L’opera è stata acquisita nel 1991 con la Collezione dell’Istituto Bancario Italiano (IBI).

Il dipinto mostra uno degli scorci più celebri della città di Roma, e incornicia la statua equestre di Marco Aurelio tra gli antichi palazzi affacciati sulla piazza deserta del Campidoglio; lo stesso luogo è ritratto dall’artista anche in una veduta frontale con un punto di vista ribassato che privilegia l’ampia scalinata, anch’essa intitolata Il Campidoglio (ubicazione sconosciuta), esposta all’importante mostra retrospettiva del pittore allestita presso il Palazzo della Permanente nel 1988. Nel corso dei suoi soggiorni romani Luigi Mantovani fissa dal vero alcuni dei soggetti cittadini più caratteristici in una ricca serie di opere dedicate a piazza san Pietro, ai Fori Imperiali, alla Fontana di Trevi, oltre ai paesaggi della campagna circostante.

La grande tela in Collezione reca sul retro un’iscrizione solo parzialmente visibile “[…] IX Mantovani” forse riferibile al 1931. Il quadro si inserisce, così, al rientro dal secondo soggiorno romano del pittore, tra il 1927 e il 1930, al cui avvio è riferibile Mattino sul Tevere. Il confronto tra queste due opere rivela il cambiamento in atto in questi anni nel linguaggio di Mantovani che realizza volumi più solidi raggiungendo una maggiore definizione delle forme, pur impiegando la sua caratteristica pennellata franta e mossa.

Un’evoluzione prontamente registrata da Carlo Carrà nella recensione alla mostra personale del pittore presso la Galleria Micheli di Milano, apparsa su L’Ambrosiano il 14 marzo 1930. Acuto commentatore dell’arte contemporanea, Carrà evidenzia la continuità di Mantovani con la tradizione ottocentesca e la raffinata tecnica esecutiva nella resa atmosferica del paesaggio, seppur all’interno di una produzione considerata nella sua totalità ripetitiva e monotona. L’articolo si concentra sul timido rinnovamento ravvisabile nell’attività romana del pittore, e in particolare ne L’arco di Tito (ubicazione sconosciuta), dove sperimenta una sicura definizione dei volumi e delle forme, più vicina alle coeve ricerche del gruppo Novecento Italiano e alla sensibilità artistica di Carrà. Questa ricerca pittorica si circoscrive agli anni di passaggio tra il secondo e il terzo decennio del secolo e viene rapidamente abbandonata dall’artista in direzione del recupero delle sue origini naturaliste e tardo scapigliate. Dai modelli ottocenteschi Mantovani ricava una propria inconfondibile cifra stilistica, espressione di un gusto attardato, tuttavia ancora molto apprezzato sul mercato artistico milanese, come dimostrano gli acquisti effettuati dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano a partire dal 1943.