Impresa sociale di comunità/Ideazione: differenze tra le versioni

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Il secondo ambito è dato dalla diffusa presenza nelle imprese sociale di ''unità di lavoro collettivo'' (team, equipe). Si tratta di una soluzione organizzativa in grado di rispondere efficacemente alla complessità legata al contesto, ossia alla veloce e continua evoluzione dei bisogni, e all’alta interdipendenza tra le varie unità organizzative e fra queste e l’ambiente esterno. I gruppi di lavoro rappresentano, a vari livelli operativi, un importante strumento di coordinamento e di condivisione del lavoro.
Il secondo ambito è dato dalla diffusa presenza nelle imprese sociale di ''unità di lavoro collettivo'' (team, equipe). Si tratta di una soluzione organizzativa in grado di rispondere efficacemente alla complessità legata al contesto, ossia alla veloce e continua evoluzione dei bisogni, e all’alta interdipendenza tra le varie unità organizzative e fra queste e l’ambiente esterno. I gruppi di lavoro rappresentano, a vari livelli operativi, un importante strumento di coordinamento e di condivisione del lavoro.
* Un primo livello riguarda l’attività “ordinaria” (ad esempio equipe servizi, equipe multidisciplinari) che si caratterizza per un modello di team strutturato e con specifici vincoli procedurali (ad esempio la gestione del caso).
* Un primo livello riguarda l’attività “ordinaria” (ad esempio equipe servizi, equipe multidisciplinari) che si caratterizza per un modello di team strutturato e con specifici vincoli procedurali (ad esempio la gestione del caso).
* Un secondo livello riguarda i team più destrutturati, tendenzialmente più spontanei nella loro articolazione e nel loro funzionamento, i quali generalmente sono costituiti per promuovere attività innovative (progetti specifici) e si compongono sia di personale interno che di soggetti interessati alle attività svolta (beneficiari, volontari, finanziatori ecc.).
* Un secondo livello riguarda i team più destrutturati, tendenzialmente più spontanei nella loro articolazione e nel loro funzionamento, i quali generalmente sono costituiti per promuovere attività innovative (progetti specifici) e si compongono sia di personale interno che di soggetti interessati alle attività svolte (beneficiari, volontari, finanziatori ecc.).
* Un terzo livello è rappresentato dai team interfunzionali, trasversali all’organizzazione, quale ad esempio i gruppi di lavoro sulla qualità.
* Un terzo livello è rappresentato dai team interfunzionali, trasversali all’organizzazione, quali ad esempio i gruppi di lavoro sulla qualità.
Indipendentemente dal modello, i team si caratterizzano per essere composti da un numero limitato di persone (massimo 6/8), spesso con competenze complementari che riescono attraverso un lavoro integrato e una logica di corresponsabilità a rispondere a problemi complessi. Inoltre, essi rappresentano un’unità organizzativa estremamente flessibile che può essere costituita e ricostituita nel corso del tempo, ma comunque chiara nella definizione dell’obiettivo. Questo rappresenta un indubbio punto di forza per imprese che operano in ambienti instabili che richiedono capacità di adattamento, ma anche chiarezza dell’obiettivo da raggiungere, non tanto perché quest’ultimo sia prefissato nel tempo, ma perché possa essere eventualmente modificato in maniera efficiente secondo un percorso di lavoro di tipo incrementale.
Indipendentemente dal modello, i team si caratterizzano per essere composti da un numero limitato di persone (massimo 6/8), spesso con competenze complementari che riescono attraverso un lavoro integrato e una logica di corresponsabilità a rispondere a problemi complessi. Inoltre, essi rappresentano un’unità organizzativa estremamente flessibile che può essere costituita e ricostituita nel corso del tempo, ma comunque chiara nella definizione dell’obiettivo. Questo rappresenta un indubbio punto di forza per imprese che operano in ambienti instabili che richiedono capacità di adattamento, ma anche chiarezza dell’obiettivo da raggiungere, non tanto perché quest’ultimo sia prefissato nel tempo, ma perché possa essere eventualmente modificato in maniera efficiente secondo un percorso di lavoro di tipo incrementale.



Versione delle 13:52, 21 feb 2008

M. Demozzi, F. Zandonai

Avviare e costituire un’impresa sociale di comunità (ISC) richiede una serie di attività che possiamo distinguere per semplicità in due macro fasi: pre-imprenditoriale e imprenditoriale. Questo capitolo tratta la prima di queste fasi, indagando la nascita dell’iniziativa, le prime tappe volte alla preparazione del Business Plan, quali la lettura dei bisogni della comunità, la definizione degli obiettivi generali che la vostra ISC intende affrontare, nonché la ricerca delle risorse. Le attività di tipo pre-imprenditoriale sono strutturalmente legate allo sviluppo di una ISC e possono sia costituire la fase di avvio di una nuova impresa che riguardare i processi di adattamento proattivo che caratterizzano l’intero ciclo di vita di una ISC (anche nella fase della “maturità”).

Cosa troverete in questo capitolo:
  • Iniziativa e avvio dei lavori
  • Lettura dei bisogni: capire e ascolater la comunità
  • Risorse, mobilitazione e tipologia

Trasformare un'idea in un progetto condiviso

L'idea quale "motore" per l'avvio dei lavori

Tutto inizia con un’idea nella mente di una o più persone, che la ritengono una soluzione interessante per rispondere a bisogni insoddisfatti o a fenomeni di esclusione e fragilità sociale che loro stessi necessitano di soddisfare o che vedono altri necessitare. L’idea che sta alla base di questa particolare iniziativa imprenditoriale consiste quindi in un’intuizione di solito ben focalizzata intorno a due elementi: da un lato, la rilevazione di una situazione problematica attribuita ad una tipologia di persone o gruppi sociali; d’altro lato, la possibilità di risposta in termini di produzione di beni e servizi. L’ideazione non è di per sé un atto collettivo; può essere il frutto di un’intuizione di una singola persona. Quello che conta come descritto di seguito è che l’idea generale venga successivamente elaborata e “messa alla prova” attraverso un processo che la rende collettiva.

Trasfromare l'idea in un progetto condiviso attraverso un'analisi sistemica

Questa è la fase in cui dopo aver abbozzato l’iniziativa è necessario “operazionalizzare” le idee, tradurle in progetti capaci di migliorare la vita della comunità, secondo un approccio che concretizza le visioni di fondo e le “mette alla prova”, ovvero alla consultazione e alla valutazione dei diversi soggetti coinvolti. In questa fase le idee imprenditoriali, pur essendo focalizzate, sono anche estremamente flessibili in modo che, se necessario, possano essere adattate agli elementi di mutamento. Si tratta di una prima importante modalità attraverso cui è possibile valutare quanti e quali attori sono effettivamente interessati ad intervenire nello specifico ambito individuato, mobilitando a tal fine risorse proprie.

Strumenti In Pratica

Alcuni strumenti per "socializzare" le idee

  • Brainstorming: tecnica creativa di gruppo che ha lo scopo di facilitare la produzione di nuove idee o soluzioni a un problema. Funziona attraverso uno scambio comunicativo libero - sia nell’ordine degli interventi sia nei contenuti degli stessi - che spinga il più lontano possibile la riflessione attorno ad un problema reale, semplice e noto ai partecipanti.
  • Focus group: tecnica basata sulla discussione all'interno di un gruppo di persone riguardo all'atteggiamento personale nei confronti di un tema specifico. La sua principale finalità è quella di studiare in profondità uno specifico argomento in relazione a obiettivi specifici.
  • Panel: gruppo di persone (utenti, operatori, esperti, ecc.) che si prestano ad essere intervistate periodicamente per una rilevazione rispetto a comportamenti, atteggiamenti, punti vista, valutazioni, ecc.

Rendere operativo il progetto puntando sull'adattabilità

Finita la fase pre-imprenditoriale si passa a quella costitutiva durante la quale il piano d’azione è implementato e l’idea viene resa sostenibile in termini imprenditoriali, ovvero rispondente a criteri quali continuità dell’iniziativa, qualità del prodotto e resa economica. In questa parte va comunque ricordato che i caratteri di ideazione, condivisione collettiva e approccio incrementale non sono “relegati” a livello pre-imprenditoriale, ma caratterizzano in modo consistente anche l’agire d’impresa vero e proprio.

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La sostenibilità è un tema trasversale a più capitoli, ma nello specifico viene trattata nel capitolo quinto – Progettazione.


Leggere il territorio: bisogni e risorse

Bisogni: metodi e pratiche quotidiane

È importante verificare che il vostro progetto risponda a bisogni reali e generi un aumento del benessere della comunità in cui operate. È quindi necessario capire come meglio rispondere al bisogno individuato, con il coinvolgimento di quali attori comunitari e con quale livello di partecipazione di questi ultimi.
Diventa quindi fondamentale definire il/i bisogno/i attraverso una lettura ed un ascolto del territorio, fare delle verifiche con gli attori comunitari in senso ampio, potenziali beneficiari diretti e indiretti delle possibili attività, soggetti pubblici e privati coinvolgibili e/o interessati per poi scrivere una proposta di massima. In questo processo, che risulta di cruciale rilevanza per l’avvio e il buon funzionamento di un’ISC, è importante considerare che i bisogni non sono rilevabili come oggetti pre-definiti e sostanzialmente statici, ma sono piuttosto il frutto di una dinamica di co-costruzione dove intervengono soggetti portatori di punti di vista e interessi anche molto diversi. In termini generali la negoziazione rispetto alla natura specifica dei bisogni di una comunità (o, più spesso, di sue specifiche componenti) trovano – o dovrebbero trovare – un elemento di sintesi nella prospettiva dell’interesse generale.

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Le relazioni con gli stakeholder sono trattate nel nono capitolo – Governance.


Definire il bisogno

Leggere il territorio per capire i bisogni reali e/o latenti significa tenere, in primo luogo, un contatto diretto con la comunità locale, ascoltarne le esigenze, interpretare i segnali di cambiamento, comprendere le criticità e sfruttare le potenzialità locali. È importante procedere con incontri, formali ed informali, per farne una lettura condivisa con gli attori comunitari, al fine di evitare l’incomprensione tra l’utilizzo di linguaggi diversi, la frammentarietà delle informazioni e degli interventi in atto sul territorio.
La “lettura del territorio” non dovrebbe essere intesa esclusivamente come un’operazione preliminare alla progettazione delle attività, bensì come un’attività continua da svolgersi in parallelo alle altre per permettere aggiustamenti sugli interventi in corso e per aggiornare la programmazione.

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La lettura del territorio come strumento di auto-valutazione dell’impresa è trattata nel capitolo sedicesimo – Monitoraggio e autovalutazione.


Verifica del bisogno

Un primo elemento di attenzione riguarda la necessità di riconoscere, attraverso un’attività di mappatura, i soggetti attivi sul territorio, anche in forma embrionale e non strutturata; la mancata valorizzazione di queste risorse per quanto possano essere scarse potrebbe risultare un elemento chiave per la sostenibilità della vostra iniziativa.
Quando avrete adeguatamente verificato la situazione sarete in grado di capire se esistono le esigenze o le opportunità per costituire un’ISC. Potreste capire che non c’è la necessità di un intervento di questo tipo nella comunità che avete identificato; scoprirlo in questa fase vi permetterà di evitare molti sprechi di risorse.

Strumenti In Pratica

Una prima verifica del bisogno individuato

  1. Per capire se quello che state facendo è sostenibile, provate a rispondere a queste prime domande:
    • perché volete costituire un’ISC?
    • quale beneficio per la comunità?
    • perché pensate possa essere una buona idea?
    • quale coinvolgimento degli attori comunitari?
    • quale l’impatto sulla comunità e sui principali attori comunitari?
  2. Fate una lista dei potenziali stakeholder della vostra iniziativa, cercando di individuare interessi/aspettative e modalità di coinvolgimento di ciascuno.
  3. Elaborate una scheda/questionario che vi supporti ulteriormente nell’esplicazione del bisogno e raccogliete i dati già disponibili al riguardo, quali documenti di varia natura, statistiche, ricerche socio – economiche o altre informazioni anche non necessariamente scritte.
  4. Verificate le informazioni che avete raccolto e delineate le motivazioni che giustificano l’avvio della vostra iniziativa, anche con il coinvolgimento dei principali stakeholder rispondendo alla domanda: quali motivazioni alla base del bisogno individuato?
  5. Osservate ed analizzate i dati raccolti e cercate di rispondere a queste domande e altre che ritenete rilevanti:
    • quali sono le caratteristiche delle comunità beneficiaria dell’intervento?
    • di quante persone è composta? Di quante famiglie, con quale tipologia?
    • quanti potranno essere interessati alla vostra impresa?
  6. Scrivete le vostre conclusioni sulla base dei punti precedenti e passate al passo successivo: scrivete la vostra proposta.

Usate queste scheda per aiutarvi ad effettuare un’analisi del bisogno in fase di avvio della vostra iniziativa, ma anche nei momenti di monitoraggio e trasformazione delle attività/servizi.

Scrivete la vostra proposta

Il passo successivo vi chiede di stendere una proposta/progetto; si tratta di una versione embrionale e non ufficiale del Business Plan, che dovrebbe comprendere almeno le seguenti informazioni:

  • analisi del contesto socio - economico in cui si colloca la vostra iniziativa: esposizione del problema e descrizione di quanto è emerso dalla scheda “Prima verifica del bisogno individuato”;
  • verifiche delle necessità/bisogni identificati: descrivete quanto è emerso dalla prima verifica del bisogno individuato;
  • approccio proposto: descrivete come vorreste affrontare il bisogno individuato, la vostra strategia. Questo passaggio vi permetterà anche di acquisire una visione di medio – lungo periodo;
  • risorse: scrivete le risorse che avete a disposizione in fase di avvio dell’iniziativa, in particolare le risorse materiali ma soprattutto quelle immateriali (vedi anche sezione successiva);
  • analisi interna: valutare se le risorse interne – le persone coinvolte – possono essere in grado di sostenere questo progetto oppure si renda necessario un supporto esterno in questa fase dell’iniziativa;
  • tempistica: individuate un possibile arco di tempo nel quale pensate di portare a termine le macro fasi indicate in questo capitolo: vi aiuterà nell’articolazione e nella definizione dei successivi passaggi.

Bussola Buone pratiche

Uno strumento per l’analisi del contesto esterno – interno all’iniziativa: la SWOT analisi

L’analisi SWOT, conosciuta anche come Matrice TOWS, è uno strumento di pianificazione strategica usata per valutare i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto in un’impresa o in ogni altra situazione in cui un’organizzazione deve prendere una decisione per raggiungere un obiettivo. L’analisi può riguardare l’ambiente interno o esterno di un’organizzazione.

In questo capitolo essa rappresenta un utile strumento che aiuta ad esplicitare le complessità o le opportunità legate all’iniziativa, in particolare vi aiuta a capire come e dove vi state muovendo. Del resto può essere utile condurre la SWOT analisi lungo tutto il percorso; infatti operando all’interno di un contesto in continua evoluzione sarà vostro compito monitorare in itinere i fattori esterni/interni e come la vostra organizzazione intende affrontarli da un punto di vista strategico e gestionale; naturalmente all’interno di un quadro dove la vostra mission sia sensata e conseguibile (vedi capitolo successivo).
La dimensione dell’analisi SWOT può essere meglio compresa attraverso lo schema sottostante. Cercate di completare la matrice come esito del percorso delineato in questo capitolo, individuando punti di forza/debolezza nonché minacce e opportunità legate alla vostra iniziativa. Questo lavoro vi aiuterà a:

  • massimizzare i vostri punti di forza;
  • lavorare per migliorare i vostri punti deboli in quelle aree che potrebbero contenere potenziali opportunità;
  • monitorare le aree di criticità della vostra iniziativa e l’ambiente circostante.
SWOT-analysis Analisi Interna
Forze Debolezze
A
n
a
l
i
s
i

E
s
t
e
r
n
a
Opportunità Strategie S-O:
Sviluppare nuove metodologie in grado di sfruttare i punti di forza dell’organizzazione
Strategie W-O:
Eliminare le debolezze per attivare nuove opportunità
Minacce Strategie S-T:
Sfruttare i punti di forza per difendersi dalle minacce
Strategie W-T:
Individuare piani di difesa per evitare che le minacce esterne acuiscano i punti di debolezza

Risorse: tipologia, modalità di attivazione e combinazione

La capacità della vostra organizzazione di mobilitare risorse diverse – che per altri soggetti sarebbero considerate marginali o addirittura non prese in considerazione - rappresenta un elemento cruciale per il funzionamento e lo sviluppo, in quanto permette di realizzare due obiettivi fondamentali:

  1. sostenere una dimensione produttiva secondo criteri di autonomia (cioè non completamente dipendente dalle scelte di soggetti esterni) e di continuità (improntata a criteri di sostenibilità, qualità e professionalità);
  2. “riallocare” in forma non estemporanea risorse locali per sostenere la risposta a nuovi bisogni e, in termini più generali, per influenzare i meccanismi decisionali per la destinazione di nuove risorse (ad esempio in sede di definizione delle politiche territoriali, piuttosto che di rendicontazione delle attività svolte a livello economico e di impatto sociale).

Il mix di risorse che riuscirete a generare sarà l’effetto diretto di una strategia di coinvolgimento e responsabilizzazione di diversi soggetti – i beneficiari, gli attori pubblici e privati, individuali e collettivi ecc. – basata sulla creazione di coalizioni di attori orientate non solo a riconoscere l’esistenza di bisogni insoddisfatti o di fenomeni di esclusione e fragilità sociale, ma anche l’individuazione delle risorse necessarie per dare loro risposta, attraverso un circolo che si autoalimenta in modo virtuoso.

Una competenza chiave del management di una ISC consiste quindi nel saper individuare e attrarre queste diverse risorse, ma anche nel saperle combinare in vista del raggiungimento di un obiettivo comune. Non sempre, infatti, chi apporta le risorse è consapevole di poter giocare un ruolo rilevante rispetto all’iniziativa intrapresa. Ed inoltre non è scontato che tutti i soggetti apportatori siano sempre e comunque disponibili a collaborare con gli altri, a condividere cioè gli obiettivi e il percorso identificato per raggiungerli.
In questo processo si possono individuare diversi passaggi critici che il manager di un’ISC dovrebbe tenere in considerazione.

  • Il primo aspetto riguarda l’emersione delle risorse; queste ultime non sempre sono riconosciute come tali (spesso neanche da chi le possiede), ma devono essere individuate e valorizzate (ad esempio le competenze di un gruppo di volontari).
  • Il secondo aspetto consiste nel far convergere le risorse intorno ad uno specifico obiettivo che viene definito dai diversi soggetti che apportano le risorse attraverso un processo co-costruito; non è consigliabile quindi pre-definire rigidamente gli obiettivi, ma è necessario garantire un certo margine di flessibilità; in alcune fasi, ad esempio, può essere utile insistere di più sul metodo di lavoro come “faro” a cui tutti fanno riferimento (ad esempio, sensibilizzare una comunità rispetto all’utilizzo di una struttura di proprietà pubblica per finalità diverse, in modo da rispondere a nuovi bisogni).
  • Il terzo aspetto, complementare al precedente, consiste nel promuovere il riconoscimento e la legittimazione reciproca dei soggetti coinvolti, in modo che ognuno sia consapevole non solo del proprio apporto di risorse, ma anche del contributo essenziale degli altri. Questo punto è particolarmente importante al fine di limitare il rischio che alcuni attori vogliano monopolizzare il percorso, compromettendo così il carattere comunitario dell’iniziativa (ad esempio, gli enti pubblici possono assumere un ruolo egemone per finalità di consenso politico o per una limitata visione della sussidiarietà, lasciando così gli altri attori in posizione marginale).
  • Infine, il quarto aspetto riguarda la rendicontazione dei risultati ottenuti grazie alle risorse generate, attratte e combinate intorno all’iniziativa di comunità. Si tratta di un’attività importante e complessa, perché è richiesto di comunicare i risultati a molti interlocutori, ognuno dei quali si attende un riscontro specifico rispetto all’investimento effettuato. Ognuno di essi, inoltre, utilizza linguaggi e codici culturali diversi, per cui il sistema di rendicontazione economica e sociale deve essere “declinato” secondo diverse modalità.
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Il tema delle rendicontazione sociale è trattato nel capitolo settimo - Rendicontazione sociale.


Bussola Buone pratiche

Per riconoscere, attrarre e valorizzare le potenziali risorse
Basate la vostra azione sulla differenziazione delle fonti economiche e non, materiali e immateriali, aiutandovi a capire cosa, come e quando avete a disposizione queste risorse attraverso la costruzione di un piano e rispondendo ad alcune domande chiave; lo schema di seguito e l’esercizio nel riquadro vi aiutano in parte a costruirlo.

Le risorse attivabili: un primo quadro d'insieme
Materiali Capitale fisico: beni strumentali e finanziari Di tipo pubblico
Di tipo privato
Immateriali Capitale relazionale Conoscenza e capitale sociale
Capitale organizzativo Struttura organizzativa, sistema informativo
Capitale umano Persone


Strumenti In Pratica

Una prima verifica delle risorse individuate

  • Quali sono le risorse e quale la loro natura? Come si possono combinare risorse materiali ed immateriali, risorse economiche e non?
  • Quale è la disponibilità e la qualità delle risorse nella fase pre-imprenditoriale?
  • Esiste nella vostra organizzazione una strategia e una consapevolezza di poter accedere ad un mix di risorse?
  • Chi è il soggetto “proprietario” delle varie risorse? Esiste un soggetto gestore? “Conseguono” qualcosa i soggetti che apportano risorse?
  • Quale è la modalità possibile di utilizzo? Esistono dei vincoli?

Rispondete alle domande costruendo contemporaneamente un piano che comprenda almeno i seguenti elementi: natura delle risorse, modalità di acquisizione, soggetti apportatori e tempi per la fruizione.

Le risorse materiali

Pubbliche

Le risorse materiali derivanti dal comparto pubblico possono essere distinte in diverse tipologie che corrispondono a diverse modalità di acquisizione. Può trattarsi infatti di finanziamenti derivanti dalla stipula di contratti per la produzione di beni e di servizi (convezioni, gare d’appalto, ecc.), da contributi in conto capitale, da incentivi per lo sviluppo delle imprese e del settore non profit, ecc.
È importante per la vostra organizzazione aver presente la disponibilità temporale di queste risorse e monitorare l’incidenza dei finanziamenti pubblici sul totale delle risorse, al fine di mantenere un giusto equilibrio per la sostenibilità della vostra iniziativa. La strategia da seguire in questo ambito dovrebbe quindi essere orientata a:

  • differenziare il numero di soggetti pubblici e le modalità attraverso cui si acquisiscono le risorse;
  • estendere l’arco temporale di gestione delle risorse, in modo da garantire la continuità e lo sviluppo del progetto imprenditoriale;
  • sostenere modalità di erogazione delle risorse pubbliche che prevedano il riconoscimento del “valore aggiunto” delle imprese sociali nello svolgimento di quelle attività;
  • rendicontare in modo adeguato i benefici generati dalla gestione delle risorse pubbliche, considerando anche output non previsti in sede di definizione del contratto.
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Gli strumenti giuridici per la regolazione del rapporto pubblico – privato sono trattati nel capitolo dodicesimo.


Private

Le risorse di tipo privato possono essere suddivise in proventi derivanti dalla vendita di beni e servizi, risorse derivanti dal conferimento di capitale di prestito, donazioni suddividibili per tipologia in lasciti immobiliari, interventi economici una tantum finalizzati a sostenere progetti specifici o attività di routine. Naturalmente non si tratta di un elenco esaustivo; vostro compito sarà quello di promuovere e legittimare la vostra organizzazione in modo da attivare e mobilitare un numero sempre crescente di risorse, al fine di diversificare le vostre fonti di finanziamento. Anche in questo caso si possono proporre alcune linee-guida strategiche che sono accomunate dal fatto di richiedere investimenti certi e di medio periodo.

  • Sostenere processi di aggregazione dei bisogni in domanda di servizi; molto spesso, infatti, le imprese sociali non operano in mercati dove domanda e offerta sono chiaramente definite, ma devono contribuire alla loro individuazione e sviluppo nel corso del tempo.
  • Sviluppare “mercati privati”, ovvero rapporti contrattuali diretti tra la vostra impresa e coloro che consumano i beni prodotti (o i loro più stretti interlocutori, ad esempio i loro familiari).
  • Attrarre risorse di carattere donativo, puntando sul capitale fiduciario dell’organizzazione e delle persone che ne fanno parte, così come verrà argomentato nei paragrafi seguenti.
  • Proporre soluzioni innovative per l’utilizzo di “risorse comunitare” (strutture e beni di proprietà pubblica, o comunque con una finalità in tal senso) in modo da rispondere a nuove esigenze e bisogni.

Le risorse immateriali

Le risorse immateriali rappresentano una fonte di vantaggio difficilmente imitabile su cui porre cruciale attenzione per creare e sviluppare valore nella vostra organizzazione. Tali risorse si producono soprattutto all’interno dell’organizzazione e sono spesso precondizione per l’acquisizione delle risorse materiali. Particolare attenzione verrà riservata alla conoscenza e alla fiducia; si tratta infatti di risorse molto importanti per le imprese sociali e, in generale, per tutte le organizzazioni, ma che spesso vengono sottovalutate o non adeguatamente considerate.

La conoscenza

“La conoscenza è divenuta la risorsa economica chiave e la fonte di vantaggio competitivo dominante se non l’unica”, così sosteneva il famoso esperto di management Peter Drucker. Tale risorsa, come vedremo, rappresenta uno dei fattori chiave per il successo di un’impresa. La conoscenza ha caratteristiche del tutto uniche, è in gran parte tacita (cioè non esplicita) e contestualizzata (legata all’esperienza quotidiana delle persone). La gestione delle conoscenze è da sempre presente nelle imprese, che da essa traggono la loro capacità di evolvere e cambiare. Per questo, con ogni probabilità, le organizzazioni migliori sono proprio quelle che già sanno valorizzare e trasferire le conoscenze senza necessariamente fare ricorso a sistemi strutturati e eccessivamente complessi. Queste considerazioni, valide per qualsiasi tipo di impresa, risultano ancora più rilevanti per le imprese sociali, in quanto:

  • producono beni immateriali ad elevato contenuto relazionale (servizi alla persona e alla comunità);
  • i beneficiari delle imprese sociali spesso non sono in possesso delle conoscenze e delle informazioni adeguate per valutare contenuti e qualità del bene che “consumano”;
  • esiste un elevato livello di specializzazione e differenziazione del bene, a seconda delle caratteristiche specifiche del destinatario e del contesto, per cui è molto complesso (e, a volte, dannoso) cercare di standardizzare le informazioni e le conoscenze;
  • nei processi produttivi delle imprese sociali partecipano diverse tipologie di soggetti; difficilmente esiste una sola persona o organizzazione che ha il “monopolio” delle conoscenze.

Per tutte queste ragioni è importante che le imprese sociali, soprattutto quelle che si configurano come “sistemi aperti” alla comunità si dotino di strumenti adeguati per gestire la circolazione e la condivisione delle conoscenze. Nella prospettiva della ISC, infatti, la conoscenza si configura non come una risorsa esclusiva, ma come un vero e proprio “bene pubblico” prodotto e condiviso da una comunità.

Lente d'ingrandimento Approfondimento

Le caratteristiche della conoscenza
La conoscenza per un’impresa diviene un elemento importante in relazione ad alcune sue caratteristiche.

  1. Trasferibilità. La conoscenza si presta ad essere analizzata dal punto di vista della trasferibilità in quanto essa ha una dimensione tacita ed una esplicita. La differenza fra le due dimensioni risiede essenzialmente nella loro idoneità ad essere trasferite nel tempo, nello spazio e fra gli individui. La componente tacita o implicita della conoscenza presenta una certa misura di indeterminatezza, che la rende poco suscettibile ad essere codificata o formalizzata in modo strutturato.
  2. Capacità di assorbimento. Perché sia trasferita, non basta che la conoscenza sia codificata: è necessario che il destinatario sia in grado di assorbire questa conoscenza. La capacità di assorbimento dipende solitamente dalla sua abilità di aggiungere nuova conoscenza a quella esistente. A questo fine è importante la presenza di additività fra i vari elementi della conoscenza.
  3. Appropriabilità. La conoscenza è una risorsa soggetta a problemi particolarmente complessi di appropriabilità, ovvero di acquisizione permanente da parte dell’impresa. La conoscenza tacita non è immediatamente appropriabile poiché non può essere trasferita direttamente: l’impresa può diventarne proprietaria solamente se viene applicata in un’attività produttiva o in un processo. Essa viene il più delle volte creata all’interno dell’organizzazione ed è specifica rispetto al contesto in cui è stata generata e rispetto alle persone che la generano (spesso inconsapevolmente).
  4. Specializzazione delle conoscenze individuali. Poiché le capacità di acquisire, immagazzinare ed elaborare informazioni e conoscenze sono limitate, l’efficienza nella produzione di conoscenza (creazione, acquisizione, accumulazione) richiede che gli individui si specializzino in una determinata area. Una conoscenza di tipo specialistico di per sé non ha valore se separata da altre conoscenze specialistiche che compongono il quadro dei processi organizzativi.

La co-esistenza di tipi diversi di conoscenza all’interno dell’organizzazione comporta la possibilità di strategie di gestione delle conoscenza diverse secondo due paradigmi estremi:

  • enfatizzare la componente esplicita della conoscenza e quindi investire in una strategia di codificazione, volta a strutturare la conoscenza in maniera tale da poterla rendere facilmente trasferibile e utilizzabile;
  • enfatizzare la componente tacita e quindi associare integralmente la conoscenza alle persone che la possiedono, adottando una strategia di personalizzazione che ha come obiettivo la facilitazione del trasferimento tramite contatto diretto tra i detentori della conoscenza.

La conoscenza può essere oggetto di due diverse modalità di valorizzazione: l’applicazione e la creazione della conoscenza. Nel primo caso si tratta di un processo di trasferimento di conoscenza esistente nei contesti adeguati (“al posto giusto e al momento giusto”) e richiede di investire sulla “memoria” dell’organizzazione, evitando che la conoscenza si “eroda” con il passare del tempo. Nel secondo caso si tratta invece di un processo creativo volto ad assicurare le condizioni per l’innovazione e la creazione di nuova conoscenza.

La generazione di nuova conoscenza e la modificazione di quella esistente pone al centro il ruolo delle persone e i meccanismi di incentivazione. Il ruolo dell’azione organizzativa in quest’ambito è concentrato sul rapporto con la persona, mentre il sistema di management della conoscenza rappresenta un contenitore da attivare e da alimentare.

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I meccanismi di incentivazione sono trattati nei capitoli tredicesimo – Motivazioni e incentivi, e quattordicesimo – Capitale umano.


La risorsa conoscenza dipenderà quindi dalla capacità di rielaborare e sintetizzare un insieme variegato e complesso di informazioni che riguardano – in modo diretto o indiretto – bisogni e necessità che afferiscono al vostro ambito di intervento, considerando che tale capacità non è legata a determinate figure professionali, ma deve essere diffusa nell’organizzazione, soprattutto nei contesti dove avviene la produzione e lo scambio dei beni.

È importante quindi dedicare tempo alla costruzione di un efficace sistema di connessioni sia interne che con il proprio ambiente di riferimento, in grado di valorizzare dati esperienziali e relazioni interpersonali di tipo empatico, oltre che conoscenze codificate e sistemi di relazione tra ruoli formali, al fine di alimentare la capacità riflessiva delle singole persone e più in generale volta a riconoscere e attivare le loro competenze.

La vostra impresa dovrebbe quindi sia operare attraverso la raccolta e l’elaborazione di informazioni e conoscenze codificate o pre-codificate, sia agire affinché i soggetti depositari siano in grado di esprimerle come tali, raggiungendo a tal fine un necessario livello di consapevolezza.
Va ricordato comunque che un processo di codificazione di questo tipo potrebbe, con un’eccessiva formalizzazione della conoscenza, rendere l’organizzazione più rigida e diminuire gli incentivi a cercare soluzioni diverse e di conseguenza agire negativamente sulla qualità del lavoro e sulla soddisfazione dei lavoratori.

Lente d'ingrandimento Approfondimento

La memoria dell’organizzazione
All’interno di un’organizzazione la conoscenza è articolata in esperienze di soluzione dei problemi (problem-solving) in ambiti funzionali, esperienze delle persone, esperienze di processo, formazione ecc. L’integrazione coerente di questa conoscenza dispersa, onde evitarne l’erosione, viene chiamata memoria organizzativa (Organizational Memory o Organizational Memory Information System) e rappresenta l’elemento di base per il supporto al sistema di gestione della conoscenza (knowledge management - KM), ovvero un luogo virtuale nel quale risiede la conoscenza posseduta dall’impresa. Ed è proprio la concezione dell’esistenza di una memoria dell’organizzazione che ha originato lo sviluppo del KM, perché se una memoria esiste, significa che la conoscenza dell’impresa è un vero e proprio elemento di valore che richiede di essere valorizzato e gestito adeguatamente.

Il processo di gestione e distribuzione della conoscenza costituisce quindi una risorsa rilevante sia per il funzionamento (input) della ISC sia come prodotto (output) della sua attività, in quanto produce valore a diversi livelli:

  • si tratta di un elemento di legittimazione sostanziale, in quanto grazie alla conoscenza è riconosciuta all’organizzazione la capacità di leggere e di interpretare il territorio attraverso un’attività specifica di mappatura – soprattutto grazie alla presenza di un tessuto di relazioni “organizzato” in modo tale da fornire informazioni e feed-back – nonché di “accreditare” l’organizzazione nel sistema di dialogo con le altre istituzioni pubbliche e private;
  • la conoscenza agisce come vero e proprio fattore di efficacia produttiva, perché consente di adattare le attività svolte rispetto ai vincoli e alle risorse che si rendono disponibili nel proprio contesto di azione, incrementando la produttività del lavoro della conoscenza;
  • la conoscenza si configura come un vero e proprio prodotto della vostra organizzazione di cui beneficiano singoli cittadini e comunità locali, consentendo di limitare l’effetto delle asimmetrie informative che caratterizzano i sistemi di welfare e favorendo così un maggior livello di accessibilità a prestazioni e servizi di protezione sociale;
  • la conoscenza rappresenta, in senso lato, una risorsa fondamentale per sostenere i percorsi di empowerment e di inclusione sociale a favore di soggetti che, per ragioni diverse, si trovano in situazioni di disagio e di fragilità sociale anche perché non sono in possesso di informazioni adeguate rispetto alle opportunità presenti nel loro contesto di vita.

Fiducia e capitale sociale

La fiducia è una risorsa che facilita il lavoro nella vostra organizzazione e rende possibile la collaborazione tra diverse realtà e persone, apportando molti vantaggi in quanto, in primo luogo, agisce come meccanismo alternativo al potere e al controllo diretto in contesti caratterizzati da processi organizzativi flessibili e non gerarchici e, in secondo luogo, incoraggia la circolazione delle informazioni riducendo i costi di transazione tra le organizzazioni e/o le persone rafforzando così la stabilità dell’intero sistema.

Un buon punto di partenza per mobilitare risorse di natura fiduciaria è promuovere i cosiddetti “diffusori della fiducia”, soggetti che creano canali di collegamento tra reticoli sociali diversi; imprenditori sociali che favoriscono l’accumulazione allargata del capitale sociale e che “costruiscono ponti” tra aree relazionali segnate da assenza di legami, ma ricche di potenzialità informative, o infine, portatori di legami deboli in qualche misura “stranieri” e “marginali” rispetto alle comunità che mettono in contatto (Mutti, 1998).

Operando in questo modo garantirete la produzione e l’investimento di capitale sociale, quale insieme di “risorse” che vengono create attraverso la presenza di elevati livelli di fiducia, di reciprocità e mutualità, di condivisione di valori e norme di comportamento, di condivisione del senso di appartenenza e di responsabilità. Tali risorse possono essere impiegate in modo proficuo dai singoli individui, dai gruppi e, più in generale, dalla comunità al fine di facilitarne il coordinamento e favorirne la cooperazione aumentando in tal modo i benefici individuali e collettivi.

Glossario

Definizione di Capitale sociale
“Capitale sociale” è un concetto che fa riferimento ad una pluralità di fenomeni e che quindi nel corso del tempo è stato definito in maniera diversa. Secondo il politologo Putnam (1993) “per capitale sociale s’intende la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”. Il capitale sociale identifica quindi requisiti culturali, quali la struttura delle relazioni, i valori e le norme, che favoriscono un ordine sociale contraddistinto dalla generale cooperazione per il bene pubblico. Qualche anno più tardi, Putnam sosterrà ancor più esplicitamente che “il capitale sociale è strettamente connesso al concetto di ‘senso civico’”.

Secondo Mutti (1998) il capitale sociale corrisponde a “una struttura di relazioni tra persone, relativamente durevole nel tempo, atta a favorire la cooperazione e perciò a produrre, con altre forme di capitale, valori materiali e simbolici. Tale struttura di relazioni consiste in reti fiduciarie formali e informali che stimolano reciprocità e cooperazione”.

Il capitale sociale è una risorsa variamente disponibile a seconda dei contesti territoriali e dei periodi storici. Inoltre i benefici del capitale sociale possono essere selettivi. E’ possibile che persone o gruppi sociali godano di notevoli vantaggi per il fatto di essere parte di reti ad alto contenuto di capitale sociale, ma ciò potrebbe creare forme anche notevoli di svantaggio per chi non può o non riesce ad accedere a tali reti. Una questione cruciale riguarda quindi le modalità attraverso cui un sistema sociale e le organizzazioni che vi operano sono in grado di produrre e accumulare un capitale sociale in grado di generare benefici generalizzati all’intera comunità.

La ricchezza del tessuto sociale in termini di ammontare di capitale sociale gioca un ruolo decisivo nella nascita, avvio e sostenibilità della vostra iniziativa, anche se la questione in gioco riguarda non tanto l’ammontare di capitale sociale, quanto le possibilità /opportunità di una sua fruibilità e mobilitazione.
Se nei contesti con maggiore disponibilità possono esistere condizioni più favorevoli non si tratta comunque di una soluzione esclusiva, perché invece risulteranno prioritarie le forme di distribuzione e le opportunità di investimento del capitale sociale. Per questo risulta cruciale il nodo in cui la ISC saprà “accreditarsi” all’interno di un sistema di relazioni che può essere caratterizzato anche da consistenti elementi di rigidità e da barriere all’ingresso, sia che si tratti di contesti socio-economici con una buona dotazione di capitale sociale, sia che si tratti di territori meno dotati. Da questo punto di vista emerge il ruolo chiave esercitato dai sistemi di relazione più “storicizzati” (di origine politica, culturale, religiosa, ecc.), spesso in combinazione con legami di tipo “naturale” (parentele, amicizie, ecc.), ossia dai già citati “diffusori della fiducia”. Le persone che “incarnano” queste forme di appartenenza e di attenzione per le dinamiche a livello “micro” e che sanno utilizzarle, attualizzandole rispetto a esigenze specifiche, giocano un ruolo assai rilevante per la nascita e lo sviluppo dell’iniziativa, assumendo molto spesso ruoli di leadership non solo all’interno dell’organizzazione ma nel più ampio contesto sociale.

Inoltre, la rilevanza della risorsa capitale sociale è visibile anche guardando all’enfasi assegnata all’identificazione di un “territorio” da parte delle ISC, inteso come ambito all’interno del quale l’iniziativa è in grado di mettere in atto in modo efficiente i suoi processi di attivazione mirata di risorse locali, ma anche di intercettare le risorse che intersecano quello stesso ambito seguendo dinamiche di integrazione “verticale” (ad esempio finanziamenti comunitari, iniziative di responsabilità sociale promosse da parte di imprese multinazionali, ecc.). In questo senso il capitale sociale che utilizzate e producete è più di tipo “bridging” (volto cioè a creare, ampliare e rafforzare sistemi di relazione), piuttosto che di tipo “bounding” (orientato invece a stabilire “i confini” fra coloro che possono fruire di questa risorsa e quelli che ne sono esclusi) (Ecchia e Zarri, 2005).

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Le risorse umane quale insieme di conoscenze, capacità, competenze e abilità possedute dalle persone rappresentano un tema trasversale a più capitoli, ma più diffusamente trattato nel capitolo quattordicesimo – Capitale umano.


Il capitale organizzativo

La struttura portante dell’organizzazione è finalizzata a gestire in modo adeguato quei sistemi di relazione che coinvolgono diversi attori da cui scaturiscono i beni prodotti da una ISC che, non a caso, vengono definiti “beni relazionali”.
La qualità di tali beni dipende, come si è visto in precedenza, anche dalla qualità delle informazioni e dalla qualità dei meccanismi attraverso i quali queste ultime sono raccolte, archiviate e fatte circolare dentro e fuori l’organizzazione.

Glossario

Definizione di Bene relazionale
I beni relazionali possono essere definiti come prodotti di “incontri”, nei quali l’identità, l’atteggiamento e le motivazioni delle persone coinvolte sono elementi essenziali nella creazione e nel valore del bene. In altri termini nei beni relazionali è la relazione in sé a costituire il bene economico, per cui tali beni nascono e muoiono con la relazione stessa.

Per approfondimenti si rimanda a Gui (2003).

Sono essenzialmente due i “fulcri” organizzativi di un’impresa sociale che investe in maniera consistente e continuativa sulla dimensione comunitaria.
Il primo ambito organizzativo è costituito dall’assetto di governo dell’impresa che è chiamato a coordinare un sistema gestionale complesso, in quanto è partecipato da attori di diversa natura e con interessi, competenze e risorse altrettanto differenziate. Le ISC sono sistemi organizzativi aperti al contributo di attori individuali e collettivi, pubblici e privati, ecc. in quanto ciascuno di essi può contribuire al perseguimento delle loro finalità di interesse generale e di sviluppo comunitario. D’altro canto la co-presenza di tanti attori diversi che intervengono nei processi decisionali (a livello strategico e operativo) richiede la presenza di una governance efficace rispetto alla mission sociale ed efficiente rispetto ai vincoli dell’assetto imprenditoriale (economicità, qualità, continuità, ecc.).

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La governance dell’ISC è analizzata nel nono capitolo.


Il secondo ambito è dato dalla diffusa presenza nelle imprese sociale di unità di lavoro collettivo (team, equipe). Si tratta di una soluzione organizzativa in grado di rispondere efficacemente alla complessità legata al contesto, ossia alla veloce e continua evoluzione dei bisogni, e all’alta interdipendenza tra le varie unità organizzative e fra queste e l’ambiente esterno. I gruppi di lavoro rappresentano, a vari livelli operativi, un importante strumento di coordinamento e di condivisione del lavoro.

  • Un primo livello riguarda l’attività “ordinaria” (ad esempio equipe servizi, equipe multidisciplinari) che si caratterizza per un modello di team strutturato e con specifici vincoli procedurali (ad esempio la gestione del caso).
  • Un secondo livello riguarda i team più destrutturati, tendenzialmente più spontanei nella loro articolazione e nel loro funzionamento, i quali generalmente sono costituiti per promuovere attività innovative (progetti specifici) e si compongono sia di personale interno che di soggetti interessati alle attività svolte (beneficiari, volontari, finanziatori ecc.).
  • Un terzo livello è rappresentato dai team interfunzionali, trasversali all’organizzazione, quali ad esempio i gruppi di lavoro sulla qualità.

Indipendentemente dal modello, i team si caratterizzano per essere composti da un numero limitato di persone (massimo 6/8), spesso con competenze complementari che riescono attraverso un lavoro integrato e una logica di corresponsabilità a rispondere a problemi complessi. Inoltre, essi rappresentano un’unità organizzativa estremamente flessibile che può essere costituita e ricostituita nel corso del tempo, ma comunque chiara nella definizione dell’obiettivo. Questo rappresenta un indubbio punto di forza per imprese che operano in ambienti instabili che richiedono capacità di adattamento, ma anche chiarezza dell’obiettivo da raggiungere, non tanto perché quest’ultimo sia prefissato nel tempo, ma perché possa essere eventualmente modificato in maniera efficiente secondo un percorso di lavoro di tipo incrementale.

All’interno di questo sistema organizzativo la qualità intesa sia quale attributo formale – certificazione e/o marchi – che come “essenza” del modo di operare della vostra organizzazione gioca un ruolo fondamentale. Essa rappresenta infatti uno strumento importante per la definizione e per la revisione dei processi organizzativi interni. In particolare, consente di attuare importanti miglioramenti, operando come fattore di standardizzazione delle procedure operative, ma contribuisce anche ad innescare processi di “apprendimento continuo” quando privilegia:

  1. una metodologia di lavoro bottom-up – ossia di costruzione dal basso degli strumenti piuttosto che di applicazione top-down di procedure pre-ordinate;
  2. un intenso e condiviso lavoro di gruppo tra le persone coinvolte nella produzione e nell’erogazione dei servizi.

Questo modo di operare può portare nella vostra organizzazione l’attivazione e la diffusione, a tutti i livelli, di una vera e propria “politica” della qualità che permette di svelare aspetti dati per scontato – il cosiddetto “lavoro invisibile” – e ordinare/scambiare gli elementi di beneficio, criticità, miglioramento, propri dei beni relazionali quali sono i servizi di welfare. Peraltro, se l’impresa non si orienta verso un assetto come quello appena descritto rischia di non “capitalizzare” adeguatamente la ricchezza più importante che produce e consuma, ovvero il suo rilevante patrimonio di conoscenze e di relazioni da cui scaturiscono due fondamentali elementi di valore: il suo “saper fare” (know-how) e la sua reputazione.

La disponibilità di un sistema strutturato, aperto e accessibile di informazioni consente un ulteriore passaggio dal punto di vista organizzativo, ovvero il potenziamento e il miglioramento della capacità di programmazione, in particolare quella di medio–lungo periodo, allungando lo sguardo e andando oltre la classica “miopia strategica” bisogno–risposta, ma anche e soprattutto allargando l’orizzonte di riferimento al medio / lungo periodo.

In definitiva il miglior “banco di prova” per il sistema organizzativo ed informativo di una ISC è dato dalla capacità di mantenere una relazione biunivoca, cioè reciprocamente arricchente, tra pratiche gestionali e orientamento valoriale / strategico dell’impresa; in questo senso la mission, da un lato, deve essere considerata come “riferimento di senso” in sede di adozione dei nuovi strumenti di gestione e/o del nuovo design organizzativo; dall’altro lato, essa può rimanere aperta anche alle sollecitazioni che derivano dall’implementazione di queste stesse pratiche di innovazione organizzativa.

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La mission dell'ISC viene descritta nel quarto capitolo - Identità.


Libro aperto Risorse

Demozzi M., Zandonai F., L’impresa sociale di comunità. Definizione, processi di sviluppo e modelli organizzativi, Quaderni di Restore 01, Trento, 2007 [link].
Ecchia G., Zarri L., “Capitale sociale e accountability: il ruolo del bilancio di missione nella governance delle organizzazioni nonprofit”, in Fazzi L., Giorgetti G. (a cura di), Il bilancio sociale per le organizzazioni nonprofit, Guerini e associati, Milano 2005, pp. 73-96.
Gui B., “Nonprofit e beni relazionali: un rapporto privilegiato”, in Impresa Sociale, n. 67, 2003, pp 47 ss.
Mutti A., Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna 1998.
Putnam R., La tradizione civica delle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993.
Studio di caso Restore: cooperativa sociale “Comunità e Persona” di Siena [link]
Studio di caso Restore: cooperativa sociale “La fabbrica di Olinda” di Milano [link]