche elettriche.

Può infatti elaborarsi una teoria dei magneti permanenti che fa risalire il campo magnetico da essi generato alle correnti molecolari presenti nell'interno del magnete; teoria sulla quale sorvoliamo per necessità.

Dobbiamo ora parlare più approfonditamente dei concatenamenti esistenti tra campi elettrici e campi magnetici. Limitandoci ora ai rapporti di tipo qualitativo, che esista un concatenamento tra campo elettrico e campo magnetico è gia indicato da una semplice esperienza che possiamo idealizzare al modo seguente:

Prendiamo un condensatore piano carico. Il dielettrico del condensatore è allora sede di un campo elettrico uniforme. Immaginiamo ora di collegare con un circuito metallico le armature del condensatore; fluisce allora nel circuito metallico una corrente la quale perdura per tutto il tempo per il quale esiste ancora un campo elettrico tra le armature del condensatore. Il fluire della corrente coincide con l'insorgere attorno al conduttore di un campo magnetico, il quale perdura fin tanto che perdura la corrente o, che è lo stesso, fintantoché un campo elettrico permane tra le armature del condensatore.

I concatenamenti esistenti tra i due tipi di campi sono peraltro assai più intimi: per giungere a quelle che ne sono le espressioni analitiche, vale a dire alle due leggi circuitali ed alle equazioni di Maxwell, è necessario seguire più da vicino i fenomeni di induzione.

Lo studio dei fenomeni d'induzione fu portato a compimento da Michele Faraday nel 1831.

Già Oersted aveva messo in evidenza il fatto che una corrente elettrica è in grado di deviare un ago magnetico posto nelle sue vicinanze. Successivamente Ampère e Arago avevano determinato le leggi che presiedono al movimento di circuiti elettrici percorsi da correnti ed immersi in un campo magnetico. Faraday affrontò, per così dire, il problema inverso immaginando che in un conduttore che si muovesse in un campo magnetico avrebbe dovuto generarsi una corrente elettrica.

Una esperienza fondamentale ai fini del riconoscimento delle leggi dell'induzione è quella che prende le mosse da una bobina primaria o inducente a mezzo della quale possa generarsi un campo magnetico e da una bobina secondaria o indotta immersa nel campo magnetico generato dalla prima e chiusa su di un voltmetro.

I mezzi per variare il campo magnetico che, generato dalla bobina primaria, interessa o come si dice si concatena con la bobina secondaria sono molteplici. Può intanto variarsi il campo generato dalla bobina primaria variando la corrente che la percorre.

Sempre mantenendo inalterata la posizione reciproca delle due bobine può introdursi nell'interno della bobina primaria un nucleo di ferro dolce, il che equivale a variare la configurazione del campo.

Può infine, ruotando o allontanando una delle due bobine, variarsi la posizione reciproca delle bobine stesse, come pure può deformarsi la bobina secondaria alterandone la lunghezza o la sezione o la posizione relativa di alcuni tratti di conduttori.

A qualsiasi di queste operazioni si ricorra si noterà che durante la variazione di concatenamento, ai capi della bobina secondaria il voltmetro subisce una deviazione. Ed anzi si finirà presto per riconoscere che caratteristico del fenomeno risulta l'impulso o l'impulsione di tensione

che si manifesta ai capi della bobina secondaria in corrispondenza della variazione di concatenamento prodotta.

Per definire analiticamente l'impulso Av si disponga ora di un solenoide nell'interno del quale si generi un campo magnetico uniforme in cui la forza magnetica sia H; e si alloghi nell'interno del solenoide una bobinetta esploratrice di numero di spire N; e sia S1 la sezione del fascio di linee di forza magnetica abbracciata dalla sezione S2 delle spire della bobina indotta. La bobina secondaria sia chiusa su di un galvanometro balistico, che, come è noto, è lo strumento tipico per la misura di impulsi di tensione.

Si vari ora con qualsiasi mezzo il campo magnetico che si concatena con la bobina rivelatrice. Si troverà che in ogni caso la entità dell'impulso di tensione misurato dal galvanometro balistico è proporzionale, secondo un coefficiente di proporzionalità, al prodotto della forza magnetica, del numero di spire secondarie, della superficie S dianzi definita, S che è in definitiva:

μ prende il nome di permeabilità magnetica assoluta ed è una caratteristica del mezzo.

Alla quantità μSH relativa ad una sola spira si dà il nome di flusso magnetico I) mentre alla quantità I si dà il nome di flusso magnetico totale.

Risulta allora:

o anche

ossia la tensione indotta è uguale alla variazione nell'unità di tempo del flusso concatenato.

Quanto al verso di questa tensione, per chi guarda nella direzione e verso del campo e veda il flusso diminuire, la f.e.m. ha verso orario e viceversa. Ciò che impone con le convenzioni in uso di premettere alla derivata del flusso un segno meno. In definitiva è:

.