La religione romana/Le fabulae/Volcanus

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Indice del libro
Moneta della città sannita di Aesernia risalente a circa il 263-240 a.C. quando era colonia romana. L'effigie rappresenta la testa del dio Volcanus che indossa come copricapo un pileo. Da notare a destra, dietro la nuca, le pinze da fabbro. L'identificazione di Volcanus (Vulcano), il dio latino del fuoco "distruttore", con Héphaistos (Efesto), il dio greco del fuoco "metallurgico", appartiene all'età classica[1]. Georges Dumézil a tal proposito osserva:
« Il Vulcano fabbro dei poeti altro non è che il risultato dell'interpretatio greca del dio come Hephaistos, una delle più infelici di tutta le teologia: la Grecia infatti non presentava nulla di analogo a Vulcano. »
(Georges Dumézil, La religione romana arcaica, p. 285)
Diversamente altri studiosi come Filippo Coarelli,[2] e Giorgio Camassa,[3], ritengono ben più antica l'identificazione tra Volcanus ed Héphaistos.

Volcanus (anche Vulcanus o Volkanus; Vulcano) è un'antica divinità italica[4], e comunque romana, del fuoco distruttore e divoratore sia dell'ambiente umano che di quello naturale[5], acquisendo successivamente, o forse già in origine, le caratteristiche metallurgiche del dio greco Héphaistos (Efesto).

Il geografo greco antico Strabone (I sec.) narra[6] di un suo culto presso la Solfatara di Pozzuoli:

(IT)
« Subito sopra la città si estende l'agorà di Efesto[7], una pianura circondata tutt'intorno da alture infiammate, che hanno in molti punti sbocchi per l'espirazione a mo' di camini che mandano un odore piuttosto fetido; la pianura è piena di esalazioni di zolfo. »

(GRC)
« ὑπέρκειται δὲ τῆς πόλεως εὐθὺς ἡ τοῦ Ἡφαίστου ἀγορά͵ πεδίον περικεκλειμένον διαπύροις ὀφρύσι͵ καμινώδεις ἐχούσαις ἀναπνοὰς πολλαχοῦ καὶ βρωμώδεις ἱκανῶς· τὸ δὲ πεδίον θείου πλῆρές ἐστι συρτοῦ. »
(Strabone, Gheographikà, V, 246 (V, 4, 6); traduzione di Anna Maria Biraschi in Strabone, Geografia. L'Italia. Milano, Rizzoli, 2007, p. 179)

Allo stesso modo Plinio il Vecchio ci narra di fuochi spontanei che fuoriescono dalla terra:

(IT)
« un'altra nel territorio di Modena, che sbuca fuori nei giorni dedicati a Vulcano. »

(LA)
« exit in Mutiensis agro statis Volcano diebus. »
(Plinio il Vecchio Naturalis Historia, II, 240; traduzione di Alessandro Barchiesi, Roberto Centi, Mauro Corsaro, Arnaldo Marcone, Giuliano Ranucci, in Gaio Plinio Secondo Storia Naturale, vol. I. Torino, Einaudi, 1982, pp. 362-3)

Questo spiega[8] per quale ragione gli aruspici etruschi indicarono in un'area esterna alla città, in questo caso di Roma, la collocazione del tempio dedicato al dio Volcanus, così come riportato nel De Architectura di Marco Vitruvio Pollione:

(IT)
« Anche gli aruspici etruschi affermano nei loro libri sacri che i templi di Venere, Vulcano e Marte devono essere posti fuori delle mura, onde evitare che i giovani e le madri di famiglia si abituino ai piaceri di Venere, e per preservare la città dal pericolo di eventuali incendi evocando la potenza di Vulcano con riti e sacrifici celebrati fuori dal tessuto urbano. Infine essendo il tempio di Marte collocato fuori dalla cinta muraria non insorgeranno lotte intestine tra i cittadini, ma piuttosto esso fungerà da baluardo contro i nemici e preserverà la città dal pericolo di guerre. »

(LA)
« Id autem etiam Etruscis haruspicibus disciplinarum scripturis ita est dedicatum, extra murum Veneris, Volcani, Martis fana ideo conlocari, uti non insuescat in urbe adulescentibus, seu matribus familiarum veneria libido, Volcanique vi e moenibus religionibus et sacrificiis evocata ab timore incendiorum aedificia videantur liberari. Martis vero divinitas cum sit extra moenia dedicata, non erit inter cives armigera dissensio sed ab hostibus ea defensa a belli periculo conservabit. »
(Marco Vitruvio Pollione De Architectura, I, 7,1; traduzione di Luciano Migotto. Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1990, pp. 54-5)

Il dio Volcanus fu venerato fin dalle origini dai Romani che gli dedicarono la festa dei Volcanalia, (23 di agosto, mese Sextilis, dopo mese Augustus) e un'area cultuale, il Volcanal, collocata nell'Area Volcani, nel Foro Romano[9]. Da tener presente che l'area cultuale del Volcanal[10] precede la prima pavimentazione del Foro[11] risultando collocata inizialmente al di fuori del perimetro cittadino[12]. Un suo nuovo tempio fu collocato in Campo Marzio nel III secolo a.C.[13] nei pressi del Circus Flaminius[14].

Durante la festa dei Volcanalia venivano offerti al dio dei piccoli pesci vivi pescati nel fiume Tevere allo scopo di tutelare il popolo[15] evidentemente dalla furia devastatrice del dio particolarmente attiva nel mese di agosto[16].

Il nome Volcanus non è certamente di origine latina[17], dal punto di vista fonetico risulterebbe vicino al cretese Ϝελχανος[18], ma è stato accostato anche a nomi etruschi[19] e non sono mancate altre differenti etimologie[20].

Volcanus era indicato anche con l'epiteto Mulciber in quanto tutto «"molce" e doma»[21]. Questo fatto di rendere "molle" ciò che da lui viene investito, ad esempio il farro tostato per la sfarinatura[22], consentirà la sua più tarda identificazione con il dio del fuoco delle fucine, il greco Efesto[23].

Note[modifica]

  1. HJR e Scheid, OCD4 p.1563.
  2. Cfr. Il foro romano. Periodo arcaico. Roma, Quasar, 1983, p. 177.
  3. Cfr. Sull’origine e le funzioni del culto di Volcanus a Roma, in Rivista storica italiana, n. 96, 1984, p. 813.
  4. HJR OCD 2 p.2334
  5. HJR e Scheid, OCD4 p.1563
  6. V, 246.
  7. Detta in latino Forum Vulcani, oggi conosciuta come "la Solfatara", cfr. nota 302, Anna Maria Biraschi, p. 179.
  8. HJR e Scheid, OCD4 p.1563
  9. Individuata da Filippo Coarelli. Cfr. Filippo Coarelli, Il Foro romano. I. Periodo arcaico, Roma, Edizioni Quasar, 1986, pp. 161 e sgg.
  10. VIII secolo a.C., cfr. Carandini pp. 500 e 599.
  11. Cfr. Carandini, p.500
  12. Filippo Coarelli, Foro Romano, 1983, pp.164 e sgg.
  13. HJR e Scheid, OCD4 p.1563
  14. Dumézil, p. 285.
  15. Ad esempio «Volcanalia a Volcano, quod ei tum feriae et quod eo die populus pro se in ignem animalia mittit» (Varrone, De lingua latina, VI, 20; Festo, 345.
  16. OCD4 p.1563; Dumézil, p.285
  17. HJR e Scheid, OCD4 p.1563<
  18. Arthur Bernard Cook, Zeus: a Study in Ancient Religion, vol. II, (1925) pp. 946 e sgg.
  19. Per la serie, cfr. Franz Altheim Griechische Götter im alten Rom 1930, p.172.
  20. Per alcune di queste, cfr. nota 12 Dumézil, p. 284
  21. «Mulciber est Vulcanus, quod ignis sit et omnia mulceat ac domet. » Macrobio, VI, 5, 2.
  22. Ovvero rendere "culturale" ciò che era "naturale", in tal senso Sabbatucci, p.351.
  23. OCD2 e OCD4.