I Mondi di Oscar Wilde/Capitolo 6
Wilde e Parigi
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Tra i libri che Oscar Wilde ordinò al suo libraio abituale tra il 1888 e il 1895 c'erano almeno quattro romanzi di Alexandre Dumas père (ciascuno di tre volumi, per un totale di circa mille pagine a romanzo) e altri romanzi di Alphonse Daudet, Gustave Flaubert ed Émile Zola. Inoltre richiese libri critici e filosofici di diversi scrittori francesi contemporanei, tra cui cinque volumi di Impressions de Théâtre di Jules Lemaître e circa nove volumi della raccolta di feuilletons di Lemaître, intitolata Les Contemporains.[1] Non possiamo, naturalmente, essere certi che Wilde abbia effettivamente letto tutti questi libri francesi; potrebbe semplicemente aver avuto intenzione di assaggiarli. Lemaître gli avrebbe certamente permesso di stare al passo con il teatro francese: avrebbe potuto leggere lì degli esperimenti simbolisti che avevano influenzato Salomè così come dei drammaturghi di boulevard i cui messaggi morali aveva iniziato a perfezionare nelle sue opere teatrali mondane. Ma, anche se Wilde avesse solo attinto a Lemaître e al resto, gli avrebbero permesso di rinfrescare e forse accrescere quella che era già la preoccupazione di una vita. Sappiamo, anche solo dai suoi primi lavori giornalistici, che aveva familiarità con la storia della letteratura francese di ogni genere fin dall'inizio della sua carriera professionale. Rispettava i romanzi di George Sand, ad esempio, perché, come diceva lui, "in using fiction as a vehicle of thought, and romance as a means of influencing the social ideals of her age, George Sand was merely carrying out the traditions of Voltaire and Rousseau, of Diderot and of Chateaubriand". Era persino disposto a considerare e spiegare la visione ostile di Sand de l’art pour l’art:
In altre parole, il valore dell’arte non risiede in uno scopo dichiarato, ma nel fatto stesso della sua esistenza: una lezione fondamentale di estetismo che Wilde aveva già imparato dai francesi.
Sebbene il fascino di Wilde per la cultura nel suo complesso fosse tollerante e di vasta portata, alcuni autori avevano ovviamente una presa più profonda e duratura sulla sua immaginazione rispetto ad altri. L'amico di Wilde, Robert Sherard,[2] suggerì persino che scriveva come se credesse che certi scrittori francesi – tra cui Gérard de Nerval, Gustave Flaubert, Théophile Gautier e Charles Baudelaire – continuassero a essere interessati a ciò che diceva.[3] Non era solo il fatto che Wilde leggesse i francesi, ma scriveva alla loro ombra, li trattava come se fossero suoi pari, guardandosi alle spalle, ancora attivo e, naturalmente, ancora residente a Parigi.[4] A suo agio nella città dell'arte poteva, come il narratore in "The Sphinx without a Secret", sedersi fuori da un caffè come avrebbero potuto far loro: "watching the splendour and shabbiness of Parisian life, and wondering over my vermouth at the strange panorama of pride and poverty that was passing before me".[5] Arrivato nella capitale francese nel gennaio 1883, progettando un lungo viaggio (c'erano già state diverse visite più brevi), era determinato a entrare in contatto con le figure di spicco di questo e dei primi giorni come Maurice Rollinat, Paul Bourget ed Edmond de Goncourt,[6] sebbene conoscesse già il paesaggio della città, compresi i suoi aspetti meno salubri, attraverso le sue rappresentazioni letterarie. E, nonostante il massiccio processo di rinnovamento urbano noto come "Hausmannizzazione" che aveva avuto luogo negli anni ’50 e ’60 dell'Ottocento e le devastazioni della Comune nel 1871, poteva ancora rivolgersi ai suoi mentori francesi topograficamente.
Come dimostra Colin Jones nella sua recente storia della città, "intermingling of art and reality, illusion and truth, individual desire and collective fantasy, in everything relating to the spectacular representation of Paris, was increasingly intense as the nineteenth century wore on".[7] Nel caso di un autore in particolare, Wilde espresse un'idea correlata in un modo ancora più espansivo, annunciando: "The nineteenth century, as we know it, is largely an invention of Balzac".[8] Di tutti i romanzieri francesi che lo preoccupavano, Balzac era il supremo. Recensendo alcune scadenti traduzioni inglesi dei romanzi di Balzac nel 1886, Wilde avrebbe scritto:
Il riconoscimento di Hippolyte Taine (1828-1893) è, forse, inaspettato. Come sostenitore di un tipo di critica positivista e storicista, che affermava che tutta l'arte ha origine in uno specifico ambiente culturale, piuttosto che nell'estetismo provocatoriamente trascendente a cui Wilde stesso era sempre più impegnato, Taine potrebbe non sembrare un'autorità congeniale. Tuttavia, Taine aveva scritto un importante apprezzamento di Balzac, e Wilde lo aveva già citato (senza riconoscimento) nel contesto di un evento estetico chiave, quando qualificò la lezione "10 O'Clock" di Whistler con l'etichetta: "Le milieu se renouvelant, l'art se renouvelle".[9] I fattori ambientali, come sosteneva Wilde, sono più che semplicemente favorevoli alla creazione artistica, aiutano a determinare la forma immaginativa che un'opera d'arte assume, sebbene non in modo trasparentemente mimetico, che era il grande difetto del naturalismo. Il fatto che i suoi romanzi naturalistici si limitassero a trascrivere fatti malsani, come un verbale di tribunale, anziché convertirli in una "verità" balzaciana, sarebbe rimasto il fondamento delle ripetute obiezioni di Wilde a Emile Zola. Nonostante la sua stessa pretesa di smentire la grandezza superficiale della capitale francese, Zola non doveva mai essere confuso con il suo precursore di gran lunga più grande.
La recensione di Balzac del 1886 prosegue con un altro omaggio preso in prestito, questa volta da Charles Baudelaire:
La recensione di Wilde è, tipicamente, una sorta di involucro testuale poiché la fonte per questa invocazione di Baudelaire è indiretta, tratta, di fatto, da una nota a piè di pagina in A Study of Shakespeare di Swinburne, in cui Swinburne attinge al saggio di Baudelaire su Théophile Gautier.[10] Ma Wilde va oltre tutti i suoi modelli, inglesi o francesi:
Fu più o meno nello stesso spirito che Wilde avrebbe fatto confessare a Vivian in "The Decay of Lying" che la morte del Lucien de Rubempré immaginario di Balzac era "one of the greatest tragedies of my life . . . It is a grief from which I have never been able to completely rid myself".[11] Balzac, quindi, fu un importante contributore a una serie di complessi scenari parigini: i suoi personaggi non tanto "larger than life" – un cliché superato – quanto tipi storici la cui reinvenzione li rendeva più duraturamente reali. Balzac "created life, he did not copy it".[12] Tuttavia, Wilde fu ben lungi dall'essere il primo a fare simili affermazioni per il tipo speciale di immortalità irradiata da Balzac. Nel suo enorme compendio di testi parigini, ora noto come The Arcades Project, Walter Benjamin registra che "even in Balzac’s lifetime men and women in Venice and Russia would assume the parts of characters from Balzac", e cita un'osservazione successiva fatta da un conoscente di Wilde, il romanziere Paul Bourget, secondo cui "Balzac’s characters . . . appeared in real life more frequently after the death of the novelist".[13] Un fascino cultuale per Balzac persistette per tutto il diciannovesimo secolo nella rievocazione autocosciente della sua precedente narrativa parigina. Wilde arrivò persino a travestirsi imitando il suo eroe romanziere.
Non sorprende che i critici abbiano ipotizzato che nel suicidio di Lucien de Rubempré, come descritto in Splendeurs et misères des courtisanes di Balzac, Wilde abbia percepito (e si sia personalmente identificato con) il pathos di una predestinata relazione amorosa gay. Ciò è certamente molto probabile, ma vale la pena considerare non solo il perché, ma anche il luogo in cui avviene l'atto. È nel Palais de Justice che, allora come oggi (sebbene danneggiato da un incendio nella Comune), occupa il sito degli antichi re di Francia:
L'identificazione di Lucien con il passato, ispirata da una visione archeologica della costruzione originale del XIII secolo di Luigi IX, lo rende sia medievale che moderno. Lo stesso Wilde apprezzava il potere evocativo degli edifici parigini, persino delle rovine, in modo simile e, come l'eroe di Balzac, conosceva senza dubbio la storia francese. Jean-Joseph Renaud lo ricorda mentre intratteneva un salotto parigino con un esame della "our history at length, from Charles X, up to modern times, for a paradoxical point of view".[14] Più tardi, durante il suo ultimo soggiorno a Parigi, Wilde avrebbe apparentemente istruito un giovane amico americano su siti significativi, parlando di "historic scenes in Paris, of Saint Bartholomew, Catharine de Medici, King Henry III".[15] Wilde non solo aveva letto i libri di storia, ma apprezzava il potere del luogo di riportarli in vita.
Come per Balzac, così per Baudelaire. Nella grande poesia urbana di Baudelaire "Le Cygne", il poeta attraversa "le nouveau Carrousel", uno spazio appena aperto adiacente al Louvre, e lo ricorda come un "camp de baraques" (un cantiere).[16] All'epoca di Wilde l'area era completamente consolidata e accessibile. Il Pont du Carrousel, risalente al 1834, collega il Quai Voltaire (dove si trovava il preferito di Wilde, L'Hôtel Voltaire, in cui aveva soggiornato anche Baudelaire) con Place du Carrousel, e Wilde deve averlo utilizzato per raggiungere il Louvre e i Jardins des Tuileries (cfr. immagini a fianco e in fondo). La poesia di Baudelaire continua:
Come osserva Colin Jones, "the destruction of the Tuileries palace by Communard fires in 1871 had the unexpected additional effect of opening the western frontage onto the Tuileries gardens and down to the Champs Élysées. It was thus the Third Republic – by deciding not to rebuild the Tuileries – which set in place one of the greatest of political vistas".[17] Questa era una prospettiva politica che Wilde conosceva bene. La sua Parigi, ricostruita da Haussmann, parzialmente distrutta durante la Comune, era un palinsesto; come per Baudelaire, ricordi e cambiamento erano interdipendenti. Per Wilde, e per altri, lo sguardo urbano risoluto del poeta rimase una risposta duratura al conflitto politico, alla rivoluzione del 1848 e al successivo trionfo della borghesia. Les Fleurs du Mal potrebbero quindi essere letti, come sicuramente li avrà letti Wilde, come un'alternativa eroica al progresso materiale e allo sfarzo urbano.
The Sphinx, iniziata quando era studente a Oxford, elaborata in modo sostanziale a Parigi nel 1883 e infine pubblicata nel 1894, è la poesia più baudelairiana di Wilde. Si tratta di un archivio antropologico, una raccolta di immagini tanto esotiche quanto quelle conservate al Louvre, il cui curatore è il poeta. In "La Beauté" di Baudelaire una statua di pietra simboleggia l'ineffabile atemporalità: "Je trône dans l’azur comme un sphinx incompris";[18] la Sfinge di Wilde, sebbene più agile, è ugualmente "inviolate and immobile".[19] E proprio come il gatto domestico di Baudelaire, sebbene eroticamente pericolosa, è "Mêlés de métal et d’agate",[20] così la Sfinge di Wilde ha "long flanks of polished brass".[21]
In un momento intensamente sentito in "The Critic as Artist", l'alter ego di Wilde, Vivian, richiama l'attenzione su un aspetto meno frequentemente riconosciuto dell'empatia estetica: il potere dell'arte, incarnato nei testi crudeli di Baudelaire, di rilasciare una sorta di contagio erotico, una partecipazione vicaria, persino masochistica, al dolore di un altro. "Les Fleurs du Mal", dice Vivian, "is the book that Gautier loved, it is Baudelaire’s masterpiece".
Open it at that sad madrigal that begins
‘Que m’importe que tu sois sage?
Sois belle! Et sois triste!’
and you will find yourself worshipping . . . Read the whole book, suffer it to tell even one of its secrets to your soul, and your soul will grow eager to know more, and will feed upon poisonous honey, and seek to repent of strange crimes of which it is guiltless, and to make atonement for terrible pleasures it has never known.[22]
Il volo retorico di Vivian è incorniciato da un riferimento alla prefazione al volume di Baudelaire scritta da un altro degli eroi parigini di Wilde, Théophile Gautier. Ancora una volta, uno scrittore ne incapsula un altro, come in una serie di cartelle verbali. Per Wilde, Gautier non era solo il precursore de l’art pour l’art, ma un modello poetico. Durante uno dei suoi soggiorni a Parigi, probabilmente nel 1883, Wilde compose un breve pezzo impressionista (nella sua iniziale evanescenza, molto nello stile di Gautier) sui bambini che giocavano con i palloncini alle Tuileries, secondo la guida di Baedeker, "the most popular promenade in Paris and the especial paradise of nursemaids and children":[23]
Se nella poesia di Wilde le impressioni visive si congelano in una serie di immagini inorganiche, nel grande museo lì vicino, ben noto a Gautier e allo stesso Wilde, a volte si verificava un processo inverso, i resti materiali dell'antichità si fondevano in un'ispirazione vivente. Vagando per le "cool galleries of the Louvre",[24] Wilde poteva rendere omaggio non solo alla Monna Lisa di Leonardo da Vinci, trasformata in un poema in prosa talismanico da Walter Pater e descritta da Gautier come "Sphinx de beauté",[25] ma anche a una delle statue più famose al mondo. Avrebbe avuto una copia della Venere di Milo esposta nella sua casa in Tite Street; nel 1888 recensì un libro dedicato alla sua storia, notando che la statua non era stata solo celebrata da Gautier ma venerata dal poeta tedesco Heinrich Heine che, quando risiedeva a Parigi, era arrivato al punto “to have bent his knee” di fronte ad essa.[26] In seguito, tuttavia, almeno secondo Frank Harris, Wilde avrebbe insistito sul fatto che la leggendaria bellezza femminile della statua era di gran lunga superata da quella di un corpo maschile vivente (e giovane).[27]
Inevitabilmente, era da tempo affascinato dalla statua del Louvre raffigurante un ermafrodita, la cui descrizione fatta da Gautier come “un dolce mostro di marmo” aveva preso in prestito più di una volta e che, insieme all’obelisco egizio in Place du Concorde, aveva reso oggetto di fascino per Dorian Gray.[28] Baedeker potrebbe aver liquidato con sufficienza la statua come “of the latest Greek period, and too sensuous in style”,[29] ma per Wilde, e per una tradizione con cui era ansioso di allinearsi, la figura dell’ermafrodita – come quelle della Sfinge di cui il Louvre possedeva più di una – incarnava un’immagine arcaica, ancora enigmatica, di dualità sessuale che la grande collezione avrebbe potuto essere in grado di esporre ma mai di spiegare definitivamente.
I resti archeologici, come quelli del Louvre, assunsero un significato speciale quando vennero commemorati dalla stratificazione cumulativa di risposte letterarie. Wilde, come amava sostenere, era tutt'uno con il Gautier il cui motto era stato "Je suis un homme pour qui le monde visible existe".[30] Uno dei grandi, innegabili, splendori di quel "monde visible" era Parigi stessa, un ambiente artistico in cui gli estremi della vita urbana potevano essere combinati in una poesia suggestivamente sensuale. Nel 1891 la percezione di Wilde del potere trasformativo dell'arte letteraria francese fu ulteriormente elevata dalla conoscenza di Stéphane Mallarmé, i cui celebri mardis, raduni reverenziali degli eletti simbolisti, avrebbe partecipato ad almeno due visite separate nello stesso anno, meravigliandosi "at subtleties of new colour and strange music and extended subject matter".[31]
Ora, nell'ultimo decennio del secolo, la città offriva un'altra nuova esperienza sotto forma della Torre Eiffel, inaugurata nel 1889, simbolo di un diverso tipo di modernità, sfacciata e assertiva. A Parigi, come Wilde una volta osservò, "one can lose one’s time most delightfully; but one can never lose one’s way . . . Turn your back on Eiffel Tower – you have all Paris before you. Look at it – Paris vanishes".[32] Ma la Parigi artistica, se a volte era fuori dalla vista, non era mai fuori dalla mente. Anche nel suo esilio parigino post-1897 c'erano ancora nuove modalità da scoprire e nuovi contatti da mantenere, alcuni, bisogna ammetterlo, principalmente carnali, altri più intellettuali: arrivò ad ammirare Auguste Rodin, creatore di un monumentale bronzo di Balzac, autore parigino sempre monumentale; incontrò Alfred Jarry, creatore di Ubu Roi, un genere di drammaturgo parigino davvero molto nuovo.
Al suo rilascio dalla prigione, ricordando l'esperienza passata, Wilde era consapevole della capacità della città di sopraffare gli appetiti sensuali e si era preoccupato, un po' disonestamente, che "If I live in Paris I may be doomed to things I don’t desire".[33] Nell'evento finale, desiderio e destino coincidevano. I piaceri parigini raramente sono a buon mercato e nei suoi ultimi giorni Wilde, tristemente ridotto a una versione povera della vita da caffè, era spesso indigente. Dopo una di queste "momentary difficulty", fu costretto a riconoscere che "Balzac’s héros métallique still dominates our age, as do indeed all Balzac’s heroes".[34] In un misero albergo sulla Rive Gauche, sarebbe di fatto morto di una morte balzaciana. "I am really in the gutter", disse a Leonard Smithers, suo amico ed editore di erotismo, nel 1899.[35] Uno degli obiettivi di Haussmann era stato quello di ripulire le strade, di ripulire il fango; alla fine il grande urbanista ebbe solo un parziale successo. Come Baedeker avvertì i suoi lettori:
I riferimenti alla "gutter/fogna" ricordano la continua evocazione di Balzac delle strade fangose come paesaggio dei perduti. La risposta di Baudelaire allo squallore parigino era stata alchemica: "Tu m'as donné ta boue et j'en ai fait de l'or".[36] Purtroppo, nei suoi ultimi anni Oscar Wilde, troppo spesso ignorato dai passanti anche quando lo riconoscevano, non riuscì a eguagliare i suoi eroi in termini di risultati creativi. L'uomo che un tempo aveva un personaggio che proclamava che persino dalla fogna si potevano intravedere le stelle, sopportò quell'altro destino parigino: circondato da ricchezze immaginarie, condannato a stracci materiali, splendeurs et misères.
Note
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Per approfondire, vedi Serie letteratura moderna, Serie delle interpretazioni, Serie dei sentimenti e Alla ricerca di Marcel Proust. |
- ↑ I resoconti sono conservati presso il Public Record Office al B9/428 e sono citati da Thomas Wright in Oscar’s Books (Londra: Chatto & Windus, 2008).
- ↑ Come l'amante di Wilde, Alfred Douglas, in età matura Sherard aderì a teorie antisemite. Douglas addirittura tradusse in (EN) i Protocolli dei Savi di Sion e negli ultimi anni della sua vita professò un cattolicesimo di destra.
- ↑ Hesketh Pearson, The Life of Oscar Wilde (Methuen: Londra, 1946), p. 210.
- ↑ Per i particolari dei periodi di Wilde a Parigi, cfr. Herbert Lottman, Oscar Wilde à Paris (Parigi: Fayard), 2007.
- ↑ Oscar Wilde, ‘The Sphinx without a Secret’, Complete Works of Oscar Wilde (Glasgow: HarperCollins, 1994), p. 205.
- ↑ Richard Ellmann discute questa visita nei particolari, in Oscar Wilde (Londra: Hamish Hamilton, 1987), pp. 201–18.
- ↑ Colin Jones, Paris: Biography of a City (Londra: Allen Lane, 2004), p. 387.
- ↑ Oscar Wilde, ‘The Decay of Lying’, The Complete Works of Oscar Wilde, Volume IV: Criticism: Historical Criticism, Intentions, The Soul of Man, ed. Josephine M. Guy (Oxford University Press, 2007), p. 92.
- ↑ H. Taine, Philosophie de l’art (Parigi: G. Ballière, 1865), p. 175. Lett. ‘Come cambia l'ambiente, cambia anche l'arte’ (mia trad.)
- ↑ Algernon Charles Swinburne, A Study of Shakespeare (Londra: Chatto & Windus, 1880), pp. 137–8. Cfr. Patricia Clements, Baudelaire and the English Tradition (Princeton University Press, 1985), p. 145.
- ↑ Wilde, Complete Works, vol. iv, p. 82.
- ↑ Wilde, Complete Works, vol. iv, p. 82.
- ↑ Walter Benjamin, The Arcades Project (Cambridge, MA, e Londra: Belknap Press of Harvard University Press, 1999), pp. 615–19, 760.
- ↑ Robert Harborough Sherard, The Life of Oscar Wilde (Londra: T. Werner Laurie, 1906), p. 291.
- ↑ Ellmann, Oscar Wilde, p. 541.
- ↑ Per una toccante storia dell'area del Carrousel, cfr. Eric Hazan, The Invention of Paris: A History in Footsteps, (Londra: Verso, 2010), pp. 26–31.
- ↑ Jones, Paris, p. 116. Constance Wilde, in luna di miele nel 1884, soggiornando all'Hôtel Wagram in Rue de Rivoli, commentò che avevano "a lovely view over the gardens of the Tuileries: the ruins of the palace are, alas, no more" (Merlin Holland e Rupert Hart-Davis [a cura di], The Complete Letters of Oscar Wilde [Londra: Fourth Estate, 2000], p. 228).
- ↑ Baudelaire, ‘La Beauté’, p. 38.
- ↑ Oscar Wilde, The Sphinx, in The Complete Works of Oscar Wilde, Volume I: Poems and Poems in Prose, ed. Bobby Fong e Karl Beckson (Oxford University Press, 2000), p. 180.
- ↑ Baudelaire, ‘La Beauté’, p. 70.
- ↑ Wilde, Sphinx, p. 192.
- ↑ Wilde, Complete Works, vol. iv, pp. 171–2.
- ↑ K. Baedeker, Paris and Environs: Handbook for Travellers (Londra: Dulau & Co., 1894), p. 148.
- ↑ Wilde, Complete Works, vol. iv, p. 156.
- ↑ Théophile Gautier, Guide de l’amateur au Musée du Louvre (Parigi: G. Charpentier, 1882), p. 26.
- ↑ Pall Mall Gazette, 24 February 1888, pp. 2–3.
- ↑ Frank Harris, Oscar Wilde: His Life and Confessions (Londra: Constable), 1938, p. 320.
- ↑ Oscar Wilde, The Complete Works of Oscar Wilde, Volume III:, The Picture of Dorian Gray, The 1890 and 1891 Texts, ed. Joseph Bristow (Oxford University Press, 2005), p. 423. Cfr. anche Wilde, Complete Works, vol. iv pp. 108, 420–1. Per un'indagine sulle reazioni all'immagine dell'ermafrodito, inclusa quella di Balzac, cfr. A. J. L. Busst, ‘The Image of the Androgyne in the Nineteenth Century’, in Romantic Mythologies, ed. Ian Fletcher (Londra: Routledge & Kegan Paul, 1967), pp. 10–95.
- ↑ Baedeker, Paris, p. 97.
- ↑ Cfr. Holland e Hart-Davis (eds.), Complete Letters, p. 777; Wilde, Complete Works, vol. iii, p. 278.
- ↑ Holland e Hart-Davis (eds.), Complete Letters, p. 499.
- ↑ Laurence Housman, Echo de Paris: A Study from Life (Londra: Jonathan Cape, 1923), p. 21.
- ↑ Holland e Hart-Davis (eds.), Complete Letters, p. 869.
- ↑ Holland e Hart-Davis (eds.), Complete Letters, p. 1155.
- ↑ Holland e Hart-Davis (eds.), Complete Letters, p. 1161.
- ↑ Charles Baudelaire, OEuvres Complètes (Parigi: Aux Éditions du Seuil, 1968), p. 129: ‘Mi hai dato il tuo fango ed io l'ho trasformato in oro’ (mia traduzione).