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I Mondi di Oscar Wilde/Capitolo 21

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Indice del libro

Oscar Wilde e la Donna Nuova

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Per approfondire, vedi New Woman (Donna Nuova).
Facsimile litografico del poster The New Woman di Sydney Grundy - Dal Comedy Theatre di Londra progettato da Albert Morrow, 1894 — Grundy satirizzava il movimento delle donne per aver inventato "a sex of their own... a new gender" e includeva tra i personaggi una caricatura tagliente di Wilde
Sydney Grundy nel 1894
Fotoritratto di George Egerton, 1896
Copertina di Keynotes di George Egerton (1893)
Olive Schreiner (1880)
Katherine Harris Bradley e Edith Emma Cooper, che scrivevano sotto lo pseudonimo Michael Field, 1900

Il primo atto della commedia satirica da salotto di Sydney Grundy, The New Woman (1894), prende in giro quattro varianti di questa donna eponima disadattata sociale e irritante del mondo letterario. C'è Agnes Sylvester, una moglie scontenta alla ricerca di una relazione adultera, che usa la collaborazione sul tema della "Higher Morality" come copertura. Poi vengono le signorine Enid Bethune e Victoria Vivash: la prima, autrice di Man, the Betrayer - A Study of the Sexes; la seconda, autrice di Ye Foolish Virgins - A Remonstrance. Entrambi sono sostenitori di una moralità sessuale capovolta che sostengono rispettivamente, come afferma un personaggio maschile disapprovante, "that boys ought to be girls, and young men should be maids" e "that girls should be boys, and maids should be young men".[1] Segue "Mary Bevan, M. D.", un medico il cui contributo a "this eternal babble" su questioni di genere, condotta sessuale e ruoli sociali è la polemica The Physiology of the Sexes. Nelle parole del conservatore colonnello Cazenove, la voce roca del buon senso sincero, nessuno di loro è veramente una donna; invece, "These people are a sex of their own... They have invented a new gender" (cfr. immagine a lato).[2]

Nessuno alla première della commedia nel settembre 1894 sarebbe rimasto sorpreso nel vedere questi personaggi accompagnati, nell'Atto III, da un uomo sbruffone, "Mr Percy Pettigrew". Il marito di Agnes Sylvester, il capitano Sylvester, ha preparato l'accoglienza di Pettigrew, riferendosi a lui con disprezzo come a un "decadent making a public exhibition of the Decay of Man". Ma la realtà è ancora più ridicola di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, poiché questa figura affettata, descritta nelle didascalie come "lolling lazily, always smiling with self-complacency", pronuncia le sue prime parole e annuncia il suo nome completo, "Percy Bysshe Pettigrew" (enfasi nell'originale), per strombazzare le sue pretese shelleyane. È associato non solo a Oxford, ma anche al giornalismo popolare, curando un giornale per le lettrici New Women intitolato "The Corset", presumibilmente per la sua posizione pro-Dress-Reform. Ma la sua fama principale è quella di fonte di arguzia: "His ‘Supercilia’ are quoted everywhere", esulta Victoria Vivash. Il pubblico ha un assaggio dei suoi paradossi oltraggiosi, mentre dichiara: "For pure art we must go to Athens. Or the Music Halls", e poi esalta un'artista nota come "Trixy Blinko": "In her alone I find the true Greek spirit".[3]

Con il suo cognome che allude all'effeminatezza attraverso il gioco di parole con "petticoat", Percy Pettigrew è la maldestra caricatura di Oscar Wilde proposta da Sydney Grundy, e l'unica sorpresa è che ci vuole fino al terzo atto perché una figura del genere si presenti in questa compagnia e in questo contesto. Il pubblico britannico era abituato ad aspettarsi che le satire della New Woman avrebbero preso in giro anche Wilde e lo avrebbero trattato come un compagno di viaggio nei circoli femministi. Avevano visto Punch fare lo stesso ancora nel marzo 1894, in una parodia anonima (probabilmente di Owen Seaman) di Keynotes, un volume di racconti sulla New Woman di "George Egerton" (Mary Chavelita Dunne) (cfr. immagini a lato). Quando alla protagonista sessualmente avventurosa di "She-Notes" di Punch viene chiesto cosa sta leggendo, lei risponde: "Oh, one of WILDE’s little things. I like WILDE; he shocks the middle classes. Only the middle classes are so easily shocked!"[4] La scena originale in "A Cross Line" di Egerton da Keynotes (1893) non conteneva alcun accenno a Wilde, ma questo non aveva importanza. Egerton usò come epigrafe per "A Little Grey Glove", nello stesso volume, una parafrasi di un dialogo da A Woman of No Importance (1893), attribuendo la battuta a Wilde per nome. Questo da solo fu sufficiente a cementare il collegamento.

Se la Egerton avesse evitato l'associazione con Wilde, Punch probabilmente l'avrebbe fatta al posto suo, così forti erano i legami nella mente popolare tra Wilde e ogni femminista letteraria sfacciata (e sbagliata). L'autore anonimo di un editoriale ingiurioso sullo Speaker apparso il 13 aprile 1895, nel mezzo dei processi che portarono alla condanna di Wilde per accuse di "oscenità grave", non avrebbe potuto essere più chiaro su questo argomento. Denunciando Wilde come profeta della corruzione, lo scrittore insisteva sul fatto che le New Women, come tutti gli altri fenomeni "new" dei primi anni Novanta che macchiavano la vita e la cultura britannica, erano "merely creatures of Oscar Wilde’s and followers of his directives: He first showed them the way as their high priest and spokesman – as the Moses who has led them forth into the wilderness, and who seems not unlikely to leave them there", dirigendosi infine in prigione.[5]

Wilde era forse il "high priest" di questo gruppo di donne molto sciolto e non settario, nonché lo "spokesman" di scrittori determinati a farsi sentire e a farsi valere? Le prove suggeriscono che non lo fosse, alla luce degli attacchi mossi a Wilde da scrittrici delle Nuove Donne come Ella Hepworth Dixon. In Oscar Wilde as a Character in Victorian Fiction (2007), Angela Kingston usa giustamente la parola “antipathy” per caratterizzare l’atteggiamento di Dixon nei confronti di Wilde, che ha colorato opere che vanno da My Flirtations (1892) a The Story of a Modern Woman (1894) a “The World’s Slow Stain” (1904) – tutte, persino il racconto pubblicato quattro anni dopo la sua morte, contenenti ritratti romanzati di lui che andavano da leggermente satirici a profondamente ostili.[6] Così anche le New Women che Ann Heilmann etichetta come “social purists” – tra cui la scrittrice “Sarah Grand” (Frances Clarke McFall, 1854-1943), responsabile del best-seller The Heavenly Twins (1893) – si impegnavano in una critica attiva sia di Wilde che dei Decadenti maschi, perché erano "keen to dissociate themselves from the charge of moral degeneracy, while aiming to establish a feminist aesthetic which would liberate women artists from the dictates of male culture".[7] Indicativo comunque che tutte usassero pseudonimi. Ciononostante, ai processi del 1895, i contemporanei di Wilde avevano fuso con gioia e disprezzo la sua immagine con quella delle figure che Sydney Grundy satireggiava – figure descritte da un recensore di The New Woman come una "sisterhood" di "advanced maidens", rinchiuse in una "Platonic sodality" e che si indignavano "at the defection of a member" tramite matrimonio.[8]

Come avvenne? C'era poco nelle opere più popolari e/o note di Wilde che potesse essere interpretato come un sostegno a un cambiamento radicale nello status politico delle donne o ad alleanze interclassiste tra donne, due importanti piattaforme di agitazione delle New Women. La povera Sibyl Vane di The Picture of Dorian Gray (1890-1), l'attrice che si suicida piuttosto che affrontare la vita senza l'amore di un uomo, era a malapena una pubblicità per l'autosufficienza femminista. La difficile situazione di una sarta povera e l'indifferenza nei suoi confronti della damigella d'onore della regina che la impiega, erano elementi minori della trama in "The Happy Prince" (1888), ma non li accompagnava alcun suggerimento di un rimedio politico. Wilde mise in discussione il doppio standard sessuale in diverse opere teatrali – seriamente, se non melodrammaticamente, in Lady Windermere’s Fan (1892) e A Woman of No Importance (1893) – e prendeva in giro la retorica vittoriana della “fallenness” in The Importance of Being Earnest (1895). Ma pochi critici hanno affermato che ci siano ritratti, positivi o meno, di New Women nelle sue opere.

Jane Marcus è stata una lampante eccezione a questa regola. In "Salomé: The Jewish Princess Was a New Woman" (1988), lei provocatoriamente erge Salomé a eroina femminista che incarna l'approvazione di Wilde del "the revolutionary potential of female desire: It took an intelligent and sensitive man, Oscar Wilde, to see that there was a link between the suffering artist, such as Wilde himself, and the aspiring woman".[9] L'opera teatrale di Wilde del 1893, quindi, allegorizza "woman’s rage at objectification by both kinds of patriarchs, powerful kings and Christian ascetics"; per Marcus, solo "a little leap of the imagination transformed this furious girl into a suffragette with a rock in her hand".[10] Con questa lettura politicizzata, Marcus va molto oltre Sos Eltis, ad esempio, che vede semplicemente in An Ideal Husband (1895) di Wilde "an argument against the division of House [meaning Parliament] and home, woman’s and man’s sphere", e che indica Mabel Chiltern, un personaggio minore, come la rappresentazione positiva di Wilde della donna moderna e indipendente.[11]

Il caso dell'associazione di Wilde con la New Woman di solito ruota invece intorno alla sua direzione biennale, a partire dal 1887, del mensile Woman's World, in precedenza Lady's World, ma rinominato da Wilde su suggerimento di Dinah Craik. Si è detto molto su come Wilde abbia preso una rivista convenzionale dedicata alla moda e al gossip e l'abbia rimodellata. Per Talia Schaffer, Woman's World è la prova di come Wilde "constructed himself as a grateful and appreciative inheritor of women’s culture and used connoisseurship... not so much as a way to distance himself from women, but... to exalt women’s topics to the status of high art".[12] Laurel Brake, tuttavia, trova "a gendered periodical where fashion for women is valorised, but also where Wilde is seen to value fashion for women less than that of men"[13] – dove, in effetti, "the editorial project included not only the construction of the cultivated new woman but the introduction of male homosexual discourse into female space".[14] Josephine Guy e Ian Small, d'altro canto, sottolineano il beneficio egoistico di questa posizione editoriale per la carriera di Wilde, "which gave him renewed access to parts of ‘high’ London society and functioned to promote himself as much as his magazine".[15]

"Racconta Anne Varty: "For two brief years journalism for women and by women flourished as the Woman’s World became exactly what Wilde had hoped... Matters of serious literary and political concern dominated the contents and new writers were encouraged".[16] Un certo numero di questi "new writers" erano New Women, in particolare Olive Schreiner. Con The Story of an African Farm (1883), Schreiner aveva inventato quasi da sola il romanzo New Woman, più di dieci anni prima che l'etichetta "New Woman fiction" fosse ampiamente diffusa. Invitarla a contribuire alla sua rivista significava sia suscitare polemiche sia fissare nella coscienza pubblica il legame tra Wilde e le femministe radicali che Sydney Grundy sfruttò in seguito nella sua commedia teatrale. Ma nessuno dei brevi racconti allegorici che Schreiner pubblicò sul giornale di Wilde, uno sui crescenti legami dell'amore eterosessuale, l'altro sui desideri di una madre per il suo bambino, esprimeva preoccupazioni politiche che avrebbero offeso un lettore conservatore. Stephanie Green conclude correttamente che "The Woman’s World’s ideological stance was... by no means coherently proto-feminist, and that its version of the New Woman was no anarchist warrior, but rather someone who was in no hurry to abandon bridal veils or Paris fashions".[17]

Forse come strategia deliberata, le dichiarazioni più audaci nel Woman’s World non provenivano da scrittrici associate alla letteratura polemica femminista, ma da donne dell’aristocrazia. "The Position of Woman", nel primo numero, stabiliva il modello. Eveline, contessa di Portsmouth, figlia del terzo conte di Carnarvon, informava i lettori che un nuovo spirito si era "awakened" ovunque, poiché "women manifest an increasing determination to find happiness and to cultivate it for its own sake; to discover whatever is possible in life for them individually, which will bring interest, work, and therefore enjoyment". Stavano, diceva, rivolgendosi non al matrimonio, "which is not for all women, but to themselves: They trust more to their own choice, and consult their individual capabilities". Questo cambiamento stava avvenendo in tutto lo spettro sociale, dalle "workwomen of our large towns", alla "middle class", alla "higher class of women" e promuovendo l'unità tra le classi: "A ‘solidarité’ is springing up among the mass of women, for some new spring of feeling attracts women of all classes to each other". Il suo uso del francese "solidarité" era significativo qui, in quanto suggeriva un movimento politico rivoluzionario, che, presumibilmente, il movimento New Woman sarebbe presto diventato.[18]

Se la pubblicazione di un articolo del genere rappresentasse l'approvazione da parte di Wilde di questo movimento è oggetto di discussione. Anya Clayworth ha espresso dubbi: "Instead of fulfilling a rôle as a proto-feminist man editing a magazine appealing to people of the same opinion, Wilde was exploiting an interest in the woman question amongst his potential upper and middle-class women readers".[19] La visione di Clayworth su Wilde come distante dalla lotta e non impegnato nel femminismo concorda anche con l'analisi di Diana Maltz riguardo alla sua preferenza per le "oppositional voices", quando si trattava del tema della "philanthropic culture" delle donne. Come afferma Maltz, "The unevenness of the journal’s articles reflected Wilde’s unease".[20]

I suoi contributi personali al giornale alimentarono questa controversia. Wilde fece sentire la sua presenza in modo più forte attraverso una rubrica, "Literary and Other Notes. By the Editor". Sebbene contenesse commenti occasionali su questioni sociali e sull'abbigliamento, il suo scopo principale era quello di fornire recensioni di nuovi libri, molti dei quali scritti da donne. Per Catharine Ksinan, che vede la rivista come un tributo di Wilde ai principi femministi, queste rubriche sono "entertaining", "amusing" e illustrative del suo "sophisticated and agile wit", offerto qui come un dono alle donne: "In general, Wilde spares rather than indulges his readers with his brilliant comic abilities, yet moments of light-heartedness and fine humour make the column a small but still enormously delightful feast of Wildean excess".[21] Tali momenti, tuttavia, sembrano notevolmente pochi e rari: semplici macchie di luminosità in una prosa inaspettatamente noiosa e incolore. Spesso è impossibile distinguere una qualità “Wildean” o credere che Wilde stesso fosse l’autore di tali note convenzionali, che avrebbero potuto essere opera di qualsiasi giornalista contemporaneo:

« Miss Mabel Robinson’s last novel, ‘The Plan of Campaign’ (Vizetelly and Co.), is a very powerful study of modern political life... Miss Robinson dissects, describes, and discourses with keen scientific insight and minute observation. Her style, though somewhat lacking in grace is, at its best, simple and strong... [the characters] are admirably conceived and admirably drawn, and the whole account of the murder... is most dramatic. »
(Oscar Wilde, "Literary and Other Notes. By the Editor", The Woman’s World, Volume I: 1888, rist. (New York: Source Book, 1970), p. 231)

Quasi nello stesso periodo, Wilde scriveva anche per il Pall Mall Gazette – un giornale letto da uomini e non, come il Woman’s World, per lo più da donne – e produceva una voce completamente diversa, più personalmente impegnata. La sua recensione del 18 aprile 1887 del libro di Joseph Knight sul defunto D. G. Rossetti iniziava con: "Formerly we used to canonize our great men; nowadays we vulgarize them", e poi continuava: "For our part, however, we cannot help expressing our regret that such a shallow and superficial biography as this should ever have been published. It is but a sorry task to rip the twisted ravel from the worn garment of life and to turn the grout in a drained cup".[22]

Qual era il significato di questa differenza di stile e indirizzo per il Woman’s World? Wilde stava forse tentando in modo fuorviante di dimostrare la stima che nutriva per il suo pubblico femminile, che, naturalmente, comprendeva un certo numero di signore titolate, dando prova di grande serietà arnoldiana e tenendosi a freno, per non sembrare irrispettosamente frivolo? Temeva che le lettrici non avrebbero né capito né apprezzato i suoi soliti voli linguistici? Oppure buttava giù le sue recensioni per la rubrica “Literary and Other Notes” con il minimo sforzo possibile, riservando per la più in vista Pall Mall Gazette i mots più intelligenti, per conquistare l’attenzione di un pubblico maschile, il che avrebbe avuto un valore professionale maggiore?

Un segno del suo congeniale interesse per le autrici e del suo sostegno ai progetti femministi fu la cura che dedicò alla sua segnalazione per il Woman’s World di due drammi in versi pubblicati in un volume, Canute the Great e The Cup of Water (1887). Entrambi erano opera della coppia lesbica di zia e nipote, Katherine Bradley ed Edith Cooper, che scrivevano sotto lo pseudonimo "Michael Field" (cfr. immagine a lato). Sebbene in seguito si unissero alla sua cerchia di amici, non ne facevano parte al momento di questa recensione (febbraio 1888). Come riferisce Emma Donoghue, Robert Browning fu probabilmente responsabile di "spreading the gossip" nel 1884 che il loro pseudonimo maschile nascondesse scritti di donne – il che, una volta trapelato, portò a un’accoglienza meno favorevole per la loro poesia.[23] Wilde sicuramente avrebbe conosciuto l’identità di Michael Field. Molto volutamente, tuttavia, si rifiutò di rivelarla, elogiando The Cup of Water come una "poem of exquisite and pathetic grace", mentre si sforzò di evitare di rivelarle con l'uso di un pronome di genere, anche a rischio di una ripetizione imbarazzante: "Looked at from a purely technical point of view, Michael Field’s verse is sometimes lacking in music, and has no sustained grandeur of movement; but it is extremely dramatic, and its method is admirably suited to express those swift touches of nature and sudden flashes of thought which are Michael Field’s distinguishing qualities".[24]

I contemporanei di Wilde credevano che fosse alleato con le New Women e allineato con le loro cause, sebbene ci sia spazio per mettere in discussione quanto fossero profondi tali legami. Ma se Franny Moyle, recente biografa della moglie di Wilde, Constance Lloyd Wilde, ha ragione nell'affermare che Constance era lei stessa una New Woman, in un senso pienamente politico, allora i legami potrebbero essere stati ancora più stretti di quanto precedentemente riconosciuto.[25] E se, come anche suggerisce Moyle, parte della narrativa di Oscar Wilde, come la fiaba "The Selfish Giant" (1888), potrebbe essere stata sviluppata in collaborazione con Constance, allora c'è motivo di vedere Wilde non come un "high priest" che guida le Donne Nuove, ma come uno scrittore che lavora fianco a fianco con loro, in un'interdipendenza reciprocamente vantaggiosa.[26]

Di certo, molte Donne Nuove, tra cui "George Egerton" e "Michael Field", lo piansero, sia dopo la sua incarcerazione nel 1895 che dopo la sua morte nel 1900. L’ultima parola su tali questioni, tuttavia, dovrebbe andare ad Anna, Comtesse de Brémont, nata Anna Dunphy, un’avventurosa viaggiatrice irlandese-americana, scrittrice, poetessa e fantasiosa compulsiva, che potrebbe o meno aver avuto un legittimo diritto al titolo che usava. Nel 1911 pubblicò il quasi interamente fittizio Oscar Wilde and His Mother: A Memoir e affermò di avere intime amicizie sia con Wilde che con "Speranza", Lady Wilde. Che lei desiderasse immaginare che ciò fosse vero e, inoltre, credere che Wilde avesse svelato a lei sola il segreto della sua cosiddetta "feminine soul", la dice lunga.[27] Le donne non convenzionali che conducevano vite non tradizionali sapevano che Wilde, per quanto potesse sembrare empatico, non era mai del tutto concentrato sulle loro lotte. Ma lui si fece parte del loro "woman’s world" e loro, a loro volta, continuarono ad affiliarsi a lui e a ricordarlo con grande affetto.

Per approfondire, vedi Serie letteratura moderna, Serie delle interpretazioni e Serie dei sentimenti.
  1. Sydney Grundy, The New Woman (1894), in A New Woman Reader: Fiction, Articles, and Drama of the 1890s, ed. Carolyn Christensen Nelson (Peterborough, Canada: Broadview, 2001), pp. 297–351.
  2. Grundy, New Woman, pp. 299–300.
  3. Grundy, New Woman, pp. 302, 332, 331–2, 334.
  4. Anon., "She-Notes. By Borgia Smudgiton", Punch, 10 marzo 1894, p. 109.
  5. Anon., “‘New” Art at the Old Bailey’, Speaker, 13 April 1895, p.403–4.
  6. Angela Kingston, Oscar Wilde as a Character in Victorian Fiction (Houndmills: Palgrave Macmillan, 2007), pp. 101–10.
  7. Ann Heilmann, "Wilde’s New Women: The New Woman on Wilde", in Uwe Böker, Richard Corballis e Julie A. Hibbard (eds.), The Importance of Reinventing Oscar: Versions of Wilde during the Last 100 Years (Amsterdam: Rodopi, 2002), p. 140.
  8. Anon., "‘The New Woman’ at the Comedy Theatre", Bury and Norwich Post, and Suffolk Standard, 30 ottobre 1894, p. 6.
  9. Jane Marcus, ‘Salomé: The Jewish Princess Was a New Woman’, Art and Anger: Reading Like a Woman (Columbus: Ohio State University Press, 1988), p. 8.
  10. Marcus, "Salomé", p. 19.
  11. Sos Eltis, Revising Wilde: Society and Subversion in the Plays of Oscar Wilde (Oxford: Clarendon Press, 1996), p. 166.
  12. Talia Schaffer, "Fashioning Aestheticism by Aestheticizing Fashion: Wilde, Beerbohm, and the Male Aesthetes’ Sartorial Codes", Victorian Literature and Culture, 28 (2000): 41.
  13. Laurel Brake, Subjugated Knowledges: Journalism, Gender and Literature in the Nineteenth Century (New York University Press, 1994), p. 132.
  14. Brake, Subjugated Knowledges, p. 127.
  15. Josephine M. Guy e Ian Small, Oscar Wilde’s Profession: Writing and the Culture Industry in the Late Nineteenth Century (Oxford University Press, 2000), p. 38.
  16. Anne Varty, A Preface to Oscar Wilde (Londra: Longman, 1998), p. 50.
  17. Stephanie Green, "Oscar Wilde’s The Woman’s World", Victorian Periodicals Review, 30 (Summer 1997): 109.
  18. Eveline Portsmouth, ‘The Position of Woman’, The Woman’s World, Volume I: 1888, rist. (New York: Source Book, 1970), p. 9.
  19. Anya Clayworth, ‘The Woman’s World: Oscar Wilde as Editor’, Victorian Periodicals Review, 30 (Summer 1997): 90.
  20. Diana Maltz, ‘Wilde’s The Woman’s World and the Culture of Aesthetic Philanthropy’, in Joseph Bristow (ed.), Wilde Writings: Contextual Conditions (University of Toronto Press, 2003), p. 206.
  21. Catharine Ksinan, ‘Wilde as Editor of Woman’s World: Fighting a Dull Slumber in Stale Certitudes’, ELT, 41 (1998): 422.
  22. Oscar Wilde, "A Cheap Edition of a Great Man", The Uncollected Oscar Wilde, ed. John Wyse Jackson (Londra: Fourth Estate, 1995), pp. 96–7.
  23. Emma Donoghue, We Are Michael Field (Bath: Absolute Press, 1998), pp. 39–45.
  24. Oscar Wilde, "Literary and Other Notes", p. 181.
  25. Franny Moyle, Constance: The Tragic and Scandalous Life of Mrs Oscar Wilde (Londra: John Murray, 2011), p. 177.
  26. Moyle, Constance, pp. 136–7.
  27. Anna, Comtesse de Brémont, Oscar Wilde and His Mother: A Memoir (Londra: Everett, 1911), p. 33.