I promessi sposi/Agnese

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Agnese
Agnese (nel centro, tra Lucia e Renzo)
Agnese (nel centro, tra Lucia e Renzo)
Nome Agnese
Sesso F
Occupazione Casalinga
Ruolo Aiutante
Prima apparizione capitolo 2

Indice del libro

Agnese è la madre di Lucia; vedova, è molto affezionata alla figlia e ne ha molta premura. La stessa Lucia prova sentimenti di amore verso la madre e per lei è come una guida.

I consigli di Agnese[modifica]

Renzo nello studio dell'Azzeca-garbugli

Agnese appare fin da subito come una donna con una grande esperienza di vita. Non esita infatti a offrire i suoi consigli ai due promessi sposi, anche se talvolta non si rivelano particolarmente utili. Ad esempio, scrivere una bella lettera al Cardinale arcivescovo (capitolo 1) è seguire la via diritta, la via giusta; ricorrere all’Azzeccagarbugli (capitolo 3) invece che al console e al podestà (cioè ai poteri civili costituiti), era far quello che tutti facevano allora, fidando più negli imbrogli dei faccendoni che nel senso di giustizia dei magistrati.

Il "Matrimonio a Sorpresa"[modifica]

L’altro parere di Agnese.. (quello del matrimonio per sorpresa nel capitolo 6) trova un po’ riluttante persino Renzo, che vi intravede una contraddizione. Avendo la consigliatrice dovuto ammettere che anche religiosi dicono che veramente "è cosa che non istà bene", Renzo osserva: "Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta, quand’è fatta?". A questa logica obiezione, Agnese non sa né può rispondere a tono: "Che volete ch’io vi dica? La legge l’hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir tutto. E poi quante cose..."

Si noti che il consiglio è dato in piena buona fede, e non solo: ciò che Agnese afferma di aver sentito dire sulla validità dei matrimoni per sorpresa, corrisponde esattamente a verità; infatti fu ritenuto allora e poi, anche da autorevoli trattatisti di diritto canonico (per esempio dal gesuita secentista Tommaso Sanchez), che, nonostante ciò ch’era stabilito dal Concilio di Trento circa la necessaria e indispensabile presenza del parroco nel matrimonio, questo fosse da considerarsi come valido, se avvenuto nelle circostanze precisate da Agnese, per il rifiuto del sacerdote a intervenire

Messa alle strette da Renzo, prima adduce come scusante l’ignoranza della legge da parte della povera gente; poi con quella sospensione: "e poi quante cose...", lascia intendere che insomma, a questo mondo, ci son cose che, giuste per un verso, sono illecite per un altro: è, in fondo, il pensiero stesso espresso dal dottor Azzeccagarbugli alla tavola di don Rodrigo (capitolo 5), nel momento chiamato a dire il suo parere su ciò che ha sentenziato fra Cristoforo; tuttavia la distinzione tra morale e morale si può perdonare alla povera donnicciola, che pensava e parlava a fin di bene, non al leguleio imbroglione, per il quale la giustizia si riduceva all’usar due pesi e due misure. Infine Agnese crede di tagliare la testa al toro con quel suo: "Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene, ma, dato che gliel’abbiate, né anche il papa non glielo può levare". Quest’uscita è un portento di comicità, specialmente perché l’esempio non calza affatto: un pugno, quand’è dato è dato, e su ciò non c’è dubbio; è dubbio, invece, se un matrimonio per sorpresa, una volta fatto, sia valido: un pugno, il papa non può levarlo di certo; ma un matrimonio per sorpresa, il papa lo può annullare, se non lo ritien legittimo. L’argomentazione di Agnese non solo zoppica, ma ottiene l’effetto opposto a quello desiderato, perché Lucia, seguendo l’ispirazione morale che le viene dagli insegnamenti di fra Cristoforo, osserva: "Se è cosa che non istà bene, non bisogna farla". S’essa poi s’arrende, non è già perché sia persuasa della bontà delle ragioni della madre, ma perché le fa paura la collera (forse a bella posta esagerata) di Renzo (capitolo 7).

Agnese e i potenti[modifica]

La Signora di Monza in un'illustrazione del romanzo

Il disastroso insuccesso dei due pareri non deprime l’animo di Agnese, né le toglie gli spiriti arditi coi quali suole difendere i suoi interessi. Così, appena presentata dal padre guardiano del monastero di Monza alla Signora, le si rivolge, per nulla imbarazzata, dicendole: "Deve sapere reverenda madre..."; né l’occhiata con cui il padre guardiano le tronca le parole in bocca, vale a farle capire che con quella Signora non s’aveva da parlare se non interrogati; sicché poco dopo, vedendo che la figliuola non risponde a quanto le si chiede intorno al suo persecutore, la madre, per venirle in aiuto, le dà le notizie richieste. Anche questa volta la sua iniziativa è disgraziata perché la Signora la interrompe con un atto altero e iracondo: "Siete ben pronta a parlare senza essere interrogata. State zitta voi; già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli". Qui il discorso è indirizzato, sì, ad Agnese, ma lo strale mira a ben altro segno: il rimprovero fatto alla povera donna è una frustata contro la patria podestà che abusa de’ suoi diritti. Ciò che provoca quel rimprovero non è dunque l’ardimento di Agnese, ma il segreto rancore della Signora (capitolo 9).

Se quella volta, da persona di rango elevato Agnese ricevette una mortificazione, ebbe un compenso più tardi nel trattamento benevolo e cordiale usato a lei e alla figlia dal cardinale Federigo nella casa del sarto (capitolo 24). Lì essa poté sfogarsi liberamente col narrare le cose a modo suo, gettando tutta la colpa su don Abbondio e sorvolando sul tentato matrimonio di sorpresa. Quello sì era un signore che ascoltava i poveri! E come sapeva compatire! Compativa tanto, da non scandalizzarsi neppure del tentativo fatto in casa del curato. Che respiro per Agnese, dopo gli occhiacci fatti alla figliola perché tacesse, a sentir dire dal Cardinale, come conclusione, queste semplici e sante parole: "Prendete dalla sua mano i patimenti che avete sofferti e state di buon animo".

Con un personaggio così affabile e alla mano, quello che in Agnese potrebbe sembrar sfrontatezza, diviene una ingenua e simpatica, anche se un po’ rozza, disinvoltura. Così, avuta da donna Prassede la lettera da recare al Cardinale con la proposta di ricoverar Lucia in casa sua (capitolo 25), Agnese la presenta al porporato con queste parole: "è della signora donna Prassede, la quale dice che conosce molto bene vossignoria illustrissimo, monsignore, come naturalmente tra loro signori grandi si devon conoscer tutti". Se ci fosse stato presente don Abbondio le avrebbe detto di star zitta, che non era quello il modo di trattar coi grandi. Ma Agnese gli avrebbe risposto con un’occhiata simile a quella che gli diede, più tardi, al loro giunger, profughi, al castello dell’lnnominato (capitolo 30): "un’occhiata che voleva dire: veda un po’ se c’è bisogno che lei entri di mezzo tra noi due a dar pareri". E aveva ben ragione la buona donna d’andare orgogliosa d’esser la madre di Lucia, se quell’uomo divenuto santo in grazia di questa esclamava, voltandosi a lei con la testa bassa: "Del bene, io! Dio immortale! Voi mi fate del bene a venir qui... da me... in questa casa. Siate la ben venuta. Voi ci portate la benedizione". Al momento di lasciare il rifugio Agnese ha una nuova prova della benevolenza dell’innominato, che le regala un corredo di biancheria e del denaro, e la congeda pregandola di ringraziare Lucia e di dirle ch’egli confida in Dio che la sua preghiera tornerà anche in tante benedizioni per lei.

Coi denari ricevuti in dono Agnese può rimettere in sesto la casa guastata dai soldati; e pensa: "si sarebbe creduto che il Signore guardasse altrove, e non pensasse a noi, giacché lasciava portar via il povero fatto nostro: ecco che ha fatto vedere il contrario, perché m’ha mandato da un’altra parte di bei danari con cui ho potuto rimettere ogni cosa". E poiché dopo la peste, tornando da Pasturo, trova ogni cosa come l’aveva lasciata non può far a meno di dire, che trattandosi d’una povera vedova e d’una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli (capitolo 37).In quella vecchia casa la povera vedova e la povera fanciulla avevano sofferte molte tribolazioni; ma ne furono l’una e l’altra compensate dalle consolazioni che la Provvidenza largì loro nella casa nuova del paese adottivo. E là ecco nonna Agnese affaccendata a portare i nipotini "in qua e in là, l’uno dopo l’altro chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso dei bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo" (capitolo 38).

Agnese e Renzo[modifica]

Il rapporto tra Agnese e Renzo, suo futuro genero, è piuttosto buono. Infatti lei ritiene che Renzo sia un bravo ragazzo e lo difende anche in momenti piuttosto delicati, come quando questo viene accusato di essere un rivoluzionario. Invece lui stima Agnese come una madre e riceve da lei qualsiasi aiuto fidandosi ciecamente.