Acquistato con l’attribuzione a Gaspare Diziani, il dipinto vede confermato il riferimento all’artista veneto del primo Settecento nelle schede redatte da Zuffi e Spiriti.

E in realtà l’analisi stilistica fa emergere gli elementi caratteristici della produzione dell’età matura di Diziani, quando, ormai abbandonato il classicismo accademico del suo primo maestro Gregorio Lazzarini, anche attraverso la lezione di Sebastiano Ricci recupera l’eredità del Cinquecento lagunare, ed in particolare il luminismo di Tintoretto.

In questo modo una parte consistente della sua produzione predilige ambientazioni notturne, con un forte contrasto cromatico che mette in evidenza l’episodio centrale, diffondendo nello stesso tempo una luce calda e dorata sulle figure di contorno e sul paesaggio. Tali caratteri sono presenti nella tela in esame: la figura di Cristo a cui l’angelo presenta il calice e preannuncia la prossima passione è inondata dalla luce che proviene dalla apparizione celeste. La stessa fonte luminosa espande dintorno i suoi raggi, ci svela in primo piano gli Apostoli addormentati e, sullo sfondo, le mura della città di Gerusalemme. Le forme, colpite da una luce così intensa, tendono a perdere i contorni precisi, lasciando spazio al colore che sfrangia i corpi e le cose.

I riferimenti più vicini sono costituiti da alcune opere realizzate verso la metà del quinto decennio del Settecento, dal ciclo delle Metamorfosi di Palazzo Minucci a Vittorio Veneto e dalla Madonna del Carmelo nella parrocchiale di Borbiago di Mira; in particolare si segnala per l’analoga impostazione scenica e la simile definizione della croce la raffigurazione di Sant’Elena e la vera croce, conservata presso la Scuola di San Silvestro a Venezia. Un disegno conservato al Metropolitan Museum di New York potrebbe essere riconosciuto come preparatorio per le figure di Cristo e l’angelo [1].