Le religioni della Mesopotamia/Sumer e Accad/I Sumeri/Il vocabolario del sacro

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Ideogramma sumerico e antico babilonese per il dio An, il dio della volta celeste. Tale ideogramma, oltre ad indicare il dio, designa anche il "cielo", o una "spiga", o un "grappolo di datteri". Medesimo ideogramma esprime il sostantivo dingir, termine che in sumerico indica una divinità e per questo veniva utilizzato come classificatore grafico, anteponendolo al nome, per chiarire subito che con esso si intendeva il nome di un dio. Gli studiosi traslitterano, in quest'ultimo caso, questo ideogramma con d. Tale ideogramma somiglia ad una "stella" e spesso viene individuato come tale. Il termine stella (in sumerico mul) è tuttavia espresso in sumerico con la ripetizione di tre di questi ideogrammi (Pietro Mander, Le religioni dell'antica Mesopotamia, p. 69).
Un frammento in rilievo di un vaso di basalto che rappresenta la dea Nisaba (oppure Ninḫursag), da Lagaš (2450 a.C.), conservato presso il Vorderasiatisches Museum di Berlino.
Nisaba è la dea della scrittura, patrona degli scribi, e del raccolto del grano.
« Signora iridescente come stella, che stringi la cannuccia [(scrittoria)]
Nidaba, generata dalla Terra nel grande ovile,
capretta selvatica, pura erba alcali, nutrita di latte genuino.
Nella sua bocca tiene le sette canne,
resa perfetta dai 50 grandi archetipi (me). »
(Traduzione dal sumerico di Giorgio R. Castellino in Testi sumerici e accadici, Torino, UTET, 1977, p. 84)

Me (): la nozione della sacralità dell'ordine cosmico[modifica]

La nozione di "sacralità del cosmo" viene individuata in cuneiforme con il segno [1] (me, termine e nozione da considerare sempre plurale; in accadico acquisisce la forma semitica con la 'ŭ' quindi (anche parṣu), ma la nozione semitica, a differenza di quella sumerica, li rende prevalentemente come "riti")[2][3].

I me sono quelle condizioni che consentono a qualsivoglia ente o situazione di essere conforme a ciò "che deve essere"[4]. Così il re (lugal) è tale solo quando i me della sovranità gli sono consegnati, altrimenti è un uomo comune come gli altri [5]. Una città occupata dal nemico poteva perdere i suoi me finché qualcuno non li ristabiliva. I me possono dunque essere sospesi o violati e questo spiegherebbe la presenza di calamità naturali o sociali; la loro assenza giustifica la ragione del male che si instaura nel mondo[6].

Henri Limet[7] evidenzia come questa nozione appaia nel mito del viaggio della dea Inanna a Eridu presso il dio Enki[8].

Yvonne Rosengarten[9] rende questo termine come "prescrizioni" intendendo con questo ciò che essendo stato formulato sul piano astratto viene poi a concretizzarsi. I me (quindi sempre al plurale), ovvero le "prescrizioni", vanno intesi nel contesto di ciò che organizza il cosmo, quindi anche la città e la cerimonia religiosa.

I me sono governati dalle divinità principali: An ed Enlil. Costoro li trasmettono agli altri dèi "esprimendo il destino" e generando un universo ordinato e ammirevole. Quando i me si eprimono per mezzo di cerimonie ne fanno acquisire il ruolo di rito, esso stesso è i me in azione.

Precedentemente Thorkild Jacobsen[10] aveva reso il termine me come verbo "essere"; Benno Landsberger [11] come "potenza divina"; mentre Johannes Jacobus Adrianus van Dijck[12] come «immanenza divina nella materia morta e viva, immutabile, sussistente ma impersonale, di cui dispongono solo gli dèi.»[13].

I me sono quindi le prescrizioni/modelli/essenze (quest'ultima, l'interpretazione di Pietro Mander) [14]) originari a cui si sottomettono le divinità che poi li indicano alle divinità inferiori, fino agli uomini. Tali prescrizioni decidono il destino di ciascuno: il buon andamento del cosmo corrisponde all'uniformarsi ai me, alle prescrizioni. Ognuno vi si deve conformare in quanto esse esprimono l'assoluta bellezza e bontà.

Così Mircea Eliade:

« Poiché gli dèi sono responsabili dell'ordine cosmico, gli uomini devono eseguire le loro ingiunzioni, le quali si riferiscono alle norme, ai 'decreti', me, che garantiscono il funzionamento, cioè determinano, il destino di ogni essere, di ogni forma di vita, di ogni impresa divina o umana. La determinazione implicita nei 'decreti' si compie mediante l'atto del nam-tar, che costituisce e proclama la decisione presa. »
(Mircea Eliade Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. I, Milano, Rizzoli, 2006, p.73)

Questi decreti coinvolgendo il destino di ogni essere al fine di garantire l'ordine cosmico ineriscono quindi all'espressione del sacro

« Considerando infine, nel loro insieme, tutti gli epiteti di me appartenenti sia al campo dell'estetica, sia a quello della religione non sarebbe troppo temerario concludere che la bellezza delle 'prescrizioni', poste in vigore sin dalle origini, conosciute e trasmesse dalle divinità, incarnate nel reale per mezzo della determinazione dei Destini, fosse celebrata come se dovesse sostanzialmente rendere sensibile la presenza del Sacro nel mondo. »
(Yvonne Rosengarten Sumer et le sacré. Parigi, Éditions de Boccard, 1977, p. 222 cit. in Julien Ries, Il Sacro nella storia religiosa dell'umanità, Milano, Jaca Book, 2012, p.171)

Julien Ries così riassume:

« I testi sumeri registrano più volte una parola che si rivela d'importanza capitale nel pensiero religioso: questa parola è me. I sumeri l'hanno tradotta in quattro modi: decreti divini; determinazioni; modelli; forze divine. La Rosengarten suggerisce un'altra traduzione: prescrizioni. Le prescrizioni sono giuste, sublimi, feconde; si tratta di un denominatore comune che renderà armonica l'azione di tutti gli dèi nel mondo. Vi sono tre tipi di me: le prescrizioni che la dea Inanna si fa concedere dal dio Enki a proposito della città di Uruk e che sono relative al governo della città; le prescrizioni del cielo e della terra, me cosmici che assicurano il dominio del mondo da parte degli dèi; le prescrizioni che si applicano ai riti del culto. An e Enlil sono gli dèi celesti per eccellenza: i me sono inerenti alla loro natura e sono subordinati. I me trasmettono le decisioni degli dèi riguardo all'Universo. I Sumeri concepiscono il cosmo come interamente governato, bello e buono. Tutti i destini sono stabiliti dagli dèi. Gli dèi An, Enlil, Enki pronunciano i me: così mettono in vigore le prescrizioni. La totalità dei me è nelle mani degli dèi: dèi e uomini devono sottomettervisi. I me sono detti kù-g, vale a dire puri e sacri. »
(Julien Ries, Il Sacro nella storia religiosa dell'umanità, Milano, Jaca Book, 2012, pp. 173-174)

Kù-g (): la nozione di "sacro" primordiale[modifica]

La nozione di "sacro", ma inteso come originario, viene individuata in cuneiforme con il segno (sumerico: Kù (g), accadico: elēlum, ellum)[15] . A tal proposito tale nozione è presente in qualità di aggettivo, ad esempio nei cilindri di Gudea, ad indicare qualcosa "sacro" nel suo aspetto primordiale. Herbert Sauren[16] nota che tra le ottanta divinità di Lagaš solo le due primordiali, An e e la dea Gatumdu (Dea Madre, Dea Terra), sono qualificate con tale nozione essendo ritenute, secondo Sauren, gli elementi costitutivi del cosmo ovvero ricchi di sacralità divina primordiale.

Dingir () e Melam (): la nozione di divinità e il suo splendore[modifica]

La nozione di "divinità" viene espressa in sumerico con l'ideogramma (dingir) posto prima del nome del dio a significare la sua divinità. Il fatto che questo ideogramma indichi anche il termine "cielo" come la divinità preposta alla volta celeste, ha fatto ritenere alcuni autori [17] di genere "astrale" la religione sumerica, ma tale ideogramma viene anteposto anche per le divinità ctonie o infere [17] e non è quindi delimitabile al solo ambito celeste[17].

Rispetto all'ideogramma indicante la divinità Pietro Mander osserva:

« il grafema rappresenta un punto da cui si irradiano delle linee in otto direzioni dello spazio (ovvero: le bisettrici dei quattro punti angoli del mondo): esso è quindi da riferire al concetto studiato da Eliade e indicato con l'espressione "ombelico del mondo", ovvero il concetto di un centro di irradiazione da cui scaturisce una realtà, così come il feto si forma attorno all'ombelico [...]. I significati "spiga", "grappolo" per il grafema AN corroborano questa interpretazione: infatti le spighe e il grappolo di datteri si dipartono rispettivamente dallo stelo e dal picciolo in maniera analoga al feto dell'ombelico (ovvero come appare il neonato rispetto al cordone ombelicale). [...] An era concepito come realtà divina celeste che costituiva la fonte, il principio delle divinità. »
(Pietro Mander. Op.cit., p. 70)

Rispetto alla nozione del "Centro" così Mircea Eliade:

« Da quanto precede risulta che il "vero mondo" è sempre nel "mezzo", al "Centro", cioè sul punto di rottura del livello, e di comunicazione tra zone cosmiche. [...] Ci sembra quindi di dover concludere che l'uomo delle società premoderne aspira a vivere il più possibile al Centro del Mondo »
(Mircea Eliade. Il sacro e il profano. Torino, Boringhieri, 2006, pagg. 32-3)

La divinità sumerica è immortale, in possesso dei me, è sacra (ku.g), mangia, beve, si rallegra e si lamenta, decide il destino degli uomini, possiede uno sguardo profondo che turba chi lo osserva, rispetto agli uomini essa è più intelligente e fisicamente forte [5]. La caratteristica centrale della divinità è la sua radiosità, il suo terrificante splendore, in cuneiforme [18] (sumerico: melam, meli(m); accadico: melammû, melummum[19]). In particolare indica la radiosità che promana dal volto e dalla testa della divinità [20].

Il numero delle divinità sumeriche elencato nelle liste di Fara e Abu Salabikh è di circa 500. Come è stato già riportato, le tre divinità principali del mondo religioso sumerico sono An, Enlil ed Enki rispettivamente dèi del Cielo, della Terra e dell'Abisso delle acque dolci[21].

Note[modifica]

  1. Per quanto attiene a questo segno grafico e al suo significato cfr. Konrad Volk, A Sumerian reader, Roma, Pontificio istituto biblico, 1999, p.70 e p.90.
  2. Henri Limet, Religione sumerica, in Dizionario delle religioni a cura di Paul Poupard, Milano, Mondadori, 2007, p. 1821
  3. David Adams Leeming, tra gli altri, nota la similitudine di questa nozione sumera con quella egiziana di Maat (Cfr. The Oxford Companion to World Mythology p.100)
  4. Henri Limet, Henri Limet, Religione sumerica, in Dizionario delle religioni a cura di Paul Poupard, Milano, Mondadori, 2007, p. 1821.
  5. 5,0 5,1 Henri Limet, Religione sumerica, in Dizionario delle religioni a cura di Paul Poupard, Milano, Mondadori, 2007, p. 1821.
  6. Julien Ries, Il Sacro nella storia religiosa dell'umanità, Milano, Jaca Book, 2012, p.171
  7. Henri Limet, Me, in Dizionario delle religioni a cura di Paul Poupard, Milano, Mondadori, 2007, p. 1165.
  8. In questo mito Inanna seduce con libagioni Enki per sottrargli i me che le consentiranno di svolgere il suo divino compito di presidio dei "passaggi" da una condizione all'altra (ad esempio dallo stato ordinario a quello regale; questa caratteristica di dea della trasformazione è ben resa dai suoi sacerdoti-musici, i gala, accadico kalû, vestiti da donne).
  9. Yvonne Rosengarten Sumer et le sacré. Parigi, Éditions de Boccard, 1977.
  10. "JNES" 5, 1946, p. 139.
  11. Die Eigenbegrifflichkeit der babylonischen Welt in Islamica 2, 1926, p. 369 (IDEM)
  12. La sagesse sumero-akkadienne. Leiden, 1953 p. 19
  13. Mircea Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose, vol. I, Milano, Rizzoli, 2006, p.73.
  14. Cfr. Pietro Mander, Le religioni dell'antica Mesopotamia, p. 51
  15. Per quanto attiene aquesto segno grafico e al suo significato cfr. Konrad Volk, A Sumerian reader, Roma, Pontificio istituto biblico, 1999, p.69 e p.80.
  16. Le sacré dans les textes sumériens in L'expressione du sacré dans le grandes religions I, Proche-Orient ancient et traditions bibliques, coll. Homo Religiosus Louvain-la-Neuve 1978, 105-38.
  17. 17,0 17,1 17,2 Cfr. Giovanni Pettinato. I sumeri. Milano, Bompiani, 2007, p. 308
  18. Per quanto attiene a questo segno grafico e al suo significato cfr. Konrad Volk, A Sumerian reader, Roma, Pontificio istituto biblico, 1999, p.70 + p.54 e p.90.
  19. Altri termini accadici sono: namrirrû, raŝubbatu, ŝalummatu, puluhtu sempre inerenti alla radiosità e alla luminosità nel campo del sacro.
  20. Cfr. Julien Ries. Alla ricerca di Dio. La via dell'antropologia religiosa, vol. 1 p.203
  21. Giovanni Pettinato, Mitologia sumerica edizione in versione "mobi" pos. 1123.