Scienze della Terra per le superiori/Il modellamento glaciale

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I ghiacciai. Formazione e processi glaciali[modifica]

Ghiacciaio Pisgana (Gruppo dell'Adamello, alta Val Camonica, BS)

Il ghiaccio può accumularsi in aree dove la quantità di neve apportata dalle precipitazioni atmosferiche ogni anno eccede le perdite di neve dovute a scioglimento, evaporazione o deflazione da parte del vento, portando alla formazione di ghiacciai. Il clima è chiaramente il principale fattore che controlla l'accumulo del ghiaccio: infatti gli accumuli possono mantenersi solamente in due casi:

  • In aree in cui l'apporto di neve invernale è maggiore dello scioglimento estivo (in questo caso ovviamente la quantità di precipitazioni invernali è decisiva).
  • In aree in cui la temperatura tutto l'anno è molto bassa, tale da consentire un bilancio positivo tra accumulo e perdite (quindi la capacità di accumulo è meno dipendente dalla quantità di precipitazioni)

Sulla Terra vi sono aree ricoperte da ghiaccio perenne praticamente a tutte le latitudini (inclusi i tropici), e vi sono due principali tipi di ghiacciai:

  • Ghiacciai polari
  • Ghiacciai temperati o ghiacciai montani
TIPO LOCALIZZAZIONE ESEMPI CARATTERISTICHE
POLARE Antartide, Groenlandia, Patagonia (Campo de Hielo Patagónico Sur), Islanda (Vatnajökull) Calotte Glaciali Ghiacciai che ricoprono estese superfici di terre emerse (da decine a centinaia di chilometri quadrati) con spessori fino a oltre 4000 m (Antartide).
MONTANO Ande, Himalaya, Pirenei, Alpi, Patagonia, massicci africani del Kilimanjaro, Ruwenzori, Monte Kenya; Puncak Jaya (Nuova Guinea indonesiana) Ghiacciai vallivi; vallivi composti (cioè dati dalla confluenza di più ghiacciai); sommitali (o di vetta); di circo; di altopiano Ghiacciai nei quali è ben evidente la distinzione fra il bacino collettore e il bacino ablatore, al di sotto del limite delle nevi persistenti.
Schema generale di un ghiacciaio (si tratta di un ghiacciaio vallivo di area temperata, la categoria più articolata e complessa che esemplifica bene la morfologia). Sono riportati gli elementi morfologici principali, il sistema di di accumulo del ghiaccio e di drenaggio dell'acqua di fusione.

I ghiacciai sono tra i più importanti agenti dell' erosione e importanti meccanismi di trasporto di materiale roccioso in vaste aree del mondo, alle alte latitudini e in regioni montane. Questo materiale dà origine a depositi con morfologie caratteristiche e caratteri distintivi dei sedimenti.

La parte superiore di un ghiacciaio è il bacino di accumulo o bacino di raccolta, con bilancio di accumulo annuale positivo, mentre la parte inferiore si definisce area di ablazione, dove avviene la progressiva riduzione della massa glaciale per fusione, sublimazione, evaporazione. Le due parti sono separate da una linea di equilibrio in corrispondenza della quale l'apporto e l'ablazione di ghiaccio si compensano.
Frequentemente l'area di ablazione assume una forma allungata, detta lingua glaciale. La parte più bassa della lingua glaciale prende il nome di fronte del ghiacciaio e dà luogo, con le sue acque di fusione, a torrenti e/o laghi d'alta montagna (torrenti e laghi proglaciali). Sovente sotto la lingua glaciale si forma un torrente subglaciale, che ne raccoglie le acque di fusione e scorre per un certo tratto sotto la massa glaciale fino a fuoriuscire dalla fronte. In alcuni casi l'acqua scorre sulla superficie del ghiacciaio e si forma un torrente supraglaciale.

Il clima come già accennato è il fattore determinante nello sviluppo e nella preservazione dei ghiacciai. I cambiamenti climatici (le fasi climatiche) a medio e lungo termine ne determinano la comparsa, l'evoluzione e anche l'eventuale scomparsa. Quando il clima muta, l'equilibrio dei ghiacciai si altera: quindi i ghiacciai sono "spie" molto sensibili dei mutamenti climatici. Ad esempio, se il punto di equilibrio tra accumulo e ablazione si sposta a maggiore altitudine (in una fase climatica relativamente più calda), l'area di ablazione ne risulta incrementata, quindi ovviamente le parti del ghiacciaio ad altitudine minore saranno sottoposte ad una maggiore sottrazione di ghiaccio per fusione ed evaporazione, ma contemporaneamente lo stesso bacino di accumulo ne può risultare ridotto. Questo si traduce in una fase di ritiro del ghiacciaio, in cui il volume del ghiacciaio si riduce progressivamente e la sua fronte arretra rilasciando i sedimenti precedentemente in carico. Il ghiacciaio può eventualmente ridursi a plaghe di "ghiaccio morto" (non più in movimento attivo), fino a divenire semplicemente un nevaio perenne, poi stagionale, e scomparire.
Viceversa, con un irrigidimento del clima avremo uno spostamento in basso del punto di equilibrio, con incremento degli apporti nevosi entro il bacino di accumulo e ampliamento dello stesso, e contemporaneamente uno spostamento verso il basso del fronte glaciale. In questo caso avremo una fase di avanzamento della fronte del ghiacciaio, che trasporta sedimenti in posizione sempre più avanzata, obliterando in gran parte i depositi terminali precedenti.

Ghiaccio e acqua nei ghiacciai[modifica]

L’evoluzione nel tempo di un ghiacciaio dipende principalmente dal bilancio tra gli accumuli di acqua allo stato solido (ghiaccio, neve) e le perdite (ablazione).
Accumulo. Le precipitazioni nevose sono la fonte più ovvia e, in generale, la più importante di accumulo per i ghiacciai, ma non la sola. Contributi significativi possono venire dalle valanghe e dalla neve portata dal vento, oltre che dal rigelo dell'acqua di fusione e di pioggia. In particolare, in piccoli ghiacciai di circo l'apporto delle valanghe e della "neve ventata" può essere importante, talora anche più delle precipitazioni atmosferiche di neve. Queste fonti alternative di neve sono in grado di sostentare e anche di formare ghiacciai anche al di sotto del limite di altitudine delle nevi perenni.
Ablazione. L'ablazione include tutti i processi per cui un ghiacciaio può perdere massa. La fusione è il processo più evidente di ablazione: il calore che causa la fusione della neve può giungere dalla luce solare diretta, dall'aria, dalla pioggia, dal calore geotermico dalle rocce del substrato. La sublimazione (cambiamento di stato da solido a vapore, senza passare per la fase liquida), gioca un ruolo significativo in regioni molto fredde e aride, alle alte latitudini (ad esempio in Antartide) e ad elevate altitudini. Le valanghe possono asportare materiale da un ghiacciaio (oltre ad accumularlo, come detto prima), così come la deflazione da parte del vento. Nei ghiacciai che scendono al livello del mare, il distacco di iceberg gioca un ruolo molto significativo nell'asportazione di materiale.

Stadi di formazione del ghiaccio

Nell'area di accumulo, al di sopra del limite delle nevi perenni, e a latitudini polari, la neve è in fiocchi soffici, asciutti e leggerissimi a causa dell'inclusione di grandi quantità di aria (densità 0,18937246 g/cm³), col tempo si accumulano e si compattano sotto l'azione combinata del proprio peso e del processo di metamorfismo dei cristalli di ghiaccio, che porta ad espellere l'aria contenuta negli interstizi ed a formare aggregati via via più densi: prima la neve granulare (0,3 g/cm³) e poi, dopo una estate, il Firn (0,5 g/cm³). La completa trasformazione in ghiaccio (0,9 g/cm³) è un processo ancora più lento, che può richiedere anni e avviene per compattazione della neve sotto accumuli il cui spessore è di decine di metri.
Lo strato superficiale di materiale nevoso si situa nella parte più interna dell'area di accumulo, in cui le condizioni climatiche ne consentono la conservazione per la maggior parte dell'anno. A causa del movimento continuo del ghiacciaio verso valle, la neve fonde progressivamente fino alla linea della neve, oltre la quale è esposto il firn. Lo strato di firn (considerevolmente più compatto e resistente al disgelo) si estende più a valle per un certo tratto (variabile ovviamente con le condizioni climatiche). In un ghiacciaio, la linea del firn separa l' area di accumulo dall' area di ablazione. Oltre questa linea abbiamo il ghiaccio esposto, eventualmente ricoperto in parte di detrito (till), che può accumularsi fino a formare vere e proprie morene. Nella stagione estiva possono formarsi canali in cui scorre l'acqua di fusione, fino a torrenti epiglaciali (o supraglaciali).

Nei ghiacciai (soprattutto quelli in aree a clima temperato) non c'è solo ghiaccio: l'acqua di fusione che si genera durante il giorno, o nei periodi senza gelo, o anche la pioggia in estate, si infiltra all'interno della porosità tra i cristalli di neve e di firn, fino a incontrare la superficie del ghiaccio vero e proprio, che è praticamente impermeabile. Qui inizia a scorrere lungo la pendenza naturale dello strato di ghiaccio e si raccoglie in uno strato in cui la porosità è completamente satura d'acqua. L'acqua accumulata in questa zona può sfruttare fratture del ghiaccio per scendere ulteriormente fino alla superficie della roccia, ove prende a scorrere formando condotti subglaciali. Con l'avanzare verso la fronte questi condotti tendono a confluire, ricevendo anche l'apporto da parte dei crepacci soprastanti, e a formare cavità subglaciali, che possono alloggiare uno o più canali subglaciali, fino a veri e propri torrenti. In ultimo, l'acqua fuoriesce dalla fronte glaciale come torrente proglaciale.

Movimento[modifica]

La massa di ghiaccio che forma il ghiacciaio è continuamente spinta verso il basso dalla gravità. Sebbene il ghiaccio sia un solido, sotto l'azione di una pressione ha un comportamento duttile, e si comporta come un fluido estremamente viscoso[N 1]. Questo in un ghiacciaio si verifica soprattutto nelle sue parti inferiori, dove è maggiore il peso degli strati di ghiaccio soprastanti. La presenza di acqua di fusione all'interfaccia inferiore tra il ghiaccio e il substrato roccioso funge da "lubrificante" e facilita il movimento di scivolamento. Nei ghiacciai che erodono il loro substrato, il detrito eroso tende ad accumularsi tra la base della massa glaciale e la roccia in posto. In questo caso la deformazione del sedimento sotto il peso del ghiaccio rientra nei meccanismi di movimento del ghiacciaio.

I ghiacciai si muovono con velocità che variano da pochi metri/anno a centinaia di metri/anno. Tipicamente la velocità di flusso è maggiore nelle parti più superficiali della massa glaciale e tende a decrescere verso le parti inferiori, e nei ghiacciai vallivi è massima nella parte centrale, tendendo a decrescere verso i margini.

Da tutto questo si capisce che in punti diversi della massa glaciale abbiamo velocità diverse e pressioni diverse del ghiaccio che la compone, e quindi abbiamo anche inevitabilmente deformazioni interne. Le parti superficiali (entro la prima cinquantina di metri) sono quelle che hanno un comportamento più fragile alle sollecitazioni, e quindi tendono facilmente a fessurarsi per le irregolarità del substrato e della massa glaciale sottostante più compatta e per il diverso regime di flusso, formando crepacci (fessurazioni verticali o comunque ad alto angolo), che possono essere sia trasversali che longitudinali (questi ultimi prevalentemente presso la fronte del ghiacciaio). I crepacci possono allargarsi o restringersi verso il basso a seconda della distribuzione delle deformazioni nella massa glaciale. Nei ghiacciai alle medie e basse latitudini sono ricoperti da coltri di neve nella stagione invernale e risultano esposti per la maggior parte nella stagione estiva. Ovviamente, costituiscono una fonte di notevole pericolo per chi si avventura sulla superficie di un ghiacciaio. Dove il ghiacciaio supera un "salto" morfologico con un dislivello notevole, esso si fessura in elementi prismatici chiamati seracchi (vere e proprie "cascate di ghiaccio"); si tratta di zone molto pericolose cui non è prudente avvicinarsi perché assai instabili (soprattutto sui ghiacciai delle aree temperate, nelle ore centrali e più calde del giorno).

Forme di erosione[modifica]

Animazione che esemplifica la formazione delle valli glaciali. Viene mostrata sia la fase di avanzata che di ritiro dei ghiacciai.

I ghiacciai esercitano un'azione erosiva potente ed efficace sulle rocce del fondo e sui versanti si esplica attraverso vari processi:

  • Abrasione delle rocce a contatto con la massa glaciale, sia sui versanti che sul fondo; questa azione viene esercitata sia direttamente dal ghiaccio (che è a sua volta a tutti gli effetti una roccia) che per opera dei detriti rocciosi inglobati (esarazione glaciale), levigando e "graffiando" la superficie rocciosa (striature glaciali).
  • Asportazione di detriti dai versanti e dal fondo. L'azione combinata del peso e del movimento del ghiacciaio, coadiuvata dallo scorrimento dell'acqua di fusione e dal meccanismo del gelo/disgelo, permette l'asportazione di frammenti rocciosi, anche di notevoli dimensioni (massi erratici), presi in carico dal ghiacciaio e deposti più a valle.
  • Rimozione dei frammenti già disgregati, e ridistribuzione lungo lo sviluppo del ghiacciaio.
  • Deformazione di depositi già presenti, non solo glaciali ma anche periglaciali (ad esempio marini o lacustri). Questa azione avviene normalmente per i depositi di fondo, ma è particolarmente accentuata nelle fasi di avanzamento dei ghiacciai, quando la fronte glaciale avanza deformando e in parte obliterando per erosione i depositi terminali delle fasi precedenti.

L'azione erosiva dei ghiacciai è legata allo spessore e alla massa del ghiaccio e alla quantità e natura del materiale in carico. Essa agisce sulle rocce, sui depositi recenti e modella il paesaggio. Le forme d'erosione più caratteristiche sono le seguenti.

La valle glaciale presenta un tipico profilo trasversale a "U", con fondo largo e piatto e fianchi ripidi, dovuto al meccanismo erosivo del ghiacciaio, che, contrariamente a quanto avviene per un fiume, si esercita lungo tutta la sezione di contatto tra il ghiaccio e la roccia incassante.

Schema di valle sospesa.

Valle sospesa.Quando il ghiacciaio che occupa una valle principale si ritira, il profilo di equilibrio dei torrenti tributari non ha il tempo di adeguarsi al mutato livello di base (prima costituito dal ghiacciaio). Quindi per un certo periodo le valli laterali rimangono appunto "sospese" con una soglia alta sulla valle principale, formando cascate o rapide. Con il passare del tempo, la rapida erosione regressiva operata da queste ultime tenderà a ripristinare il profilo di equilibrio dei torrenti laterale al nuovo livello di base (il fiume del fondovalle principale). L'altitudine delle soglie delle valli sospese permette di definire per differenza con il fondo valle lo spessore dell'antico ghiacciaio (al netto dell'erosione post-glaciale del corso d'acqua attuale di fondo valle).

Schema di un circo glaciale.

Il circo glaciale ha la forma di una conca, circondata su tre lati da una corona di creste e con soglia talora in contropendenza che la raccorda con il resto della valle glaciale. Alloggia il bacino collettore del ghiacciaio, in cui la massa glaciale esercita una erosione regressiva sui versanti incassanti. L'azione erosiva del ghiacciaio si esercita principalmente per asportazione diretta di materiale e per crioclastismo nella parte più a monte del circo, mentre verso la soglia del circo prevale l'azione di esarazione glaciale. Quando il ghiacciaio fonde, si può formare un lago di circo. I circhi glaciali sono spesso coalescenti, cioè nascono come morfologie individuali ma durante il loro sviluppo tendono ad "amalgamarsi" con altri circhi fino a formare dei delle morfologie composite in cui è talora difficile e soggettivo distinguere i circhi individuali originari. L'altitudine dei circhi abbandonati (inattivi) tende ad allinearsi secondo una linea ideale che riflette l'andamento dell'antica linea delle nevi perenni (assumendo che ciascun circo fosse occupato da un ghiacciaio individuale). In realtà nella maggior parte dei casi questa linea riflette un limite di neve "composito" mediato su diversi periodi di glaciazione durante i quali i circhi sono stati occupati, comunque su scala regionale questo metodo dà delle buone indicazioni generali di tipo paleoclimatico.

schema che illustra la formazione delle rocce montonate: il flusso glaciale esercita abrasione sulla parte a monte, levigandola e striandola, mentre sulla parte a valle opera soprattutto asportazione di materiale.

Le rocce montonate sono dossi rocciosi arrotondati e allungati nella direzione di scorrimento del ghiaccio, costituiti da affioramenti di rocce più difficilmente erodibili e modellate dall'esarazione. L'abrasione vi scava solchi paralleli, le striature glaciali: dalla loro direzione è possibile risalire alla direzione e talora al verso in cui è avvenuto il movimento locale del ghiacciaio. Nella parte più a valle delle rocce montonate, dove la pressione tangenziale della massa glaciale è minore, abbiamo soprattutto disgregazione della roccia per opera dell'acqua di fusione e dei fenomeni di gelo e disgelo, con asportazione dei frammenti.

Schema che illustra la genesi di un fiordo.

I Fiordi sono forme d'erosione vallive comuni nelle aree costiere alle alte latitudini (ad esempio Norvegia e Islanda dove il termine è stato coniato storicamente, ma anche in Scozia, Groenlandia, Labrador, e a sud in Nuova Zelanda e Patagonia). Il termine deriva dal norvegese fjord, islandese fjörður, che vuol dire "approdo" (la radice indo-europea è la stessa di "porto"). Si tratta di antiche valli glaciali a "U", formatesi nell'ultima era glaciale, e invase dal mare. Durante la fase di avanzamento il ghiacciaio "sovraescava" per esarazione e asportazione di materiale una valle a "U", il cui fondo è spesso al di sotto del livello del mare, ed è delimitata all'imbocco da una soglia rilevata. Questo avviene perché il ghiacciaio risulta assottigliato presso la fronte verso mare e il tasso di erosione della roccia è minore, e per la presenza sovente di depositi terminali (morene) che proteggono la roccia in posto dagli elementi. Questa soglia nei fiordi attuali, invasi dal mare, è sede di correnti pericolose, soprattutto ai cambi di marea, e talvolta di vere e proprie rapide marine con la marea calante. Alla fine dell'ultima fase glaciale, la fusione dei grandi ghiacciai continentali e polari determinò una trasgressione marina su vaste aree costiere prima asciutte, inondando quindi queste valli costiere.

Nunatak in Antartide occidentale (Isola di Thurston).

Nunatak (in lingua inuit: picco isolato) è un termine usato in geologia e in glaciologia per definire la sommità di una montagna non coperta da neve o ghiaccio che si erge all'interno oppure ai margini di un campo di ghiaccio o di un ghiacciaio o di una calotta glaciale (antartica, groenlandese o islandese). Spesso vengono chiamati anche isole glaciali. Hanno una morfologia aspra, sovente piramidale per le modalità dell'erosione cui sono sottoposti, prevalentemente per crioclastismo (cicli gelo/disgelo); in qualche caso con morfologia a mesa (altopiano roccioso). Quando i ghiacciai circostanti si ritirano, i nunatak restano come picchi o massicci isolati a forte contrasto con la morfologia circostante. Il loro isolamento spesso favorisce lo sviluppo di endemismi della flora e della fauna locale, che spesso perdurano anche posteriormente alla fine della glaciazione. Un esempio di nunatak in Italia è il Monte Barro, pochi chilometri a Sud di Lecco, una montagna isolata di forma grossolanamente piramidale che durante l'ultima glaciazione si ergeva in mezzo al ghiacciaio abduano (che occupava l'area valliva del Lario, ramo di Lecco), al suo sbocco nell'alta Pianura Padana. Questo rilievo è sede di un parco naturale regionale, ed è caratterizzato da importanti fenomeni di endemismo.

Forme di deposito[modifica]

Il movimento del ghiaccio è un flusso estremamente viscoso, quindi i materiali in carico non hanno la possibilità di mescolarsi, e non ci sono i meccanismi di interazione (gli urti tra i clasti, gli urti con il substrato) che abbiamo in altri tipi di flusso (le correnti acquee ed eoliche). Inoltre le velocità in gioco sono molto inferiori a quelle degli altri tipi di flusso (quindi non possiamo avere meccanismi come la saltazione). Il materiale preso in carico rimane dov'è, sulla superficie o all'interno della massa glaciale, o sprofonda lentamente nel ghiaccio per il proprio peso, o al più viene "trascinato" a contatto con la roccia di fondo. Perciò non vi è alcuna selezione del materiale. Come risultato, il materiale trasportato dai ghiacciai ha una granulometria molto eterogenea, che va dal detrito più fine ai massi.
Inoltre, dall'erosione glaciale derivano clasti angolosi o a spigoli vivi, perché le modalità di trasporto non permettono neppure un'ulteriore abrasione, quindi hanno un arrotondamento scarso o nullo. A questo contribuisce anche il fatto che nell'ambiente glaciale abbiamo soprattutto processi di frammentazione di tipo fisico, mentre, a bassa temperatura e in assenza di vegetazione e di suolo, l'alterazione chimica ha un ruolo molto secondario.
I sedimenti continentali di origine glaciale sono chiamati till. In diversi casi risultano preservati depositi glaciali anche molto antichi. In questo caso si tratta di sedimenti litificati, cioè trasformati in roccia, e si dicono tilliti.

Schema di ghiacciaio alpino con i principali depositi morenici.

I depositi di materiale di origine glaciale (till) che si depongono direttamente a contatto con un ghiacciaio sono definiti collettivamente in geomorfologia come morene[N 2].
A seconda della posizione rispetto al ghiacciaio, è possibile distinguerne vari tipi:

  • morena laterale: forma delle dorsali in corrispondenza del fianco del ghiacciaio, alla congiunzione con il versante. E' alimentata tipicamente dal detrito asportato direttamente dal ghiacciaio e da quello franato dai versanti, eroso dalle acque correnti o dal crioclastismo.
  • morena mediana: situata alla confluenza di due ghiacciai. Quando due lingue glaciali confluiscono, tipicamente il detrito delle morene laterali sui due fianchi della confluenza viene intrappolato nella parte mediana della nuova lingua glaciale che deriva dalla coalescenza (amalgamazione) delle due lingue. La morena mediana non è più alimentata direttamente dai versanti ma dalle morene laterali a monte, e il detrito in carico tende lentamente ad affondare nella massa glaciale sotto il suo stesso peso.
  • morena di fondo o morena basale: formata da materiale trascinato dal ghiacciaio all'interfaccia ghiaccio-roccia nella sua parte basale. Spesso questi depositi (soprattutto per ghiacciai di non grande estensione) sono privi di una morfologia definita, o tendono a formare degli accumuli soprattutto in rientranze e tasche rocciose. Tuttavia, in aree glaciali più estese vi sono depositi con morfologie caratteristiche e una terminologia molto complessa, che derivano da detriti che riempivano "fosse" e "canali" nel ghiaccio in corso di fusione oppure dal collasso dei depositi morenici che stavano sopra il ghiacciaio, oppure forme a conca derivate dalla fusione di "ghiaccio morto" lasciato indietro dal ghiacciaio in ritiro.
Morene terminali che mostrano vari stadi di ritiro del Ghiacciaio del Miage (Val Vény, Valle d'Aosta).)
  • morena terminale o morena frontale: localizzata davanti alla fronte glaciale. E' alimentata dal materiale scaricato dalla fronte per fusione del ghiaccio (dalle morene laterali, mediane e di fondo e dal detrito supraglaciale). Tipicamente a forma di anfiteatro con la concavità rivolta verso il ghiacciaio. L'altezza di queste morene varia in funzione dell'entità del ghiacciaio che le alimenta, da pochi metri a decine di metri sui terreni circostanti, in casi estremi oltre il centinaio di metri (la morena terminale del Ghiacciaio Khumbu, in Nepal, raggiunge 250 m di altezza). Spesso si tratta di più archi morenici giustapposti che esprimono diverse fasi di avanzata e regresso del ghiacciaio. Le morene terminali possono essere utilizzate per stimare lo spessore della fronte del ghiacciaio alla sua massima estensione (ovviamente, non possono essere più alte della fronte glaciale che le ha prodotte).
  • morena di spinta: è un deposito morenico sempre alla fronte glaciale. Mentre però la morena frontale in senso stretto è il risultato del rilascio "passivo" di materiale per scioglimento della fronte del ghiacciaio, la morena di spinta viene accumulata per mezzo della spinta attiva del ghiacciaio stesso, che agisce come un "bulldozer". La presenza delle morene di spinta indica di una fase di avanzamento di un ghiacciaio, che può essere stagionale oppure su scala temporale più ampia, quindi fornisce indicazioni climatiche e paleoclimatiche di notevole interesse.
  • I massi erratici sono blocchi di roccia trasportati a valle dal ghiacciaio e là abbandonati dopo il ritiro. Si tratta di blocchi anche di notevole entità (da metri a decine di metri), striati e in parte levigati dal trasporto glaciale. Si riconoscono spesso perché di composizione sicuramente alloctona rispetto al territorio che li accoglie. Esempi classici sono in Brianza e nel Milanese i trovanti di "Serizzo" e "Ghiandone" (rocce granitoidi) derivati dal plutone della Val Masino e Val Bregaglia (Media Valtellina e Svizzera meridionale), portati dal Ghiacciaio Abduano. Spesso questi massi sono stati utilizzati nei secoli per ricavarne elementi architettonici (colonne, pilastri, architravi, sarcofagi etc.).

Quando i ghiacciai incontrano i mari (o i laghi)[modifica]

Nelle aree ad elevata latitudine in cui vi sono ghiacciai al livello del mare, possono deporsi sedimenti glacio-marini. A tutte le latitudini, in laghi proglaciali, si depongono sedimenti glacio-lacustri, con caratteri simili. Le acque di fusione in entrata tendono a risalire formando uno strato di acqua ricca di detrito fine in sospensione, che sedimenta gradualmente per decantazione. Nel bacino abbiamo sedimenti fini, spesso ritmici (alternanze di silt e argilla), caratterizzati dalla presenza di ciottoli, blocchi e massi isolati (dropstone), "precipitati" dagli iceberg galleggianti.

Non è facile distinguere i depositi glacio-marini da quelli glacio-lacustri in sedimenti antichi, perché la maggior parte dei processi e delle strutture sono comuni. Il criterio fondamentale è la presenza di fossili marini nei sedimenti fini laterali a quelli glaciali e proglaciali.

Schema di una fronte glaciale in un contesto marino (o lacustre), con i relativi depositi e i principali processi deposizionali. Non in scala. Quando il ghiacciaio sfocia in mare, l'acqua di fusione subglaciale (meno densa dell'acqua di mare) tende a formare uno strato superficiale con sedimento fine in sospensione, che decanta gradualmente. I ciottoli e i massi contenuti negli iceberg distaccatisi dalla fronte glaciale precipitano gradualmente sul fondale con lo scioglimento degli stessi e si trovano isolati nei sedimenti fini (dropstone). I dropstone costituiscono la nota più caratteristica dei depositi glacio-marini).

Approfondimenti[modifica]

  1. Diagramma che illustra il bilancio di massa di un ghiacciaio, con l'andamento delle curve di accumulo e ablazione durante un anno, nel caso ideale di un ghiacciaio in equilibrio di massa. L'ablazione è riportata come positiva. E' riportata anche la curva del bilancio netto di massa, (accumulo - ablazione), positiva in inverno, negativa in estate. In realtà per la misura del bilancio annuale si considerano due minimi successivi della massa glaciale (meglio riconoscibili dalle caratteristiche della neve e del ghiaccio). L'unità per esprimere numericamente la variazione di massa è il chilogrammo (kg). Quando il bilancio di massa è espresso per unità di area, la sua unità è kg*m-2. L'unità kg*m-2 è solitamente sostituita dal millimetro di acqua equivalente, mm w.e. (millimetri water equivalent), ovvero lo spessore di acqua che si ricaverebbe dalla fusione della neve. Questa sostituzione è comoda perché 1 kg di acqua liquida, di densità 1000 kg*m-3, ha uno spessore di esattamente 1 mm quando è distribuito uniformemente su 1 m2 di superficie. Le unità kg*m-2 e mm w.e. sono quindi numericamente identiche.

    il bilancio di massa di un ghiacciaio durante l'anno. Il bilancio annuale nella pratica si misura tra due minimi consecutivi di massa glaciale, cioè tra l'inizio di una stagione di accumulo e l'inizio della successiva. Questo perché di solito il livello corrispondente all'inizio della nuova stagione di accumulo è riconoscibile nella stratigrafia della neve (in carotaggi, fosse di e in sezione nei crepacci); infatti la neve estiva è generalmente più compattata e più "sporca" per la presenza di livelli ricchi di polvere e materiale organico, e in base a questi caratteri il limite tra la neve estiva e la neve autunno-invernale è ben riconoscibile.

    Nella zona di accumulo la profondità della coltre nevosa viene misurata per mezzo di sondaggi o fosse scavate all'uopo (snowpits), o nei crepacci (fin dove accessibili). Come riferimento per le misure si usano, come già accennato, gli strati annuali, di solito ben riconoscibili e in cui si può distinguere la porzione relativa all'inverno da quella relativa alla stagione estiva.
    Diagramma e curva cumulativa del bilancio di massa annuale globale dal 1980 al 2012. E' evidente la tendenza globale alla perdita di massa dei ghiacciai, correlata al problema dell'aumento della temperatura del pianeta (global warming). Dati del World Glacier Monitoring Service Data (WGMS).

    Nei ghiacciai delle regioni temperate, la resistenza dovuta all'inserimento di una sonda aumenta bruscamente quando la sua punta arriva al firn formatosi l'anno precedente. La profondità della sonda è una misura dell'accumulo netto sopra questo strato (cioè nell'ultimo anno). Gli snowpits scavati attraverso le coltri nevose residue degli inverni passati sono usati per determinare la profondità e la densità della coltre nevosa per i periodi relativi.
    Le misurazioni effettuate nella zona di ablazione sono praticate utilizzando di paline (paline ablatometriche) inserite verticalmente nel ghiacciaio all'inizio della stagione di ablazione: la lunghezza della parte di palina esposta con la fusione del ghiaccio viene misurata alla fine della stagione di fusione e fornisce l'ammontare dell'ablazione.

    Il bilancio di massa della coltre nevosa è il prodotto di densità e profondità. La profondità osservata (di solito espressa in centimetri) viene moltiplicata per la densità della coltre nevosa onde determinare l' accumulo equivalente in acqua.

    Swe = z [cm] * ρN [Kg*m-3] / 100

    dove:
    Swe = spessore di acqua equivalente in milllimetri; z = spessore della neve in centimetri; ρN = densità della neve in Kg*m-3

    Si utilizzano valori standard di densità del ghiaccio o si effettuano misure di densità del nevato (neve trasformata), di solito su campioni presi con carotatori di diametro standard: il peso del campione moltiplicato per una costante dà la densità (in alcuni modelli si ha una lettura diretta della densità).

    Se l'accumulo supera l'ablazione per un dato anno, il bilancio di massa è positivo; se è vero il contrario, il bilancio di massa è negativo. Questi termini possono essere applicati a un punto particolare del ghiacciaio per dare il bilancio di massa specifico per quel punto; o all'intero ghiacciaio o a qualsiasi area più piccola.
    Per i ghiacciai ad accumulo invernale, il bilancio di massa specifico è solitamente positivo per la parte superiore del ghiacciaio. La linea che divide l'area di accumulo dall'area di ablazione (la parte inferiore del ghiacciaio) è chiamata linea di equilibrio; è la linea alla quale il bilancio netto specifico è zero. L'altitudine della linea di equilibrio è un indicatore chiave della "salute" del ghiacciaio. Lo spostamento della linea di equilibrio ad altitudine minore è indicativa di una fase di avanzamento del ghiacciaio, mentre uno spostamento ad altitudine maggiore indica una fase di regressione.

Note[modifica]

  1. La viscosità è una grandezza fisica che misura la resistenza di un fluido allo scorrimento. E' legata all'attrito tra le molecole del fluido.
  2. Si sottolinea che con till si definisce il materiale detritico, mentre le morene sono le forme di deposito. in altre parole: le morene sono composte dal till.

Bibliografia[modifica]

Le informazioni contenute in questo capitolo derivano dai testi seguenti:

  • (EN) Bennett M.R. e Glasser N.F., Glacial Geology – Ice sheets and landforms. Second Edition, Chichester (UK), Wiley-Blackwell, 2009.
  • (EN) Nichols G., Sedimentology and stratigraphy - 2nd ed., Oxford, UK, Wiley-Blackwell, 2009, pp. 102-113.
  • Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 1 - Materiali e tessiture dei sedimenti, Bologna, CLUEB, 1980, pp. 25-36; pp. 125-144.