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- Conoscere l'alfabeto italiano e le lettere straniere
- Conoscere la differenza tra vocale e consonante
- Conoscere la definizione di sillaba, la differenza tra sillaba aperta e sillaba chiusa, la definizione di sillaba tonica
L'alfabeto[modifica]
L'alfabeto italiano[modifica]
Lettera | Nome | IPA |
---|---|---|
A, a | a | /a/ |
B, b | bi | /b/ |
C, c | ci | /k/ o /tʃ/ |
D, d | di | /d/ |
E, e | e | /e/ o /ɛ/ |
F, f | effe | /f/ |
G, g | gi | /ɡ/ o /dʒ/ |
H, h | acca | — |
I, i | i | /i/ o /j/ |
L, l | elle | /l/ |
M, m | emme | /m/ |
N, n | enne | /n/ o /ŋ/ |
O, o | o | /o/ o /ɔ/ |
P, p | pi | /p/ |
Q, q | cu | /k(w)/ |
R, r | erre | /r/ o /ɾ/ |
S, s | esse | /s/ o /z/ |
T, t | ti | /t/ |
U, u | u | /u/ o /w/ |
V, v | vu o vi (*) | /v/ |
Z, z | zeta | /ts/ o /dz/ |
(*) dipende dalla regione, o dalla persona.
Lettere straniere[modifica]
Oltre alle 21 lettere già indicate, nell'italiano moderno vengono usate anche altre cinque lettere considerate straniere perché compaiono in alcune parole di origine straniera entrate però nel lessico comune.
Lettera | Nome |
---|---|
J, j | i lunga, jota (*) |
K, k | cappa |
W, w | doppia vu |
X, x | ics |
Y, y | ipsilon, i greca |
(*) La lettera J faceva parte dell'alfabeto italiano, ma fu rimossa nel secondo Ottocento. Il nome jota deriva da "jod", nome della lettera nell'alfabeto fenicio, il nome "i lunga" indica probabilmente il fatto che fosse usata in alcune parole dove adesso si usa una doppia i (come addii) oppure dovuto alla sua forma grafica di i allungata.
Le vocali[modifica]
La parola vocale deriva dal latino vocalis, che significa "emettente voce" o "parlante".
A E I O U
- a - Ancona
- e - Enna
- i - Irene
- o - Olga
- u - Umbria
Vocali accentate[modifica]
- à
- è
- é
- ì
- ò
- ó
- ù
Le consonanti[modifica]
La parola «consonante» proviene dal latino consonans (sottinteso littera, «lettera»), che significa letteralmente "suona con" o "suona insieme".
- B - Bologna
- C - Cagliari
- D - Domodossola
- F - Firenze
- G - Gubbio
- H - Hotel, (io) ho (in italiano non viene pronunciata)
- L - Latina
- M - Macerata
- N - Nuoro
- P - Perugia
- Q - Quattro
- R - Rovigo
- S - Siena
- T - Terni
- V - Venezia
- Z - Zattera
La sillaba[modifica]
Sillabe aperte e chiuse[modifica]
Una sillaba è detta aperta quando termina per vocale (ba, co), chiusa quando termina per consonante (ban, cor).
Sillaba tonica[modifica]
La sillaba tonica è quella su cui cade l'accento o sulla quale deve essere appoggiata la voce per una corretta pronuncia: amico, facile, città.
La sillaba tonica caratterizza la parola stessa, infatti abbiamo:
- parole tronche quando la sillaba tonica è l'ultima,
- parole piane quando la sillaba tonica è la penultima,
- parole sdrucciole quando la sillaba tonica è la terzultima,
- parole bisdrucciole quando la sillaba tonica è la quartultima.
Nella lingua italiana abbiamo in prevalenza parole piane.
- Conoscere le regole principali dell'ortografia italiana
- Conoscere i diversi tipi di accento e la loro ortografia
- Conoscere l'uso dell'apostrofo
Definizione[modifica]
In questo modulo verranno elencate le principali regole ortografiche dell'italiano.
Elisioni con c(h), g(h) e gl[modifica]
L'elisione nello scritto - indipendente dalla sua realizzazione fonetica - è soggetta a limitazioni relative a questioni d'opportunità ortografica quando si è in presenza dei fonemi /k/ (-ch', -c'), /tʃ/ (-c'), /ʎ/ (-gl'), ma per completezza anche di /ɡ/ (-gh', -g') e /dʒ/ (-g'). Non è semplice dare indicazioni di ordine generale, non coprendo la casistica concreta tutte le possibilità, tuttavia dagli esempi anche letterari, che verranno mostrati in seguito, si possono cogliere le seguenti indicazioni:
- l'elisione non muta il valore fonologico del fonema, cioè, per esempio, non muta da /k/ a /tʃ/;
- l'ortografia è generalmente quella che si adotterebbe se le parole fossero scritte in continuità.
Entrando nella specificità (ma non nei singoli casi per cui si rimanda alla pagina elisione) dei casi:
- Con c dolce (ma anche con g dolce) l'elisione grafica è possibile solo con parole terminanti in -[c;g]e o -[c;g]i e soltanto davanti a parole inizianti per e- o per i-: c'è, c'entrare; c'impose, fec'io; fec'egli (Di là fec'egli rimbombar sul campo quest'alto grido), giac'egli (Il mio figliuol giac'egli per anco intero nelle tende); fugg'egli.
Sono invece da considerarsi errate grafie come: *c'ha, *c'offrì, *quindic'anni, per indicare pronunce come: /ˈtʃ a/, /tʃ ofˈfri/, /kwindiˈtʃ anni/, perché sono già pronunce possibili anche con le grafie: ci ha, ci offrì, quindici anni. - Con c dura (ma anche con g dura) l'elisione grafica è praticamente sempre possibile con alcuni adattamenti grafici. Se le parole finiscono -[c;g]he o -[c;g]hi l'-h è obbligatoria davanti a parole che iniziano per e- o i-: anch'io, anch'egli; mentre può essere anch'essa tolta davanti alle altre vocali: (durerebbe anch'oggi (Cantù), è anc'oggi una straduccia tortuosa e buia Foscolo), o ad h-: Nepote ho io di là c'ha nome Alagia, buona da sé (Dante), la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? (Leopardi).
Nessun problema danno invece le parole uscenti con altre vocali, che si elidono normalmente: poc'anzi, lung'Arno; possono invece sorgere seri dubbi quando si trovano di fronte a parole inizianti con e- o i-, in questi casi, decisamente rari, può ritenersi possibile l'aggiunta di una -h, come sembrano suggerire le grafie divise per lungh'essi, lungh'essa ecc. - Con -gli /ʎ/ in questo caso l'elisione grafica è possibile solo con i-: gl'italiani, gl'indicai, quegl'indici, begl'ingegni; non è invece ammessa davanti ad altre vocali *begl'occhi, la cui grafia deve sempre essere begli occhi, che ammette pure la pronuncia elisa /bɛʎˈʎ ɔkki/.
La lettera h[modifica]
In italiano la h è una lettera cosiddetta "muta", cioè priva di un valore fonologico. Gli usi oggi ortograficamente normati sono:
- come segno nei digrammi ch- e gh- per indicare C e G dura davanti a -e ed -i;
- come segno distintivo, di origine etimologica dal lat. hăbēre, nelle voci del verbo avere: ho, hai, ha e hanno, per distinguerle da: o (congiunzione), ai (preposizione articolata), a (preposizione), anno (sostantivo).
- nelle interiezioni, soprattutto primarie e monosillabiche. In questo caso non esiste una regola ferrea sul suo posizionamento, ma la consuetudine sembra comunque averlo codificato in base ad alcune sfumature:
- all'inizio, quando sembra voler suggerire un suono aspirato, particolarmente nelle risate: ha ha (/ha ha/), he he (/hɛ hɛ/), ecc.
- dopo la prima vocale nella maggior parte dei casi: ah, boh, eh ecc. ma anche ahi, ehi, ohi, ecc., e nei derivati ahimè, ohimè, ecc.
- alla fine, per indicare la sfumatura esclamativa di alcune particelle grammaticali: mah, (raro cheh![1]), sostituendo nei troncamenti l'apostrofo finale: beh (be'), toh (to'), ecc.
È possibile trovare la h in vari contesti:
- in alcuni cognomi italiani: Dahò, Dehò, De Bartholomaies, De Thomasis, Matthey, Pamphili, Rahò, Rhodio, Tha, Thei, Theodoli, Thieghi, Thiella, Thiglia, Tholosano, Thomatis, Thorel, Thovez;[2]
- in alcuni toponimi italiani: Dho, Mathi, Noha, Proh, Rho, Santhià, Tharros, Thiene, Thiesi, Thurio, Vho;[2]
- nei derivati da parole straniere: hockeista, hobbistica ecc., dove solitamente il suono aspirato iniziale si è perso con l'italianizzazione della pronunzia e quindi anche la h può essere omessa in una grafia completamente italianizzata.
- in latinismi d'uso comune: habitat, herpes, homo, humus, ecc. e locuzioni latine: ad hoc, ad honorem, horror vacui, ecc.
Grafema i fonologico, diacritico e ortografico[modifica]
Nell'ortografia italiana la I può essere considerata la lettera più poliedrica, viste le funzioni fonologiche e grafiche assunte. Senza alcuna pretesa d'ufficialità, possiamo distinguerne 3 valori:
- fonologico, quando rappresenta la vocale i, o la semiconsonante j quando è seguita da un'altra vocale (e non rientra nel caso 2) e non è tonica.
- diacritico, quanto concorre a formare digrammi e trigrammi: ci- (/tʃ/), gi (/dʒ/), sci- (/ʃ/) davanti a -a, -o, -u, e gli (/ʎ/) davanti a -a, -e, -o, -u; talvolta però ha comunque valore fonologico (ove l'accento tonico cada sulla i): farmacìa /farmaˈtʃia/, bugìa /buˈdʒia/, scia /ˈʃia/
- ortografico, quando non è fonologicamente o diacriticamente motivata nei nessi cie (/tʃe/~/tʃɛ/), gie (/dʒe/~/dʒɛ/), scie (/ʃe/~/ʃɛ/), gnia (/ɲa/), ma comunque necessaria per la corretta scrittura della parola, cioè per la sua ortografia, per ragioni storiche, etimologiche o morfologiche.
Sotto l'aspetto ortografico il caso più interessante è soprattutto quest'ultimo, le cui problematiche vengono presentate nello specchietto sottostante.
Plurali femminili in -cie e -gie | Le parole femminili in -cia e gia atone fanno il plurale in -cie e -gie se sono precedute da una lettera vocalica, altrimenti perdono la I. Il fenomeno è fondamentalmente etimologico - la I rimane solo nei casi in cui era presente nell'etimo latino -, ma con la successiva semplificazione introdotta dalla regola empirica ora è diventato più un fatto d'ordine grammaticale, che non solamente etimologicamente motivato. |
Voci verbali in -gniamo e -gniate | Rispettivamente alla 4ª persona del presente indicativo (sogniamo), del congiuntivo) (spegniamo), e alla 5ª del congiuntivo (insigniate), quando il rispettivo tema verbale finisce in -gn- (sognare, spegnere, insignire). La norma tradizionale prescrive il mantenimento della -i- per una questione di uniformità rispetto alle desinenze (-iamo; -iate) degli altri verbi, tuttavia anche le grafie senza (sognamo, spegnamo, insignate) sono largamente diffuse e presenti nella tradizione letteraria, e quindi accettate[3]. |
Alcuni verbi in -[c;g]iare | In alcuni verbi in -ciare e in -giare, nelle scritture più ricercate o antiquate, la -i- può essere mantenuta, perché motivata etimologicamente[4], anche davanti alle desinenze inizianti per e-, dove invece di norma andrebbe tolta. Ciò riguarda le voci del futuro semplice (annuncierò ) e del condizionale presente (annuncierei), nei seguenti verbi:
Si tratta di grafie estremamente rare, antiquate e latineggianti (perché rifacentisi all'etimo), per cui oggi facilmente tacciabili di agrammaticità e dunque non consigliabili in scritti formali. |
cieco e cielo | Non si tratta di una I etimologica, derivando dagli etimi latini cæcus e cælum, ma di un residuo del passaggio dal latino al volgare (-æ- > -ie-), non assorbitosi graficamente così come avvenuto nella pronuncia, e come invece è avvenuto in altre parole (gielo > gelo). Nei derivati però tende a sparire, specie se fuori d'accento. Entrambe le parole hanno inoltre un potenziale omografo: ceco (abitante della Repubblica Ceca) e celo (voce del verbo celare); questo probabilmente ha influito sul suo mantenimento.
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effigie, specie, superficie | La I è etimologica, derivando direttamente dagli etimi latini effigies, species, superficies; la norma ne prevede quindi il mantenimento (anche nei derivati: fattispecie, aviosuperficie, ecc.), pur, tuttavia, essendoci attestazioni letterarie anche di grafie come: effige, spece e superfice (le prime due addirittura usate da Dante in rima (Par XXXI. 77, XXXIII 131; I. 57)).
Si possono ricordare in questa categoria anche macie (macilento) e facie. |
Suffissi -iere, -iera, -iero | I non etimologica, di derivazione dal francese -ier dal latino -arius, fa parte integrante dei suffissi -iere (-iero), che designa principalmente professione, e -iera, che designa invece principalmente contenitore. Benché sia sempre preferibile e maggiormente usata la grafia con la -i-, per alcune parole sono presenti anche varianti senza: corrette ma poco comuni. Non essendo etimologica nelle parole derivate o alterate la -i- tende a scomparire, specie se l'accento si sposta.
NB: si scrive senza i ingegnere anche se deriva dal suffisso -(i)ere |
Parole in -ciente/-cienza | La I è etimologica, derivante da parole con etimo in -cientis e -cientia, e quindi rimane anche in tutte le parole ottenute per derivazione, composizione e alterazione:
NB: si scrivono senza i: beneficente/enza, magnificente/enza, maleficenza, munificente/enza, onorificenza. |
società e igiene | La I è etimologica, dal latino sociětatis e ygienem (a sua volta dal greco hygieinē), quindi rimane anche in tutte le parole, derivate, composte o alterate.
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Grafie antiquate | Sono antiquate, perché hanno perso col tempo la -i- non etimologica, le seguenti grafie:
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Sempre dal punto di vista ortografico può essere interessante segnalare che le parole terminanti in -io (atono) possono avere una grafia plurale alternativa in -î o -ii, la cui pronuncia però è sempre /i/ semplice.
Grafema n prima di b e p[modifica]
In italiano la nasale preconsonantica prima di una bilabiale (b o p) è sempre pronunciata /m/ - perché le nasali preconsonantiche sono omorganiche col fonema successivo - e quindi di regola rappresentato con la lettera m.
Tuttavia esiste un esiguo numero di parole che invece presentano i nessi grafici -nb- o -np- (pronunciati comunque /mb/ o /mp/[8]): panpepato, prunbianco, benpensante. Si tratta per lo più di univerbazione dove il processo di adattamento grafico non è ancora avvenuto perché trattasi di formazioni troppo recenti o poco usate, specie nell'ambito scritto, oppure perché è ancora avvertita dai parlanti la forma originaria di locuzione, ma coesistono di solito anche con grafie fonologicamente più corrette, pampepato, oppure staccate, ben pensante.
Lista di parole con -np- tratte dal Gradit:
- benparlante, benpensante, benpensatismo, benportante, dorminpiedi, granpriorato, granpriore, monpulcianese, nonpertanto, nonpossa, panpepato, panperso, panplegia, panporcino, panpsichismo, sanperino*, sanpetronio, sanpierota, sanpietrino*, ecc.
Lista di parole con -nb-:
- granbestia, nonbelligeranza* panbabilonismo, panbeozie, panbiscotto, prunbianco, sanbabilino, sanbernardo, sanboviano, ecc.
Grafemi q(u) e c(u)[modifica]
La q viene definita da Luca Serianni un grafema «sovrabbondante», avendo lo stesso valore fonetico di c, /k/, ma con forti limitazioni ortografiche nell'uso:
- deve sempre essere sempre seguita da u (semiconsonantica /w/) più un'altra vocale (a, e, i, o), costituendo un nesso il cui valore fonologico è sempre /kw/ + vocale;
- per indicarne il grado intenso si usa il nesso -cq(u)- (/kk(w)/): acqua;
- come doppia -qq(u)- è ammessa solo in: soqquadro, beqquadro (o biqquadro) e derivati.
L'identità fonologica di q e c può creare diversi dubbi sull'ortografia delle parole, non essendoci una regola che permetta la predicibilità dell'uso di uno o dell'altro grafema, questo perché la q ha praticamente motivazione etimologica, cioè è presente laddove era presente pure in latino. Inoltre in italiano è molto più frequente la sequenza -qu+vocale- che non -cu+vocale-, sicché è molto semplice dare indicazioni su quando va usata la c dando per scontato che in tutti gli altri casi si usa la q:
scuola, cuore, cuoio e cuoco | Tutti casi di dittongazione da -ŏ- (etimi schŏla, cŏr, cŏrium, cŏcus) in -uò- (/wɔ/). Ne esiste una variante popolare o poetica non dittongata: scola, core, coio e coco, ma il dittongo permane anche nei derivati, alterati e composti, anche se a volte tende a scomparire se sono fuori d'accento.
I verbi derivati: (r)inc(u)orare; disc(u)oiare, inc(u)oiare, sc(u)oiare, tutti regolarmente coniugabili con -uo-, possono ammettere -o- semplice nelle voci rizoatone in ossequio alla regola del dittongo mobile[9]. |
Verbi in -cuotere e -cuocere | Questi verbi solitamente lemmatizzati: scuotere, riscuotere, percuotere, ripercuotere; cuocere, scuocere, stracuocere, ecc.
presentano nella coniugazione dittongo -uo- nelle voci con -t- o -c- nella radice, ma può diventare -o- semplice se non colpito da accento. |
cospicuo, (in) nocuo, perspicuo, proficuo, promiscuo, traspicuo e vacuo | Sono parole provenienti dal latino il cui etimo terminava in -cuus; diversamente dagli altri esempi, stando alla fonologia normativa dell'italiano, non ci si trova di fronte a un dittongo /wo/, ma a uno iato /uo/.
E sempre di fronte a iato ci si trova nei suffissati in -ità (vacuità), /ui/, o in -amente (vacuamente), /ua/; e altri come: vacuometro, vacuoscopio, vacuostato, vacuista. NB: Si scrivono con -quo finale: equo, iniquo, obliquo, ubiquo e le parole in -loquo (ventriloquo, ecc.) |
vacuolo, circùito e derivati | Si scrivono sempre con la C:
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I verbi acuire, arcuare, circuire, evacuare e derivati | Si scrivono con la C anche i presenti verbi che giungono dal latino praticamente inalterati (eccetto acuire da acuĕre) e i loro derivati
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cui, lacuale, taccuino | Si scrivono infine sempre con la c e non la q:
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Grafemi -z- e -zz-[modifica]
Un'altra delle maggiori difficoltà ortografiche dell'italiano è la resa grafica della z intervocalica, che, come è già stato detto, in tale posizione è sempre di grado intenso ma può essere resa sia con la lettera scempia -z- che doppia -zz-.
Di seguito verrà presentato un quadro, il più completo possibile, di quando la zeta intervocalica è scritta scempia -z-, dando per scontato che in tutti gli altri casi sia invece doppia.
- la z è scempia, in mezzo o in fin di parola, nei seguenti nessi: zia, zie, zio, ziu, zoo, zoi, con le eccezioni dei seguenti derivati:
- aggettivi in -zziano, derivanti da personaggi o luoghi:
- fantozziano, gozziano, guerrazziano, pestalozziano, rattazziano; milazziano
- parole in -zziere/-zziera:
- arazziere, battezziere, biscazziere, capezziera, carrozziere, capezziera, corazziere, gavazziere, mazziere, razziera, tappezziere, strozziere, terrazziere
- parole in -zzìo:
- frizzio, guazzio, scarozzio, schiamazzio, sghignazzio, sguazzio, singhiozzio, spennazzio, starnazzio, svolazzio
- Derivati di cazzo, mazzo, razza:
- cazziare, cazziatone, cazziata; mazziare, mazziato; razziale, razzialmente,
- Razzìa e pazzìa e loro derivati: razziare, razziatore, pazziare, pazzoide, ecc.
- aggettivi in -zziano, derivanti da personaggi o luoghi:
- in parole composte o prefissate in cui la seconda parola inizia per z-: capozona, rizappare, ecc.
- in diversi prefissiodi (nazi-, rizo- schizo-, azeo-, azo-, diazo-, idraz- orizo-, piezo-) e suffissoidi (-riza –mizide, -mizo –rriza –zigote –azina -zima) e nella radice di alcune parole, tra le più comuni: azimut, azalea, Azerbaigian, azero, azolla, azoto; bazar(-orio), bizantino; calaza, coniza, coriza; dazebao, gazebo; lazulite, lazurite, lazo; mazurca, mesozona, mezereo, monazite, Mozambico, mozarabico, mozartiano; nazareno, nazireato, nazireo, neozelandese; ozono; perizoma; rizoma; scazonte, sinizesi, sizigia, spinozismo; trapezista, trapezita; Venezuela.
Le lettere straniere[modifica]
Vengono considerate lettere straniere i grafemi j, k, w, x e y, poiché nell'attuale grafia dell'italiano tali lettere compaiono per lo più in parole di origine straniera. Vi è però da dire che j, k e x erano presenti anche nel latino, che in passato hanno fatto regolarmente parte dell'ortografia italiana e che anche attualmente sono usate nei toponimi e negli antroponimi italiani.
- La lettera j è stata fino agli inizi del novecento regolarmente usata nella grafia italiana per indicare:
- la i semiconsonantica /j/ in posizione iniziale, Jugoslavia, o intervocalica, notajo, ma mai postconsonantica (*bjanco);
- il plurale maschile delle parole terminanti in -io: studio → studj.
- Oggi la j sopravvive come iniziale in diversi toponimi, Jugoslavia, Jesolo ecc., o antroponimi Jacopo, Jolanda, ma sempre più spesso si trova rimpiazzata dalla i per grafie più moderne: Iugoslavia, Iacopo, ecc. Sopravvive, invece, ancora stabilmente nei nomi esotici, Jago, e nei cognomi, sia come iniziale che in mezzo: Scajola.
- Nella maggior parte dei forestierismi acclimatati nell'italiano (di origine inglese: jazz, jeans, jeep ecc.; francese: abat-jour, déjà-vu ecc.; giapponese: judo ecc.) ha valore dʒ oppure ʒ. Ciò è alla base della doppia pronuncia odierna della parola junior: alla latina /ˈjunjor/ o semi-adattata all'inglese /ˈdʒunjor/, di cui solo la prima è quella caldeggiata e corretta essendo la seconda uno storpiamento dell'inglese /ˈdʒuːnɪər/.
- La lettera k, con valore /k/, venne ereditata dal latino nella prima ortografia dell'italiano antico - così come testimoniano le prime testimonianze di volgare: i Placiti di Capua - per poi essere dimenticata fino alla seconda metà del '900, quando tornò in voga con valore iconico negativo nella pubblicistica dei movimenti di protesta, come espressione di «ostilità e disprezzo»[10], ad esempio kapitale, maskio, ecc.
Oggi la k si trova solo nelle parole d'origine straniera: bikini, koala, o derivazioni, rockettaro, ma può essere sostituita da c (coala) o ch- (bichini, rocchettaro) per dar vita a grafie totalmente italianizzate in parole acclimatate. - La lettera w ha valore oscillante tra /v/ e /w/, (talvolta /u/); anche se nelle pronunce straniere originarie ha quasi sempre valore semiconsonantico, in italiano è decisamente netta la tendenza a trasformarla in consonante - anche graficamente sostituendolo con v -, ma la situazione varia caso per caso:
- ci sono casi di pronuncia oscillante: kiwi /ˈkiwi/ o /ˈkivi/ (anche kivi)[11]; hawaiano /awaˈjano/ o /avaˈjano/[12];
- in principio di parola ha quasi costantemente valore /v/: water /ˈvater/, walzer /ˈvaltser/, wafer /ˈvafer/, wattora /vatˈtora/, fanno eccezione le parole che sono ancora sentite come straniere: welfare /ˈwɛlfɛr/.
- La lettera x ha valore biconsonantico /ks/ (talvolta [ɡz] in posizione intervocalica); si trova perlopiù in parole e locuzioni latine, nella particella latina ex, in parole d'origine inglese (mixer, texano), in voci dotte di derivazione greca e in diversi prefissi (auxo-, coxo-, maxi-, maxillo-, mixo-, extra-, toxo-, xanto-, xeno-, xero-, xifo-, xilo-, uxor-), nella toponomastica italiana (Arbatax, Cixerri e altri casi). Non mancano casi in cui è sostituita dal nesso -cs- (fucsi(n)a > fuxi(n)a, facsimile > faxsimile), ma anche casi in cui essa è sostituita da -s- (extra- > estra-) o -ss- (taxi(sta) > tassi(sta), saxofono(-ista) > sassofono(-ista), texano > tessano). Inoltre è presente anche in diversi cognomi (Craxi, Bixio, ecc.) e toponimi, tuttavia nell'Italia meridionale spesso può avere valore di fricativa /ʃ/, come nella lingua catalana.
- La lettera y ha valore /i/ (ma in parole d'origine inglese può anche avere valore /ai/: bypassare); è presente in diverse parole d'origine inglese (authority, bye-bye, body, brandy, bypass, city, coyote, derby, floppy, gay, geyser, hippy, hobby, yoga, yogurt, lobby, pony, rally, rugby, sexy, spray, ecc), ed è in voga nei diminutivi: Mary, Tony, Bobby, ecc.
Non mancano casi in cui viene sostituita da i: coyote > coiote, Paraguay > Paraguai, ecc.; e addirittura con ai: bypassare > baipassare, byroniano > baironiano.
L'accento grafico[modifica]
Gli accenti grafici attualmente presenti nell'ortografia italiana sono tre:
- accento grave ( ` ) presente sui suoni vocalici più aperti à (/a/), è (/ɛ/) ò (/ɔ/), ma si trova normalmente pure su ì (/i/) e ù (/u/) anche se sono vocali "chiuse".
- accento acuto ( ´ ) che segnala i suoni vocalici più chiusi, o meglio dal timbro più chiuso, é (/e/) e ó (/o/), e nelle grafie più ricercate í e ú.
- il circonflesso (ˆ) oggi possibile solo sulla î e in determinate parole, è tipico di un tipo di grafia piuttosto ricercata o specialistica e non ha alcuna valenza prosodica; un tempo invece era possibile anche sulle altre vocali (â, ê, ô, û), ma perlopiù in ambito poetico e con finalità distintive o per indicare la contrazione di una parola.
In italiano, l'accento grafico può essere segnato soltanto sulla vocale su cui cade l'accento tonico della parola, e il suo uso può essere obbligatorio, così come accade in fin di parola, o opzionale, come avviene in mezzo alla parola generalmente per ragioni distintive. Fino a qualche decennio fa si usava soltanto l'accento grave ( ` ), perché, come spiega Migliorini, "gli stampatori del Cinquecento avevano seguito una norma ricalcata sul greco: accento acuto all'interno della parola, accento grave alla fine. Ma siccome nel corpo della parola l'accento non s'usava quasi mai, l'accento più frequente era il grave"[13]. Più di recente, invece, si è approfittato, grazie anche al progresso tecnico, dell'esistenza di entrambi i segni grafici, per indicare anche nella scrittura la differenza di timbro tra le vocali chiuse é (/e/) ed ó (/o/) e quelle aperte è (/ɛ/) ed ò (/ɔ/).
Sulle lettere e, o, perciò, la norma ortografica oggi in vigore (e codificata nel 1967 dall'UNI, Ente nazionale di unificazione) richiede di usare l'acuto se la vocale è chiusa (come in perché), il grave se la vocale è aperta (come in cioè).
Sulla a si usa invece solo l'accento grave, à (come in carità)
Sulla i e u si usa generalmente l'accento grave ì (come in partì), ù (come in virtù), anche se una corrente minoritaria sostiene e predilige l'uso dell'acuto í e ú. I fautori dell'acuto su i e u (come il fonetista Luciano Canepàri) giustificano la propria posizione con il fatto che le vocali i e u sono chiuse per loro natura[14]. A questo sistema s'attenne nell'Ottocento Carducci, e ancor oggi vi si attengono alcune case editrici, come l'Einaudi.
I sostenitori dell'uso più comune (più numerosi anche tra linguisti e filologi: Sensini, Camilli, Migliorini, Fiorelli, Serianni, ecc.) affermano invece l'inutilità di abbandonare il grave per l'acuto quando non ci sia nulla da distinguere, com'è il caso delle tre lettere a, i, u, ognuna delle quali simboleggia un solo suono vocalico.
L'uso di ì, ù (col grave) è raccomandato anche dal prestigioso Dizionario d'ortografia e di pronunzia (DOP), e dalla già citata norma dell'UNI[15]. Anche sulle tastiere italiane delle macchine da scrivere e dei computer si trovano di regola solo ì e ù.
Gli accenti acuti su i e u possono pertanto considerarsi una raffinatezza ulteriore da riservare a quegli autori, già particolarmente raffinati per altri aspetti linguistico-stilistici.
Accento in fin di parola (obbligatorio)[modifica]
L'accento grafico è obbligatorio sulla vocale finale della parola:
- sui polisillabi (cioè sulle parole di almeno due sillabe): città, cioè, perché, così, però, ahó, Perù;
- sui monosillabi terminanti con due grafemi vocalici (a, e, i, o, u), sia dove questi rappresentano un dittongo ascendente, come in piè (/pjɛ/), più (/pju/), può (/pwɔ/), sia dove la lettera i è un puro segno diacritico, cioè muto, come in ciò (/tʃɔ/), già (/dʒa/), giù (/dʒu/). Solo qua e qui fanno apparente eccezione, non volendo mai l'accento[16].
- su determinati monosillabi, con valore distintivo: dà (indicativo di dare), dì ("giorno"), ché ("poiché, affinché"), è (voce del verbo essere), là e lì (avverbi di luogo), né (negazione), sé (pronome), sì (affermazione), tè (bevanda).
Per quanto riguarda la scelta tra accento grave e acuto si ricorda che:
- In italiano la o tonica finale è praticamente sempre aperta, quindi di fatto si usa solo l'accento grave ò (parlò, canterò, oblò, però, perciò, ecc.); per questo motivo il carattere ó manca alle comuni tastiere italiane. Rarissime le eccezioni: l'interiezione romanesca ahó pronunciata [aˈo][17], ma si trova scritta anche ahò; le grafie metró e a gogó</ref>, rifacentisi alle pronunce francesi con /o/|o chiusa]] [meˈtro] e [a ɡoˈɡo] delle originali métro e à gogo, accanto alle forme metrò[18] e a gogò[19] con relativa pronuncia aperta[20].
- La é sui composti di che (affinché, benché, cosicché, finché, giacché, macché, nonché, perché, poiché, purché, sicché, ecc.); i composti di tre (ventitré, trentatré, centotré, ecc.); i composti di re (viceré, interré); i monosillabi né ("e non") e sé (pronome personale); le terze persone singolari del passato remoto in -é (poté, credé) con l'eccezione di diè e stiè; altre parole come scimpanzé, nontiscordardimé, mercé, testé, fé (per fece e per fede), affé, autodafé, ecc.
- La è per la voce del verbo essere è e il suo composto cioè; per altre parole, soprattutto d'origine straniera o non recenti: ahimè (e ohimè), diè e stiè (antiquati o letterari per diede e stette), piè (=piede), tè e caffè, bebè, uè, evoè, coccodè, canapè, tupè, croscè, buffè, cabarè, gilè, relè, lacchè, ramiè, musmè, macramè, narghilè, Noè, Mosè, Giosuè, Salomè, ecc.
Accento all'interno della parola (opzionale)[modifica]
L'accento grafico è opzionale all'interno della parola, dove l'uso è motivato da ragioni d'ordine fonologico o distintive sugli omografi.
Sono principalmente ragioni fonologiche quando si vuole indicare al lettore la pronuncia della parola, grossomodo nei seguenti casi:
- in parole insolite o inventate, in cognomi, neologismi, arcaismi, ecc., di cui si può ritenere opportuno indicare al lettore l'esatta pronuncia: si pensi a Pirandello nella novella La patente, che scrive "Chiàrchiaro" per indicare la pronuncia sdrucciola del cognome del protagonista;
- in parole estremamente rare o tecnicismi, di cui si pensa che il lettore non conosca la corretta pronuncia, specie se non è piana;
- in parole d'uso comune, di cui però si sbaglia spesso la pronuncia e dunque se ne vuole rimarcare quella corretta: ad es. la parola rubrìca, spesso pronunciata rùbrica;
- in parole con più pronunce possibili, se se ne vuole suggerire al lettore una in particolare, ad es. frùscio o fruscìo[21].
Il circonflesso[modifica]
In italiano il circonflesso non dà alcuna indicazione fonologica (come invece può accadere in alcune ortografie dialettali), ma segnala semmai l'avvenuta contrazione della parola, ed è anche ormai quasi del tutto scomparsa la coscienza di questo fatto. L'uso del circonflesso all'interno dell'ortografia italiana comunque può essere così sintetizzato:
- Sulle î finali dei plurali delle parole in -io (vario > varî) per segnalare la contrazione della antica grafia con doppia -ii (varii /ˈvari/), oggi comunque rimpiazzata da -i, semplice perché più rispondente sotto il profilo fonologico. Oggi tale uso sopravvive solo nelle scritture ricercate, o per vezzo, o per fini disambiguanti (principi /ˈprintʃipi/ vs principî /prinˈtʃipi/), o nei linguaggi tecnici, sempre per esigenze di maggior chiarezza (condomini pl. di condomino, condominî pl. di condominio); è più comune però che, senza ricorrere a scritture ricercate, queste ambiguità vengano risolte dalle grafie prìncipi, princìpi, condòmini e condomìni.
- Nella lingua poetica segnala la contrazione di una parola per distinguerla dalle omografe: fûr per furono, côrre per cogliere, tôrre per togliere, ecc.
- Con uso estremamente raro, può distinguere su parole omografe e omofone quella usata più raramente (vôlta, come 'arco', volta come 'momento; turno'), tuttavia anche in questi casi si preferisce solitamente utilizzare l'accento normale (vòlta).
L'apostrofo[modifica]
In italiano l'attuale norma ortografica prevede l'uso dell'apostrofo in presenza di tre fenomeni linguistici:
- l'elisione, dove è obbligatorio,
- alcuni casi di troncamento,
- alcune forme di aferesi.
Come già detto con l'elisione l'uso dell'apostrofo è obbligatorio, e in alcuni casi è addirittura fondamentale per distinguerla dal troncamento e definire il genere delle parole, si pensi al caso di un artista maschile e un'artista femminile. In altri casi invece è fonte di alcuni dei più comuni errori ortografici per la sua erronea presenza, come "qual'è" o tal'è (la grafia corretta è sempre qual è e tal è[22]), oppure mancanza, come in "pover uomo" (la grafia corretta è pover'uomo), casi per cui comunque a volte vi sono divergenze di opinioni fra i linguisti.
L'uso, inoltre, soprattutto scolastico, di considerare come errore l'apostrofo in fin di rigo, è una norma destituita di qualsiasi fondamento grammaticale, trattandosi invece di una consuetudine puramente tipografica, oggi desueta, quella di andare a capo o con la parola intera o spezzandola secondo l'uso di sillabazione, in quanto ritenuta esteticamente sgradevole la presenza di un apostrofo isolato in fin di rigo. La diffusione di tale falso errore, una volta fortemente stigmatizzato nelle scuole dell'obbligo, va oggi ridimensionandosi grazie al fatto che nel linguaggio stampato si sono ricominciati ad ammettere "a capo" del tipo dell'/oro[23].
Nel troncamento oggi l'apostrofo viene usato soltanto in un ristretto numero di casi - in passato più numerosi -, dove tra l'altro può dirsi obbligatorio solo in una minima parte, essendo spesso ampiamente attestate anche grafie alternative.
- Apocope vocalica: si usa l'apostrofo per indicare la caduta della vocale finale di alcuni monosillabi uscenti per dittongo discendente, tra cui si annoverano i seguenti casi:
- i quattro imperativi: da', fa', sta' e va', rispettivamente apocopi di dai, fai, 'stai e vai, scrivibili anche da, fa, sta e va; le prime grafie sono però caldeggiate dai linguisti essendo invece le ultime confondibili con le rispettive terze persone dell'indicativo presente. Si può ricordare come curiosamente questi quattro imperativi siano quelli degli unici quattro verbi (base) irregolari della prima coniugazione, e che grafie apostrofate (rifa', sfa', ecc.) sono caldeggiate anche per gli imperativi dei verbi derivati in luogo di quelle accentate (ridà, sfà, ecc.) per il medesimo motivo;
- le forme letterarie e desuete delle preposizioni articolate: de', a', da', ne', co', su', pe', tra'/fra' e degli aggettivi que' e be', rispettivamente apocopi di dei, ai, dai, nei, coi, sui, pei, trai/frai e quei, bei, tutte varianti posizionali in uso che la norma prevede per quei casi in cui si userebbe l'articolo i.
- Apocope sillabica: si usa l'apostrofo per indicare la caduta della sillaba finale, quando lascia un troncamento uscente per vocale, tra cui annoveriamo i seguenti casi
- l'imperativo di', apocope di dici scritto anche dì; anche in questo caso viene caldeggiata la forma con l'apostrofo sia per questioni di omogeneità, sia per evitare confusione con dì indicante il giorno:
- negli avverbi: po' e a mo' di, rispettivamente apocopi di poco e modo;
- nelle interiezioni be', te', to', va', ve' rispettivamente apocopi di bene, tene (tieni), togli (col valore di prendi), varda (guarda) e vedi, tutte esclamazioni che si sono anche un po' distaccate dal loro valore originari, spesso iussivo, e per le quali spesso si preferiscono le grafie con la h: beh, teh, toh, vah, veh.
Nell'aferesi l'uso dell'apostrofo era diffuso, soprattutto nella lingua poetica, per segnalare la caduta della prima vocale di una parola, specialmente in concomitanza di una parola precedente che finisce per vocale e strettamente legate nella catena del parlato (un fenomeno simmetrico all'elisione). Oggi questa prassi è praticamente scomparsa, tranne in pochissime parole ('ndrangheta) nelle quali non è comunque obbligatorio; mentre invece è obbligatorio nell'indicazione degli anni in cifre.
- Oggi sopravvive praticamente soltanto nelle forme contratte: 'sto, 'sta, 'sti 'ste, forme dialettali particolarmente enfatiche per la loro concisione, usate in luogo di questo ecc., per dare coloritura al discorso, ma in realtà derivanti dall'arcaica forma esto, ecc. Tali forme possono anche essere scritte semplicemente sto, sta, sti, ste.
- Nella lingua poetica erano frequenti le aferesi delle particelle 'n e 'l per in e il: «e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle» (Dante Inf. I 38), e di altre parole.
- L'apostrofo è invece obbligatorio quando si vogliono indicare in forma accorciata e in cifre gli anni, il '68 (il 1968), i secoli dopo il mille, il '400 (il 1400, il XV secolo), ovviamente solo se scritti in cifre arabe. Qualora vi sia concomitante anche un'elisione, si usa un solo apostrofo: la musica dell'800.
Note[modifica]
- ↑ Lemma «che»
- ↑ 2,0 2,1 Elenco tratto dal DOP
- ↑ Luca Serianni. Italiano. XI. 71g
- ↑ DOP, Terminazioni con varianti di forma: «-cero»
- ↑ Ricerca termini con *[cg]iero sul DOP
- ↑ DOP lemma «cieco»
- ↑ DOP lemma «accecare»
- ↑ Vedi pronuncia sul DOP delle parole italiane con «-n[bp]-»
- ↑ DOP, lemmi: incuorare, discuoiare, incuoiare, scuoiare
- ↑ Treccani lemma «k»
- ↑ DOP lemma «kiwi»
- ↑ DOP lemma «havaiano»
- ↑ Bruno Migliorini. La lingua italiana nel Novecento. Firenze 1990, p. 32
- ↑ Vedi questo articolo a proposito dell'accento grave su i e u.
- ↑ Copia archiviata, su ilsitopiperito.it. URL consultato il 26 febbraio 2010 (archiviato dall'url originale il 18 settembre 2010).; si veda il punto 4.1.
- ↑ Quà e quì erano grafie accettate fino al '700, ma l'accento fu ritenuto in seguito superfluo poiché, in presenza del grafema q, la u può avere soltanto valore semiconsonantico /w/ ed è quindi impossibilitata ad ospitare l'accento tonico, il quale non può che ricadere sulla vocale successiva, impedendo ogni ambiguità di pronuncia. Diverso è il caso dei monosillabi del tipo di piè, o del tipo di ciò, che senza il segnaccento si dovrebbero leggere /ˈpie/ (come il plurale femminile di pio), /ˈtʃio/ (come l'acronimo del Comitato Internazionale Olimpico), ecc.
- ↑ DOP lemma «ahó»
- ↑ Treccani, lemma «métro»
- ↑ Treccani, lemma «à gogo»
- ↑ DOP, lemma «métro»
- ↑ DOP lemma «fruscio»
- ↑ Esatta grafia di qual è Archiviato il 2 gennaio 2008 in Internet Archive. - sito dell'Accademia della Crusca
- ↑ Apostrofo in fin di rigo Archiviato il 6 maggio 2009 in Internet Archive. - sito dell'Accademia della Crusca
- Comprendere le funzioni della punteggiatura
- Sapere distinguere i diversi segni di interpunteggiatura e saperli usare correttamente
In una pagina scritta, il flusso delle parole è scandito da particolari segni grafici, detti segni di punteggiatura o interpunzione. La loro funzione è di agevolare la lettura, evidenziando la struttura del testo e le sue parti, ma anche chiarendo le sfumature espressive di quello che c'è scritto. La punteggiatura fornisce infatti informazioni sul tono con cui una frase deve essere letta e inserisce pause di diversa intensità.
In questo modulo studieremo i vari segni di interpunzione della lingua italiana, analizzando le funzioni di ciascuno.
Punto[modifica]
Il punto (detto anche punto fermo) indica una pausa forte. Lo si incontra solitamente alla fine di una frase, e indica che quella frase è conclusa e che la successiva è una frase diversa. In genere, la parola che segue dopo il punto ha l'iniziale maiuscola.
Il punto però si può impiegare anche per marcare le abbreviazioni, come per esempio:
- pag. (= pagina), ecc. (= eccetera), cfr. (= confronta)
A volte lo si trova anche nelle sigle, anche se questo uso è oggi poco frequente:
- O.N.U. (oggi però si preferisce scrivere ONU, senza punti)
Se l'abbreviazione si trova alla fine della frase, il punto non si ripete.
Virgola[modifica]
La virgola indica una pausa di breve lunghezza. È il segno di punteggiatura più usato nella lingua italiana, quello più versatile da punto di vista espressivo e quello che ammette gli impieghi più vari.
Anzitutto viene usata negli elenchi:
- Devi comprare: latte, olio, farina e uova.
oppure per collegare due frasi per asindeto, cioè senza la congiunzione e:
- Camminaco sovrapensiero, non mi sono accorto di essere arrivato.
per isolare un inciso:
- L'amico di Laura, un ragazzo poco simpatico, se n'è andato quasi subito.
per isolare il nome di una persona a cui ci si rivolge:
- Marica, puoi venire qui per favore?
Punto e virgola[modifica]
Il punto e virgola indica una pausa di media lunghezza, più breve del punto ma più lunga della virgola. Viene usato all'interno di un periodo per dividere le frasi, nei casi in cui non ci sia un tale stacco logico da richiedere il punto.
- I suoi modelli prediletti erano il Foscolo e il Giusti; li adorava veramente e li saccheggiava entrambi, perchè l’ingegno suo, entusiasta e satirico a un tempo, non era capace di crearsi una forma propria, aveva bisogno d’imitare. (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico)
Talvolta si può trovare il punto e virgola, invece della virgola, in elenchi particolarmente complessi, i cui elementi sono frasi.
- Poteva scegliere fra due vie: o salire da Pregassona il versante svizzero del Boglia, toccar l’Alpe della Bolla, attraversare il Pian Biscagno e il gran bosco dei faggi, uscirne sul ciglio del versante lombardo, al faggio della Madonnina, calare ad Albogasio Superiore e Oria; o prendere la comoda via di Gandria verso il lago, e poi il sentiero malvagio e rischioso che da Gandria, ultimo villaggio svizzero, taglia la costa ertissima, passa il confine a un centinaio di metri sopra il lago, porta alla cascina di Origa, cala nei burroni della Val Malghera e ne risale alla cascina di Rooch, vi trova la stradicciuola selciata che passa sopra il Niscioree e discende a Oria. (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico)
Due punti[modifica]
I due punti indicano una pausa breve e vengono usati per introdurre un elenco
- Devi comprare: latte, olio, farina e uova.
una citazione
- Come disse Unamuno: «Chi impone la fede a un altro con la spada, quello che cerca di convincere è sé stesso».
un discorso diretto
- Si alzò dal canapè all’entrar della Carlotta e disse placidamente: «Buona notte.» (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico)
una spiegazione
- Rimprovero, dolore, passione: tutto questo era nel suo richiamo. (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico)
Punto esclamativo e punto interrogativo[modifica]
Questi due segni hanno una funzione marcatamente espressiva.
Il punto esclamativo indica che la frase deve essere letta con un'intonazione discendente, che può esprimere meraviglia:
- Che gioia vederti!
dolore e rammarico:
- Non sono riuscito ad arrivare in tempo!
oppure ancora un ordine perentorio:
- Scendi subito!
Il punto interrogativo indica invece che la frase è una domanda diretta, che quindi deve essere letta con un tono ascendente:
- Quando arriva la nonna?
Talvolta, soprattutto nei fumetti, si possono trovare insieme un punto esclamativo e uno interrogativo, per esprimere incredulità:
- Mi stai dicendo che hai perso il biglietto?!
In genere, la parola che segue il punto esclamativo o il punto interrogativo ha l'iniziale maiuscola.
Punti di sospensione[modifica]
I punti di sospensione, che devono essere sempre tre e non di più, indicano che la frase è lasciata in sospeso, confidando nel fatto che il lettore sarà in grado di completarne il senso:
- Pensavo che Andrea sarebbe arrivato in orario... (sottinteso: invece è in ritardo)
Talvolta si usa anche nelle citazione per indicare omissioni.
Parentesi e lineette[modifica]
Le parentesi servono per isolare un inciso all'interno di una frase, che ha lo scopo di fornire informazioni aggiuntive:
- Cleopatra apparteneva all'antica famiglia dei Tolomei (o Lagidi) ed era quindi discendente del diadoco Tolomeo I Sotere.
Anche le lineette possono essere usati per isolare un inciso.
- Se arriveremo in tempo - ma non credo che succederà - riusciremo a trovare dei posti liberi.
Le lineette inoltre possono introdurre un discorso diretto (in questo caso sostituiscono le virgolette):
- - Buongiorno - salutò il professore.
Virgolette[modifica]
In italiano esistono due tipi di virgolette:
- le virgolette basse «»
- le virgolette alte “ ”
Entrambe possono essere usate per indicare un discorso diretto:
- «Buongiorno» salutò il professore.
Oppure per marcare una citazione:
- Come disse Unamuno: «Chi impone la fede a un altro con la spada, quello che cerca di convincere è sé stesso».
Per segnalare che una parola è usata in senso figurato:
- È stato uno sciopero “a singhiozzo”.
- Comprendere la differenza tra parti variabili e invariabili del discorso
- Conoscere quali sono le parti variabili del discorso
- Comprendere la differenza tra radice e desinenza
- Conoscere quali sono le parti invariabili del discorso
Fin dai tempi più antichi i grammatici hanno cercato di classificare le parole che utilizziamo per parlare, cercando di trovare alcune proprietà comuni. La classificazione tradizionale, quella più consolidata e insegnata nelle scuole, individua nove parti del discorso, che vengono a loro volta raccolte in due grandi gruppi: le parti variabili e le parti invariabili.[1]
La parte della grammatica che studia la classificazione e la struttura delle parole è detta morfologia.
Parti variabili del discorso[modifica]
La parti variabili del discorso sono cinque:
In particolare, nome, articolo, aggettivo e pronome subiscono trasformazioni dette declinazioni e che riguardano:
- il genere: maschile o femminile (maestro - maestra, il - la, bello - bella, lui - lei);
- il numero: singolare o plurale (maestro - maestri, il - i, bello - belli, lui - loro).
Le trasformazioni del verbo, invece, si dicono coniugazioni e riguardano:
- il modo: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo, participio, gerundio, infinito;
- il tempo: passato, presente, futuro;
- la persona: prima/seconda/terza persona singolare, prima/seconda/terza persona plurale.
Infine, in tutte queste parole è possibile distinguere due parti: una che rimane invariata, e che viene detta radice, e una che cambia e che viene detta desinenza. Ecco alcuni esempi:
Radice | Desinenza | |
---|---|---|
maestr | a | → maestra (nome) |
arriv | iamo | → arriviamo (verbo) |
un | o | → uno (articolo) |
bell | i | → belli (aggettivo) |
ess | e | → esse (pronome) |
Parti invariabili del discorso[modifica]
Le parti invariabili del discorso sono quattro:
- Avverbio (velocemente, oggi, comodamente, ecc.)
- Congiunzione (e, ma, perché, quando, ecc.)
- Preposizione (di, a, da, per, ecc.)
- Esclamazione (eh!, oh!, ahi!, ecc.)
Schema riassuntivo[modifica]
Parti variabili del discorso | Nome o sostantivo Verbo Articolo Aggettivo Pronome |
---|---|
Parti invariabili del discorso | Avverbio Congiunzione Preposizione Esclamazione o interiezione |
Note[modifica]
- ↑ Maria G. Lo Duca, parti del discorso, in Enciclopedia dell'Italiano (2011). URL consultato il 2 novembre 2019.
- Comprendere che cos'è un nome
- Riconoscere i vari tipi di nome
Funzioni del nome[modifica]
Il nome è la parte più vasta del discorso. I nomi possono essere classificati in base al significato, al genere, al numero e alla struttura.
Classificazione in base al significato[modifica]
Anzitutto i nomi possono essere divisi tra:
- nomi comuni, indicano in modo generico una cosa, una persona o un animale, e si scrivono di norma con l'iniziale minuscola (albero, casa, uomo, impiegato, gatto);
- nomi propri, indicano una cosa o una persona in maniera precisa e si scrivono sempre con l'iniziale maiuscola (Pietro, Adda, Torino, Rossi).
Un'ulteriore distinzione è quella tra
- nomi concreti, indicano cose reali, percepibili attraverso i sensi (sasso, automobile, gallina);
- nomi astratti, indicano idee o concetti che non hanno realtà fisica (amore, bellezza, libertà).
Infine è possibile distinguere tra
- nomi individuali, indicano una sola cosa, persona o animale (nave, persona, pecora);
- nomi collettivi, che sebbene siano al singolare indicano un gruppo di cose, persone o animali (flotta, folla, gregge).
I nomi collettivi possono inoltre definire un gruppo determinato dal punto di vista numerico (centinaio, decina) e ammetto anche il plurale (flotte, greggi).
Classificazione in base al genere[modifica]
In base al genere i nomi possono essere
- maschili o
- femminili.
Per i nomi di persona e animale il genere coincide con il loro sesso, per esempio:
- dottore (maschile) / dottoressa (femminile)
- scrittore (maschile) / scrittrice (femminile)
- gatto (maschile) / gatta (femminile)
Nel caso dei nomi di cosa, invece, il genere maschile o femminile è puramente convenzionale e ha solo una funzione grammaticale, per concordare il nome con gli aggettivi che gli si riferiscono. Per esempio:
- libro (maschile)
- libertà (femminile)
Vengono definiti nomi mobili i nomi in cui il maschile e il femminile si distinguono in base alla variazione della desinenza o di un suffisso. Solitamente:
- i nomi che al maschile terminano in -o formano il femminile con la desinenza -a (gatt-o / gatt-a);
- i nomi che al maschile terminano in -a formano il femminile con il suffisso -essa (poet-a / poet-essa);
- i nomi che al maschile terminano in -e formano il femminile
- con la desinenza -a (infermier-e / infermier-a),
- oppure con il suffisso -essa (princip-e / princip-essa);
- i nomi che al maschile terminano in -tore formano il femminile
- con il suffisso -trice (scrit-tore / scrit-trice),
- oppure con il suffisso -tora (pas-tore / pas-tora),
- oppure ancora accettano entrambe le forme (tradi-tore / tradi-trice o tradi-tora).
Ci sono però anche nomi mobili che non seguono nessuna di queste regole, per esempio:
- dio (maschile) / dea (femminile)
- gallo (maschile) / gallina (femminile)
- re (maschile) / regina (femminile)
I nomi indipendenti, invece, hanno forme completamente diverse per il maschile e il femminile. Ne sono esempi:
- padre (maschile) / madre (femminile)
- fratello (maschile) / sorella (femminile)
- uomo (maschile) / donna (femminile)
- marito (maschile) / moglie (femminile)
- montone (maschile) / pecora (femminile)
- toro (maschile) / mucca (femminile)
I nomi di genere comune hanno un'unica forma per maschile e femminile, e per distinguere il genere è quindi necessario osservare l'articolo. Per esempio:
- il nipote (maschile) / la nipote (femminile)
- un insegnante (maschile) / un'insegnante (femminile)
I nomi di genere promiscuo, infine, hanno un'unica forma, che può essere maschile o femminile, indipendentemente dal sesso. Solitamente si comportano in questo modo i nomi comuni di animali:
- la volpe (femminile)
- il leopardo (maschile)
Per specificare il sesso, in questi casi, bisogna usare espressioni come la volpe maschio oppure il maschio della volpe.
Classificazione in base al numero[modifica]
In base al numero i nomi si distinguono in
- singolari e
- plurali.
Come per il maschile e il femminile, anche in questo caso i nomi formano il singolare e il plurale cambiando la desinenza o il suffisso, mentre la radice rimane invariata. Vengono distinten tre classi:
- I classe: nomi che terminano in -a, formano il plurale
- con la desinenza -i se sono di genere maschile (poet-a / poet-i),
- oppure con la desinenza -e se sono di genere femminile (cas-a / cas-e);
- II classe: nomi maschili e femminili che terminano in -o, formano il plurale con la desinenza -i (fratell-o / fratell-i);
- III classe: nomi maschili e femminili che terminano in -e, formano il plurale con la desinenza -i (volp-e / volp-i).
Ci sono però nomi che hanno un'unica forma sia per il singolare sia per il plurale: sono detti nomi invariabili o indeclinabili. Per distinguerne il numero è quindi necessario osservare l'articolo. Alcuni esempi sono:
- il re (singolare) / i re (plurale)
- la città (singolare) / le città (plurale)
- l'auto (singolare) / le auto (plurale)
I nomi difettivi, invece, mancano di una delle due forme, cioè hanno solo la forma singolare oppure solo quella plurale. In particolare sono usati solo al singolare i nomi non numerabili, ossia quelli che descrivono cose che non possono essere numerate. Rientrano in questa classificazione:
- quasi tutti i nomi astratti (pietà, dolcezza), alcuni dei quali al plurale hanno un significato differente (dolcezze si usa per indicare i dolciumi);
- i nomi di elementi chimici (rame, ferro, ossigeno);
- i nomi di alcune malattie (morbillo, rosolia, tifo);
- i nomi alcuni cibi o bevande (burro, pepe, latte).
Sono invece usati solo al plurale:
- i nomi di oggetti composti da due elementi (le forbici, gli occhiali, i pantaloni);
- alcuni nomi collettivi (le stoviglie, i viveri);
- alcuni nomi derivati dal latino (le nozze, le esequie, le tenebre).
Altri sostantivi infine, detti nomi sovrabbondanti, hanno due forme per il singolare oppure due per il plurale. Tra i nomi sovrabbondanti che hanno due forme per il singolare ci sono:
- lo sparviero (singolare, forma comune) e lo sparviere (singolare, forma letteraria) / gli sparvieri (plurale)
- il destriero (singolare, forma comune) e il destriere (singolare, forma letteraria) / i destrieri (plurale)
Esempi di nomi sovrabbondanti con due forme per il plurale sono:
- il braccio (singolare) / i bracci e le braccia (plurale)
- il corno (singolare) / i corni e le corna (plurale)
- il ginocchio (singolare) / i ginocchi e le ginocchia (plurale)
Spesso i due plurali hanno anche significati diversi: per esempio bracci si usa per espressioni come bracci di mare, mentre braccia sono le parti del corpo.
Classificazione in base alla struttura[modifica]
I nomi primitivi non derivano da nessun'altra parola, e sono costituiti soltanto dalla radice e dalla desinenza che ne precisa il genere e il numero. Per esempio:
- cane, mano, acqua, carta, campo, fiore
I nomi derivati, come suggerisce il termine, derivano da quelli primitivi: sono infatti formati dalla radice di altri nomi. Ad esempio, sono derivati di carta i nomi:
- cartone, cartoncino, cartiera, cartolaio, cartolina
A volte i nomi derivati si formano con l'aggiunta di un prefisso, davanti alla radice del nome (in-giustizia, dis-ordine), mentre altre volte si aggiunge un suffisso dopo la radice (cart-iera, fior-ista).
I nomi composti, invece, sono formati dall'unione di due parole, che possono essere due nomi, oppure un nome e un'altra parte del discorso, oppure ancora due parti del discorso che non sono nomi. Ecco alcuni esempi:
- pescecane = pesce (nome) + cane (nome)
- cassaforte = cassa (nome) + forte (aggettivo)
- benessere = bene (avverbio) + essere (verbo)
Chiudiamo con i nomi alterati, che esprimono particolari qualità di un nome aggiungendo specifici suffissi alla sua radice. Ce ne sono quattro tipi:
- diminutivi, esprimono piccolezza (libr-icino);
- accrescitivi, esprimono grandezza (libr-one);
- vezzeggiativi, esprimono piccolezza ma con un tono di gentilezza (libr-etto);
- peggiorativi, esprimono bruttezza e disprezzo (libr-accio).
La tabella qui sotto elenca i suffissi usati per la formazioni dei vezzeggiativi:
Vezzeggiativo | Suffissi |
---|---|
diminutivi | -ello -icciolo -icello -ino |
accrescitivi | -accione -one |
vezzeggiativi | -acchiotto -etto -olo -uccio -uzzolo |
peggiorativi | -accio -astro -azzo -iciattolo -onzolo -ucolo -uncolo |
Che cos'è l'articolo[modifica]
Insieme al nome, l'articolo forma un'unità inscindibile, detta sintagma o gruppo nominale. In alcuni casi l'articolo è inoltre indispensabile per distinguere il genere o il numero del nome, per esempio:
- il docente / la docente (nome di genere comune)
- la città / le città (nome invariabile)
Esistono tre tipi di articoli: determinativi, indeterminativi e partitivi.
Articoli determinativi[modifica]
L'articolo determinativo precisa che il nome indica una cosa, una persona o un animale determinato, che viene distinto rispetto a tutti gli altri e che quindi è noto sia a chi parla sia a chi ascolta. In italiano ci sono sei articoli determinativi, elencati nella tabella, che si accordano nel genere e nel numero con il nome che precedono.
Singolare | Plurale | |
---|---|---|
Maschile | il | i |
lo | gli | |
Femminile | la | le |
In particolare
- gli articoli lo e gli si usano con i nomi maschili che hanno per iniziale: vocale, i e u semiconsonantiche, s impura, x, y, z, e i gruppi pt, gn, ps, cn;
- gli articoli il e i si usano con tutti i nomi maschili a esclusione di quelli che richiedono l'uso di lo/gli;
- gli articoli la e le si usano con tutti i nomi femminili.
Inoltre, davanti a un nome che inizia per vocale, c'è l'elisione della vocale degli articoli lo e la. Per esempio:
- l'albero (lo albero), l'istrice (lo istrice), l'orto (lo orto)
- l'ancora (la ancora), l'ostrica (la ostrica), l'uva (la uva)
Articoli indeterminativi[modifica]
L'articolo indeterminativo precede un nome che indica una cosa, una persona o un animale non ben individuato, rimanendo su un piano generico. In italiano ci sono tre articoli indeterminativi, elencati nella tabella qui sotto. Tutti e tre hanno solo la forma singolare e si accordano nel genere con il nome che li segue.
Singolare | |
---|---|
Maschile | un |
uno | |
Femminile | una |
In particolare:
- l'articolo uno si usa con tutti i nomi maschili che hanno per iniziale: i semiconsonantica, s impura, x, y, z, e i gruppi pt, gn, ps, cn;
- l'articolo un si usa con tutti i nomi maschili a esclusione di quelli che richiedono l'uso di uno;
- l'articolo una si usa con tutti i nomi femminili.
Inoltre, davanti a un nome che inizia per vocale c'è l'elisione della vocale dell'articolo una, che diventa un':
- un'automobile (una automobile), un'orca (una orca)
Articoli partitivi[modifica]
Gli articoli partitivi si usano per indicare una quantità non precisata.
Singolare | Plurale | |
---|---|---|
Maschile | del | dei |
dello | degli | |
Femminile | della | delle |
È facile confondere l'articolo partitivo con la preposizione articolata. Per risolvere i dubbi basta sostituire del, dello, ecc. con l'espressione un po' di: se la frase continua ad avere un senso compiuto, è sicuramente un articolo partitivo. Per esempio:
- Micaela è andata a comprare del latte (= Micaela è andata a comprare un po' di latte)
- Questa è l'auto del signor Rossi (in questo caso del signor Rossi indica che l'auto appartiene al signor Rossi)
- Comprendere le funzioni degli aggettivi
- Saper riconoscere un aggettivo qualificativo
- Conoscere gli aggettivi determinativi e saperli riconoscere
Funzioni dell'aggettivo[modifica]
Gli aggettivi concordano nel genere e nel numero con il nome a cui si riferiscono e svolgono principalmente due funzioni:
- la funzione predicativa, quando l'aggettivo è correlato al verbo essere (es.: Quel libro è mio; Marco è alto);
- la funzione attributiva, quando modifica il significato di un nome (o un pronome) in un sintagma nominale (es.: Ho pranzato in un buon ristorante).
Sono inoltre classificati in due gruppi:
- aggettivi qualificativi,
- aggettivi determinativi o indicativi, a loro volta suddivisibili in varie sottoclassi.
Aggettivi qualificativi[modifica]
Gli aggettivi qualificativi specificano una qualità o una caratteristica del nome.
- una quercia imponente
- il bambino biondo
- le rose rosse
- cantanti stonati
In base alle desinenze, gli aggettivi qualificativi possono essere distini in tre classi, indicate nella tabella.
I classe | II classe | III classe | |
---|---|---|---|
Singolare | alt-o (maschile) alt-a (femminile) |
semplic-e (maschile e femminile) |
ipocrit-a (maschile e femminile) |
Plurale | alt-o (maschile) alt-a (femminile) |
semplic-i (maschile e femminile) |
ipocrit-i (maschile e femminile) |
C'è poi una quarta classe di aggettivi invarianti, che non cambiano forma al variare del genere e del numero. In questa classe rientrano alcuni aggettivi di colore, per esempio:
- l'occhio blu
- gli occhi blu
I gradi dell'aggettivo qualificativo[modifica]
Gli aggettivi qualificativi possiedono diversi gradi, che ne indicano l'intensità.
Il grado positivo indica la qualità senza specificarne una misura. Per esempio:
- La stanza è sporca.
Il grado comparativo stabilisce invece un confronto tra due o più elementi. Può essere:
- comparativo di maggioranza, quando il primo elemento possiede una qualità in misura maggiore rispetto a un altro (es.: Stefano è più alto di Mattia);
- comparativo di minoranza, quando il primo elemento possiede una qualità in misura minore rispetto a un altro (es.: Mattia è meno alto di Stefano);
- comparativo di uguaglianza, quando i due elementi possiedono in misura uguale una stessa qualità (es.: Stefano è alto come Dario).
Il grado superlativo indica che il nome possiede una determinata qualità in misura massima. Si distinguono:
- il superlativo relativo, quando un nome possiede una qualità al massimo grado all'interno di gruppo definito (es.: Giorgio è il più alto della squadra);
- il superlativo assoluto, quando un possiede una qualità al massimo grado, oltre ogni confronto (es.: È un grattacielo altissimo).
Il superlativo relativo, in particolare, si forma con
Il superlativo assoluto si forma invece aggiungendo alla radice dell'aggettivo il suffisso -issimo:
- bell-o / bell-issimo
- grand-e / grand-issima
Fanno eccezione alcuni aggettivi che hanno il tema in -r, che formano il superlativo assoluto aggiungendo il suffisso -errimo. Ecco alcuni esempi:
- celebre / celeberrimo
- acre / accerrimo
- salubre / saluberrimo
- integro / integerrimo
Alcuni aggettivi qualificativi, infine, oltre alle forme regolari di comparativo e di superlativo, si usano anche forme speciali derivata da radici diverse da quelle del grado positivo. Queste forme, elencate nella tabella qui sotto, sono dette organiche.
Positivo | Comparativo di maggioranza |
Superlativo relativo | Superlativo assoluto |
---|---|---|---|
buono | più buono migliore |
il più buono il migliore |
buonissimo ottimo |
cattivo | più cattivo peggiore |
il più cattivo il peggiore |
cattivissimo pessimo |
grande | più grande maggiore |
il più grande il maggiore |
grandissimo massimo |
piccolo | più piccolo minore |
il più piccolo il minore |
piccolissimo minimo |
alto | più alto superiore |
il più alto il superiore |
altissimo supremo, sommo |
basso | più basso inferiore |
il più basso l'inferiore |
bassissimo infimo/imo |
esterno | più esterno esteriore |
il più esterno l'esteriore |
estremo |
interno | più interno interiore |
il più interno interiore |
intimo |
Aggettivi determinativi[modifica]
Gli aggettivi determinativi, come suggerisce il termine, contribuiscono a determinare meglio il nome. A loro volta possono essere classificati nelle sottocategorie che seguono.
Aggettivi possessivi[modifica]
Gli aggettivi possessivi specificano il possessore di un oggetto. Per esempio:
- Prestami la tua matita.
- Quelle scarpe sono sue.
In base alla radice viene specificata la persona a cui si riferiscono, mentre la desinenza concorda nel genere e nel numero con il nome a cui si riferiscono. Unica eccezione è loro, che rimane invariato. Si veda la tabella seguente.
Persona | Singolare | Plurale | |
---|---|---|---|
I singolare | Maschile | mio | miei |
Femminile | mia | mie | |
II singolare | Maschile | tuo | tuoi |
Femminile | tua | tue | |
III singolare | Maschile | suo | suoi |
Femminile | sua | sue | |
I plurale | Maschile | nostro | nostri |
Femminile | nostra | nostre | |
II plurale | Maschile | vostro | vostri |
Femminile | vostra | vostre | |
III plurale | loro | loro |
Quando il soggetto e il possessore sono la stessa persona, si può usare l'aggettivo proprio:
- Ogni studente deve scrivere sul proprio quaderno.
L'aggettivo invariabile altrui si usa per indicare un possessore non bene identificato.
- Devi rispettare le cose altrui.
Aggettivi numerali[modifica]
Gli aggettivi numerali indicano una quantità o una posizione precisa del nome a cui si riferiscono. Possono essere di tre tipi diversi.
Gli aggettivi numerali cardinali indicano la quantità numerica, per esempio due, dieci, ventidue ecc. Questi aggettivi non concordano nel genere e nel numero con il nome a cui si riferiscono.
- Ho comprato tre mele e quattro arance.
- I piazza sfilarono ventimila persone.
Gli aggettivi numerali ordinali indicano invece la posizione esatta di un elemento in una fila ordinata, per esempio primo, secondo, tredicesimo, centoventesimo, ecc. A differenza degli ordinali, i cardinali concordano nel genere e nel numero con il nome a cui si riferiscono.
- Devi bussare alla terza porta a destra.
- Complimenti, lei è il nostro milionesimo cliente.
Si considerano aggettivi numerali cardinali anche ultimo, penultimo, terzultimo ecc.
- L'ultima stanza è occupata dal dottor Rossi.
Gli aggettivi numerali moltiplicativi indicano quante volte una quantità è più grande di un'altra. Sono esempi doppio, triplo, quadruplo e quintoplo, dopo di che si tente a usare le forme sei volte, sette volte ecc.
- L'acrobata fece un doppio salto mortale.
- Ha comprato una confezione doppia di biscotti.
Aggettivi dimostrativi[modifica]
Gli aggettivi dimostrativi indicano un oggetto mostrandone la posizione nello spazio, e più precisamente la lontananza o la vicinanza rispetto a chi parla e a chi ascolta. Sono tre: questo, codesto, quello. Gli aggettivi dimostrativi, inoltre, non sono mai preceduti dall'articolo.
L'aggettivo questo indica qualcuno o qualcosa che è vicino, nello spazio e nel tempo, a chi parla:
- Dovresti leggere questo libro.
- Questo maglione è mio.
L'aggettivo codesto, oggi poco utilizzato, indica qualcuno o qualcosa che è vicino, nello spazio e nel tempo, a chi ascolta:
- Potresti passarmi codesto libro?
L'aggettivo quello indica indica qualcuno o qualcosa che è lontano, nello spazio e nel tempo, sia dchi parla sia da chi ascolta:
- Dobbiamo prendere quella scala.
- Domani andremo a quel nuovo centro commerciale.
Aggettivi identificativi[modifica]
Gli aggettivi identificativi indicano identità o uguaglianza tra persone o cose. Sono classificabili in questa categoria gli aggettivi stesso e medesimo.
- Io e Marta abbiamo gli stessi amici.
- Hanno solo scarpe del medesimo colore.
Aggettivi indefiniti[modifica]
Gli aggettivi indefiniti indicano una quantità o una qualità del nome, che però non viene precisata ma rimane, appunto, indefinita.
Tra gli aggettivi indefiniti che indicano una quantità ci sono: poco, alquanto, vario, parecchio, tanto, molto, troppo, altrettanto ecc.
- In casa ho troppe scarpe.
- Luca ha sempre avuto pochi amici.
Tra gli aggettivi indefiniti che indicano una totalità ci sono: tutto, nessuno, alcuno.
- Mi piacciono tutti i tuoi disegni.
Tra gli aggettivi indefiniti che indicano una unità ci sono: ogni, qualche, ciascuno, certo, tale, altro.
- Vado a scuola ogni giorno.
Tra gli aggettivi indefiniti che indicano una qualità indeterminata ci sono: qualunque, qualsiasi, qualsivoglia.
- Mi va bene qualsiasi decisione.
Aggettivi interrogativi ed esclamativi[modifica]
Gli aggettivi interrogativi vengono usati nelle domande, dirette o indirette, per chiedere informazioni sul nome a cui si riferiscono. Rientrano in questa categoria: quale, che, quanto.
- Quale colore preferisci?
- Che città hai visitato questa estate?
- Non mi ha mai detto quanti anni ha.
Gli stessi aggettivi possono essere usati anche per introdurre un'esclamazione. In questo caso si parla di aggettivi esclamativi.
- Quale stupidaggine mi tocca sentire!
- Che bel disegno!
- Quanti soldi ha speso Bruno!
- Comprendere le funzioni del pronome
- Conoscere le diverse tipologie di pronome
- Comprendere la differenza tra aggettivo e pronome
Funzioni del pronome[modifica]
I pronomi possono svolgere
- una funzione sostitutiva, quando sono usati per sostituire un elemento che è già presente nella frase (È un bel film, lo consiglio a tutti);
- una funzione designativa, quando sostituiscono un elemento che non è esplicitato dalla frase, ma che fa parte della situazione (Tu non sei stato corretto).
In base al significato si possono distinguere: pronomi personali, pronomi possessivi, pronomi dimostrativi, pronomi interrogativi ed esclamativi, pronomi relativi, pronomi indefiniti.
I pronomi possessivi, dimostrativi, indefiniti, interrogativi ed esclamativi possono essere confusi con degli aggettivi. Per distinguerli basta prestare attenzione: se accompagnano un nome sono aggettivi, se invece sono isolati sostituiscono un nome. Ecco un esempio con un aggettivo e un pronome possessivo:
- Sei venuto fin qui con la tua bicicletta. (tua è aggettivo perché si riferisce a bicicletta)
- Questa bicicletta è di Marco, mentre la tua è dietro casa. (tua è pronome perché sostituisce il nome bicicletta)
Pronomi personali[modifica]
I pronomi personali indicano le persone che partecipano alla comunicazione, senza però specificare il nome. Le persone sono tre:
- la prima persona, ovvero colui o colei che parla;
- la seconda persona, ovvero colui o colei a cui si parla;
- la terza persona, ovvero la persona o le persone di cui si parla.
La seguente tabella elenca tutti i pronomi personali, che possono essere distinti tra pronomi personali soggetto e pronomi personali complemento.
Persone | Pronomi personali soggetto | Pronomi personali complemento | ||
---|---|---|---|---|
Forma forte | Forma debole | |||
I persona singolare | io | me | mi | |
II persona singolare | tu | te | ti | |
III persona singolare |
maschile | egli (lui), esso | lui, sé, ciò | lo, gli, ne, si |
femminile | ella (lei), essa | lei, sé | la, le, ne, si | |
I persona plurale | noi | noi | ci | |
II persona plurale | voi | voi | vi | |
III persona plurale |
maschile | essi (loro) | loro, sé | li, ne, si |
femminile | esse (loro) | loro, sé | le, ne, si |
Pronomi personali soggetto[modifica]
I pronomi personali soggetto svolgono la funzione di soggetto di un verbo. Per esempio:
- Tu sei sempre distratto, non ascolti mai!
- Che cosa fate voi stasera?
In italiano il loro uso è però limitato, dal momento che è possibile capire la persona dalla desinenza del verbo, e di conseguenza il soggetto può restare sottinteso. Per esempio:
- Leggo sempre la sera prima di addormentarmi. (il soggetto è io, ma è facilmente intuibile dal verbo leggo)
Il pronome personale soggetto egli si usa per riferirsi a una persona di genere maschile, ma è poco usato nella lingua parlata e sempre più spesso è sostituito da lui:
- Sono andato a casa di Paolo, ma egli non era in casa.
- Sono andato a casa di Paolo, ma lui non era in casa.
In modo simile, il pronome personale soggetto ella si usa per riferirsi a una persona di genere femminile, ma è sempre meno utilizzato e spesso è sostituito da lei:
- Ho raccontato tutto a Rebecca, ma ella non ha creduto a una sola parola.
- Ho raccontato tutto a Rebecca, ma lei non ha creduto a una sola parola.
I pronomi personali soggetto esso e essa si usano invece per riferirsi a una cosa o a un animale:
- Fece pulire il camino, da anni esso non veniva pulito.
- Ho cambiato automobile, essa era ormai inutilizzabile.
I pronomi personali soggetto essi e esse, utilizzati sia per persone sia per animali sia per cose, sono spesso sostituiti da loro:
- È inutile che insisti: essi non verranno.
- È inutile che insisti: loro non verranno.
Pronomi personali complemento[modifica]
I pronomi personali complemento possono svolgere la funzione di complemento oggetto, complemento di termine o di altri complementi indiretti. Possono essere distinti in
- forme forti o toniche, fornite di un loro accento: me, te, lui, lei, noi, voi, loro;
- forme deboli o atone, dette anche particelle pronominali, che non hanno un accento ma devono appoggiarsi al verbo: mi, ti, lo, la, gli, le, ci, vi, li, le.
La differenza sarà più chiara con un esempio:
- Hanno deciso di eleggere te presidente. (forma forte)
- Hanno deciso di eleggerti presidente. (forma debole)
La forma debole può essere usata quando il pronome svolge la funzione di complemento oggetto (come nell'esempio) o complemento di termine.
- A lui hanno suggerito di stare a casa. (forma forte)
- Gli hanno suggerito di stare a casa. (forma debole)
La forma forte è obbligatoria quando il pronome è usato in un complemento indiretto preceduto da una preposizione:
- Voglio venire con te.
Pronomi personali riflessivi[modifica]
Si dice che un verbo è alla forma riflessiva quando l'azione si riflette sul soggetto. Per esempio, nella frase
- Tu ti lavi.
l'azione del verbo lavare viene svolta dal soggetto su se stesso. Il pronome ti è in questo caso un pronome personale riflessivo.
Per la prima e seconda persona, singolare e plurale, si usano le forme deboli mi, ti, ci, vi. Per esempio:
- Voi vi lavate
Per la terza persona, sia al maschile sia al femminile, singolare e plurale, si usa il pronome si:
- Egli si lava.
- Esse si lavano.
Pronomi possessivi[modifica]
I pronomi possessivi sostituiscono un nome indicandone al tempo stesso il possessore. Per esempio:
- La mia bicicletta è rossa, la tua blu.
Le forme dei pronomi possessivi e quelle degli aggettivi possessivi coincidono. Vale quindi la regola già ricordata: se accompagnano un nome sono aggettivi, se lo sostituiscono sono pronomi. Nella frase precedente, mia accompagna bicicletta, e quindi è un aggettivo; tua invece sostituisce bicicletta, in modo da non ripetere due volte la stessa parola, precisando però che ci si riferisce alla tua bicicletta.
Pronomi dimostrativi e identificativi[modifica]
I pronomi dimostrativi sostituiscono un nome, specificando l'identità o la posizione.
Tre pronomi dimostrativi corrispondono, nella forma, agli aggettivi dimostrativi questo, codesto, quello. Per esempio:
- Quella (aggettivo) pianta è fiorita, mentre questa (pronome) è seccata.
Ci sono poi altre forme che possono essere solo pronomi:
- questi indica una persona singolare maschile, vicina nello spazio e nel tempo a chi parla, e si usa solo con funzione di soggetto;
- quegli indica una persona singolare maschile, lontana nello spazio e nel tempo a chi parla, e anch'essa si usa solo con funzione di soggetto;
- costui, costei, costoro indicano persone, solitamente con un'accezione dispregiativa;
- colui, colei, coloro si usano per lo più in correlazione con che per indicare persone (colui che, colei che, coloro che);
- ciò è una forma invariabile che indica una o più cose vicine a chi parla, e corrisponde a espressioni come questa cosa, queste cose.
I pronomi identificativi stesso e medesimo corrispondono nella forma agli aggettivi identificativi, e sostituiscono un nome indicando identità.
- Sei sempre lo stesso, non cambi mai.
Pronomi indefiniti[modifica]
I pronomi indefiniti sostituiscono un nome indicandone alcune qualità in modo generico.
Alcuni pronomi indefiniti hanno forme che coincidono con quelle degli aggettivi indefiniti, come: poco, tanto, parecchio, troppo, tutto, nessuno, altro, tale ecc.
- In piazza non c'era nessuno spettatore. (aggettivo dimostrativo)
- In piazza non c'era nessuno. (pronome dimostrativo)
Altre parole, invece, possono svolgere solo la funzione di pronome, come: uno/una, qualcuno/qualcuna, ognuno/ognuna, chiunque, altri, qualcosa, checché, alcunché, niente, nulla.
- Chiunque ha il diritto di dire la propria opinione.
Pronomi interrogativi ed esclamativi[modifica]
I pronomi interrogativi introducono una domanda, diretta o indiretta. Sono quattro: chi?, che?, quale?, quanto?
- Quanto costa?
- Chi te lo ha detto?
Se usati per introdurre un'esclamazione, i pronomi interrogativi possono essere usati come pronomi esclamativi.
- Quanti amici intorno a me!
Pronomi relativi[modifica]
I pronomi relativi sostituiscono un nome creando una relazione tra due frasi. Nell'esempio:
- Sono andato da Maria, che è a casa ammalata.
il pronome relativo che si riferisce a Maria, che a sua volta è soggetto della frase successiva. In questo modo, il pronome evita una ripetizione e collega le due frasi (la seconda è subordinata alla prima).
Il più usato pronome relativo è che, un pronome invariabile che segue il nome a cui si riferisce e può essere usato solo come soggetto o complemento oggetto. Per esempio:
- L'amico che (complemento oggetto) ho incontrato oggi è stato per tre anni in Cile.
- Ti presenteremo Stefano, che (soggetto) ha trascorso tre anni in Cile.
Il pronome relativo più facile da riconoscere è invece il quale / la quale / i quali / le quali. È un pronome variabile nel genere e nel numero, e viene usato come soggetto (al posto di che) o come complemento indiretto.
- Incontrai Giorgia, la quale mi disse che Maria era malata.
- Non conosco il ragazzo del quale parlavate ieri
Il pronome cui è invariabile, è solitamente preceduto da una preposizione e svolge la funzione di complemento indiretto.
- Questo è l'amico di cui parlavamo ieri.
Pronomi misti[modifica]
Si dicono misti o doppi i pronomi che nascono dalla fusione di due pronomi diversi, in genere un pronome dimostrativo o indefinito con uno relativo. Rientrano in questa classificazione:
- chi, corrispondente a colui che, colei che ecc. (Chi ha qualcosa da dire, alzi la mano);
- chiunque, corrispondente a qualunque che, ognuno che ecc. (Chiunque superi il limite di velocità sarà multato);
- quanto, corrispondente a ciò che (Quanto mi dici non mi risulta);
- quanti e quante, corrispondente a tutti quelli che, tutte quelle che (Invierò una lettera a quanti ne hanno fatto richiesta).
Funzioni[modifica]
La funzione principale del verbo è dunque quella di predicare, cioè esprimono qualcosa a proposito di qualcos'altro. I verbi possono quindi essere usati per descrivere azioni compiute dal soggetto,
- Mario corre.
o per indicare una proprietà del soggetto,
- Lo specchio riflette.
o ancora per istituire una relazione tra due elementi.
- Il sole illumina la stanza.
Persona e numero[modifica]
La maggior parte delle forme verbali indica in modo chiaro la persona e il numero del soggetto a cui si riferisce. Queste sono infatti riconoscibili dalle desinenze che si uniscono alla radice del verbo.
Le persone in particolare possono essere tre, ciascuna delle quali può essere singolare o plurale, come riportato nella tabella.
Persona | Singolare | Plurale |
---|---|---|
I persona: il soggetto è il parlante | io | noi |
II persona: il soggetto è il destinatario del messaggio | tu | voi |
III persona: il soggetto è l'argomento del messaggio | egli, ella, esso, essa | essi, esse |
Il modo[modifica]
I modi verbali sono gruppi di forme delle coniugazioni verbali e possono cambiare in base al punto di vista del parlante, seguendo le sue sensazioni, emozioni, stati d'animo ecc. Ciascun modo è caratterizzato da precise variazioni della desinenza. Nella lingua italiana si distinguono sette modi verbali, riuniti in due gruppi: modi finiti e modi intefiniti.
Modi finiti[modifica]
I modi finiti sono così detti perché indicano sempre chi è il soggetto a cui si riferiscono.
L'indicativo è il modo della certezza.
Il congiuntivo è il modo del dubbio, e si usa per esprimere un'opinione, una speranza, una paura, un'ipotesi o una richiesta.
Il condizionale indica una possibilità che si può realizzare a condizione che ne avvenga un'altra.
L'imperativo è il modo che si usa per gli ordini, i suggerimenti e gli inviti.
Modi indefiniti[modifica]
I modi indefiniti, al contrario di quelli finiti, non danno nessuna indicazione a proposito del soggetto a cui si riferiscono.
L'infinito esprime il significato semplice del verbo, la semplice azione.
Il participio esprime il significato del verbo come una qualità del nome.
Il gerundio esprime il significato del verbo relazionandolo con l'informazione di un altro verbo di modo finito.
Il tempo[modifica]
Il tempo definisce il momento in cui avviene un'azione. Come per i modi, anche ciascun tempo è caratterizzato da particolari desinenze. In particolare, si possono individuare tre tempi fondamentali o assoluti:
- il presente esprime contemporaneità, cioè l'azione avviene nello stesso momento in cui si parla;
- il passato esprime anteriorità, cioè l'azione è avvenuta in un momento precedente a quello in cui si sta parlando;
- il futuro esprime posteriorità, cioè l'azione non è ancora avvenuta ma si verificherà in un momento successivo rispetto a quello in cui si sta parlando.
Ciascuno dei tempi fondamentali si articola in vari tempi, con i quali è possibile esprimere diverse situazioni e diversi rapporti tra le azioni di cui si sta parlando.
In base alla forma, i tempi possono poi essere distinti in
- tempi semplici, quando il verbo è composto da una sola parola;
- tempi composti, quando il verbo è composto da più di una parola, e più precisamente dal verbo ausiliare essere o avere seguito da un participio passato del verbo.
La tabella qui sotto riassume i diversi modi e tempi dei verbi.
Modi | Tempi | ||
---|---|---|---|
Semplici | Composti | ||
Finiti | Indicativo | Presente | Passato prossimo |
Imperfetto | Trapassato prossimo | ||
Passato remoto | Trapassato remoto | ||
Futuro | Futuro anteriore | ||
Congiuntivo | Presente | Passato | |
Imperfetto | Trapassato | ||
Condizionale | Presente | Passato | |
Imperativo | Presente | ||
Indefiniti | Infinito | Presente | Passato |
Participio | Presente | Passato | |
Gerundio | Presente | Passato |
L'aspetto[modifica]
Oltre al tempo e al modo, il verbo fornisce anche altre informazioni, come la durata dell'azione, se è in corso o se si è conclusa o ancora se sta per svolgersi, in che modo si svolge. Queste informazioni costituiscono l'aspetto del verbo,[1] e nella lingua italiana sono espessi solo da due tempi verbali:
- l'indicativo imperfetto esprime l'aspetto durativo dell'azione (correva sotto la pioggia)
- il passato remoto esprime l'aspetto momentaneo dell'azione (corse sotto la pioggia)
Verbi come cercare, giacere, guardare sono detti verbi durativi perché già nel loro significato esprimono un evento che si svolge nell'arco di un periodo.
Verbi come trovare, cadere, sorgere sono invece verbi momentanei perché esprimono un evento che avviene in un momento esatto del tempo.
Genere del verbo[modifica]
Il genere esprime il modo in cui il verbo realizza i rapporti tra il soggetto e gli altri elementi della frase. In base al genere un verbo può essere transitivo o intransitivo.
Nei verbi transitivi l'azione passa direttamente dal soggetto a una persona, animale o cosa. Per esempio:
- Mario mangia una mela. (l'azione mangia passa direttamente dal soggetto Mario all'oggetto una mela)
In altre parole, il verbo transitivo regge il complemento oggetto. Sono esempi di verbi transitivi: scrivere, prendere, visitare, bere, comprare ecc.
Nei verbi intransitivi l'azione si esaurisce nel soggetto e non passa direttamente a una persona, cosa o animale, ma al massimo può trovare completamento in un complemento indiretto. Per esempio:
- Mario è andato dal fruttivendolo.
Forma del verbo[modifica]
Per forma o diatesi del verbo si intende il ruolo che il verbo attribuisce al soggetto. Si parla in questo caso di
- forma attiva se il soggetto svolge l'azione (Mario mangia);
- forma passiva se il soggetto subisce l'azione (La mela è mangiata);
- forma riflessiva se l'azione si riflette sul soggetto, cioè il soggetto compie e subisce l'azione nello stesso tempo (Mario si lava = Mario lava se stesso).
La forma passiva è propria dei soli verbi transitivi, e si forma usando l'ausiliare essere. Per trasformare una frase dalla forma attiva alla passiva, l'oggetto deve diventare soggetto, mentre il soggetto diventa complemento d'agente o di causa efficiente. Ecco un esempio:
- Il meccanico ripara il motore. (forma attiva)
- Il motore è riparato dal meccanico. (forma passiva)
È inoltre possibile formare la forma passiva con
- verbo viene + participio passato, ma solo per i tempi semplici (Il motore viene riparato dal meccanico);
- verbo andare / stare / restare / finire + participio passato, ma anche qui solo per i tempi semplici (L'uomo finì ricoverato in ospedale);
- con la particella si (si sentì una voce = una voce fu sentita)
La forma riflessiva è invece composta dalla particella si + verbo alla forma attiva. Si suddivide a sua volta in una forma riflessiva propria, quando l'azione si riflette sul soggetto e quindi la particella si ha la funzione di complemento oggetto:
- Sonia si lava
una forma riflessiva apparente quando la particella si non svolge la funzione di complemento oggetto ma di complemento di termine:
- Sonia si lava i capelli (= Sonia lava i capelli a se stessa)
una forma riflessiva reciproca quando ci sono due soggetti che compiono una stessa azione l'uno verso l'altro:
- Il cane e il gatto si azzuffano
Verbi impersonali[modifica]
Sono impersonali quei verbi alla terza persona singolare che esprimono un'azione che non può essere attribuita a un determinato soggetto. Un tipico esempio di verbi impersonali sono quelli che esprimono fenomeni meteorologici, come:
- nevica, piove, tuona, grandina
Vengono poi usati in forma impersonale
- i verbi e le locuzioni verbali che esprimono una necessità, una convenienza o un'apparenza, preceduti dalla particella si (mi sembra, bisogna, si deve, è necessario, è importante ecc.);
- i verbi credere, pensare, dire ecc. preceduti dalla particella si e seguiti dalla congiunzione che (si pensa, si crede ecc.).
Qualsiasi verbo può inoltre avere un'impressione impersonale, quando preceduto dalla particella si (si muore, si parte, si mangia ecc.)
Verbi di servizio[modifica]
I verbi di servizio, oltre ad avere un proprio significato autonomo, si uniscono ad altri verbi per formare un unico gruppo sintattico.
Verbi ausiliari[modifica]
I più importanti verbi di servizio sono i verbi ausiliari, che aiutano a formare le voci dei tempi composti degli altri verbi. Nella lingua italiana ce ne sono due: avere e essere.
L'ausiliare avere si usa per:
- formare i tempi composti di tutti i verbi transitivi (io ho mangiato),
- formare i tempi composti di alcuni verbi intransitivi (io ho dormito).
L'ausiliare essere si usa per:
- formare il passivo di tutti i verbi transitivi (è stato mangiato),
- formare i tempi composto della maggior parte dei verbi intransitivi (tu sei andato),
- formare i tempi composti dei verbi riflessivi (si è lavato),
- formare i tempi composti dei verbi impersonali (è nevicato, si è detto)
Verbi servili[modifica]
I verbi servili accompagnano un verbo all'infinito per arricchirne il significato. Nella lingua italiana sono tre:
- il verbo dovere, che esprime una necessità o un dovere (devi tornare, devono studiare);
- il verbo potere, che esprime una possibilità (puoi andare, puoi dormire);
- il verbo volere, che esprime una intenzione o una volontà (voglio partire, vuole cantare).
I verbi servili formano un unico predicato con il verbo all'infinito che precedono.
Verbi fraseologici[modifica]
I verbi fraseologici sono verbi che si uniscono ad altri verbi all'infinito, mediante l'uso delle preposizioni a, di, per, da, in modo da fornire precisazioni di carattere temporale o aspettuale. Possono indicare
- un'azione che comincia (inizia a piovere),
- un'azione che sta per comincia (stavamo per mangiare),
- un'azione che dura nel tempo (stanno leggendo),
- un'azione che prosegue (continua a parlare),
- un'azione che termina (ho smesso di fumare).
Le coniugazioni[modifica]
Si dice coniugazione l'insieme delle varie forme che un verbo può avere, in base al modo, al tempo e all'aspetto. Il verbo è composto da due parti:
- la radice, la parte invariabile che trasmette il significato del verbo,
- e la desinenza, la parte variabile che si modifica in base alla persona, al numero, al modo e al tempo.
Le tre coniugazioni[modifica]
Nella lingua italiana ci sono tre coniugazioni.
- la prima coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -are (vedi la tavola della prima coniugazione)
- la seconda coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -ere (vedi la tavola della seconda coniugazione)
- la terza coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -ire (vedi la tavola della terza coniugazione)
La maggior parte dei verbi formano le voci verbali unendo alla radice le desinenze della propria coniugazione. In questo caso di parla di verbi regolari.
Esistono però anche verbi irregolari, cioè dei verbi che presentano delle forme verbali differenti rispetto al modello dato per ciascuna coniugazione. Per un elenco dei principali verbi irregolari della lingua italiana, si veda questa voce di Wikipedia: Verbi irregolari italiani.
Essere e avere[modifica]
I verbi ausiliari essere e avere hanno una coniugazione propria, completamente diversa dalle altre. A questo proposito si vedano le tavole per la
La coniugazione della diatesi passiva e riflessiva[modifica]
Nella coniugazione passiva le forme verbali dei verbi transitivi hanno come ausiliare essere. La loro coniugazione segue quindi la coniugazione del verbo essere seguita dal participio passato del verbo. Per un esempio si veda la tavola della coniugazione passiva.
Nella diatesi riflessiva, invece, le forme verbali sono accompagnate dalle particelle pronominali mi, ti, ci, vi, si. Si veda a questo proposito la tavola della coniugazione riflessiva.
Verbi sovrabbondanti e difettivi[modifica]
Si dicono sovrabbondanti i verbi che appartengono a due diverse coniugazioni, come ad esempio: starnutire / starnutare, adempiere / adempire, dimagrire / dimagrare ecc.
Si dicono difettivi i verbi che mancano di alcune forme verbali, che sono ormai cadute in disuso. Ne sono esempi: vigere, incombere, ostare, vertere ecc.
Note[modifica]
- ↑ Aspetto verbale, in La grammatica italiana, 2012. URL consultato il 15 dicembre 2019.
L'indicativo è il modo della certezza. È composto da otto tempi, quattro semplici e quattro composti:
TEMPI SEMPLICI | TEMPI COMPOSTI |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
Passato remoto | Trapassato remoto |
Futuro semplice | Futuro anteriore |
Presente[modifica]
Indica un'azione che si sta svolgendo nel momento in cui si parla. Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al presente:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Am-o | Tem-o | Part-o |
2 sing. | Tu | Am-i | Tem-i | Part-i |
3 sing. | Egli | Am-a | Tem-e | Part-e |
1 plur | Noi | Am-iamo | Tem-iamo | Part-iamo |
2 plur. | Voi | Am-ate | Tem-ete | Part-ite |
3 plur | Essi | Am-ano | Tem-ono | Part-ono |
Imperfetto[modifica]
Indica un'azione che perdura nel passato (es:Marco giocava a calcio) : l'azione di giocare a calcio si è protratta nel tempo. Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati all'imperfetto indicativo:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Am-a-vo | Tem-e-vo | Part-i-vo |
2 sing. | Tu | Am-a-vi | Tem-e-vi | Part-i-vi |
3 sing. | Egli | Am-a-va | Tem-e-va | Part-i-va |
1 plur | Noi | Am-a-vamo | Tem-e-vamo | Part-i-vamo |
2 plur. | Voi | Am-a-vate | Tem-e-vate | Part-i-vate |
3 plur | Essi | Am-a-vano | Tem-e-vano | Part-i-vano |
Passato remoto[modifica]
Indica un'azione terminata in un lontano passato e che non ha conseguenze sul presente. È poco usato nel Nord Italia per influenze dialettali. Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al passato remoto:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Am-a-i | Tem-e-i (ma anche tem-e-tti) | Part-i-i |
2 sing. | Tu | Am-a-sti | Tem-e-sti | Part-i-sti |
3 sing. | Egli | Am-ò | Tem-e-tte | Part-ì |
1 plur | Noi | Am-a-mmo | Tem-e-mmo | Part-i-mmo |
2 plur. | Voi | Am-a-aste | Tem-e-ste | Part-i-ste |
3 plur | Essi | Am-a-rono | Tem-e-ttero | Part-i-rono |
Futuro semplice[modifica]
Indica semplicemente un'azione che avverrà in futuro. È usato anche per esprimere ipotesi: "Dove va Giuseppe?" "Andrà al supermercato..." (ma si può anche usare il futuro anteriore, quindi: "Starà andando al supermercato..."). Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al futuro semplice:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Am-e-rò | Tem-e-rò | Part-i-rò |
2 sing. | Tu | Am-e-rai | Tem-e-rai | Part-i-rai |
3 sing. | Egli | Am-e-rà | Tem-e-rà | Part-i-rà |
1 plur | Noi | Am-e-remo | Tem-e-remo | Part-i-remo |
2 plur. | Voi | Am-e-rete | Tem-e-rete | Part-i-rete |
3 plur | Essi | Am-e-ranno | Tem-e-ranno | Part-i-ranno |
Passato prossimo[modifica]
Indica un'azione svoltasi in un passato piuttosto vicino al presente. È praticamente inutilizzato nel Sud Italia per motivi dialettali. Nel caso dei verbi transitivi (verbi seguiti da complemento oggetto) si forma nel seguente modo: ind.pers. di avere + part.pass. del verbo coniugato. Nel caso, invece, di verbi intransitivi,(verbi non seguiti da complemento oggetto) l'ausiliare avere viene sostituito dal verbo essere. Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al passato prossimo:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Ho amato | Ho temuto | Sono partito |
2 sing. | Tu | Hai amato | Hai temuto | Sei partito |
3 sing. | Egli | Ha amato | Ha temuto | È partito |
1 plur | Noi | Abbiamo amato | Abbiamo temuto | Siamo partiti |
2 plur. | Voi | Avete amato | Avete temuto | Siete partiti |
3 plur | Essi | Hanno amato | Hanno temuto | Sono partiti |
Trapassato prossimo[modifica]
Ha la stessa funzione del passato prossimo ed esprime un'azione svoltasi prima di un qualunque tempo passato, infatti viene usato nelle subordinate: "Quando ero un bambino (proposizione principale), ero andato in vacanza in montagna (proposizione subordinata)". Con i verbi transitivi si forma così: imperf.ind. di avere + part. pass. del verbo coniugato. Nel caso, invece, di verbi intransitivi, l'ausiliare avere viene sostituito dal verbo essere (sempre coniugato all'imperfetto indicativo). Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al trapassato prossimo:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Avevo amato | Avevo temuto | Ero partito |
2 sing. | Tu | Avevi amato | Avevi temuto | Eri partito |
3 sing. | Egli | Aveva amato | Aveva temuto | Era partito |
1 plur | Noi | Avevamo amato | Avevamo temuto | Eravamo partiti |
2 plur. | Voi | Avevate amato | Avevate temuto | Eravate partiti |
3 plur | Essi | Avevano amato | Avevano temuto | Erano partiti |
Trapassato remoto[modifica]
Ha la stessa funzione del passato remoto ed esprime un'azione svoltasi prima di un qualunque tempo passato, infatti viene usato nelle subordinate. "Starà andando al supermercato..." In italiano però questo tempo non è quasi mai usato e viene sostituito dal trapassato prossimo. Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al trapassato remoto:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Ebbi amato | Ebbi temuto | Fui partito |
2 sing. | Tu | Avesti amato | Avesti temuto | Fosti partito |
3 sing. | Egli | Ebbe amato | Ebbe temuto | Fu partito |
1 plur | Noi | Avemmo amato | Avemmo temuto | Fummo partiti |
2 plur. | Voi | Aveste amato | Aveste temuto | Foste partiti |
3 plur | Essi | Ebbero amato | Ebbero temuto | Furono partiti |
Futuro anteriore[modifica]
Viene usato sia nelle subordinate in dipendenza da una principale con il futuro semplice ( "Quando ci cercherai noi saremo già partiti") sia per esprimere ipotesi: "Sarà andato al supermercato...". Con i verbi transitivi si forma così: futuro di avere + part. pass. del verbo coniugato. Nel caso, invece, di verbi intransitivi, l'ausiliare avere viene sostituito dal verbo essere (sempre coniugato al futuro). Di seguito tre verbi regolari (amare, temere, partire) coniugati al futuro anteriore:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Avrò amato | Avrò temuto | Sarò partito |
2 sing. | Tu | Avrai amato | Avrai temuto | Sarai partito |
3 sing. | Egli | Avrà amato | Avrà temuto | Sarà partito |
1 plur | Noi | Avremo amato | Avremo temuto | Saremo partiti |
2 plur. | Voi | Avrete amato | Avrete temuto | Sarete partiti |
3 plur | Essi | Avranno amato | Avranno temuto | Saranno partiti |
Già il nome – imperfetto – segnala l’aspetto più tipico di questo tempo verbale: “Imperfectum” significava in latino “non compiuto” e infatti anche l’imperfetto italiano esprime un’azione nel passato “non conclusa”, o meglio, un’azione passata nella quale le coordinate temporali (inizio-fine) restano incompiute, cioè inespresse, perché ritenute dal parlante non essenziali per il messaggio.
Si veda il seguente esempio:
- Mio fratello Pietro nuotava vicino alla riva.
Il verbo all’imperfetto mette a fuoco solo l’azione del nuotare in un momento imprecisato del passato, ma non veicola nessun tipo di informazione che permetta di dedurre l’inizio o la fine di questa nuotata. Nell’esempio proposto il ricorso all’imperfetto libera, per così dire, l’azione del nuotare dalla referenza alle normali coordinate temporali, la dilata all’infinito, lasciando in primo piano solo un ragazzo che nuota, nuota, nuota in un momento rimasto indefinito.
Formulando la frase con il passato prossimo o con il passato remoto, si ottiene un effetto molto diverso:
- Mio fratello Pietro ha nuotato/nuotò vicino alla riva.
In questo caso il tempo verbale non si limita a mettere a fuoco l’azione del nuotare in un momento del passato più o meno vicino, più o meno attuale per il parlante, ma veicola contemporaneamente l’informazione che ci fu un inizio ed una fine, un “prima” ed un “dopo” a questa nuotata. Il ricorso al passato prossimo o al passato remoto mette in prima piano l’azione del nuotare, ma allo stesso tempo la ancora saldamente ad un sistema temporale rigoroso. Se lo volesse, il parlante potrebbe inserire altre informazioni nella frase (per esempio che Pietro nuotò per tre ore ha nuotato fino alle dieci ecc.), ma ciò non sarebbe niente altro che un’aggiunta e una precisazione di qualcosa che c’è già, cioè della consapevolezza, espressa attraverso la scelta del passato prossimo (o del passato remoto), che il tempo in cui si muove Pietro è un tempo chiaramente definito, fatto di sequenze ordinate su un asse temporale.
Il “disinteresse” tipico dell’imperfetto per la definizione precisa del momento in cui si svolge l’azione è il motivo conduttore che unifica le varie sfumature e i diversi campi di applicazione di questo tempo verbale. In linea generale, si ricorre all’imperfetto per tutte quelle situazioni in cui non è importante o non si vogliono definire le coordinate temporali di un’azione nel passato. In particolare si distinguono vari tipi di imperfetto:
Imperfetto descrittivo[modifica]
Per le sue caratteristiche l’imperfetto è il tempo verbale che meglio permette di concentrare l’attenzione dell’ascoltatore lettore sull’oggetto da descrivere, senza distrarlo con informazioni relative alla sfera temporale e dunque estranee all’oggetto stesso. Perciò l’imperfetto è il tempo tipico delle descrizioni:
- Era una notte buia e tempestosa, soffiava il vento e da lontano si avvertiva brontolare il tuono.
- Era una ragazza sui vent’anni con una figura sottile stretta in un cappotto scuro; portava i capelli sciolti e mi veniva incontro con l’aria distratta di chi è immerso in altri pensieri.
Imperfetto iterativo[modifica]
È l’imperfetto che si usa per indicare il ripetersi di un’azione, come fatto occasionale o dovuto ad un’abitudine; spesso lo si trova accompagnato da un avverbio o da un’espressione temporale:
- Il gatto, irrequieto, andava e veniva dalla cucina al salotto e quando mi passava davanti, mi rivolgeva dei lunghi miagolii accusatori.
- Ogni mattina scendevamo al bar sotto casa per fare colazione. Ordinavamo sempre lo stesso, un macchiato tiepido ed un cornetto, che mangiavamo in piedi, leggendo il giornale.
Talvolta l’imperfetto serve per esprimere il ripetersi di un’azione ad intervalli regolari così ravvicinati, che l’azione alla fine risulta essere duratura ed ininterrotta:
- Era da due mesi che la squadra locale non vinceva una partita.
Imperfetto onirico e ludico[modifica]
Proprio perché lascia inespresse le coordinate del tempo reale, l’imperfetto si rivela il tempo verbale più adatto per esprimere situazioni, come il sogno ed il gioco, fuori del tempo oggettivo e reale.
Si usa dunque l’imperfetto per raccontare un sogno:
- Ho sognato che eravamo in una casa in campagna, dove abitava una donna anziana in compagnia di un cane.
- Noi suonavamo alla porta, ma lei da dentro ci gridava di andarcene, perché tanto lei non apriva a nessuno.
E all’imperfetto ricorrono anche i bambini, quando organizzano un gioco:
- Facciamo che io ero un cacciatore e tu eri una lepre, io cercavo di sparare, ma tu trovavi una buca e ti nascondevi, così io non ti vedevo più.
Imperfetto narrativo[modifica]
È una forma di imperfetto, usato soprattutto nel linguaggio giornalistico, che ha avuto una larga diffusione fra Ottocento e Novecento. Si veda il seguente esempio:
- Il pensionato osservava dei movimenti sospetti nelle vicinanze della boutique, allertava la polizia che sorprendeva R.F., mentre tentava di forzare la saracinesca del negozio.
La funzione dell’imperfetto, qui, corrisponde in realtà a quella svolta da un passato prossimo o da un passato remoto, dal momento che si tratta di dar voce a una serie di azioni successive e cronologicamente ben identificabili. Ma l’uso dell’imperfetto serve in questo caso a drammatizzare la narrazione, dilatando la durata delle azioni davanti all’occhio del lettore-spettatore.
Si ricorre a questo tipo di imperfetto anche per descrivere una serie di eventi all’interno di una scrittura formale, come può essere, ad esempio, un rapporto della polizia teso a ricostruire la dinamica di un incidente o una denuncia di sinistro per l’assicurazione:
- L’incidente si verificava alle ore 11.15 del giorno 21 maggio. La signora B.Z., domiciliata in Via Rossetti, si trovava a Trieste, all’incrocio fra Corso Italia e Via Imbriani, alla guida del veicolo targato VE 492800. Al momento di svoltare in Via Imbriani, il signor C.M., che conduceva il veicolo targato BE 2895 la superava senza preavviso da destra, costringendola a sterzare bruscamente per evitare lo scontro. Durante questa manovra la signora B.Z. sfiorava un motorino regolarmente posteggiato, provocandone la rottura dello specchietto laterale.
Come si è detto, l’uso dell’imperfetto narrativo è limitato per lo più al linguaggio giornalistico, ma lo si può trovare anche nelle narrazioni, specie di carattere storico, cui conferisce un valore leggermente più enfatico del presente storico:
- Il trattato di Chaumont, firmato da Inghilterra, Russia, Austria e Prussia nel marzo del 1814, sanciva l’impegno delle potenze a conservare per vent’anni gli accordi che sarebbero usciti dai trattati di pace. La Quadruplice Alleanza (novembre 1815) riconfermava questo impegno. (da Gaeta, Villani, Petraccone, Storia contemporanea, Principato, 1993)
Imperfetto desiderativo[modifica]
È un imperfetto con valore di presente, al quale si ricorre per smorzare in modo garbato la perentorietà di una richiesta.
- Signora, cercavo il catalogo della mostra sui Maya (= cerco il catalogo...).
- Buongiorno, Signora. Che cosa desiderava? (= che cosa desidera?)
Talvolta è possibile ottenere lo stesso effetto ricorrendo, invece che all’imperfetto, al condizionale presente con valore desiderativo:
- Volevo chiederti un favore Vorrei chiederti un favore
(= voglio chiederti un favore).
Imperfetto conativo[modifica]
Questo tipo di imperfetto esprime fatti del passato, ancora in una fase di progettazione:
- Pensavo di uscire verso le cinque.
- Filippo voleva andare in vacanza a Cuba con la sua ragazza.
Visto il carattere di aspettualità dell’imperfetto, cioè il suo non definire i confini temporali dell’azione, resta aperto il dubbio se poi le azioni espresse dall’imperfetto abbiano avuto luogo o no. Solo ulteriori informazioni aggiunte alle frasi (per esempio: “Pensavo di uscire verso le cinque, poi ha chiamato Elisa e abbiamo deciso di incontrarci in città”; “Filippo voleva andare in vacanza a Cuba con la sua ragazza, ma in luglio si sono lasciati e allora lui ha deciso di andare in Sardegna”) potrebbero permettere di capire con sicurezza che cos’è poi realmente accaduto.
Per le sue caratteristiche l’imperfetto può anche esprimere il rischio di accadimento di un’azione:
- Per poco non lo investivo.
- Ancora dieci minuti di lezione e mi addormentavo sul banco.
In questi casi l’azione non ha avuto luogo, ma l’uso dell’imperfetto, dilatandola, amplifica la sensazione di rischio imminente comunicato dalla frase.
Imperfetto irreale[modifica]
Nelle ipotetiche dell’irrealtà possono comparire nella lingua parlata due indicativi imperfetti al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato:
- Se finivo il lavoro, te lo dicevo (= Se avessi finito il lavoro, te l’avrei detto.)
Tale forma viene tollerata in quanto errore comune nel parlato quotidiano, è quindi fortemente sconsigliata.
Anche il passato remoto descrive un’azione conclusa avvenuta nel passato, o, per meglio dire, un’azione del passato che il parlante avverte come conclusa. Come già segnalato dallo stesso nome (remoto = lontanissimo nel tempo), si ricorre a questo tempo verbale per esprimere fatti avvenuti molto tempo addietro:
- Nel 1988 Marina finì l’Università e poco dopo iniziò a lavorare.
Si ricordi che, a differenza del passato prossimo, il passato remoto è un tempo
- che esprime sempre un fatto avvenuto nel passato rispetto a chi parla (mentre si è visto che almeno in
un contesto informale il passato prossimo può riferirsi al presente futuro); - che serve per esprimere un passato privo di attualità psicologica per il parlante.
Si veda al proposito il seguente esempio:
- Il 18 aprile 1993 i cittadini italiani approvarono il referendum che introduceva il sistema uninominale maggioritario al Senato.
Visto che si parla di un evento risalente a più di dieci anni fa, si potrebbe pensare che in questo esempio sia lecito solo l’uso del passato remoto. Siccome però il sistema di elezione in Italia fino al giorno d’oggi non è più cambiato e gli effetti della scelta del ’93 perdurano nel presente, si potrebbe esprimere questa frase anche con il passato prossimo (i cittadini italiani hanno approvato): il tempo verbale scelto segnalerebbe l’attualità che l’evento, pur lontano, tuttora ha per la persona che parla.
Ma la scelta del passato remoto nell’esempio proposto veicola un altro ordine di informazioni: il fatto è successo molto tempo fa; il parlante ha avuto il tempo, per così dire, di “metabolizzarlo”, di viverlo e di rifletterci su; adesso è pronto per archiviare psicologicamente l’evento del ‘93 sotto un’ipotetica rubrica “Eventi del passato”. La scelta del sistema uninominale è per il parlante un fatto definitivamente appartenente alla “storia”, senza più attualità psicologica nella sua vita attuale.
Il passato prossimo descrive un'azione conclusa avvenuta nel passato, o, per meglio dire, un'azione del passato che il parlante avverte come conclusa.
Quando però si parla di "passato", ci si può riferire a situazioni molto diverse: esiste un passato appena "successo" (stamattina, tre ore fa, stanotte ecc.) ed esiste un passato molto più lontano (dieci anni fa, cinquant'anni fa ecc.).
Il passato prossimo esprime un'azione avvenuta:
- in un passato molto recente, come nella frase stamattina ho visto Federico;
- in un passato più lontano, ma i cui effetti perdurano nel presente, sia in senso oggettivo, sia in senso psicologico. Si veda il seguente esempio: Anita si è trasferita a Roma all'inizio degli anni '80.
La scelta del passato prossimo in una frase come l'ultimo esempio può significare:
- che Anita ha cambiato casa e vive ancor oggi a Roma (gli effetti perdurano oggettivamente nel presente);
- oppure che il trasferimento di Anita a Roma ha una certa rilevanza psicologica per la persona che parla, la quale dunque sceglie di rappresentarlo come un fatto ancora "vicino" al presente (gli effetti perdurano psicologicamente nel presente);
- oppure entrambe le cose; che Anita cioè vive tuttora a Roma e che a livello psicologico il parlante percepisce questo fatto come attuale.
Questo tempo verbale, però, non è legato sempre ed esclusivamente ad un contesto passato; nel registro familiare il passato prossimo può essere messo in relazione con un presente ed acquisire il valore di un futuro anteriore:
- Vado in città non appena ho finito questo lavoro. questa frase è identica a Andrò in città non appena avrò finito questo lavoro.
In questo caso il passato prossimo non esprime più un'azione "passata", ma semplicemente un rapporto di anteriorità rispetto all'azione formulata con il presente indicativo ("prima finisco il lavoro e dopo vado in città").
Altri progetti[modifica]
Wikipedia contiene una voce su Italiano/Versione stampabile
L’uso dell’imperfetto, alternato al passato prossimo o al passato remoto, rappresenta un problema considerevole nell’apprendimento dell’italiano. In primo luogo, si consiglia di leggere le descrizioni relative ai tre tempi verbali, in modo da mettere a fuoco le caratteristiche di ognuno (vedi Caratteristiche di passato prossimo passato remoto imperfetto).
Per capire meglio l’applicazione di questi tempi verbali, conviene inoltre ricordare che qualsiasi tempo dà sempre due tipi di informazioni:
- quando succede l’azione (il momento dell’azione);
- come succede l’azione (l’aspetto dell’azione, il modo in cui si svolge).
Si considerino gli esempi seguenti:
- 1) Marina ha letto un libro.
Le informazioni trasmesse dall’uso, in questo caso, del passato prossimo sono:
- In un momento nel passato, non troppo lontano dal presente, o comunque con un certo livello di attualità psicologica per il parlante, Marina ha letto un libro (momento dell’azione);
- L’azione è conclusa, o meglio: la persona che ha espresso la frase avverte l’azione come un’azione conclusa (aspetto dell’azione).
La situazione cambia leggermente se la frase viene formulata con il passato remoto:
- 2) Marina lesse il libro.
In questo caso le informazioni trasmesse dall’uso del passato remoto sono:
- In un momento nel passato, ben lontano in modo oggettivo e psicologico dal presente del parlante, Marina lesse un libro (momento dell’azione);
- L’azione è conclusa, o meglio: la persona che ha espresso la frase avverte l’azione come un’azione conclusa (aspetto dell’azione).
Ricorrendo invece all’imperfetto:
- 3) Marina leggeva il libro,
il parlante fornisce le seguenti informazioni:
- Il fatto è successo in un momento nel passato, che il parlante non ha ritenuto necessario precisare (momento dell’azione);
- L’azione non è conclusa, o meglio: la persona che ha espresso la frase non ha sentito il bisogno di specificare quando quest’azione si è conclusa: ha preferito concentrarsi sull’azione in sé, per metterne piuttosto in evidenza la durata indefinita (aspetto dell’azione).
Nel caso dell’imperfetto viene messo in primo piano l’aspetto durativo dell’azione, con il passato prossimo o remoto viene messo in evidenza l’aspetto momentaneo e preciso dell’azione.
Quest’opposizione fra aspetto durativo ed aspetto momentaneo e preciso dell’azione è fondamentale al momento di scegliere il tempo verbale in base al contesto. Così,
- nel caso si voglia esprimere un’azione conclusa, verificatasi in un arco di tempo preciso e ben identificabile, si userà il passato prossimo o il passato remoto (per le differenze, si vedano le informazioni relative ai due tempi):
- Mario cucinò e Ilaria lesse il giornale.
- Francesco ha chiamato il taxi ed Anna si è messa il cappotto.
Nel ricorso al passato remoto passato prossimo è già implicita l’informazione che in un punto preciso dell’asse temporale questa situazione cambierà e all’ascoltatore lettore si presenterà un altro scenario; negli esempi proposti magari Mario e Ilaria cominciarono a litigare e i vicini chiamarono la polizia, o Francesco ed Anna sono usciti e hanno visto gli amici al bar. Allo stesso modo, grazie alla scelta del passato remoto e del passato prossimo, il lettore ascoltatore ha la percezione che prima degli avvenimenti descritti nelle frasi la situazione era diversa, e per esempio Mario telefonò a suo fratello e Ilaria ruppe un bicchiere, mentre Francesco e Anna hanno parlato fra di loro.
Il ricorso al passato remoto passato prossimo crea insomma nel lettore ascoltatore un’aspettativa per gli scenari precedenti e successivi all’azione espressa; l’imperfetto, invece, la mette a tacere e concentra l’attenzione di chi legge o ascolta sull’azione in sé, colta nella sua durata.
- Il passato prossimo o il passato remoto, per la loro capacità di metter a fuoco l’aspetto momentaneo dell’azione, sollecitando l’aspettativa per quanto accaduto “prima” e “dopo” alla stessa, sono i tempi verbali cui si ricorre, quando si vuole esprimere una sequenza più lunga di azioni, verificatesi una dopo l’altra:
- Ha preso il bastone, s’è messo il cappello, ha salutato sua moglie e se n’è andato.
- Nel caso che si vogliano esprimere due azioni di una certa durata contemporanee nel passato si dovrà usare per entrambe l’imperfetto:
- Io cucinavo e Ilaria leggeva il giornale.
La scelta dell’imperfetto vuole comunicare all’ascoltatore lettore che per un certo periodo di tempo le due azioni si sono svolte parallelamente e non si sono interrotte; logicamente sappiamo che ad un dato momento le due azioni si saranno concluse, ma questa resta una questione al margine, assolutamente inessenziale per capire la situazione.
- Nel caso si sovrappongano due azioni, di cui l’una dura nel tempo, e l’altra si presenta invece come azione nuova o improvvisa, si userà per la prima l’imperfetto e per la seconda il passato prossimo (o remoto):
- Stavo facendo la doccia, quando qualcuno suonò alla porta.
- Mentre parlavamo, abbiamo sentito un rumore.
Attenzione! spesso è possibile ricorrere per la stessa frase sia al passato prossimo remoto, sia all’imperfetto; in questo caso si esprimono però sfumature differenti. Si vedano i seguenti esempi:
- A) Quando Mario è passato, ho chiamato Marina.
- B) Quando Mario è passato, chiamavo Marina.
- C) Quando Mario passava, chiamavo Marina.
Nell’esempio A) si tratta di due azioni successive: prima è passato Mario, poi ho chiamato Marina.
Nell’esempio B) l’azione espressa dal passato prossimo interrompe l’azione espressa in imperfetto: stavo telefonando a Marina, quand’ecco che improvvisamente passa Mario!
Nell’esempio C) le due azioni si svolgono parallelamente e per un certo periodo di tempo, conferendo al racconto il tono di un’abitudine: tutte le volte che Mario passava, io chiamavo Marina.
Come si vede, al di là delle regole, per un uso corretto dell’imperfetto, passato prossimo passato remoto resta fondamentale analizzare sempre la frase nel suo contesto, riflettendo sul tipo di informazione che si vuole comunicare e sull’effetto che si desidera provocare nel “pubblico”, cui è destinato il messaggio.
Note sull'uso[modifica]
L'uso dell'imperfetto, alternato al passato prossimo o al passato remoto, può rappresentare un problema considerevole nell'apprendimento dell'italiano, dal momento che questa opposizione non esiste nelle lingue germaniche. Il tedesco, ad esempio, conosce un'unica forma, il Präteritum, per tradurre l'imperfetto e il passato remoto italiani, fatto, questo, che crea non poche difficoltà a persone di madrelingua tedesca.
A questa prima osservazione si deve aggiungere la disomogeneità, presente a livello nazionale, nell'uso del passato prossimo e del passato remoto. Nel Nord Italia e in parte dell'Italia centrale, infatti, esiste una tendenza generalizzata a utilizzare sempre il passato prossimo, anche per descrivere quegli eventi, lontani nel tempo e senza relazioni con il presente, che secondo le grammatiche richiederebbero il passato remoto, come ad esempio "Trent'anni fa ho visitato i Musei Vaticani").
Il passato remoto resiste invece al Sud, dove però, almeno in alcune regioni (Sicilia, Campania, Calabria), lo si tende ad usare anche per quei fatti del passato recente, che dovrebbero esser espressi con il passato prossimo, come ad esempio "Stamattina feci la spesa".
Le informazioni fornite in questo libro riguardano l'uso del passato prossimo e del passato remoto nell'italiano letterario e nell'uso toscano.
Per quanto riguarda la lingua parlata, si tenga presente che:
- esistono, come si è detto, differenze regionali nell'uso del passato prossimo e del passato remoto;
- anche al Sud, dove pure il passato remoto è vivo a livello di parlato, si nota oggi una tendenza generalizzata a sostituirlo sempre di più con il passato prossimo.
Mentre l'indicativo esprime ciò che (diciamo essere) nella realtà, il congiuntivo esprime ciò che (diciamo essere) nella nostra mente
Ad esempio:
- un'opinione (una prospettiva soggettiva, legata all’opinione personale del parlante):
- Penso che tu sia in gamba
- Credo che abbia fatto un buon lavoro.
- Pensarono che non avesse sentito la domanda.
- una speranza:
- Spero che oggi non piova.
- Speriamo che sia arrivato sano e salvo!
- Fosse la volta buona!
- Se avessimo un po’ di denaro!
- Che Dio ce la mandi buona!
- una paura (qualcosa che non esiste, ma si teme che avvenga):
- Ho paura che nascano dei problemi.
- Non vorrei che la festa fosse già finita...
- un'ipotesi, una realtà possibile (o impossibile):
- Chiunque usi il bagno... (non sto dicendo che qualcuno lo usa in questo momento, ma immagino uno scenario in cui qualcuno lo usi)
- Se nascessi un'altra volta, non lo rifarei. (non dico che sono nato, ma immagino un scenario - impossibile - in cui io rinascessi)
- una richiesta (qualcosa che ancora non è stato fatto, ma che si chiede a qualcuno di fare):
- Si accomodi.
- Quelli che si sono prenotati, vengano domani alle 19:00.
Vi sono poi alcune congiunzioni (benché, sebbene, prima che ecc.) o espressioni che richiedono in ogni caso il congiuntivo: :Benché/sebbene non ne avesse voglia, andò a rispondere alla porta.
- Taci prima che sia troppo tardi!.
Ma in generale la scelta tra indicativo e congiuntivo è dettata dal principio esposto sopra (nella mente di qualcuno o nella realtà):
- Ti dico che sta per piovere! (la pioggia è presentata come un fatto certo nella realtà) / Sembra che stia per piovere (la pioggia un'impressione, un'ipotesi nella mente di qualcuno).
- È logico che si studino i vocaboli di una lingua straniera (nessuno sta studiando i vocaboli in questo momento nella realtà: lo studio dei vocaboli esiste all'interno del sistema logico che io ho in mente).
Il congiuntivo si trova soprattutto nelle frasi secondarie (Sembrava che nessuno lo volesse), raramente nelle frasi principali (Volesse il cielo!). Nelle principali troviamo soprattutto l'indicativo (Nessuno lo voleva).
Il congiuntivo dispone di quattro tempi:
- Presente: (Pensano che) parli bene.
- Passato: (Pensano che) abbia parlato bene.
- Imperfetto: (Pensano che) parlasse bene.
- Trapassato: (Pensano che) avesse parlato bene.
Scegliere il tempo giusto[modifica]
È opportuno distinguere tre situazioni differenti:
I caso[modifica]
Quando nella frase reggente il verbo è al presente o al futuro o all’imperativo.
Se il rapporto fra le due frasi è di
- Contemporaneità, allora si userà il congiuntivo presente:
- Non credo (adesso) che venga (adesso o nell’immediato futuro)
- Non crederai (adesso) che venga (adesso o nell’immediato futuro)
- Non credere (adesso) che venga (adesso o nell’immediato futuro)!
- Anteriorità, allora si userà il congiuntivo passato:
- Non credo (adesso) che sia venuto (prima, due ore fa, ieri, una settimana fa ecc.).
- Non crederai (adesso) che sia venuto (prima, due ore fa, ieri, una settimana fa ecc.).
- Non credere (adesso) che sia venuto (prima, due ore fa, ieri, una settimana fa ecc.)!
- Posteriorità, allora si userà il congiuntivo presente o l’indicativo futuro:
- Non credo (adesso) che venga / che verrà (più tardi, rispetto all’azione espressa dalla principale).
- Non crederai (adesso) che venga / che verrà (più tardi, rispetto all’azione espressa dalla principale)?
- Non credere (adesso) che venga / che verrà (più tardi, rispetto all’azione espressa dalla principale)!
Può succedere che il rapporto di anteriorità fra la frase reggente e la frase secondaria sia molto marcato, cioè che la frase reggente si riferisca ad una situazione presente, mentre i fatti espressi nella frase secondaria risalgano a molto tempo fa; in questo caso è possibile trovare nella frase secondaria il congiuntivo imperfetto o trapassato:
- Immagino (adesso) che lui non ne fosse al corrente (tanto tempo fa).
- È probabile (adesso) che avessero discusso il problema già negli anni ‘70.
II caso[modifica]
Quando nella frase reggente il verbo è in un tempo storico, cioè al passato prossimo o al passato remoto o all’imperfetto o trapassato prossimo.
Se il rapporto fra le due frasi è di
- Contemporaneità, allora si userà il congiuntivo imperfetto:
- Non credevo (allora) che venisse (allora o nell’immediato futuro).
- Anteriorità, allora si userà il congiuntivo trapassato:
- Non credevo (allora) che fosse venuto (ancora prima, il giorno prima, una settimana prima ecc.).
- Posteriorità, allora si userà il condizionale passato (!):
- Non credevo (allora) che sarebbe venuto (più tardi, rispetto all’azione della frase principale).
Attenzione!
Dopo verbi che esprimono dubbio (p.e. dubitare, è possibile, può darsi...),
opinione in forma positiva (p.e. pensare, credere, ritenere...) o dopo verbi dichiarativi
(p.e. dire, sostenere, affermare...) l’uso del condizionale passato può introdurre una sfumatura di
incertezza più o meno forte; in questo caso non è possibile decidere con assoluta certezza se
l’azione espressa nella frase secondaria abbia avuto luogo o no.
- Dubitava che in quella situazione lo avrebbero difeso ( = se veramente lo difesero, non lo sappiamo).
- Poteva darsi che Paolo ci avrebbe chiamati dall’autostrada (= ma non si sa se alla fine Paolo chiamò dall’autostrada).
- Pensarono che una tavola rotonda sull’argomento sarebbe stata la soluzione migliore ( = se la soluzione realmente fu la migliore, non lo sappiamo).
- Affermai che Felice avrebbe finito il lavoro ( = se Felice veramente finì il lavoro, non lo si sa).
III caso[modifica]
Quando nella frase reggente il verbo è al condizionale.
Se nella frase reggente il verbo è al condizionale presente o passato (sarei contento che, desidererei che, avrebbe preferito che etc.), allora nella frase secondaria il verbo sarà in congiuntivo imperfetto (rapporto di contemporaneità fra le due frasi) o trapassato (rapporto di anteriorità fra le due frasi):
- Vorrei (adesso) che venisse (adesso o nell’immediato futuro).
- Vorrei (adesso) che fosse venuto (prima, due settimane fa, un anno fa etc.).
- Avrei voluto (allora) che venisse (allora).
- Avrei voluto (allora) che fosse venuto (ancora prima).
Attenzione!
Un verbo di opinione o dichiarativo al condizionale presente può avere il valore di
una forma debole di indicativo; in questo caso richiede nella frase secondaria il congiuntivo presente o passato (vedi le regole di caso I)
- Scusi, Lei riterrebbe (= Lei ritiene) che questa sia una buona soluzione?
- Direi (= dico) che abbia agito con intelligenza.
Congiunzioni che richiedono il congiuntivo[modifica]
L’impiego del congiuntivo nella frase secondaria può esser richiesto dalla presenza di determinate congiunzioni. Alcune congiunzioni vogliono obbligatoriamente il congiuntivo nella frase secondaria, altre invece alternano, a seconda dei casi, il congiuntivo e l’indicativo. Diamo alcuni esempi senza valore esaustivo, rimandando al dizionario, nel caso sussistano dubbi sul modo da usare.
Obbligatoriamente[modifica]
- Finali (affinché, perché, ...):
- Te lo spiego affinché tu sappia dove andare.
- Uscì con il bambino perché Marcella avesse tempo di dedicarsi al lavoro.
- Concessive (benché, sebbene, quantunque, nonostante che...):
- Hai dimenticato di imbucare la lettera benché te l’abbia detto mille volte.
- Quantunque non fosse del tutto convinto, accettò l’incarico.
- Nonostante (che) sia maggiorenne, ragiona come un bambino.
- Volle risentire la canzone, benché tutti protestassero.
N.B.: solo “anche se” richiede l’indicativo!
- Condizionali (qualora, purché, nel caso in cui, a patto che, nell’eventualità che, nell’ipotesi che, se):
- Nel caso in cui ci siano dei problemi, La preghiamo di contattarci.
- Qualora avesse ulteriori domande, può rivolgersi al numero verde.
- Nell’eventualità che faccia bel tempo, andremo in montagna.
- Se fosse venuto, avrebbe chiamato.
- Preparo la cena, a patto che tu vada a fare la spesa.
Attenzione: la frase condizionale esprimente un’ipotesi reale, si costruisce con l’indicativo:
- (!) Se vieni, chiama.
- Eccettuative (a meno che (non), salvo che (non), tranne che (non)...):
- Ci incontreremo in piazza, a meno che non piova.
- Una riunione di lunedì sarebbe la soluzione migliore, salvo che non arrivino i clienti cileni.
- Andremo a Firenze la prossima settimana, tranne che non si cambi idea e si resti tutti a casa.
Attenzione! “Se non che” richiede invece l’indicativo:
- È una persona intelligente, se non che ha poca voglia di lavorare.
- Perché con valore causale, dove la causa abbia un valore fittizio:
- Mangiava non perché avesse fame (causa fittizia = congiuntivo), ma perché si annoiava (causa reale = indicativo).
- Prima che:
“Prima che il gallo canti” è il titolo di un romanzo di Cesare Pavese. Sii a casa prima che arrivino gli invitati.
Alternano il congiuntivo e l'indicativo[modifica]
- Consecutive (cosicché, talché, in modo che, in maniera che, al punto che...): normalmente richiedono l’indicativo; si usa il congiuntivo quando la frase consecutiva esprime una possibilità o un’eventualità:
- Uscirono dalla stanza, cosicché lui potesse finire in calma il lavoro.
- La avvertiamo in modo che sia al corrente della questione.
- Ti lascio un messaggio sulla segreteria telefonica, in maniera che tu mi possa raggiungere in città.
- Spero che la situazione non degeneri al punto che si debbano prendere provvedimenti.
- Interrogative indirette: si ricorre al congiuntivo, quando si vuole sottolineare la componente dubitativa:
- Non ho la più pallida idea di dove sia e di che cosa stia facendo.
- Modali (come, senza che, di modo che...): hanno il congiuntivo quando, anziché esprimere un fatto sicuro e reale, esprimono un dubbio o una possibilità; in tal caso le congiunzioni modali più usate sono “come se”, “comunque”, “quasi che”, “senza che” ecc.
- Comunque vadano le cose, non abbiamo nulla da perdere.
- Si comportava quasi che non avesse sentito i nostri ammonimenti.
- Senza che Laura aprisse bocca, sapevamo che era successo qualcosa.
- Comparative (più... che, più... di quanto, meno... di quanto, peggio... di come...): anche in questo caso, il ricorso al congiuntivo è legato ad una componente di dubbio o possibilità:
- Mauro è più simpatico di quanto pensassi.
- Il film era meglio di quanto dicessero.
- Ha speso meno di quanto avesse calcolato.
Attenzione! Le comparative ipotetiche, cioè le frasi che stabiliscono un paragone in forma ipotetica con la frase reggente, hanno il verbo sempre al congiuntivo. Sono introdotte dalle congiunzioni “come (se)”, “quasi (che)”, “non altrimenti che se”:
- Spende come se fosse il pozzo di San Patrizio.
- Lo tratta quasi fosse suo figlio.
- Il lavoro dell’apprendista risultò non altrimenti che se l’avesse fatto il capo in persona.
- Attenzione!
- Finché (non) + congiuntivo = fino al punto che (12)
- Finché + indicativo = per tutto il tempo che (13)
- (12) Aspettiamo finché (non) abbia finito di piovere.
- (13) Finché leggo, non disturbarmi.
Frasi indipendenti[modifica]
- Si ricorre al congiuntivo nelle frasi indipendenti per esprimere un desiderio (1), un augurio (2)
o una maledizione (3):- Che resti fra noi, mi raccomando!
- Che Dio ti ascolti!
- Che vada al diavolo!
- Che gli venga un colpo!
- Se il desiderio viene avvertito come difficilmente o assolutamente irrealizzabile, si userà il congiuntivo
imperfetto per una situazione presente (1) e il congiuntivo trapassato per una situazione al passato (1):- Se fosse almeno estate!
- Oh, se solo avessi la lampada di Aladino!
- Se solo avessimo giocato alla lotteria!
- Non l’avessi mai detto! Franco incominciò a gridare che era ora di finirla con queste storie.
- per esprimere una supposizione (1) o un dubbio (2) in forma interrogativa :
- Perché Pietro non arriva? Che abbia trovato code in autostrada?
- (7) Qui non c’è nessuno! Che Franco e Paola se ne siano già andati?
- per esprimere una richiesta (1) o un ordine (2):
- Che mi chiamino verso le cinque!
- Non posso decidere su due piedi! Che mi mandino la copia della lettera!
- Che entri l’imputato!
- in alcune frasi fatte:
- Caschi il mondo, non gli darò ragione!
- Si renderà conto dei suoi sbagli, che lo voglia o no.
- Mi comprerò quella macchina, costi quel che costi!
- per dirigere un appello al lettore o all’ascoltatore nei testi di carattere letterario o scientifico:
- Si ricordino i sonetti di Petrarca.
- Si osservi che il fatto costituiva un’autentica novità nel panorama artistico del tempo.
- Si pensi solo alle più recenti scoperte in campo neurologico.
Frasi secondarie[modifica]
- Il congiuntivo viene largamente impiegato in frasi secondarie introdotte da verbi che esprimono stati d’animo (sono contento che, mi dispiace che, mi rincresce che, mi vergogno che, ho paura che, temo che ecc.) o formulano un desiderio (mi auguro che, spero che, vorrei che, mi piacerebbe che, desidero che...) o un dubbio (dubito che, non so che, non sono sicuro che...) o un’opinione personale (credo che, penso che, ritengo che...):
- Ci dispiace che sia ammalato.
- Sono contento che la storia sia finita bene.
- Ha paura che gli addossino la colpa di tutto.
- Mi augurai che si comportasse in modo ragionevole.
- Vorrebbe che lo aiutassimo.
- Non sapevano che fosse americano.
- Ritengo che la soluzione migliore sia parlare direttamente con l’interessato.
- Credevamo che Laura avesse concluso la storia con quell’uomo!
- N.B.: Se il soggetto della frase reggente e della secondaria è lo stesso, si preferisce optare per la forma implicita, cioè si userà, al posto della frase con il congiuntivo, una frase con “di” + verbo all’infinito:
- Siamo contenti di andare in vacanza.
- Mi auguro di poter venire.
- Credeva di aver finito tutto.
- È da notare che:
- dopo verbi di percezione come “vedere” e “sentire”, i quali esprimono un dato di fatto e non un’interpretazione della realtà, si usa l’indicativo:
- Vedo che hai cominciato a scrivere.
- Sento che stanno arrivando.
- dopo i verbi che esprimono paura o speranza si può trovare anche l’indicativo futuro:
- Temo che arrivino tardi = Temo che arriveranno tardi.
- Spera che ritrovino il cane = Spera che ritroveranno il cane.
- dopo “credere”, “pensare”, “ritenere” si può tralasciare il “che”:
- Penso sia troppo tardi.
- Credo abbia già risposto.
- Ritengo sia il progetto migliore.
- Il verbo “pensare” usato nel senso di “rendersi conto di” richiede nella frase secondaria l’indicativo:
- Lo vide e pensò che era invecchiato (= lo vide e si rese conto che era invecchiato).
- Il verbo “credere” usato come affermazione di fede religiosa richiede coerentemente l’indicativo (e non il congiuntivo, che potrebbe far pensare ad un dubbio!):
- Credo che Dio esiste.
- Allo stesso modo espressioni come “sono sicuro che” “so che” richiedono l’indicativo (si esprime un dato di fatto certo e non una posizione personale!):
- Sono sicuro che è passato per casa.
- Sapevo che avevano già visto la lettera.
Per la concordanza dei tempi, si veda la sezione "Scegliere il tempo giusto".
Frasi relative[modifica]
Normalmente le frasi relative richiedono il modo indicativo. Ci sono però alcune eccezioni alla regola e in questo caso le frasi relative richiedono il modo congiuntivo.
- A - la frase relativa esprime un desiderio (14), una richiesta (15) o una condizione (16):
- (14) Desidererei conoscere persone che mi dicessero la verità.
- (15) Cerchiamo un tecnico di computer che conosca perfettamente il programma.
- (16) Si ammettono candidati che abbiano compiuto il 18° anno di età.
- B – la frase precedente contiene un pronome indefinito negativo (p.e. niente, nessuno):
- Non c’è niente che mi possa distogliere dal lavoro.
- In questa classe non c’è nessuno che abbia studiato!
- C – la frase precedente introduce una domanda:
- In questa classe c’è qualcuno che sappia la risposta?
- Hai una pastiglia che mi tolga questo terribile mal di testa?
- D – la frase precedente contiene un superlativo relativo:
- È la persona più divertente che abbiano mai conosciuto.
- È la canzone più cretina che abbia mai sentito.
- E – la frase precedente introduce un paragone completato nella frase relativa:
- Sembrava un cane a cui avessero tolto il guinzaglio.
- Pare un ragazzino che abbia rubato la marmellata.
- F – la frase relativa esprime un’ipotesi:
- Colui che lo facesse, tradirebbe la nostra fiducia.
- Chiedo alle persone che conoscessero già la risposta di restare in silenzio.
(Nel secondo esempio si è usato il congiuntivo imperfetto: l’atteggiamento del parlante è caratterizzato
da una marcata insicurezza, egli dubita che ci sia qualcuno al corrente della risposta esatta.
In questa frase relativa è anche possibile ricorrere al congiuntivo presente
“Chiedo alle persone che conoscano la risposta di restare in silenzio”: il parlante rivelerebbe
con questa scelta una minore insicurezza.
L’uso dell’indicativo “Chiedo alle persone che conoscono la risposta di restare in silenzio” cambierebbe
invece la situazione: in questo caso la frase relativa non esprime più l’ipotesi fatta
dal parlante, ma un dato di fatto, cioè che sicuramente nel gruppo ci sono persone a conoscenza della risposta.)
Dopo verbi impersonali[modifica]
Il congiuntivo ricorre dopo frasi impersonali formate da
- essere + sostantivo
- essere + aggettivo
- essere + avverbio
- L’impersonalità della frase reggente è di fatto comunque espressione (stavolta indiretta) dell’opinione
personale o dell’interpretazione soggettiva del parlante o di un gruppo:
- È uno scandalo che nessuno ne parli.
(= per il parlante è uno scandalo; per la maggior parte della gente è uno scandalo). - Era importante che si parlasse di questo problema.
(= per il parlante era importante; per molte persone era importante). - È normale che uno saluti gentilmente
(= per il parlante è normale; è un’abitudine generale salutare gentilmente). - Era logico che fosse arrabbiato.
(= capivo perfettamente la sua rabbia; molte persone avrebbero capito la sua rabbia). - È meglio che tuo fratello finisca l’università.
(= per il parlante è meglio; molte persone sarebbero della stessa opinione).
- L’impersonalità della frase reggente è di fatto comunque espressione (stavolta indiretta) dell’opinione
- Anche verbi impersonali come “basta che, bisogna che, può darsi che, etc.” richiedono nella frase
secondaria il congiuntivo:
- Basta che ci siano i Campionati di calcio perché non si incontri più nessuno in strada.
- Bisogna che piova perché l’aria sia un po'più respirabile!
- Può darsi che sia un film interessante, ma io non ho voglia di andarci.
- Anche verbi impersonali come “basta che, bisogna che, può darsi che, etc.” richiedono nella frase
- Dopo “si dice” ed espressioni di valore affine, che riferiscono dicerie, voci, leggende,
si usa il congiuntivo:
- Si dice che abbia fatto degli investimenti azzardati.
- Si sussurrava che Maria fosse la sua amante.
- Si raccontava che avesse trovato un tesoro.
- Dopo “si dice” ed espressioni di valore affine, che riferiscono dicerie, voci, leggende,
Periodo ipotetico[modifica]
- Nelle frasi condizionali esprimenti una possibilità o una situazione irreale si usa coerentemente
il congiuntivo, e non l’indicativo che farebbe pensare ad una sicurezza inesistente.
Nelle frasi condizionali della possibilità si userà il congiuntivo imperfetto (e il condizionale presente
nella frase principale) (10), nelle condizionali dell’irrealtà si userà invece il congiuntivo trapassato
(e il condizionale passato nella principale) (11):
- (10) Se avessimo il suo indirizzo, gli scriveremmo.
- (11) Se fosse arrivato in tempo, non avrebbe perso il treno.
- Osservazioni:
- Nelle condizionali dell’irrealtà possono comparire nella lingua parlata due indicativi imperfetti al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato:
- Se avessi studiato di più, non mi avrebbero bocciato all’esame.
- = Se studiavo di più, non mi bocciavano all’esame.
- È possibile anche trovare un congiuntivo trapassato nella frase condizionale, associato ad un condizionale presente nella principale. Questa situazione si verifica qualora esista una discrepanza temporale fra l’azione della principale e quella della secondaria:
- Se l’avessi visto (= quella volta), te lo direi (= adesso).
- Se l’avessi visto (= quella volta), te lo avrei detto (= quella volta)
Vedi anche la pagina "Periodo ipotetico".
Discorso indiretto[modifica]
A differenza del tedesco, in italiano non si usa il congiuntivo nel discorso diretto, ma l’indicativo:
- Gigi afferma: “Mia sorella non sa niente di questa storia”. → Gigi afferma che sua sorella non sa niente di questa storia.
- Ha raccontato: “Voglio andare in Francia”. → Ha raccontato che voleva andare in Francia.
Si ricorrerà al congiuntivo solo per riformulare nel discorso indiretto l’imperativo presente del discorso diretto.
In questo caso, se il discorso diretto è stato introdotto da un tempo al presente o
al futuro (dice, racconta, spiegherà, sosterrà ecc.), si userà il congiuntivo presente nel discorso indiretto:
- Gli dice: “Mangia educatamente!" → Gli dice che mangi educatamente.
Se invece il discorso diretto è stato introdotto da un tempo storico, cioè da un passato prossimo,
da un passato remoto, da un imperfetto o da un trapassato prossimo (ha detto, raccontò, sosteneva, aveva replicato ecc.),
si userà il congiuntivo imperfetto nel discorso indiretto:
- Gli ha detto: "Mangia educatamente!"→ Gli ha detto che mangiasse educatamente.
Altre situazioni d'uso[modifica]
- Frasi secondarie introdotte da chiunque qualunque dovunque comunque richiedono il congiuntivo:
- Chiunque ve l’abbia detto, ha mentito.
- Non mi farai cambiare idea, qualunque cosa tu faccia.
- Ti seguirò dovunque tu vada.
- Comunque sia, non prenderò nessuna decisione.
- Si userà il congiuntivo nella secondaria, se si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni:
- 1) la frase secondaria è introdotta da “che” “il fatto che”;
- 2) la frase secondaria precede la frase principale.
- Il fatto che non abbia telefonato, è significativo.
- Che non fosse vero, l’abbiamo scoperto più tardi.
- Nelle interrogative indirette è possibile (ma non obbligatorio) ricorrere al congiuntivo. Il congiuntivo sottolinea l’incertezza del parlante:
- Sapete che aspetto abbia? Sapete che aspetto ha?
- Ha valore concessivo e si costruisce dunque con il congiuntivo anche la struttura
- Per + aggettivo (o participio) + essere sembrare parere (17)
- Per + avverbio + (qualsiasi) verbo (18)
- Per + infinito + che + (qualsiasi) verbo (19)
- (17) Per ricco che sia, non riuscirà mai a mascherare la sua ignoranza.
- (18) Per tardi che arrivasse, la trovava sempre sveglia.
- (18) Per bene che vada, dovremo pagare una multa.
- (19) Per lavorare che facesse, arrivava a stento alla fine del mese.
Tempi verbali-Congiuntivo presente[modifica]
Il modo congiuntivo in italiano ha quattro tempi: presente, imperfetto, passato trapassato. Di seguito la coniugazione del congiuntivo presente di tre verbi regolari (amare, temere e partire).
Amare Temere Partire 1 sing. Che io ami Che io tema Che io parta 2 sing. Che tu ami Che tu tema Che tu parta 3 sing. Che egli ami Che egli tema Che egli parta 1 plur. Che noi amiamo Che noi temiamo Che noi partiamo 2 plur. Che voi amiate Che voi temiate Che voi partiate 3 plur. Che essi amino Che essi temano Che essi partano
Tempi verbali-Congiuntivo imperfetto[modifica]
Amare Temere Partire 1 sing. Che io amassi Che io temessi Che io partissi 2 sing. Che tu amassi Che tu temessi Che tu partissi 3 sing. Che egli amasse Che egli temesse Che egli partisse 1 plur. Che noi amassimo Che noi temessimo Che noi partissimo 2 plur. Che voi amaste Che voi temeste Che voi partiste 3 plur. Che essi amassero Che essi temessero Che essi partissero
Il condizionale è il modo verbale che si usa per indicare un'azione che può avvenire solo a determinate condizioni.
- Rimarrei volentieri, se ne avessi il tempo.
Tempi[modifica]
Il condizionale ha due tempi, uno semplice e uno composto:
TEMPI SEMPLICI | TEMPI COMPOSTI |
---|---|
Presente | Passato |
Di seguito le tre forme regolari del presente:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | ||
---|---|---|---|---|
1 sing. | Io | Am-erei | Tem-erei | Part-irei |
2 sing. | Tu | Am-eresti | Tem-eresti | Part-iresti |
3 sing. | Egli | Am-erebbe | Tem-erebbe | Part-irebbe |
1 plur | Noi | Am-eremmo | Tem-eremmo | Part-iremmo |
2 plur. | Voi | Am-ereste | Tem-ereste | Part-ireste |
3 plur | Essi | Am-erebbero | Tem-erebbero | Part-irebbero |
Frasi principali[modifica]
Il caso più comune di uso del condizionale in una frase principale è come apòdosi del periodo ipotetico, in particolare per esprimere azioni poco probabili o del tutto impossibili. Il presente si usa per indicare un evento che può avvenire nel presente:
- Se ti sbrigassi, prenderesti il treno delle cinque.
Il passato, invece, esprime un'azione che si sarebbe potuta verificare nel passato, ma solo a patto èerò che se ne fosse verificata un'altra:
- Se avessimo telefonato all'agenzia, ci avrebbero dato le informazioni necessarie.
Può essere inoltre usato per esprimere
- un dubbio
- Dovrei andarci o no?
- una supposizione
- A quest'ora dovrebbe essere a casa.
- una notizia non verificata, di cui il parlante non si prende la responsabilità
- Secondo Luca, quel gatto sarebbe di Stefania.
- un desiderio
- Mi sarebbe piaciuta una moto nuova.
- un'opinione
- Sarebbe stato meglio che tu mi avessi avvisato.
- una richiesta cortese
- Compreresti una torta, per favore?
Frasi subordinate[modifica]
Il condizionale si usa per esprimere le stesse funzioni anche nelle subordinate:
- Non so cosa farei al posto tuo. (dubbio)
- Luca mi ha detto che quel gatto dovrebbe essere di Stefania. (notizia non verificata)
Viene inoltre usato per esprimere un'azione futura quando il verbo della principale è al passato:
- Avevo previsto che saresti arrivata fin qui.
L'imperativo nella lingua italiana è presente solo al tempo presente. È il modo che si usa per esprimere
- un comando o un ordine,
- Chiudi quella finestra!
- un invito,
- Prendete pure un'altra fetta di torta.
- un suggerimento,
- Passa tra un'ora, troverai Luca a casa.
- un'istruzione,
- Ritagliate la sagoma e poi incollatela sul vetro.
- una preghiera.
- Torna presto, mi manchi!
Tempi e coniugazione[modifica]
Il modo imperativo, come già ricordato, ha solo il tempo presente e la seconda persona singolare e plurale.[1] Le altre persone sono sostituite con il congiuntivo presente, in funzione esortativa:
Am-are | Tem-ere | Part-ire | |
---|---|---|---|
1 sing. | - | - | - |
2 sing. | Am-a tu | Tem-i tu | Part-i tu |
3 sing. | Am-i egli | Tem-a egli | Part-a egli |
1 plur | Am-iamo noi | Tem-iamo noi | Part-iamo noi |
2 plur. | Am-ate voi | Tem-ete voi | Part-ite voi |
3 plur | Am-ino essi | Tem-ano essi | Part-ano essi |
Al posto della prima persona singolare, quando ci si rivolge a se stessi, è possibile usare la prima persona singolare del congiuntivo presente con funzione esortativa:
- Partiamo allora, visto che dobbiamo.
In alcuni verbi (come essere, avere, volere, sapere) il congiuntivo presente sostituisce anche le forme della seconda persona singolare, che diversamente sarebbero assenti.
- Sii più scaltro la prossima volta!
- Abbiate il coraggio delle vostre azioni!
I verbi stare, andare, fare e dare hanno due forme:
- una forma piena: stai, vai, fai, dai
- e una forma con troncamento, con la caduta dell'ultima vocale e l'uso dell'apostrofo: sta', va', fa', da'
L'infinito in funzione di imperativo e l'imperativo negativo[modifica]
Anche l'infinito può essere usato per esprimere ordini, comandi o istruzioni, e può quindi avere la funzione di imperativo impersonale. Per esempio:
- Camminare! Non c'è niente da vedere!
- Forza, correre!
L'infinito può essere usato anche per formare l'imperativo negativo. In questo caso ci si rivolge alla seconda persona singolare utilizzando l'infinito del verbo preceduto da non. Per esempio:
- Non correre con le forbici in mano, potresti farti male.
- Non parlare mentre mangi!
Per le altre persone (prima plurale, terza singolare e plurale) si usa invece il congiuntivo esortativo, preceduto da non:
- Non andate da quella parte!
- Non vengano mai più a casa mia!
Note[modifica]
- ↑ Imperativo, in La grammatica italiana, 2012. URL consultato il 27 dicembre 2019.
Informazioni preliminari[modifica]
L’infinito ha due forme: presente (o semplice) (a) e passata (o composta) (b). Nelle forme composte con essere (c) e in quelle passive (d) si deve modificare l’uscita del participio passato (genere e numero) che accompagna l’infinito propriamente detto:
- a) Questo pomeriggio penso di restare all’università.
- b) Temo di aver dimenticato il libro a casa.
- c) Franca dice di essersi svegliata prestissimo.
- d) Credono di esser stati imbrogliati.
L’infinito ha un doppio carattere, nominale e verbale, quindi può esser usato sia in funzione di sostantivo (e), sia in funzione di verbo (f):
- e) Il suo hobby preferito è collezionare farfalle (= la collezione di farfalle).
- f) Ha paura di non farcela (= ha paura che non ce la farà).
Tempi[modifica]
L'infinito ha due tempi: presente e passato.
- Infinito presente
L'infinito presente indica contemporaneità (1) o posteriorità (2) di azione con la frase reggente:
- 1) Credo di avere la febbre (credo adesso di avere la febbre adesso).
- 2) Penso di andare al cinema stasera (penso adesso di andare al cinema più tardi).
- Infinito passato
- Indica anteriorità di azione rispetto alla frase reggente:
- Dice di essersi raffreddato alla festa di ieri sera.
- All’infinito passato gli ausiliari “essere” e “avere” normalmente perdono la “e” finale:
- Racconta di aver passato le vacanze in Austria.
- Pensiamo di esser stati fortunati.
- L’infinito passato è obbligatorio con la congiunzione temporale “dopo”:
- Dopo aver studiato, farò una pausa.
- Dopo essersi lavato, preparò la colazione.
I pronomi[modifica]
- Nell’infinito la posizione dei pronomi atoni (mi, ti, gli, lo...) e dei pronomi riflessivi è enclitica,
cioè questi pronomi vengono uniti all’infinito, che perde la “e” finale.
- Credo di capirti.
- Che libro interessante! Comincerò a leggerlo.
- Penso di incontrarmi con Amelia.
- Con i verbi modali “potere dovere volere sapere solere” si possono collocare i pronomi atoni e i pronomi
riflessivi davanti o dopo il gruppo verbale:
- Mi vuole dire = Vuole dirmi
- Si voleva lavare = Voleva lavarsi
- Lo stesso succede con i verbi “andare a venire a mandare a cominciare a”:
- Mi viene a trovare = Viene a trovarmi
- Le comincia a piacere = Comincia a piacerle
- Lo mando a chiamare = Mando a chiamarlo
- Se l’infinito dipende da un verbo di percezione (vedere, guardare, osservare, sentire, ascoltare),
il pronome atono si trova davanti al verbo di percezione e non unito all’infinito:
- Li ho visti correre.
- La sentivo chiacchierare tranquillamente.
- Però si unisce il pronome all’infinito quando il pronome dipende esclusivamente dal verbo
all’infinito (g) e non dal verbo di percezione (h):
- Ho sentito (h) Mario suonare (g) la chitarra.
- Ho sentito Mario suonarla (“la chitarra” dipende da “suonare” e non da “sentire”!).
- L’ho sentito suonarla (“Mario” dipende da “sentire” e non da “suonare”!)
- Ho visto (h) Francesco e Marta mangiare (g) una pizza.
- Ho visto Francesco e Marta mangiarla (“la pizza” dipende da “ “mangiare” e non da “vedere”!)
- Li ho visti mangiarla (“Francesco e Marta” dipendono da “vedere” e non da “mangiare”!)
- Anche nelle costruzioni con “fare + infinito” o “lasciare + infinito” il pronome precede rispettivamente
“fare” e “lasciare” (tranne ovviamente nei casi in cui debba trovarsi per regola grammaticale in
posizione enclitica; es.: imperativo 2° persona).
In questo tipo di costruzioni non si può unire il pronome all’infinito:
- Dov’è il pacco? Lo faccio spedire subito.
- Lasciagli provare la bicicletta!
- I capelli, me li faccio tagliare a spazzola.
Proposizioni dipendenti[modifica]
- L’infinito con valore verbale ricorre soprattutto nelle proposizioni dipendenti.
L’uso dell’infinito permette di abbreviare ed alleggerire il periodo, sostituendo frasi secondarie di tipo causale,
consecutivo, condizionale, interrogativa indiretta, temporale ecc.
- Normalmente la frase reggente e la frase secondaria hanno lo stesso soggetto:
- Maja ha deciso di prenotare subito un volo (= Maja ha deciso che lei prenotava subito un volo).
- Mi chiedo dove trovare una baby sitter (= io mi chiedo dove io possa trovare...).
- Si è ammalato per aver lavorato troppo (= lui si è ammalato perché lui ha lavorato...).
Nelle proposizioni dipendenti l’infinito può esser preceduto o no da una preposizione.
- Troviamo l’infinito senza preposizione
- Dopo verbi di percezione (vedere, guardare, osservare, sentire, ascoltare). In questo caso l’infinito <br /sostituisce una frase relativa:
- L’ho visto arrivare
- La sentirono parlare
- Dopo verbi che esprimono desiderio (preferire, desiderare, intendere), se il soggetto della reggente <br /e quello della secondaria sono uguali:
- Preferisco aspettare.
- Davvero intendi rinunciare a quel lavoro?
- Dopo i verbi modali (potere volere dovere sapere solere):
- Potremmo finire il lavoro e andarcene a casa.
- Dovevo ripetere gli ultimi temi della lezione.
- Soleva cenare sempre al ristorante sotto casa.
- Dopo le espressioni con “fare” o “lasciare”:
- Mi sono fatta costruire una scaffalatura su misura.
- Lascialo andare a scuola da solo, altrimenti non diventerà mai indipendente!
- Nelle interrogative indirette introdotte da pronomi interrogativi (chi, dove, che cosa, quando, perché...),
se il soggetto della reggente e quello della secondaria sono uguali:
- Mi sono chiesto dove parcheggiare la macchina.
- Si domandavano chi invitare.
- Dopo “essere” + aggettivo avverbio:
- È difficile sapere che succederà.
- È meglio partire verso sera.
- Dopo molti verbi impersonali:
- Bisogna telefonare a Giovanni.
- Non occorre gridare, basta chiedere.
- Mi piace giocare a tennis.
- Quando l’infinito richiede preposizione abbiamo a disposizione
- di – a – da - per – senza
Considerata l’ampiezza del tema, si consiglia di consultare un vocabolario nel caso ci siano dei dubbi
sulla preposizione da scegliere dopo un verbo o un aggettivo. Richiamiamo ad ogni modo l’attenzione sui seguenti casi:
- Dopo i verbi di movimento (andare, salire, uscire, passare...) e dopo verbi che esprimono la permanenza o
l’indecisione (restare, rimanere, indugiare, tardare...) si usa la preposizione “a”:
- Vado a comprare le sigarette.
- Passiamo da te domani a vedere le foto.
- Resto a casa a leggere.
- Hanno indugiato molto a prendere una decisione.
- Se però si vuole sottolineare lo scopo dell’azione, con gli stessi verbi bisogna utilizzare la
preposizione “per”:
- Passiamo da te domani per vedere le foto (il nostro scopo è: vedere le foto).
- Resto a casa per mettere un po’ d’ordine (il mio scopo è: riordinare).
- La costruzione sostantivo + „da“ + infinito può esprimere un’idea di dovere (13),
un consiglio (14) o uno scopo (15):
- 13) Quest’auto è da lavare: è sporchissima!(= è un'auto che si deve lavare)
- 14) È veramente un film da vedere (= è un film che si deve vedere, che è consigliabile vedere).
- 15) Ho una macchina da scrivere.
- Dopo “che cosa qualcosa niente poco molto” ci vuole la preposizione “da”:
- Che cosa c’è da mangiare?
- Hai poco da protestare: io non ho niente da rimproverarmi.
Proposizioni indipendenti[modifica]
- Al posto dell’imperativo per esprimere un ordine (8) o un consiglio (9) in forma impersonale:
- 8) Mantenere le distanze di sicurezza
- 9) Leggere attentamente le avvertenze
- Per esprimere un divieto in forma negativa e impersonale:
- Non parlare al conducente
- Non fumare
- Per esprimere dubbio (10) o contrarietà (11) nelle frasi interrogative; per esprimere desiderio
nelle frasi esclamative (12):
- 10) Che fare in una situazione simile?
- 11) Che dire di un comportamento così sfacciato?
- 12) Ah, rivivere ancora una volta la spensieratezza dell’infanzia!
- È da ricordare che l’infinito negativo risolve anche la forma dell’imperativo negativo
della 2° persona singolare:
- Mauro, non chiamare a casa perché non ci sarà nessuno!
Uso nominale e verbale[modifica]
- Funzione nominale
- Soprattutto l’infinito presente può esser usato in funzione nominale, cioè come se fosse un normale sostantivo; in questo caso l’infinito può avere il valore di soggetto (3), di oggetto (4) o, se introdotto da una preposizione adeguata, di complemento indiretto (5):
- 3) Fumare danneggia la salute (= il fumo...).
- 4) Detesto guidare nell’ora di punta ( = detesto la guida...).
- 5) L’arte del ricevere (= del ricevimento)
- L’infinito con valore nominale può esser introdotto dall’articolo (6) o dalla preposizione + articolo (7):
- 6) Il suonare continuo dei cellulari mi innervosisce.
- 7) Con il litigare non otterrai niente.
- In alcuni casi la funzione nominale dell’infinito ha avuto tale fortuna da dar origine a un sostantivo vero e proprio, con un suo genere e la possibilità di formare il plurale:
- il potere i poteri; il volere i voleri; l’essere gli esseri...
- Funzione verbale
Usato con funzione verbale, l'infinito può trovarsi
- nelle proposizioni indipendenti (A)
- nelle proposizioni dipendenti (B)
Usi particolari[modifica]
- La costruzione perifrastica stare per + infinito
- Si può usare l’infinito dopo il verbo stare + la preposizione per allo scopo di esprimere l’imminenza di un’azione:
- Sbrigati, il treno sta per partire!
- L’infinito narrativo o descrittivo:
- Ecco + infinito
- A + infinito
Per conferire vivacità ad una narrazione si può sostituire il verbo in un modo finito con “ecco” + infinito,
oppure ricorrendo alla preposizione “a” + infinito. L’infinito di queste costruzioni si chiama “infinito narrativo (o descrittivo)”:
- Noi lì a tormentarci e a chiederci dove fosse Francesco, quand’eccolo uscire dal bar della piazza con la sua ultima conquista
(= Mentre noi ci tormentavamo e ci chiedevamo... Francesco improvvisamente uscì dal bar...).
- “Ecco” + infinito marca l’inizio improvviso di un fatto o di un’azione:
- Stavano aspettando da giorni sue notizie ed ecco arrivare una lettera con un timbro postale sconosciuto
(ecco arrivare = improvvisamente arrivò).
- “A” + infinito sottolinea la durata o l’intensità o la ripetitività di un fatto o di un’azione:
- Noi ormai eravamo stanchissimi, ma lui a insistere che la trattoria doveva essere vicina
(a insistere = insisteva tutto il tempo, continuamente).
Informazioni preliminari[modifica]
Il gerundio è un modo che esprime il significato del verbo relazionandolo con l'informazione di un altro verbo di modo finito. Esso possiede due forme: presente (o semplice) e passata (o composta). Il gerundio presente è una forma invariabile; nelle forme composte con essere e in quelle passive si deve modificare l'uscita del participio passato (genere e numero) che accompagna il gerundio propriamente detto. Ecco una tabella che mostra ciò che è appena stato detto:
Proposizione | Tipo di gerundio |
---|---|
Avendo tempo, faccio un salto in città. | gerundio presente o semplice |
Avendo avuto il raffreddore, si è indebolita. | gerundio passato o composto |
Essendo andata a letto, Maria non aveva voglia di rispondere al telefono. | gerundio passato con verbo essere |
Essendo stati visti, i due ladri cercarono di scappare. | gerundio passato passivo |
Il gerundio permette di collegare due frasi principali o una frase reggente e una secondaria:
- Se n'è andato via sorridendo (= è andato via e sorrideva): si tratta di un gerundio che collega due frasi principali
- Mangiando, leggeva il giornale (= mentre mangiava, leggeva il giornale): si tratta di un gerundio che collega una frase reggente con una frase secondaria.
Tempi[modifica]
Il gerundio presente di solito indica contemporaneità di azione con la frase reggente: può avere un carattere temporale, come in una frase precedente, ma anche modale, causale, condizionale o concessivo:
Proposizione | Forma espicita | Valore |
---|---|---|
Leggendo il testo, Maria mi spiegava i vocaboli più difficili. | Mentre Maria leggeva, mi spiegava i vocaboli più difficili. | temporale |
Puoi risolvere il problema andando da Francesco, che sa tutto di computer | Puoi risolvere il problema con una visita a Francesco, il quale sa tutto di computer | modale |
Non parlando l'inglese, ha difficoltà a trovare lavoro. | Siccome non parla l'inglese, ha difficoltà a trovare lavoro. | causale |
Chiedendo troppo non otterrai niente. | Se chiedi troppo non otterrai niente. | ipotetico |
Quando il gerundio è preceduto da "pur", la frase può avere valore concessivo, come nella seguente frase:
- Pur volendole bene, la trattava male. che in forma esplicita sarebbe Anche se le voleva bene, la trattava male.
Il gerundio passato non è molto comune e lo si usa soprattutto nella lingua scritta; esprime un’azione anteriore a quella espressa nella frase reggente; ha un valore causale o temporale, vediamo un paio di esempi:
Frase | Avendo mangiato poco, cominciavo ad avere una gran fame. |
---|---|
Analisi | Gerundio composto con valore causale, che sta per siccome avevo mangiato poco... |
Frase | Essendo già in città, si ricordò che le aveva promesso di chiamarla. |
---|---|
Analisi | Gerundio composto con valore temporale, che sta per Quando era già in città... |
Soggetti[modifica]
Normalmente la frase reggente e la frase subordinata con il gerundio hanno lo stesso soggetto. È la situazione che si presenta con maggior frequenza:
Frase | Avendo fame, sono andato in cucina a prepararmi un panino. |
---|---|
Analisi | Il soggetto del gerundio avendo e del verbo sono andato è lo stesso e cioè la forma personale io (io avevo fame; io sono andato in cucina). |
Il soggetto può restare inespresso se c’è una forma impersonale nel gerundio, come nella frase Piovendo, decidemmo di restare a casa.
Se la frase reggente e la subordinata con il gerundio hanno un soggetto diverso, nella frase con il gerundio il soggetto deve essere espresso; in questo caso è posposto al verbo. Questo tipo di gerundio si chiama gerundio assoluto ed ha di solito un valore causale, vediamone un esempio:
Frase | Abbiamo ritenuto inopportuna una discussione, essendo Franco troppo irritato. |
---|---|
Analisi | Il soggetto della proposizione principale è la forma personale noi, mentre il soggetto della subordinata è Franco. I due soggetti nelle due proposizioni sono diversi, perciò il soggetto del gerundio va espresso. |
Pronomi[modifica]
Nel gerundio la posizione dei pronomi atoni (come mi, ti, gli, lo...) e dei pronomi riflessivi è enclitica, cioè questi pronomi vengono collocati alla fine del verbo, vediamo alcuni esempi:
- Avendogli detto tutto, mi sentivo meglio.
- Vedendola, si dimenticò tutto.
- Essendosi addormentato, non sentì Laura che rientrava a casa.
Nelle costruzioni perifrastiche con i verbi "stare", "andare", "venire" si possono collocare i pronomi atoni e i pronomi riflessivi davanti o dopo il gruppo verbale, come nelle seguenti frasi:
- Mi viene dicendo = Viene dicendomi
- Si sta svegliando = Sta svegliandosi
- La va chiamando = Va chiamandolo
Usi particolari[modifica]
Il gerundio ha delle costruzioni particolari di tipo perifrastico con i verbi stare, andare, venire.
Si può usare il gerundio dopo i verbi stare, andare, venire per dare un'intonazione particolare all'azione.
La costruzione stare + gerundio mette in forte evidenza il carattere contingente e durativo dell'azione in corso, di seguito alcuni esempi:
Frase | Forma esplicita |
---|---|
Non vado al telefono perché sto mangiando. | proprio in questo momento mangio; continuerò a mangiare per un certo tempo. |
Non sono andato al telefono perché stavo mangiando. | proprio in quel momento mangiavo; ho continuato a mangiare per un certo tempo |
Nota: non si usa questa costruzione con i verbi "essere" e "stare", ad esempio: La sua applicazione è limitata ai tempi semplici di stare.
La struttura andare + gerundio si pone in forte evidenza il carattere progressivo dell'azione, ecco alcuni esempi:
- Il malato va migliorando, in forma esplicita Il malato a poco a poco migliora.
In altri contesti andare + gerundio serve a mettere in luce la ripetitività di un'azione:
- Va raccontando a tutti che diventerà ricco, in forma esplicita racconta tutto il tempo che diventerà ricco.
Talvolta questo tipo di costruzione esprime anche una sfumatura di scetticismo presente in chi parla, come nella frase precedente:
- Va raccontando a tutti che diventerà ricco, in forma esplicita racconta così da tempo, ma io non ci credo molto, che diventerà ricco
La costruzione venire + gerundio ha un valore simile ad andare + gerundio con valore progressivo:
- L'appetito vien mangiando, in forma esplicita L'appetito viene a poco a poco.
Il participio ha due tempi.
- Presente (o semplice): È una persona affascinante.
- Passato (o composto): Ho cercato il libro.
Ha un carattere polivalente, perché può esser usato sia in funzione di sostantivo (a)
o aggettivo (b), sia in funzione di verbo (c):
- a) Gli amanti della buona tavola si riuniranno a Ferrara il prossimo lunedì.
- b) Ecco comparire l’oggetto sconosciuto!
- c) Lo hanno visto ieri.
Participio presente[modifica]
Può esser usato come sostantivo, come aggettivo o come verbo.
- Come sostantivo ha singolare e plurale:
- Il cantante ha avuto uno strepitoso successo.
- I cantanti hanno avuto uno strepitoso successo.
- Quando il participio svolge la funzione di aggettivo si comporta come gli aggettivi a due desinenze, cioè con singolare in -e e plurale in -i (f), ed ha comparativo (g) e superlativo (h):
- f) Ho visto un film interessante / ho visto dei film interessanti.
- g) Questo film è più interessante di quello di ieri.
- h) Ho visto un film interessantissimo.
- Quando il participio presente ha valore verbale, ha sempre un significato attivo:
- Una novella emozionante (= che emoziona)
- Il participio presente con valore verbale è relativamente raro: al suo posto nella lingua parlata si preferisce usare una frase relativa. Tuttavia persiste in alcune formulazioni della lingua scritta e in particolare nella lingua burocratico giuridica:
- I vigili del fuoco hanno rinvenuto una tanica contenente (= che conteneva) residui tossici.
- Si nominerà la persona facente funzione di direttore (= che svolge la funzione di direttore).
- È stato firmato il documento comprovante (= che comprova) l’accordo fra le due imprese.
Participio passato[modifica]
Può esser usato come sostantivo (p. e.: lo sconosciuto, l’offerta...), come aggettivo
(p.e.: amato, conosciuto....) o come verbo.
- Con funzione aggettivale si comporta come gli aggettivi a quattro uscite (amato/a; amati/e) ed ha
comparativo (i) e superlativo (l):
- i) Il cane è più amato del gatto.
- l) Il cane è un animale amatissimo.
- Il participio passato con valore verbale ha sempre un significato passivo nei verbi transitivi e
un significato attivo nei verbi intransitivi:
- Il libro letto (= che è stato letto)
- Il passeggero appena arrivato (= che è arrivato)
Con valore verbale il participio composto serve
- a formare i tempi composti e in unione con l’ausiliare “essere” la forma passiva;
- a esprimere frasi in forma implicita
Nelle frasi in forma implicita[modifica]
- Con il participio passato si possono sostituire frasi con valore temporale (1), causale (2),
concessivo (3), relativo (4). In questo caso l’azione espressa
dal participio passato è anteriore all’azione espressa nella reggente:
- 1) Riposatosi un poco, si sentì meglio (= dopo che si fu riposato...).
- 2) Resosi conto che lo avevano scoperto, cercò di fuggire (= siccome si era reso conto...).
- 3) Anche se irritato, finge indifferenza (= nonostante sia irritato...).
- 4) Il concerto offerto ha suscitato l’entusiasmo della critica (= il concerto che è stato offerto...).
- Davanti al participio passato spesso si trovano congiunzioni come appena una volta se anche se pur benché,
in modo da identificare più facilmente il tipo di frase secondaria espressa con il participio:
- Appena arrivata a casa, chiamò l’amica. (Appena = frase temporale!)
- Benché spaventato, cercò di reagire. (Benché = frase concessiva!)
- Una volta conclusa la cena, Maria iniziò a sparecchiare. (Una volta = frase temporale!)
- Normalmente la principale e la secondaria devono avere lo stesso soggetto.
- Nel caso di frasi di tipo temporale o causale ci possono essere soggetti diversi, ma in questo caso il
soggetto della secondaria deve essere espresso subito dopo il participio passato;
l’uscita del participio passato deve concordarsi con il soggetto della secondaria: - Svegliatasi Paola, sua madre l’interrogò.
- Sfumato l’affare, Marco e Filippo decisero di far visita ad un altro cliente.
Usi particolari[modifica]
Una costruzione tipica dello stile narrativo è costituita da "participio passato + che + indicativo", questa costruzione ha valore temporale:
- Mangiato che ebbe, decise di uscire a fare una passeggiata (= Dopo che ebbe mangiato...).
- Arrivato che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso nell’erba un povero burattino mezzo morto
(Collodi, Pinocchio) (= Dopo che sarai arrivato...). - Giunto che fu al paese, cercò subito un alloggio per la notte (Dopo esser arrivato al paese,...)
Pronomi[modifica]
- Nel participio la posizione dei pronomi atoni (mi, ti, gli, lo...) e dei pronomi riflessivi è enclitica,
cioè questi pronomi vengono uniti alla fine del participio:
- Cercò la lettera dappertutto; trovatala dentro un libro, iniziò a leggerne le prime righe.
- Addormentatosi sul pavimento, si svegliò tutto indolenzito.
- Si ricordi che se i pronomi “lo, la, li, le” precedono i tempi composti, è obbligatoria la concordanza
del participio passato con i suddetti pronomi:
- Li ho visti ieri al cinema.
- Le lasagne le ho finite a pranzo.
- Nel caso del pronome “ne” con valore partitivo, la concordanza del participio avviene con il sostantivo
cui “ne” si riferisce:
- La torta era squisita, ne ho mangiate due fette.
- Comprendere la funzione dell'avverbio
- Conoscere e riconoscere i diversi tipi di avverbio
- Riconoscere una locuzione avverbiale
Funzione dell'avverbio[modifica]
L'avverbio principalmente si usa con i verbi:
- Cecilia corre velocemente.
Tuttavia, gli avverbi possono modificare anche il significato di
- un nome (La quasi totalità dei rifiuti viene riciclata),
- un aggettivo (Il tuo quadro è molto bello),
- un altro avverbio (Hai corso troppo lentamente),
- una frase (Non hai detto la verità).
Classificazione degli avverbi[modifica]
Gli avverbi vengono distinti in qualificativi e determinativi. Questi ultimi prevedono poi ulteriori sottoclassi.
Avverbi qualificativi o di modo[modifica]
Gli avverbi qualificativi, detti anche avverbi di modo, indicano il modo in cui è compiuta un'azione:
- Cammina lentamente.
- Parlava piano.
Possono inoltre specificare come deve essere intesa una qualità espressa da un aggettivo o di un altro avverbio.
- Era un ragazzo così educato!
Rientrano tra gli avverbi qualificativi:
- la maggior parte degli avverbi in -mente: rapidamente, velocemente, lentamente, correttamente, malamente, ecc.
- gli avverbi in -oni: balzelloni, carponi, bocconi, penzoloni, ecc.
- alcuni avverbi di origine latina: bene, male, volentieri, cioè, così, insieme, invano, ecc.
- alcuni aggettivi usati con funzione avverbiale: piano, forte, giusto, ecc.
Avverbi determinativi[modifica]
Gli avverbi determinativi, come suggerisce il termine, determinano il significato di una parola precisandone la situazione. A loro volta possono essere suddivisi in altre sottoclassi.
Gli avverbi di tempo precisano il momento temporale in cui avviene un'azione. Rientrano in questo gruppo: mai, ora, oggi, domani, ieri, adesso, subito, allora, talora, tavolta, sempre, sovente, già, prima, dopo, recentemente, precedentemente, ecc.
- Devi tornare subito a casa.
Gli avverbi di luogo precisano il luogo in cui si è verificata un'azione. I più comuni sono: qui, qua, lì, là, laggiù, quassù, sopra, sotto, avanti, indietro, giù, via, altrove, accanto, lontano, dappertutto, ecc.
- Abbiamo parcheggiato laggiù.
Rientrano tra gli avverbi di luogo anche le particelle ci, vi e ne:
- Non voglio venire in centro, ci sono andato ieri.
- Me ne sono andato di mia spontanea volontà.
Gli avverbi di quantità indicano una quantità non definita, come: poco, molto, troppo, alquanto, parecchio, assai, abbastanza, almeno, appena, affatto, talmente, minimamente, quasi, ecc.
- Sono sfinita, ho lavorato troppo.
Gli avverbi di valutazione esprimono un giudizio che può essere di affermazione (certo, certamente, sicuramente, appunto, davvero, ecc.), di negazione (non, neppure, neanche, mica, ecc.) o di dubbio (forse, probabilmente, magari, ecc.).
- Certamente verrò alla cena. (avverbio di affermazione)
- Luca non è una persona affidabile. (avverbio di negazione)
- Forse avrei dovuto essere più cauto. (avverbio di dubbio)
Gli avverbi interrogativi introducono una domanda. Tra quelli più usati ci sono: come?, dove?, quando?, quanto?, perché?
- Perché sei andato a casa di Lucia?
Gradi dell'avverbio[modifica]
La maggior parte degli avverbi di modo, luogo e tempo (come gli aggettivi qualificativi) prevedono dei gradi, con i quali esprimono l'intensità del loro significato.
Il grado positivo si limita a modificare il significato di una parola, senza precisarne la misura (vicino).
Il grado comparativo esprime un confronto e può essere:
- di maggioranza (più vicino)
- di minoranza (meno vicino)
- di uguaglianza (vicino come)
Il grado superlativo esprime il significato nella sua massima misura. Si distinguono:
- il superlativo assoluto (vicinissimo)
- il superlativo relativo (il più vicino possibile)
La tabella seguente riporta alcuni avverbi che presentano forme particolari.
Grado positivo | Comparativo di maggioranza | Superlativo |
---|---|---|
male | peggio | pessimamente / malissimo |
bene | meglio | ottimamente / benissimo |
molto | più | moltissimo |
poco | meno | minimamente / pochissimo |
grandemente | maggiormente | massimamente / sommamente |
Locuzioni avverbiali[modifica]
Talvolta possono essere utilizzati dei gruppi di parole con funzione di avverbio. In questo caso si parla di locuzioni avverbiali. Per esempio:
- Siamo passati di là.
- Ne ho trovati a bizzeffe.
A loro volta, le locuzioni avverbiali possono essere così classificate:
- locuzioni avverbiali di modo (alla svelta, di corsa, a rotta di collo, così così, in un batter d'occhi, di buon grado, a più non posso);
- locuzioni avverbiali di luogo (di qui, di là, per di qua, nei dintorni, nei pressi, nei paraggi);
- locuzioni avverbiali di tempo (una volta, di buon'ora, per sempre, di quando in quando, d'ora in avanti);
- locuzioni avverbiali di quantità (press'a poco, a bizzeffe, all'incirca, fin troppo, né più né meno);
- locuzioni avverbiali di affermazione (senza dubbio, di certo), negazione (neanche per idea) e dubbio (quasi quasi);
- locuzioni avverbiali interrogative (da dove? per quanto?).
- Comprendere la funzione delle congiunzioni
- Conoscere le principali congiunzioni coordinanti
- Conoscere le principali congiunzioni subordinanti
- Conoscere la differenza tra congiunzioni semplici, congiunzioni composte e locuzioni congiuntive
Funzioni della congiunzione[modifica]
La congiunzione collega due elementi di una frase, secondo precisi rapporti. Per esempio:
- Marta ha comprato latte e zucchero.
- Luca è rimasto a casa perché pioveva.
In base al tipo di rapporto che esprimono, cioè in base alla loro funzione, le congiunzioni si distinguono in coordinanti e subordinanti.
Congiunzioni coordinanti[modifica]
Le congiunzioni coordinanti collegano due parole oppure due proposizioni ponendole sullo stesso livello. Vengono classificate in base al tipo di legame logico che stabiliscono.
Classificazione | Congiunzioni | Esempi |
---|---|---|
copulative: collegano due parole o due frasi tramite un semplice accostamento | copulative positive: e copulative negative: né, neanche, nemmeno |
Ho incontrato Sergio e Lucrezia al cinema. Non conosco Mario, né lo voglio incontrare. |
disgiuntive: collegano due parole o due frasi che vengono poste in alternativa | o, oppure, altrimenti | Puoi prendere il té oppure la cioccolata |
avversative: le due parole o le due frasi vengono collegate da un rapporto di contrapposizione | ma, però, tuttavia, eppure, anzi | È una storia triste ma vera. |
conclusive: la seconda parola o frase è la conclusione della prima | quindi, dunque, perciò, allora, pertanto | Luca ha una gamba rotta, quindi non ha potuto giocare la partita. |
dichiarative: introducono una parola o una frase che hanno lo scopo di precisare qualcosa che è stato detto precedentemente | cioè, ossia, infatti | È successo tre giorni fa, cioè mercoledì. |
correlative: mettono in corrispondenza reciproca due parole | né... né, sia... sia, o... o | Non mi piace né l'uno né l'altro. |
Congiunzioni subordinanti[modifica]
Le congiunzioni subordinanti si usano per collegare due proposizioni di uno stesso periodo, che però non sono allo stesso livello. Una delle due dipende infatti dall'altra, in un rapporto di subordinazione (questo argomento viene approfondito nel modulo sulla Sintassi del periodo). In base al tipo di subordinazione che introducono, possono essere classificate come nella tabella qui sotto. Si noti che alcune congiunzioni possono rientrare in più tipologie, a seconda dei diversi legami logici che creano.
Classificazione | Congiunzioni | Esempi |
---|---|---|
finali: introducono lo scopo di quello che si è detto in precedenza | perché, affinché, ché | Ho insistito perché se ne andasse. |
causali: introducono la causa di quello che si è detto in precedenza | perché, poiché, giacché, sicché, ché, siccome | Sono arrivato tardi perché ho perso l'autobus. |
consecutive: introducono una frase che esprime una conseguenza della frase precedente | (tanto)... che, (così)... che, | Ha tanto insistito che me ne sono andato. |
temporali: introducono una frase che fornisce informazioni sul tempo | quando, mentre, finché, appena | Quando ero bambino, qui c'era un parco |
dichiarative: introducono una dichiarazione | che, come | Il presidente del Consiglio ha annunciato che non ci saranno nuove tasse. |
concessive: introducono un elemento, nonostante il quale si è verificato qualcos'altro | sebbene, nonostante, benché | Sebbene stesse cominciando a piovere, sei uscito senza ombrello. |
condizionali: introducono una condizione, in base alla quale si verifica o puoi verificarsi un fatto | se, qualora, purché | Se dovessi tornare, la mia porta sarà sempre chiusa. |
modali: introducono il modo in cui è compiuta un'azione | come, quasi | Bisognerà fare come dice il capo. |
avversative: creano un rapporto di contrapposizione | mentre, laddove, quando | Stefano è alto, mentre suo fratello Giorgio è basso. |
comparative: introducono una comparazione o un paragone | (così)... come, (meglio)... che, (più)... che, (meno)... che, (piuttosto)... che | Non fa così freddo come avevano detto al notiziario. |
interrogative: introducono un dubbio o una domanda indiretta | se, come, perché, quando | Mi sono sempre chiesto perché Rachele abbia cambiato scuola. |
eccettuative: introducono un'eccezione | fuorché, eccetto che, tranne che | Ha fatto di tutto, tranne che finire i compiti. |
limitative: specificano che quello che si sta dicendo è valido solo in un ambito ristretto | che, per quanto | Per quanto ne sappiamo, Federico è ancora a Trento. |
esclusive: introducono un'esclusione | senza | Se n'è andato senza salutare. |
Congiunzioni semplici, congiunzioni composte e locuzioni congiuntive[modifica]
Oltre che per la loro funzione, le congiunzioni possono essere classificate anche in base alla loro forma.
Si parla di congiunzioni semplici quando sono formate da una sola parola. Per esempio: e, o, né, però, ma, poi, quando, se ecc.
Le congiunzioni composte, invece, sono formate dall'unione di due o più parole. Per esempio: eppure (e + pure), giacché (già + che), neanche (né + anche), nondimeno (non + di + meno), ecc.
Ci sono poi le locuzioni congiuntive, cioè gruppi di parole che vengono usati con la funzione di congiunzione. Tra queste ci sono: dal momento che, in quanto, anche se, ecc.
- Conoscere la definizione di preposizione
- Sapere distinguere tra preposizioni proprie, improprie e locuzioni prepositive
Classificazione delle preposizioni[modifica]
In base alla forma, le preposizioni sono classificate in:
- preposizioni proprie, a loro volta distinte in
- semplici,
- articolate,
- preposizioni improprie.
A queste si aggiungono le locuzioni prepositive, cioè espressioni composte da due o più parole e usate con la funzione di preposizioni.
Preposizioni proprie[modifica]
Le preposizioni proprie sono dette così perché possono svolgere solo la funzione di preposizione.
Preposizioni semplici[modifica]
Si dicono preposizioni semplici le preposizioni composte da un'unica parola. Sono sette: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
Preposizioni articolate[modifica]
Le preposizioni articolate si formano dall'unione tra una preposizione semplice e un articolo. Lo schema qui sotto ne mostra la formazione.
di | a | da | in | con | su | |
---|---|---|---|---|---|---|
il | del | al | dal | nel | col | sul |
lo | dello | allo | dallo | nello | collo | sullo |
la | della | alla | dalla | nella | colla | sulla |
i | dei | ai | dai | nei | coi | sui |
gli | degli | agli | dagli | negli | cogli | sugli |
le | delle | alle | dalle | nelle | colle | sulle |
Le forme col, collo ecc. stanno però cadendo in disuso e vengono spesso sostituiti da con il, con lo ecc.
Le preposizione articolate formate da per + articolo sono invece cadute in disuso. Non esistono preposizioni con tra e fra.
Preposizioni improprie[modifica]
Si dicono preposizioni improprie le parole che vengono usate come preposizioni, ma che possono avere anche altre funzioni: possono per esempio essere avverbi, aggettivi o verbi.
Tra gli avverbi che possono svolgere la funzione di preposizione ci sono: davanti, dietro, avanti, dentro, oltre, fuori, sopra, presso, prima, dopo, circa, intorno, ecc. Per esempio:
- Il pallone è finito sopra il tetto. (sopra è una preposizione, stabilisce una relazione tra il verbo è finito e il tetto)
- Vai sopra. (sopra qui è invece un avverbio, perché precisa il significato del verbo)
Tra gli aggettivi che possono svolgere la funzione di preposizione ci sono: lungo, salvo, secondo, ecc. Per esempio
- È rotolato lungo il marciapiede. (lungo è una preposizione, mette in relazione il verbo è rotolato con il marciapiede)
- È un salto lungo. (lungo è invece un aggettivo, descrive come è il salto)
Tra i verbi al participio presente o passato che possono svolgere la funzione di preposizione ci sono: durante, mediante, nonostante, escluso, dato, ecc.
- L'ho incontrato durante la fiera. (durante svolge la funzione di preposizione, perché mette in relazione ho incontrato e la fiera).
- Il contratto varrà vita natural durante. (durante qui è un verbo al participio presente)
Locuzioni prepositive[modifica]
Le locuzioni prepositive sono gruppi di due o più parole che vengono usate sempre insieme e che hanno un valore di preposizione. Ecco alcuni esempio: di fronte, di fianco, a causa di, in mezzo a, al di là, a proposito di, in base a, a favore di, ecc.
- Comprendere che cos'è una esclamazione o interiezione
- Conoscere la differenza tra interiezione propria e impropria
- Saper riconoscere una locuzione interiettiva
Funzioni delle esclamazioni o interiezioni[modifica]
L'interiezione o esclamazione non ha una vera funzione sintattica, ma serve a dare una intonazione emotiva al discorso (paura, sorpresa, ira, noia, ecc.). Si veda per esempio la frase:
- Ahimè, il mio è stato un errore gravissimo.
L'interiezione ahimè sottolinea lo stato d'animo di chi pronuncia la frase, ma la parola rimane isolata, non entra in relazione con nessun'altra parte della frase. Una interiezione, da sola, può infatti costituire da sé una frase. Talvolta, per sottolineare la sensazione o lo stato d'animo da esprimere, le esclamazioni possono essere accompagnate da punti interrogativi o esclamativi:
- Eh? Ne sei proprio sicuro?
- Oh! Mi stai ascoltando?
- Cosa?! Quello che dici non mi risulta. (punto esclamativo e interrogativo esprimono stupore e incredulità)
Le interiezioni si distinguono in proprie e improprie. A queste si aggiungono le locuzioni interiettive.
Interiezioni proprie[modifica]
Si dicono esclamazioni o interiezioni proprie quelle parole che possono avere solo la funzione di interiezione.
Alcune interiezioni proprie sono: ah, eh, oh, uh, ahi, ehi, bah, mah, ehm, olà, uff, uffa, ahimè, ohimè, ahinoi, puh, puah, ecc.
Interiezioni improprie[modifica]
Le esclamazioni o interiezioni improprie sono invece nomi, aggettivi, verbi o avverbi che possono essere utilizzati anche come interiezioni.
Alcuni esempi sono: accidenti!, caspita!, accipicchia!, evviva!, suvvia!, su!, ottimo!, coraggio!, bravo!, forza!, ecc.
Locuzioni interiettive o esclamative[modifica]
In alcuni casi, gruppi di parole vengono usati con funzione interiettiva. In questo caso si parla di locuzioni interiettive o esclamative.
Tra le locuzioni interiettive più usata in italiano ci sono: santo cielo!, per carità!, per amor di Dio!, al fuoco!, porca miseria!, povero me!, ecc.
- Comprendere che cos'è una frase
- Comprendere che cos'è una frase minima
- Comprendere il significato di soggetto, predicato e complemento (o espansione)
- Comprendere che cos'è un sintagma
La sintassi è la parte della grammatica che studia come le diverse parti del discorso si uniscono per formare frasi. Nei moduli che seguono ci si soffermerà sulla sintassi della frase semplice, che studia le funzioni delle parole all'interno delle frasi. In un successivo modulo si inizierà invece lo studio della sintassi del periodo, che si occupa di come le frasi si uniscono tra di loro per formare frasi complesse o periodi.
Che cos'è una frase[modifica]
In particolare si parla di frase semplice o proposizione quando tutte le parole che la compongono ruotano attorno a un solo verbo. Si osservino gli esempi seguenti, in cui è sottolineato il verbo:
- Stefano corre.
- Nonostante una foratura e la pista scivolosa, il pilota vinse il gran premio con un vantaggio di tre secondi.
La frase complessa o periodo è invece formata da parole che si organizzano attorno a più verbi. Una frase complessa risulterà quindi composta da più proposizioni, collegate tra di loro:
- Sul fiume andavano e venivano, o danzavano all’àncora, barche, barchette, prahos malesi, bughisi, bornesi, macassaresi, grandi giong giavanesi colle vele dipinte, giunche cinesi di forme barocche e pesanti e piccole navi olandesi e inglesi; alcuni in attesa di un carico e altri del vento propizio che permettesse loro di prendere il largo. (Emilio Salgari, I pirati della Malesia, 1896)
La frase minima e le espansioni[modifica]
Si dice frase minima la frase nella sua forma base, composta cioè dai suoi due elementi formentali:
- il soggetto, inteso come "ciò di cui parla la frase",
- e il predicato, inteso come "ciò che si dice del soggetto".
Sono esempi di frasi minime:
Soggetto | Predicato |
---|---|
Il cane | abbaia. |
La luna | sorge. |
Tu | ridi. |
La frase minima fornisce solo pochissime informazioni, ma è possibile arricchirla attraverso altri elementi detti espansioni o complementi. In questo modo, soggetto e predicato costituiscono il nucleo attorno a cui si organizzano gli altri elementi. Se prendiamo per esempio la frase minima
- Il cane abbaia.
è possibile espanderla aggiungendo altre informazioni:
- Il cane di Luca abbaia sempre al postino.
Gli elementi di Luca, sempre e al postino sono tutti complementi.
Come si vedrà più avanti, è possibile dividere i complementi in
- complementi diretti, che si collegano direttamente al predicato,
- complementi indiretti, che invece si collegano al predicato attraverso altri elementi linguistici.
- Comprendere la funzione del soggetto
- Saper individuare il soggetto di una frase
Funzioni del soggetto[modifica]
Soggetto e predicato concordano nel genere, nel numero e nella persona. Il soggetto può indicare:
- la persona, l'animale o la cosa che compiono l'azione espressa dal predicato (Carlotta corre);
- la persona, l'animale o la cosa che subiscono l'azione espressa dal predicato (Il ladro è inseguito);
- la persona, l'animale o la cosa a cui viene attribuita la qualità espressa dal predicato (Lorenzo è biondo).
Riconoscere il soggetto[modifica]
Generalmente il soggetto è un nome, proprio o comune; i nomi comuni sono spesso è preceduti da un articolo. Per esempio:
- Franco taglia la siepe
- Il cane abbaia
Spesso però il soggetto è un pronome:
- Egli canta.
- Nessuno interviene.
Anche altre parti del discorso (verbi, aggettivi, avverbi ecc.) possono svolgere la funzione di soggetto. In questo caso però si parla di verbi, aggettivi o avverbi sostantivati, cioè adottano la funzione del nome e vengono generalmente preceduti da un articolo. Per esempio:
- Il verde mi piace. (aggettivo)
- Il mangiare è una necessità. (verbo)
- Il perché non mi è chiaro. (congiunzione)
- Un oh giunse dal fondo della sala. (esclamazione)
Altra caratteristica importante da tenere presente è che il soggetto non è mai introdotto da una preposizione. Può invece essere preceduto da un articolo determinativo o indeterminativo:
- Il postino è in ritardo.
- Un'automobile sfrecciava.
da un aggettivo dimostrativo:
- Questa torta è proprio deliziosa.
da un aggettivo interrogativo:
- Quale casa è?
Posizione del soggetto[modifica]
La posizione del soggetto all'interno della frase può variare. Molte volte lo si trova all'inizio, per esempio:
- Marina è andata al cinema ieri pomeriggio.
Tuttavia, il soggetto può facilmente essere spostato in un'altra posizione, per esempio:
- Ieri pomeriggio Marina è andata al cinema.
In tutti gli esempi precedenti il soggetto precedeva il predicato; talvolta però può verificarsi il contrario. Si veda ad esempio questa frase, in cui il soggetto segue il predicato:
- È arrivata la primavera.
Soggetto sottinteso[modifica]
Talvolta il soggetto può restare sottinteso: in questo caso si parla di frasi ellittiche.
Il soggetto può non essere espresso quando è un pronome personale e quindi facilmente riconoscibile dalla coniugazione del verbo:
- Leggo. (soggetto sottinteso: io)
- Ieri siete andati da Dario? (soggetto sottinteso: voi)
Quando in una frase ci sono più predicati con lo stesso soggetto, il soggetto non viene ripetuto, ma viene esplicitato una volta sola. Si veda per esempio:
- Jessica era in ritardo perché era stata rallentata dal traffico, così andò direttamente in ufficio.
In questa frase Jessica è il soggetto dei tre predicati era in ritardo, era stata rallentata e andò.
Il soggetto non si ripete nelle risposte, quando è già espresso nelle domande. In questo esempio
- «Perché ti ha telefonato Mario?» «Voleva invitarmi a una festa per domenica sera»
il soggetto della domanda, Mario, è lo stesso della risposta e quindi non viene ripetuto.
- Comprendere le funzioni del predicato
- Comprendere la differenza tra predicato verbale e predicato nominale
Funzioni del predicato[modifica]
Il predicato è sempre un verbo di senso compiuto, che può quindi essere solo oppure può essere accompagnato da altre parole, che ne completano il significato.
Ci sono due tipi di predicato: il predicato verbale e il predicato nominale.
Predicato verbale[modifica]
Il predicato verbale è composto da un verbo predicativo, cioè un verbo che può essere usato anche da solo perché di senso compiuto. Sono esempi di predicato verbale:
- Il cane abbaia.
- Io e Gianni siamo andati a una festa a casa di Marta.
I verbi servili potere, dovere e volere costituiscono un solo predicato con i verbi che li seguono:
- Federica vuole andare al cinema stasera.
Lo stesso vale per i verbi fraseologici, come stare per, iniziare a, smettere di ecc.
- Inizia a piovere proprio ora.
Predicato nominale[modifica]
Il predicato nominale è composto da una voce del verbo essere (detta copula) e da un aggettivo o un nome (che costituiscono la parte nominale o nome del predicato). Sono esempi di predicato nominale:
- Guido è professore.
- I bambini sono stanchi.
La copula concorda nel genere e nella persona con il soggetto:
- Luca è alto.
- Noi siamo annoiati.
Anche la parte nominale concorda nel genere e nel numero con il soggetto:
- Il ghiaccio è freddo.
- Noi tutti siamo preoccupati.
Attenzione: quando il verbo essere è ausiliare di un verbo predicativo, non deve essere confuso con la copula del predicato nominale. Si vedano gli esempi:
- Luca è arrivato con due ore di ritardo.
- È piovuto tutta la mattina.
Lo stesso vale per i verbi alla diatesi passiva:
- La collana è stata rubata da un ladro.
Inoltre, il verbo essere ha sempre la funzione di predicato verbale quando ha il significato di stare, esistere, trovarsi, rimanere, appartenere:
- Martina è a casa.
Oltre a essere, anche altri verbi possono svolgere la funzione di copula di un predicato nominale. Sono detti verbi copulativi e i principali sono:
- sembrare, parere, diventare
- La maestra sembra stanca.
- La pianta è diventata marrone.
- i verbi che indicano un modo di essere, come nascere, morire, restare, rimanere
- Rimase povero per tutta la vita.
- i verbi appellativi usati al passivo, come chiamare, dire
- Michelangelo Merisi era detto Caravaggio.
- i verbi elettivi al passivo, come eleggere, nominare
- Il dottor Bianchi è stato eletto senatore.
- i verbi estimativi al passivo, come giudicare, stimare, credere
- Il mio vicino è considerato strano da tutti.
Frasi nominali[modifica]
Una frase nominale è una frase in cui il predicato può essere sottinteso. In alcuni casi, il predicato può infatti essere dedotto dal contesto:
- «Da dove vieni?» «Da scuola» (nella risposta è sottinteso il verbo vengo)
Casi tipici di frasi nominali si trovano nei titoli di articoli giornalistici e negli slogan pubblicitari, che puntano sulla brevità e sull'incisività della frase per trasmettere il messaggio in modo più efficace:
- Allerta maltempo in Nord Italia (esempio di titolo giornalistico)
- Il respiro naturale della tua casa (esempio di slogan)
Le frasi nominali si incontrano, infine, sotto ai cartelli e nei messaggi di avviso o divieto:
- Pavimento bagnato
- Attenti al cane
- Pericolo attraversamento animali
- Comprendere cos'è un complemento diretto
- Saper riconoscere il complemento oggetto
- Saper riconoscere i complementi predicativi
I complementi diretti sono espansioni che si collegano direttamente al predicato, senza bisogno di nessun altro elemento linguistico.
Nella grammatica italiana ci sono tre complementi diretti: il complemento oggetto, il complemento predicativo del soggetto e il complemento predicativo dell'oggetto.
Complemento oggetto[modifica]
Il complemento oggetto, detto anche espansione diretta, precisa l'oggetto dell'azione o dell'esperienza espressa dal verbo, unendosi direttamente al verbo senza l'aiuto di alcuna preposizione.
- Ho mangiato la pasta
- Hai ritirato i soldi?
- L'hai preso!
Solo i verbi transitivi, però, reggono il complemento oggetto perché sono gli unici che permettono il passaggio diretto dell'azione del predicato dal soggetto all'oggetto. Per esempio:
- Il nonno ha comprato lo yogurt.
I verbi intransitivi, viceversa, non accettano mai il complemento oggetto.
Complemento predicativo del soggetto[modifica]
Il complemento predicativo del soggetto è un nome o un aggettivo che si riferisce al soggetto, con cui concorda morfologicamente, ma che dipende dal predicato verbale.
- È stato soprannominato secchione per il suo interesse nello studio
- Sono stato giudicato colpevole di crimine che non ho commesso
- Alessandro venne soprannominato il grande.
Il predicativo del soggetto si incontra con le forme passive dei verbi
- appellativi (chiamare, soprannominare, ecc.),
- elettivi (eleggere, nominare, ecc.),
- estimativi (stimare, giudicare, ecc.),
- effettivi (rendere, far diventare, ecc.).
Complemento predicativo dell'oggetto[modifica]
Il complemento predicativo dell'oggetto è invece un nome o un aggettivo che si riferisce all'oggetto, con cui concorda morfologicamente, ma che dipende dal predicato verbale.
- Considero Alessandro inaffidabile.
- Hai reso felice Marta.
- I parlamentari elessero Enrico De Nicola presidente.
Il predicativo dell'oggetto si incontra con gli stessi verbi che hanno il predicativo del soggetto, però in forma attiva.
I complementi indiretti sono così chiamati perché dipendono da altri elementi della frase (soggetto, predicato, complementi diretti o altri complementi), senza i quali non hanno un senso compiuto. In genere sono inoltre introdotti da preposizioni.
Nella tabella sono elencati i principali complementi diretti.
Complemento | Funzione |
---|---|
Complemento di specificazione | Specifica a chi appartiene qualcosa.
|
Complemento di termine | Specifica a chi (o a che cosa) viene dato qualcosa.
|
Complemento di argomento | Indica l'argomento di cui si parla.
|
Complemento di luogo | Specifica meglio il luogo dell'azione. Si divide in complemento di stato in luogo, moto a luogo, moto da luogo e moto per luogo. |
Complemento di stato in luogo | Specifica dove si svolge un'azione non di moto.
|
Complemento di moto a luogo | Definisce la destinazione di un'azione di moto.
|
Complemento di moto a luogo circoscritto | Indica movimento all'interno di un ambiente circoscritto.
|
Complemento di moto da luogo | Indica da dove giunge qualcuno o qualcosa.
|
Complemento di moto per luogo | Specifica per dove passa un'azione di moto.
|
Complemento di tempo | Specifica meglio la tempistica dell'azione. Si divide in complemento di tempo determinato e complemento di tempo continuato. |
Complemento di tempo determinato | Indica il momento preciso in cui si svolge l'azione.
|
Complemento di tempo continuato | Specifica per quanto tempo è durata l'azione.
|
Complemento di quantità | Specifica meglio una quantità. Si divide in complemento di peso, misura, abbondanza, privazione, estensione, distanza, stima e prezzo. |
Complemento di peso | Specifica il peso di qualcosa.
|
Complemento di misura | Precisa l'altezza, la larghezza o la lunghezza di qualcosa.
|
Complemento di abbondanza | Specifica cosa è presente in abbondanza.
|
Complemento di privazione | Risponde alla domanda: "senza che cosa?"
|
Complemento di distanza | Indica quanto dista un luogo da un altro.
|
Complemento di prezzo | Indica il prezzo di qualcosa.
|
Complemento d'agente | Specifica da chi viene compiuta l'azione.
|
Complemento di causa efficiente | Specifica da che cosa viene compiuta l'azione.
|
Complemento di causa | Indica la causa dell'azione.
|
Complemento di fine | Specifica lo scopo per cui l'azione è compiuta.
|
Complemento di denominazione | Specifica il nome di un luogo.
|
Complemento di età | Indica l'età di qualcuno.
|
Complemento di limitazione | Indica a che ambito si limita l'affermazione.
|
Complemento di origine | Indica l'origine dell'azione (a differenza del complemento di moto da luogo, non indica movimento)
|
Complemento di mezzo | Indica il mezzo col quale l'azione è compiuta.
|
Complemento di modo | Specifica il modo in cui è svolta l'azione.
|
Complemento di paragone | Indica il secondo termine di un paragone.
|
Complemento di colpa | Indica di cosa si è colpevoli e/o accusati.
|
Complemento di pena | Indica la pena o la punizione inflitta.
|
Complemento di qualità | Indica una caratteristica (non per forza positiva).
|
Complemento di rapporto | Indica con chi si ha rapporti.
|
Complemento di compagnia | Indica in compagnia di chi si svolge l'azione.
|
Complemento di unione | Specifica con cosa viene fatta l'azione.
|
Complemento di vantaggio | Indica a vantaggio di chi è l'azione compiuta.
|
Complemento di svantaggio | Indica a discapito di chi e/o cosa va l'azione.
|
Complemento distributivo | Indica la proporzione numerica fra cose e/o persone.
|
Complemento partitivo | Specifica un insieme nel quale si trova il termine reggente.
|
Oltre ai complementi, ci sono altri elementi che possono espandere il significato della frase semplice: sono l'attributo e l'apposizione.
Attributo[modifica]
L'attributo è un aggettivo che precisa una qualità o una determinazione di un nome. Può riferirsi a vari elementi della frase, per esempio:
- Un cavallo bianco correva sul prato. (attributo del soggetto)
- Jennifer è un'ottima nuotatrice. (attributo del predicato nominale)
- La bambina colse una mela rossa. (attributo del complemento oggetto)
- Conosci l'orario dell'ultimo autobus? (attributo del complemento di specificazione)
Qualsiasi aggettivo può svolgere la funzione di attributo. Ecco alcuni esempi:
- Questa mela ha uno strano sapore. (aggettivo dimostrativo e aggettivo qualificativo)
- Hanno rubato la sua auto. (aggettivo possessivo)
- Non ha incontrato nessun ostacolo sul cammino. (aggettivo indefinito)
Talvolta, inoltre, anche l'avverbio può avere una funzione attributiva:
- Il giorno dopo era tardi.
- Era andata nella camera accanto.
Apposizione[modifica]
L'apposizione è un nome che contribuisce a determinare un altro nome. Per esempio:
- Lo zio Fabio è partito per le vacanze.
- Abbiamo parlato con la professoressa Rossi.
Anche l'apposizione, come l'attributo, può riferirsi a diversi elementi della frase:
- Il dottor Verdi riceve al lunedì mattina. (apposizione del soggetto)
- È andata in vacanza con il marito Stefano. (apposizione al complemento di compagnia)
Se composta da un solo nome, si parla di apposizione semplice. A volte però il nome che svolge la funzione di apposizione può essere determinato da uno più attributi: in questo caso si parla di apposizione composta. Per esempio:
- Mia sorella Silvana è tornata dal mare.
- È venuto a trovarci la nostra cara amica Claudia.
L'apposizione composta può essere accompagnata anche da un complemento di specificazione:
- Mario, il fratello di Stefania, è partito per le vacanze.
L'apposizione, in alcuni casi, non si collega direttamente al nome ma può essere introdotta dalla preposizione da:
- Marica da grande vuole diventare un archeologo.
oppure da espressioni quali come, in qualità di, in veste di ecc.:
- Daniele, in qualità di medico, mi ha sconsigliato quel farmaco.
oppure ancora da espressioni colloquiali come quel furbo di, quel delinquente di, quel genio di ecc.:
- La finestra è stata rotta da quello scavezzacollo di Nino.
La sintassi del periodo studia la sintassi della frase complessa, cioè quella frase con più verbi, formata, quindi, da più frasi semplici, chiamata, appunto, periodo. Il periodo è un pensiero compiuto formato da una o più proposizioni collegate, armonicamente, fra loro.
Che cos'è il periodo?[modifica]
Per comunicare con gli altri, non sempre basta una frase semplice: di solito facciamo ricorso a più proposizioni che, legate insieme, formano i periodi o frasi complesse.
Un periodo è formato da tante proposizioni quanti sono i verbi che lo compongono.
Quindi, il periodo è un pensiero compiuto, formato da una o più proposizioni (o frasi semplici), organicamente collegate tra loro, separato dal resto del discorso con un segno di punteggiatura forte (punto, punto interrogativo, punto esclamativo).
Struttura del periodo[modifica]
Quando è composto da più frasi semplici, il periodo è una struttura complessa, nella quale ogni proposizione svolge una propria funzione ed è collegata alle altre secondo un ordine preciso. In primo luogo, in ogni periodo c'è sempre una proposizione pienamente autonoma, che potrebbe sussistere anche da sola. La proposizione che possiede queste caratteristiche è l'elemento essenziale del periodo stesso, perciò viene definita principale.
- Ogni animale costituisce un pezzetto di natura, purché la sua natura rimanga libera.
Questo periodo è formato da due proposizioni: solo una delle due frasi semplici può stare da sola, perché ha un significato compiuto: Ogni animale costituisce un pezzetto di natura.
La seconda proposizione, invece, non può stare da sola. Infatti se diciamo: purché la sua natura rimanga libera, sentiamo che manca qualcosa, che è necessaria un'altra frase a cui appoggiarsi, affinché il pensiero sia completato.
La proposizione principale quindi non dipende da altre frasi, ha senso compiuto, ha un verbo di modo finito e può stare da sola, e per questo motivo viene detta anche indipendente.
Le frasi che si appoggiano a un'altra frase prendono il nome di coordinate o subordinate, a seconda del rapporto che instaurano con essa.
Proposizione principale[modifica]
La proposizione principale è la proposizione che ha senso compiuto: può stare da sola (quindi la possiamo isolare dal periodo), ed è quindi autonoma, indipendente. Per esempio:
- La mela è rossa.
- Sono andato al cinema ieri sera.
In base allo scopo con cui vengono usate, si distinguono vari tipi di proposizione indipendente, che vengono elencati nella tabella.
Proposizione | Funzione |
---|---|
Proposizioni informative | Forniscono informazioni su un fatto o un evento, oppure esprimono un giudizio.
|
Proposizioni volitive | Esprimono un ordine, un invito o un esortazione.
|
Proposizioni desiderative | Esprimono un desiderio o un rimpianto.
|
Proposizioni interrogative | Pongono una domanda.
|
Proposizioni esclamative | Esprimo stupore o gioia.
|
Proposizioni dubitative | Esprimono un dubbio o un'incertezza sotto forma di domanda, senza rivolgersi a un interlocutore in particolare.
|
Proposizioni coordinate e subordinate[modifica]
Le proposizioni dipendenti, che non hanno un significato autonomo, possono collegarsi alla principale per coordinazione (o paratassi) oppure per subordinazione (o ipotassi).
Le proposizioni coordinate si collegano alla principale per giustapposizione (asindeto):
- Ho incontrato Stefania, mi ha fatto piacere rivederla.
oppure tramite una congiunzione coordinante:
- Non avevo più niente nel frigorifero e ho dovuto pranzare in trattoria.
Le proposizioni subordinate (dette anche dipendenti o secondarie) si collegano mediante una congiunzione subordinante:
- Non posso venire a casa tua perché devo andare a cena da Paolo.
Non tutte le coordinate e le subordinate, però, sono collegate alla principale: talvolta, infatti, possono collegarsi ad altre subordinate o ad altre coordinate, che come la principale svolgono la funzione di proposizioni reggenti. Vediamo l'esempio:
- Questa torta non mi piace perché è troppo dolce e ha troppa panna.
In questo periodo la frase e ha troppa panna è coordinata alla subordinata perché è troppo dolce, che è quindi la sua reggente.
I gradi di subordinazione[modifica]
Le proposizioni subordinate, quindi, possono essere rette anche da proposizioni che non sono la principale. Questo fa sì che si possano individuare diversi gradi di subordinazione:
- una subordinata di primo grado dipende dalla proposizione principale,
- una subordinata di secondo grado dipende da una subordinata di primo grado,
- una subordinata di terzo grado dipende da una subordinata di secondo grado,
e così via.
Proposizioni incidentali o parentetiche[modifica]
La proposizione incidentale o parentetica è un particolare tipo di proposizione che si inserisce in un periodo senza specifici legami sintattici con le altre proposizioni, per aggiungere precisazioni o commenti a quello che si sta dicendo. Di solito viene marcata da due vigole o da due lineette, una all'inizio e una alla fine:
- La casa di Diego, se non ricordo male, si trova in fondo alla via.
- Il ragno - come è noto - cattura le prede servendosi della ragnatela.
L'incidentale non è una proposizione indipendente, perché, anche se autonoma, non ha alcun significato al di fuori del contesto in cui è inserita. Allo stesso modo, però, non è nemmeno una proposizione subordinata, visto che non dipende da nessuna reggente. È piuttosto un elemento accessorio, che aggiunge informazioni, ma privo di un collegamento con altre parti della frase.
Si parla di coordinazione o paratassi quando due o più frasi sono collegate tra loro in modo da essere messe sullo stesso piano. Una proposizione può coordinarsi sia alla proposizione principale, sia a un'altra coordinata sia a una subordinata.
Forme di coordinazione[modifica]
Si può creare una coordinazione tra due o più proposizioni in tre diversi modi: per asindeto, mediante una congiunzione coordinante o per polisindeto.
La coordinazione per asindeto si realizza mediante segni di punteggiatura deboli come la virgola (,) e i due punti (:).
- Arrivò tardi, l'autobus era già partito.
- Eri stato avvertito: non lo dovevi fare.
La coordinazione mediante congiunzione coordinante si realizza, come dice il nome, ricorrendo a una congiunzione coordinante.
- Il gatto era scappato ma l'abbiamo ritrovato poche ore dopo.
- Questa torta mi piace e ne prenderò un'altra fetta.
La coordinazione per polisindeto avviene ripetendo la stessa congiunzione coordinante.
- E chiacchiera e si muove e interrompe di continuo.
- Né gli voglio parlare né lo voglio vedere.
Tipi di proposizioni coordinate[modifica]
In base alla congiunzione coordinante che le introduce, le proposizioni coordinate si possono suddividere in vari tipi, che sono elencati nella tabella.
Proposizione coordinata | Caratteristiche |
---|---|
Proposizioni copulative | Sono introdotte da congiunzioni copulative (e, né, neanche, nemmeno):
|
Proposizioni disgiuntive | La coordinata esclude quello che viene detto dalla principale, e viceversa. Sono introdotte da congiunzioni disgiuntive (o, oppure, altrimenti):
|
Proposizioni avversative | Esprimono un significato avverso a quello della reggente. Sono introdotte da congiunzioni avversative (ma, però, tuttavia, eppure, anzi):
|
Proposizioni dichiarative o esplicative |
La coordinata, introdotta da congiunzioni dichiarative (cioè, ossia, infatti), specifica e spiega i concetti espressi nella reggente:
|
Proposizioni conclusive | La coordinata esprime la conclusione di quanto detto nella reggente. È introdotta da una congiunzione conclusiva (quindi, dunque, perciò, allora, pertanto):
|
Proposizioni correlative | Sono introdotte da congiunzioni correlative (né... né, sia... sia, o... o ), e mettono in correlazione due frasi:
|
Si dice subordinazione o ipotassi quando due o più proposizione sono collegate tra di loro in modo da essere poste su piani diversi. La proposizione subordinata, in particolare, si pone su un piano inferiore rispetto alla proposizione principale o alla reggente, da cui dipende per avere senso. In questo modo, la subordinazione può creare periodi molto complessi, in cui è possibile riconoscere una struttura gerarchica tra le frasi che lo compongono.
Forme di proposizioni subordinate[modifica]
Possono esserci due forme di subordinate: la forma esplicita e la forma implicita.
Le proposizioni subordinate in forma esplicita hanno un verbo al modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo). Possono essere introdotte dalle congiunzioni subordinanti:
- Non parteciperò perché non sono d'accordo.
Possono essere introdotte anche da pronomi relativi, pronomi misti o da avverbi che hanno la funzione di pronomi relativi:
- Ho letto il libro di cui mi ha parlato Claudia.
Infine, possono essere introdotte da aggettivi, avverbi e pronomi interrogativi:
- Non ricordo più qual è l'autore di quel libro.
Le proposizioni subordinate in forma implicita hanno invece un verbo al modo indefinito (infinito, participio, gerundio). Possono essere introdotte dalle preposizioni per, a, di, da:
- Per visitare la mostra devi acquistare un biglietto.
Possono essere precedute anche dalle congiunzioni perché, quando, pure, sebbene, se:
- Pur conoscendo le conseguenze, ha deciso di procedere.
Ma possono anche collegarsi direttamente alla reggente:
- Giocando a calcio, mi sono stortato una caviglia.
È quasi sempre possibile trasformare una frase implicita in una frase esplicita. Per farlo si deve coniugare il verbo dal modo indefinito a un modo finito, e concordarlo con il soggetto. Per esempio:
- Ho capito di avere sbagliato.
- Ho capito che ho sbagliato.
Tipi di proposizioni subordinate[modifica]
In base alla loro funzione, le subordinate vengono distinte in tre gruppi: subordinate sostantive, subordinate avverbiali e subordinate relative.
Subordinate sostantive[modifica]
Le proposizioni subordinate sostantive svolgono nel periodo le stesse funzioni del soggetto e del complemento oggetto nella frase semplice.
Proposizione subordinata | Funzione |
---|---|
Proposizione soggettiva | Svolge la funzione di soggetto della reggente.
|
Proposizione oggettiva | Svolge la funzione di complemento oggetto della reggente.
|
Proposizione dichiarativa | Spiega o chiarisce un elemento della reggente.
|
Proposizione interrogativa diretta | Esprime una domanda in forma indiretta.
|
Subordinate avverbiali[modifica]
Le proposizioni subordinate avverbiali aggiungono informazioni, fornendo espansioni o determinazioni rispetto a quello che si dice nella principale. La loro classificazione riprende quella dei complementi indiretti.
Proposizione subordinata | Funzione |
---|---|
Proposizione finale | Indica lo scopo dell'azione espressa dalla reggente.
|
Proposizione causale | Indica la causa dell'azione espressa dalla reggente.
|
Proposizione consecutiva | Indica una conseguenza di quello che viene detto nella reggente.
|
Proposizione condizionale | Esprime una condizione per la quale si potrà avverare ciò che viene detto nella reggente.
|
Proposizione modale | Indica il modo in cui viene svolta l'azione della reggente.
|
Proposizione strumentale | Indica il mezzo con il quale si realizza l'azione espressa nella reggente. È solo implicita: il verbo è al gerundio o all'infinito preceduto dall'articolo e retto da con o introdotto da locuzioni come a furia di, a forza di, ecc.
|
Proposizione temporale | Specifica quando è avvenuta l'azione espressa dalla reggente.
|
Proposizione avversativa | Indica una circorstanza contraria a quella espressa dalla reggente.
|
Proposizione concessiva | Esprime la circostanza nonostante la quale si realizza l'azione della reggente.
|
Proposizione comparativa | Esprime un confronto con quanto dice la reggente.
|
Proposizione eccettuativa | Esprime una circostanza eccetto la quale è vero ciò che viene detto nella principale.
|
Proposizione esclusiva | Esclude un fatto o un evento da ciò che viene detto dalla reggente.
|
Proposizione limitativa | Limita il significato della reggente a un ambito ben preciso.
|
Subordinate relative[modifica]
Le proposizioni subordinate aggettive o relative precisano le caratteristiche di uno nome all'interno della reggente, utilizzando un pronome relativo. Per questo motivo svolgono una funzione simile all'attributo e all'apposizione.
Proposizione subordinata | Funzione |
---|---|
Proposizione relativa propria | Precisa le caratteristiche di un nome della reggente, che viene richiamato con un pronome relativo.
|
Proposizioni relative improprie | La proposizione relativa in alcuni casi può assumere sfumature particolari e assumere le funzioni di altre proposizioni. In questo caso viene definita proposizione relativa impropria. |
Proposizione relativa-temporale | Fornisce informazioni sul momento in cui si verifica l'evento espresso dalla reggente.
|
Proposizione relativa-causale | Indica la causa di quanto espresso dalla reggente.
|
Proposizione relativa-finale | Indica lo scopo di quanto espresso dalla reggente.
|
Proposizione relativa-consecutiva | Indica una conseguenza di quanto espresso dalla reggente.
|
Proposizione relativa-concessiva | Indica una circostanza nonostante la quale si realizza l'azione della reggente.
|
Un periodo ipotetico è costituito da un'ipotesi (la frase subordinata condizionale, o meglio detta protasi) e da una conseguenza (la frase principale, o meglio detta apodosi).
L'ipotesi può avere diversi livelli di "credibilità", perciò abbiamo tre periodi ipotetici:
- periodo ipotetico della realtà
- periodo ipotetico della possibilità
- periodo ipotetico dell'irrealtà
Periodo ipotetico della realtà[modifica]
Nel periodo ipotetico della realtà l'ipotesi può esser presentata come un fatto reale e sicuro: in questo caso si avrà il modo indicativo (presente o futuro) sia nella frase condizionale sia nella principale.
- Se avrò tempo, verrò a trovarti.
- Se non c'è lezione, possiamo andare al parco.
Talvolta nella frase principale si trova l'imperativo:
- Signora, se comincia a piovere, ritiri le sedie dal balcone.
- Se hai fame, scaldati le lasagne.
Periodo ipotetico della possibilità[modifica]
Nel periodo ipotetico della possibilità l'ipotesi può esser presentata come un fatto possibile: in questo caso si userà nella frase condizionale il congiuntivo imperfetto (e non l'indicativo che farebbe pensare ad una sicurezza inesistente); nella frase principale si userà il condizionale presente:
- Se leggessi l'articolo, ti faresti un'idea più chiara del problema.
- Se concludessero per tempo la conferenza, potrei prendere il treno delle cinque.
Periodo ipotetico dell'irrealtà[modifica]
Nel periodo ipotetico dell'irrealtà l'ipotesi può esser presentata come un fatto irreale, perché già successo, ma in altro modo da quello auspicato nella frase condizionale: in questo caso si userà nella frase condizionale il congiuntivo trapassato e nella frase principale il condizionale passato:
- Se avessimo telefonato all'agenzia, ci avrebbero dato le informazioni necessarie.
Nelle ipotetiche dell'irrealtà possono comparire nella lingua parlata due indicativi imperfetti al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato:
- Se partiva, ti chiamava = Se fosse partito, ti avrebbe chiamato.
È possibile anche trovare un congiuntivo trapassato nella frase condizionale, associato ad un condizionale presente (e non passato) nella principale. Questa situazione si verifica qualora esista una discrepanza temporale fra l'azione della principale e quella della secondaria:
- Se l'avessi visto (= quella volta), te lo direi (= adesso).
- Se l'avessi visto (= quella volta), te l'avrei detto (= quella volta).
Regola pratica: dopo il "se" che introduce una frase condizionale, non compaiono mai:
- il modo condizionale
- il congiuntivo presente
Attenzione: non bisogna però confondere il "se" che introduce la frase condizionale con il "se" dal valore dubitativo, con cui, invece, è possibile usare il congiuntivo, anche presente:
- Non so se conosca già i nuovi vicini.
- Non sapevamo se fosse a casa.
Il discorso diretto e il discorso indiretto sono due tecniche espressive che vengono utilizzate per riportare le parole di un'altra persona in un testo, sia esso scritto o orale.
Discorso diretto[modifica]
Il discorso diretto, come suggerisce il nome, riporta direttamente le parole di una persona, così come sono state pronunciate. Affinché sia immediatamente riconoscibile da chi legge, la frase riportata viene preceduta da due punti e racchiusa tra virgolette.
- La mamma disse: «Torna a casa subito e non fermarti per strada».
La scelta tra virgolette alte “ ” e basse «» può dipendere da ragioni stilistiche, ma non solo. Se in un discorso diretto si prevede di riportare delle parole tra virgolette, è opportuno usare le virgolette basse per racchiudere la frase e le virgolette alte per le parole. Un esempio renderà tutto più chiaro:
- La professoressa ci rimproverò con ironia: «Avete finito con questi discorsi “culturali”?»
In alcuni casi, è possibile segnalare l'inizio di un discorso con trattino al posto delle virgolette:
- Il tassista chiese: - Dove vuole che la porti?
Discorso indiretto[modifica]
Nel discorso indiretto le parole di una persona non sono riportate tali e quali, ma vengono riferite da un narratore che le riformula. Per esempio:
- La mamma mi disse che sarei dovuta tornare a casa subito, senza fermarmi lungo la strada.
Il narratore non interrompe il testo, ma inserisce le parole altrui riformulandole e, all'occorrenza, sintetizzandole. Dal punto di vista sintattico, il discorso indiretto può essere una proposizione subordinata oggettiva, una dichiarativa o una interrogativa indiretta.
- Il professore disse che avrebbe messo una nota a tutta la classe. (proposizione subordinata oggettiva esplicita)
- Mi chiese di tornare il giorno dopo. (proposizione subordinata interrogativa indiretta implicita)
Talvolta può essere anche una finale o una causale o un altro tipo di subordinata:
- Lo implorarono di non andarsene. (proposizione subordinata finale)
L'evoluzione dell'italiano come lingua[modifica]
Confrontare con la → Grammatica della lingua toscana, di Leon Battista Alberti, che illustra la lingua quattrocentesca, ed eventualmente altri testi che illustrano la lingua nei vari momenti storici.
La questione della lingua[modifica]
Vedi la pagina "La questione della lingua" nel libro di Storia della letteratura italiana.
Coniugazione del verbo ausiliare essere: tavola riassuntiva.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io sono tu sei egli è noi siamo voi siete essi sono |
io sono stato tu sei stato egli è stato noi siamo stati voi siete stati essi sono stati |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io ero tu eri egli era noi eravamo voi eravate essi erano |
io ero stato tu eri stato egli era stato noi eravamo stati voi eravate stati essi erano stati |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io fui tu fosti egli fu noi fummo voi foste essi furono |
io fui stato tu fosti stato egli fu stato noi fummo stati voi foste stati essi furono stati |
Futuro | Futuro anteriore |
io sarò tu sarai egli sarà noi saremo voi sarete essi saranno |
io sarò stato tu sarai stato egli sarà stato noi saremo stati voi sarete stati essi saranno stati |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io sia che tu sia che egli sia che noi siamo che voi siate che essi siano |
che io sia stato che tu sia stato che egli sia stato che noi siamo stati che voi siate stati che essi siano stati |
Imperfetto | Trapassato |
che io fossi che tu fossi che egli fosse che noi fossimo che voi foste che essi fossero |
che io fossi stato che tu fossi stato che egli fosse stato che noi fossimo stati che voi foste stati che essi fossero stati |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io sarei tu saresti egli sarebbe noi saremmo voi sareste essi sarebbero |
io sarei stato tu saresti stato egli sarebbe stato noi saremmo stati voi sareste stati essi sarebbero stati |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— sii tu — — siate voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
essere | essere stato |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
(ente) | stato |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
essendo | essendo stato |
Coniugazione del verbo ausiliare essere: tavola riassuntiva.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io ho tu hai egli ha noi abbiamo voi avete essi hanno |
io ho avuto tu hai avuto egli ha avuto noi abbiamo avuto voi avete avuto essi hanno avuto |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io avevo tu avevi egli aveva noi avevamo voi avevate essi avevano |
io avevo avuto tu avevi avuto egli aveva avuto noi avevamo avuto voi avevate avuto essi avevano avuto |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io ebbi tu avesti egli ebbe noi avemmo voi aveste essi ebbero |
io ebbi avuto tu avesti avuto egli ebbe avuto noi avemmo avuto voi aveste avuto essi ebbero avuto |
Futuro | Futuro anteriore |
io avrò tu avrai egli avrà noi avremo voi avrete essi avranno |
io avrò avuto tu avrai avuto egli avrà avuto noi avremo avuto voi avrete avuto essi avranno avuto |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io abbia che tu abbia che egli abbia che noi abbiamo che voi abbiate che essi abbiano |
che io abbia avuto che tu abbia avuto che egli abbia avuto che noi abbiamo avuto che voi abbiate avuto che essi abbiano avuto |
Imperfetto | Trapassato |
che io avessi che tu avessi che egli avesse che noi avessimo che voi aveste che essi avessero |
che io avessi avuto che tu avessi avuto che egli avesse avuto che noi avessimo avuto che voi aveste avuto che essi avessero avuto |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io avrei tu avresti egli avrebbe noi avremmo voi avreste essi avrebbero |
io avrei avuto tu avresti avuto egli avrebbe avuto noi avremmo avuto voi avreste avuto essi avrebbero avuto |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— abbi tu — — abbiate voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
avere | avere avuto |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
avente | avuto |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
avendo | avendo avuto |
La prima coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -are.
Come esempio è preso il verbo parlare, radice parl-. In grassetto sono evidenziate le desinenze.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io parl-o tu parl-i egli parl-a noi parl-iamo voi parl-ate essi parl-ano |
io ho parlato tu hai parlato egli ha parlato noi abbiamo parlato voi avete parlato essi hanno parlato |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io parl-avo tu parl-avi egli parl-ava noi parl-avamo voi parl-avate essi parl-avano |
io avevo parlato tu avevi parlato egli aveva parlato noi avevamo parlato voi avevate parlato essi avevano parlato |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io parl-ai tu parl-asti egli parl-ò noi parl-ammo voi parl-aste essi parl-arono |
io ebbi parlato tu avesti parlato egli ebbe parlato noi avemmo parlato voi aveste parlato essi ebbero parlato |
Futuro | Futuro anteriore |
io parl-erò tu parl-erai egli parl-erà noi parl-eremo voi parl-erete essi parl-eranno |
io avrò parlato tu avrai parlato egli avrà parlato noi avremo parlato voi avrete parlato essi avranno parlato |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io parl-i che tu parl-i che egli parl-i che noi parl-iamo che voi parl-iate che essi parl-ino |
che io abbia parlato che tu abbia parlato che egli abbia parlato che noi abbiamo parlato che voi abbiate parlato che essi abbiano parlato |
Imperfetto | Trapassato |
che io parl-assi che tu parl-assi che egli parl-asse che noi parl-assimo che voi parl-aste che essi parl-assero |
che io avessi parlato che tu avessi parlato che egli avesse parlato che noi avessimo parlato che voi aveste parlato che essi avessero parlato |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io parl-erei tu parl-eresti egli parl-erebbe noi parl-eremmo voi parl-ereste essi parl-erebbero |
io avrei parlato tu avresti parlato egli avrebbe parlato noi avremmo parlato voi avreste parlato essi avrebbero parlato |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— parl-a tu — — parl-ate voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
parl-are | avere parlato |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
parl-ante | parlato |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
parl-ando | avendo parlato |
La seconda coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -ere.
Come esempio è preso il verbo temere, radice tem-. In grassetto sono evidenziate le desinenze.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io tem-o tu tem-i egli tem-e noi tem-iamo voi tem-ete essi tem-ono |
io ho temuto tu hai temuto egli ha temuto noi abbiamo temuto voi avete temuto essi hanno temuto |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io tem-evo tu tem-evi egli tem-eva noi tem-evamo voi tem-evate essi tem-evano |
io avevo temuto tu avevi temuto egli aveva temuto noi avevamo temuto voi avevate temuto essi avevano temuto |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io tem-ei/etti tu tem-esti egli tem-é/temette noi tem-emmo voi tem-este essi tem-erono/ettero |
io ebbi temuto tu avesti temuto egli ebbe temuto noi avemmo temuto voi aveste temuto essi ebbero temuto |
Futuro | Futuro anteriore |
io tem-erò tu tem-erai egli tem-erà noi tem-eremo voi tem-erete essi tem-eranno |
io avrò temuto tu avrai temuto egli avrà temuto noi avremo temuto voi avrete temuto essi avranno temuto |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io tem-a che tu tem-a che egli tem-a che noi tem-iamo che voi tem-iate che essi tem-ano |
che io abbia temuto che tu abbia temuto che egli abbia temuto che noi abbiamo temuto che voi abbiate temuto che essi abbiano temuto |
Imperfetto | Trapassato |
che io tem-essi che tu tem-essi che egli tem-esse che noi tem-essimo che voi tem-este che essi tem-essero |
che io avessi temuto che tu avessi temuto che egli avesse temuto che noi avessimo temuto che voi aveste temuto che essi avessero temuto |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io tem-erei tu tem-eresti egli tem-erebbe noi tem-eremmo voi tem-ereste essi tem-erebbero |
io avrei temuto tu avresti temuto egli avrebbe temuto noi avremmo temuto voi avreste temuto essi avrebbero temuto |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— tem-i tu — — tem-ete voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
tem-ere | avere temuto |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
tem-ente | temuto |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
tem-endo | avendo temuto |
La terza coniugazione comprende tutti i verbi che all'infinito hanno la desinenza -ire.
Come esempio è preso il verbo servire, radice serv-. In grassetto sono evidenziate le desinenze.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io serv-o tu serv-i egli serv-e noi serv-iamo voi serv-ite essi serv-ono |
io ho servito tu hai servito egli ha servito noi abbiamo servito voi avete servito essi hanno servito |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io serv-ivo tu serv-ivi egli serv-iva noi serv-ivamo voi serv-ivate essi serv-ivano |
io avevo servito tu avevi servito egli aveva servito noi avevamo servito voi avevate servito essi avevano servito |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io serv-ii tu serv-isti egli serv-ì noi serv-immo voi serv-iste essi serv-irono |
io ebbi servito tu avesti servito egli ebbe servito noi avemmo servito voi aveste servito essi ebbero servito |
Futuro | Futuro anteriore |
io serv-irò tu serv-irai egli serv-irà noi serv-iremo voi serv-irete essi serv-iranno |
io avrò servito tu avrai servito egli avrà servito noi avremo servito voi avrete servito essi avranno servito |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io serv-a che tu serv-a che egli serv-a che noi serv-iamo che voi serv-iate che essi serv-ano |
che io abbia servito che tu abbia servito che egli abbia servito che noi abbiamo servito che voi abbiate servito che essi abbiano servito |
Imperfetto | Trapassato |
che io serv-issi che tu serv-issi che egli serv-isse che noi serv-issimo che voi serv-iste che essi serv-issero |
che io avessi servito che tu avessi servito che egli avesse servito che noi avessimo servito che voi aveste servito che essi avessero servito |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io serv-irei tu serv-iresti egli serv-irebbe noi serv-iremmo voi serv-ireste essi serv-irebbero |
io avrei servito tu avresti servito egli avrebbe servito noi avremmo servito voi avreste servito essi avrebbero servito |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— serv-i tu — — serv-ite voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
serv-ire | avere servito |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
serv-ente | servito |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
serv-endo | avendo servito |
Coniugazione del verbo amare alla diatesi passiva.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io sono amato tu sei amato egli è amato noi siamo amati voi siete amati essi sono amati |
io sono stato amato tu sei stato amato egli è stato amato noi siamo stati amati voi siete stati amati essi sono stati amati |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io ero amato tu eri amato egli era amato noi eravamo amati voi eravate amati essi erano amati |
io ero stato amato tu eri stato amato egli era stato amato noi eravamo stati amati voi eravate stati amati essi erano stati amati |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io fui amato tu fosti amato egli fu amato noi fummo amati voi foste amati essi furono amati |
io fui stato amato tu fosti stato amato egli fu stato amato noi fummo stati amati voi foste stati amati essi furono stati amati |
Futuro | Futuro anteriore |
io sarò amato tu sarai amato egli sarà amato noi saremo amati voi sarete amati essi saranno amati |
io sarò stato amato tu sarai stato amato egli sarà stato amato noi saremo stati amati voi sarete stati amati essi saranno stati amati |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io sia amato che tu sia amato che egli sia amato che noi siamo amati che voi siate amati che essi siano amati |
che io sia stato amato che tu sia stato amato che egli sia stato amato che noi siamo stati amati che voi siate stati amati che essi siano stati amati |
Imperfetto | Trapassato |
che io fossi amato che tu fossi amato che egli fosse amato che noi fossimo amati che voi foste amati che essi fossero amati |
che io fossi stato amato che tu fossi stato amato che egli fosse stato amato che noi fossimo stati amati che voi foste stati amati che essi fossero stati amati |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io sarei amato tu saresti amato egli sarebbe amato noi saremmo amati voi sareste amati essi sarebbero amati |
io sarei stato amato tu saresti stato amato egli sarebbe stato amato noi saremmo stati amati voi sareste stati amati essi sarebbero stati amati |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— sii amato tu — — siate amati voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
essere amato | essere stato amato |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
essente amato | stato amato |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
essendo amato | essendo stato amato |
Coniugazione del verbo lavarsi, esempio mi di verbo riflessivo.
Modi finiti[modifica]
INDICATIVO | |
---|---|
Presente | Passato prossimo |
io mi lavo tu ti lavi egli si lava noi ci laviamo voi vi lavate essi si lavano |
io mi sono lavato tu ti sei lavato egli si è lavato noi ci siamo lavati voi vi siete lavati essi si sono lavati |
Imperfetto | Trapassato prossimo |
io mi lavavo tu ti lavavi egli si lavava noi ci lavavamo voi vi lavavate essi si lavavano |
io mi ero lavato tu ti eri lavato egli si era lavato noi ci eravamo lavati voi vi eravate lavati essi si erano lavati |
Passato remoto | Trapassato remoto |
io mi lavai tu ti lavasti egli si lavò noi ci lavammo voi vi lavaste essi si lavarono |
io mi fui lavato tu ti fosti lavato egli si fu lavato noi ci fummo lavati voi vi foste lavati essi si furono lavati |
Futuro | Futuro anteriore |
io mi laverò tu ti laverai egli si laverà noi ci laveremo voi vi laverete essi si laveranno |
io mi sarò lavato tu ti sarai lavato egli si sarà lavato noi ci saremo lavati voi vi sarete lavati essi si saranno lavati |
CONGIUNTIVO | |
Presente | Passato |
che io mi lavi che tu ti lavi che egli si lavi che noi ci laviamo che voi vi laviate che essi si lavino |
che io mi sia lavato che tu ti sia lavato che egli si sia lavato che noi ci siamo lavati che voi vi siate lavati che essi si siano lavati |
Imperfetto | Trapassato |
che io mi lavassi che tu ti lavassi che egli si lavasse che noi ci lavassimo che voi vi lavaste che essi si lavassero |
che io mi fossi lavato che tu ti fossi lavato che egli si fosse lavato che noi ci fossimo lavati che voi vi foste lavati che essi si fossero lavati |
CONDIZIONALE | |
Presente | Passato |
io mi laverei tu ti laveresti egli si laverebbe noi ci laveremmo voi vi lavereste essi si laverebbero |
io mi sarei lavato tu ti saresti lavato egli si sarebbe lavato noi ci saremmo lavati voi vi sareste lavati essi si sarebbero lavati |
IMPERATIVO | |
Presente | |
— lavati tu — — lavatevi voi — |
Modi indefiniti[modifica]
INFINITO | |
---|---|
Presente | Passato |
lavarsi | essersi lavato |
PARTICIPIO | |
Presente | Passato |
lavantesi | lavatosi |
GERUNDIO | |
Presente | Passato |
lavandosi | essendosi lavato |