Impresa sociale di comunità/Forme giuridiche: differenze tra le versioni

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Gli amministratori comunque debbono esplicitare nella relazione al bilancio annuale quali siano stati i criteri seguiti nel decidere sulle domande di ammissione di nuovi soci, e sarebbe opportuno che lo stesso fosse inserito negli statuti delle associazioni che esercitino l’impresa sociale.<br/>
Gli amministratori comunque debbono esplicitare nella relazione al bilancio annuale quali siano stati i criteri seguiti nel decidere sulle domande di ammissione di nuovi soci, e sarebbe opportuno che lo stesso fosse inserito negli statuti delle associazioni che esercitino l’impresa sociale.<br/>
L’esclusione può essere deliberata dall’organo amministrativo o dall’assemblea, se lo statuto lo prevede, ma soltanto nei casi previsti dall’art. 2533 c.c., fra i quali la legge individua espressamente la perdita dei requisiti per l’ammissione.
L’esclusione può essere deliberata dall’organo amministrativo o dall’assemblea, se lo statuto lo prevede, ma soltanto nei casi previsti dall’art. 2533 c.c., fra i quali la legge individua espressamente la perdita dei requisiti per l’ammissione.


=== Il voto in assemblea e le assemblee separate ===
==== Le associazioni ====
Nelle associazioni il principio generale è quello del voto c.d. capitario. Si ritiene possibile tuttavia che talune categorie di soci siano private del voto, così da poter soltanto partecipare ai lavori assembleari ed alla discussione, senza potersi esprimere nel momento deliberativo. Discussa invece, ma tendenzialmente da escludere, è la possibilità di dar vita a categorie di soci dotati di voto “plurimo”. In dottrina si ritiene pure ammissibile che lo statuto consenta un “peso” del voto ragguagliato non al principio “una testa un voto”, ma all’entità delle elargizioni fatte dal singolo associato all’organizzazione, oppure all’entità dello scambio posto in essere fra associato ed ente (principio c.d. meritocratico). <br/>
Si reputa possibile inoltre la costituzione di assemblee separate, ove si esprimano specifiche categorie di aderenti all’associazione, ad esempio molto caratterizzati sotto il profilo geografico o merceologico. Il rappresentante dell’assemblea speciale poi sarà chiamato ad esprimersi nell’assemblea generale dell’associazione.






Versione delle 15:36, 26 feb 2008

In questo capitolo verranno delineate le caratteristiche giuridiche, le pratiche gestionali, le potenzialità ed i limiti dei tre principali modelli organizzativi (associazione, fondazione, cooperativa) sottoforma dei quali può declinarsi l’attività dell’impresa sociale di comunità (ISC); il lettore potrà quindi valutare quale forma organizzativa sia più adatta alle sue esigenze.

Cosa troverete in questo capitolo:
  • Le diverse forme organizzative e i loro scopi
  • I modelli di gestione
  • I codice di autoregolazione: dell'impresa, etica, della rete

Tipologie giuridiche e disciplina di sistema

Le forme organizzative disponibili e gli scopi

L’esercizio di un’impresa sociale, anche nella variante comunitaria, può essere condotto, alla luce delle norme vigenti, secondo almeno tre modelli organizzativi previsti dal codice civile: l’associazione (a), la fondazione (b), e la società cooperativa (c). Il d. lgs. n. 155/2006 consentirebbe altresì di impiegare la forma societaria non cooperativa, ma nell’ambito di un impianto normativo che da un lato si alimenta in misura cospicua proprio dall’armamentario organizzativo delle società lucrative, e dall’altro pone vincoli rilevanti nella gestione dell’impresa (ad esempio al finanziamento), senza assegnare congrui incentivi di tipo fiscale.


a) L’associazione

L’associazione è descritta dalla disciplina codicistica come un ente a struttura corporativa, dotato di un’assemblea, ove siedono i soggetti (soci) che hanno effettuato conferimenti iniziali, e che possono essere chiamati a versare ulteriori contributi durante il prosieguo; e di un organo amministrativo, composto secondo l’opinione dominante esclusivamente da soci, cui spetta il compito di gestire l’attività, nel caso di specie imprenditoriale.
Si tratta di un ente che può essere riconosciuto dall’Autorità Amministrativa a ciò deputata (dopo la riforma del 2000, la Regione), oppure no; nel primo caso occorre che l’atto costitutivo sia stipulato in forma pubblica notarile, e la domanda di riconoscimento deve essere svolta allegando i documenti previsti dall’art. 1 d.p.r. n. 361/2000, fra i quali la documentazione relativa alla dotazione patrimoniale iniziale.
L’Autorità Amministrativa svolge un controllo di mera legalità, e verifica la legittimità delle clausole dell’atto costitutivo, la possibilità e liceità dello scopo dichiarato, la adeguatezza del patrimonio iniziale rispetto alla mission dichiarata.
Il riconoscimento presuppone poi, anche durante la vita dell’ente, ulteriori controlli pubblici, sempre di legittimità e mai di merito, in particolare in occasione delle modifiche dell’atto costitutivo.
Le associazioni non riconosciute sono regolate da poche scarne disposizioni (artt. 36 ss. codice civile), ma si ritiene che tale disciplina possa essere integrata dall’applicazione di parecchie delle norme dettate per le associazioni riconosciute.
Tanto la prima quanto la seconda tipologia di enti è dotata di una propria soggettività giuridica, per cui l’ente è distinto dalle persone che lo compongono, come soci od amministratori.


b) La fondazione

La fondazione è un ente che non può essere che riconosciuto dall’Autorità Amministrativa, secondo gli stessi principi appena descritti quanto alle associazioni.
Essa deve essere dotata di un organo amministrativo, e difetta al suo interno un’assemblea nel senso già visto quanto alle associazioni, intesa come organo composto da soci, che abbiano versato un conferimento iniziale, e mantengano un potere di controllo e decisionale sulla vita dell’ente.
Tanto le associazioni, riconosciute o meno, quanto le fondazioni, possono divenire intestatarie di beni, anche immobili.
La legge non definisce lo scopo dell’associazione, così come quello della fondazione: esso tuttavia non può in ogni caso essere lucrativo. Pertanto, anche al fine di rispettare le disposizioni di natura fiscale di cui all’art. 10 d. lgs. n. 460/1997 (link), è necessario che lo statuto contenga espressamente una clausola di non distribuzione dell’utile o di qualsiasi avanzo di gestione, il quale deve comunque essere accantonato e destinato al raggiungimento dello scopo tipico.
È opportuno tenere presente che il già visto d. lgs. n. 460/1997 vieta la distribuzione di utili o la divisione del fondo comune anche “in via indiretta”, ad esempio attraverso l’attribuzione di una remunerazione eccessiva ai membri dell’organo di amministrazione, oppure tramite la cessione di beni o la prestazione di servizi ai membri a condizioni inadeguate. Similmente prescrive del resto l’art. 3 d. lgs. n. 155/2006 (link).
Anche in caso di scioglimento e di liquidazione, il residuo non può comunque essere attribuito ai soci: esso deve piuttosto essere devoluto secondo quanto previsto dall’art. 31 del codice civile ad altro ente avente analoga finalità. Analogamente dispone del resto l’art. 10 d. lgs. n. 460/1997 (c.d. legge Onlus), che impone anche l’adozione di una specifica clausola statutaria.
In caso di recesso od esclusione di un associato pure non è possibile alcuna liquidazione della quota allo stesso (art. 24 codice civile).
Poiché un’opinione minoritaria ritiene che lo statuto possa derogare a tali divieti di liquidazione, nelle sole associazioni che non siano riconosciute, è opportuno che gli statuti prevedano sempre l’assenza di qualsiasi obbligo di liquidare la quota del socio che esce per qualsiasi motivo dalla compagine.
Sembra opportuno che lo statuto dell’associazione, o della fondazione, sancisca inoltre espressamente la natura “sociale” della stessa, esplicitando anche come l’attività istituzionale sia di carattere imprenditoriale, sia pur nella direzione anzidetta.


c) La cooperativa

Anche la cooperativa può essere utilizzata per l’esercizio di un’impresa sociale, attraverso la “variante” della cooperativa sociale, per i settori menzionati dalla legge n. 381/1991 (link), oppure secondo le norme generali del codice civile (artt. 2511 ss.).
Essa deve essere costituita per atto pubblico, ed ottiene il riconoscimento con la mera iscrizione nel Registro delle Imprese; l’unica fase pubblicistica di controllo concerne però la verifica sulla legittimità delle clausole dell’atto costitutivo condotto dal notaio che rogita lo stesso atto.
Non occorre un capitale minimo, ma se i soci sono meno di otto la società sarà regolata dalle disposizioni in materia di s.r.l., laddove nel caso opposto la disciplina codicistica sarà integrata da quella in tema di s.p.a.; i soci tuttavia, se sono meno di venti, e se l’attivo dello stato patrimoniale non eccede il milione di euro, possono comunque adottare la “sotto- forma” s.r.l.
La cooperativa è una società di capitali, avente anch’essa uno scopo non lucrativo ma mutualistico, ossia la stessa realizza il proprio fine attraverso lo scambio con i propri soci (c.d. scambio mutualistico, o gestione di servizio), a condizioni di solito agevolate rispetto a quelle di mercato (anche attraverso la pratica dei “ristorni”).
Ciò non toglie che la cooperativa possa realizzare la sua funzione operando anche con non soci, ma la destinazione del risultato della produzione a categorie di soggetti non soci deve essere autorizzata dalla legislazione speciale (art. 2520 c.c.), così come avviene infatti per le cooperative “sociali” di cui alla l. n. 381/1991.
Sono a mutualità prevalente le cooperative che attuino in prevalenza scambi con i propri soci cooperatori. Tale condizione (che per le cooperative sociali ex lege n. 381/1991 è assicurata per legge) può essere rispettata, quanto alle imprese sociali, soltanto nel caso in cui i destinatari dei servizi o comunque della produzione siano fortemente incentivati ad entrare nella compagine sociale.
Tali società debbono introdurre inoltre nello statuto il vincolo a non distribuire fra i soci riserve, né utili in misura superiore all’interesse dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti, ed a devolvere il patrimonio, in caso di scioglimento, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Anche per le cooperative a mutualità non prevalente che esercitino l’impresa sociale, tuttavia, e che non siano costituite in forma di cooperative sociali secondo la l. n. 381/1991, è opportuno che lo statuto preveda il vincolo a non distribuire utili né altre riserve fra i soci, al fine di segnalare il proprio orientamento “sociale”, e di rassicurare il pubblico dei destinatari circa la specifica qualità dei servizi e dei beni offerti.


L'autonomia patrimoniale e la responsabilità per le obbligazioni

Tutte e tre le tipologie di soggetti sopra descritte godono della c.d. autonomia patrimoniale, per cui per le obbligazioni contratte dall’organizzazione, tramite i propri legali rappresentanti, risponde esclusivamente l’ente, col proprio patrimonio. I creditori dunque non possono aggredire i beni dei soci o degli amministratori.
Ciononostante, qualora l’associazione non sia riconosciuta, l’art. 38 c.c. fissa la regola per cui delle obbligazioni contratte rispondono anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’ente.
La norma viene interpretata per lo più nel senso che tutti coloro che abbiano agito per conto dell’associazione, persino nei soli rapporti interni, senza appalesarsi all’esterno come rappresentanti, possano essere chiamati a rispondere delle suddette obbligazioni.
Pertanto il soprassedere dal chiedere il riconoscimento, se da un lato sottrae l’ente ai controlli previsti, ed in particolare a quelli, in realtà assai blandi, relativi all’adeguatezza del patrimonio, comporta come contropartita il rischio che tutti coloro che agiscono in nome o per conto dello stesso siano chiamati a rispondere dei debiti, ciò che può naturalmente disincentivare la partecipazione di molti soggetti eventualmente interessati all’amministrazione.
Nelle imprese sociali regolate dal d. lgs. n. 155/2006 la responsabilità limitata è assicurata, ma un regime normativo analogo a quello dell’art. 38 c.c. si attiva qualora il patrimonio si riduca di un terzo rispetto a quello minimo individuato dalla legge, con previsione per la verità assai discutibile sotto il profilo tecnico (art. 6).
Diversa è la responsabilità degli amministratori per mala gestio, ossia per avere male agito nell’esercizio delle loro funzioni gestorie, arrecando danno all’ente, responsabilità che può essere azionata dall’ente medesimo, attraverso i suoi nuovi organi, e che non conduce all’imputazione all’amministratore dei debiti dell’organizzazione, ma soltanto all’eventuale condanna a risarcire il danno cagionato.


L'insolvenza dell'impresa sociale e le conseguenze

Associazioni, riconosciute o meno, e fondazioni, qualora divengano insolventi, ossia non siano più in grado di adempiere alle proprie obbligazioni secondo il piano delle scadenze concordato (art. 5 legge fallimentare), possono essere assoggettate a procedura concorsuale, ed in particolare a fallimento, in quanto imprenditori commerciali.
Secondo un’opinione occorrerebbe altresì, in applicazione analogica dell’art. 2201 c.c., che l’attività d’impresa costituisca l’oggetto almeno prevalente dell’ente; tale condizione, tuttavia, per le imprese sociali è in genere normalmente rispettata.
Occorre anche, inoltre, ai sensi del nuovo testo dell’art. 1 della legge fall., che l’ente abbia mantenuto, per tre anni, un attivo superiore ad €300.000,00, oppure ricavi superiori ad €200.000,00, o infine un passivo superiore ad €500.000,00.
Al di sotto di tali soglie non può essere dichiarato il fallimento, ma nemmeno applicata una qualsiasi procedura concorsuale esdebitativa, per cui l’ente, incapace di adempiere, sarà comunque esposto alle iniziative esecutive dei singoli creditori, i quali possono aggredirne ed espropriarne i singoli beni, anche essenziali per l’espletamento dell’impresa.
Nel caso di un’associazione non riconosciuta, la giurisprudenza reputa che il fallimento della stessa possa essere esteso ai singoli associati od amministratori, i quali ai sensi dell’art. 38 c.c. debbano rispondere delle obbligazioni per aver agito in nome o per conto dell’ente, facendo applicazione diretta od analogica degli artt. 1 e 147 legge fall.


Lente d'ingrandimento Approfondimento

Un parere minoritario
Secondo una pronunzia giurisprudenziale, benché assai criticata, persino nelle fondazioni e nelle associazioni riconosciute potrebbe pervenirsi al fallimento dei singoli membri, attraverso una disapplicazione da parte del Giudice del decreto amministrativo di riconoscimento della personalità giuridica, e con l’utilizzo ancora dell’art. 38 del codice civile. Tale tesi tuttavia presuppone che le associazioni e le fondazioni non possano avere come scopo precipuo l’esercizio dell’attività d’impresa, e dunque contrasta con le più recenti acquisizioni; in tale prospettiva infatti sarebbe molto probabilmente impossibile esercitare in radice l’attività di impresa sociale nelle norme del Libro I del codice civile.


Nelle cooperative l’insolvenza conduce alla dichiarazione di fallimento oppure all’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.), a seconda se viene emesso per primo il decreto dell’Autorità di Vigilanza sulle cooperative o la sentenza dichiarativa di fallimento.
Anche per le imprese sociali regolate dal d. lgs. n. 155/2006, d’altro canto, il legislatore ha sancito l’applicazione della l.c.a., stavolta in via esclusiva (art. 15), e quindi senza possibilità residue di applicazione del fallimento.
Non è comunque possibile, nell’ambito della procedura di l.c.a., l’estensione della stessa a soci o membri.


La rendicontazione contabile e sociale

Le cooperative, che sono società di capitali, sono sottoposte a tutte le norme relative ai bilanci delle s.p.a. o delle s.r.l., a seconda della “variante” prescelta.
Dunque sarà necessaria l’adozione di un bilancio di esercizio redatto secondo le regole ed adottando gli schemi delle Direttive comunitarie, contenente stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa e relazione sulla gestione (artt. 2423 ss. c.c.). Soltanto nel caso in cui non siano oltrepassati i limiti di cui all’art. 2435bis c.c., sarà possibile redigere un bilancio in forma abbreviata.

Quanto invece ad associazioni e fondazioni, la legge non impone l’adozione di documenti contabili, se non delle scritture contabili (libro giornale e libro degli inventari) previsti dagli artt. 2214 ss. c.c. per qualsiasi imprenditore commerciale non piccolo.
La legge sancisce tuttavia che il libro degli inventari si chiuda con il bilancio (stato patrimoniale e conto profitti e perdite), dal quale debbono risultare l’utile o la perdita dell’impresa. Non ci sono però disposizioni chiare sulla redazione di tale bilancio, che dunque potrà essere formato secondo le ordinarie tecniche e prassi contabili (come per le società di persone), con la sola avvertenza di rispettare i criteri di valutazione sanciti per le poste delle società di capitale. L’art. 10 d. lgs. n. 460/1997 si limita a prescrivere l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale.

Anche per le imprese sociali regolate dal d. lgs. n. 155/2006 la legge (art. 10) ricorda soltanto l’obbligo di redigere libro giornale e libro inventari, facendo poi un criptico riferimento ad un “apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale ed economica dell’impresa”. Per sole imprese sociali così “tipizzate” è prescritta inoltre la redazione obbligatoria del bilancio sociale (art. 10 co. 2 d. lgs. n. 155/2006).


Strumenti In Pratica


Il bilancio sociale, pur non obbligatorio, può tuttavia essere redatto volontariamente anche nelle associazioni o fondazioni, così come nelle cooperative, ed è opportuno che ciò avvenga, al fine di documentare e di esporre al pubblico, soprattutto ai destinatari dei servizi ed ai finanziatori, il modo in cui le risorse dell’organizzazione vengono destinate e rivolte a realizzare gli obiettivi sociali della stessa.

Nelle cooperative occorre ancora che la relazione sulla gestione degli amministratori (ed anche la relazione sul bilancio del collegio sindacale) specifichi i criteri seguiti per il conseguimento dello scopo mutualistico (art. 2545 c.c.).
Quando la mutualità è in realtà “esterna” (come per le cooperative sociali), la relazione di fatto può avvicinarsi molto ad un bilancio sociale.

Chiavi
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Sul bilancio sociale si veda il capitolo settimo – Rendicontazione sociale.


Forme organizzative e modelli di gestione

La selezione degli stakeholder: l'ammissione e l'esclusione dei soci

Un primo modo per coinvolgere gli stakeholder nella gestione dell’impresa sociale potrebbe essere costituito dal porre in essere una politica di incentivazione dell’adesione di questi ultimi alla compagine, in modo da divenire soci dell’organizzazione.

Le associazioni

Nelle associazioni i requisiti necessari per poter diventare soci devono essere fissati dallo statuto.

Strumenti In Pratica


Indicazioni per la redazione dello statuto in merito all’ammissione ed esclusione dei soci

  • Nello statuto si potrebbero individuare, ad esempio, i caratteri degli stakeholder interessati.
  • Si ritiene che l’aspirante associato, in possesso dei requisiti statutari, non abbia un vero e proprio diritto a vedere accolta la propria domanda di ammissione; ciononostante, poiché il rispetto dei requisiti per l’accesso alla compagine è percepito come garanzia di democraticità e di rispetto da parte dell’organizzazione dei principi che si è data, sembra opportuno che lo statuto individui la possibilità di un ricorso ad un organo sovraordinato a quello amministrativo, l’assemblea (come sancisce l’art. 9 d. lgs. n. 155/2006), oppure un comitato, creato specificamente ad hoc, o più generalmente incaricato del controllo sul rispetto delle finalità dell’ente, ove potrebbero risiedere le personalità di spicco, anche dal punto di vista etico, dell’organizzazione.
  • L’esclusione deve essere necessariamente deliberata dall’assemblea, e soltanto per gravi motivi (art. 24 c.c.); è opportuno che lo statuto individui come causa di esclusione la perdita dei requisiti che hanno determinato l’ammissione nella compagine. In particolare tale previsione potrebbe essere molto utile, al fine di evitare che si generino situazioni conflittuali permanenti, nei casi in cui l’interesse a partecipare all’organizzazione possa venire meno nel caso in cui il soggetto perda determinati requisiti (ad esempio, sia parente di un destinatario dell’attività), senza per questo escludere la possibilità che tali soggetti, se adeguatamente motivati, possano essere inseriti in altri organi, con funzioni consultive o di indirizzo. Il socio escluso può comunque opporsi all’esclusione facendo ricorso all’Autorità Giudiziaria.
  • Sembra opportuno che lo statuto prescriva comunque il previo ricorso all’assemblea, come “filtro” per l’accesso alla tutela giudiziaria, rendendo il provvedimento di esclusione non efficace sino a che lo stesso non sia confermato dall’assemblea; il diritto dell’escluso di ricorrere all’assemblea è del resto previsto dall’art. 9 d. lgs. n. 155/2006.
  • Non è da escludersi, anche se la materia è assai discussa, che i soci siano distinti in diverse categorie, ciascuna dotata di diritti e doveri particolari e differenti: ad esempio ai soci fondatori potrebbe essere riconosciuta la facoltà di partecipare all’assemblea senza obbligo di fare versamenti ulteriori nel corso della vita dell’ente, ed al limite anche poteri di nomina di una quota minoritaria degli amministratori (anche se la validità di tale clausola potrebbe essere contestata, sulla base del c.d. principio di eguaglianza e democraticità nelle associazioni); ai soci “volontari” potrebbe invece essere riconosciuta la partecipazione all’organo assembleare, senza obbligo di effettuare versamenti, ma soltanto di prestare la propria opera. Non è da escludere poi, anche se vi sono discussioni sul punto, che si possano ulteriormente “graduare” i poteri in assemblea, così come i contributi da versare, a seconda dell’appartenenza ad una specifica categoria.

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Le fondazioni

Nelle fondazioni difetta come tale un organo assembleare, anche se la prassi (e la legislazione speciale: si pensi alle fondazioni bancarie) conosce varie forme di ibridazione fra associazioni e fondazioni, col solo limite di non creare organi che di fatto si sovrappongano e/o sostituiscano quello amministrativo nella scelta delle strategie imprenditoriali, e nel decidere della vita dell’ente.


Le cooperative

Nelle cooperative l’ammissione di nuovi soci è deliberata per legge (art. 2528 c.c.) dagli amministratori, ma gli aspiranti soci cui sia respinta la domanda di ammissione possono far ricorso all’assemblea. La legge non dice che l’eventuale provvedimento di accoglimento dell’assemblea sia vincolante, ma l’effetto è forse implicito nel sistema; è opportuno comunque che lo statuto preveda espressamente sul punto.
Gli amministratori comunque debbono esplicitare nella relazione al bilancio annuale quali siano stati i criteri seguiti nel decidere sulle domande di ammissione di nuovi soci, e sarebbe opportuno che lo stesso fosse inserito negli statuti delle associazioni che esercitino l’impresa sociale.
L’esclusione può essere deliberata dall’organo amministrativo o dall’assemblea, se lo statuto lo prevede, ma soltanto nei casi previsti dall’art. 2533 c.c., fra i quali la legge individua espressamente la perdita dei requisiti per l’ammissione.


Il voto in assemblea e le assemblee separate

Le associazioni

Nelle associazioni il principio generale è quello del voto c.d. capitario. Si ritiene possibile tuttavia che talune categorie di soci siano private del voto, così da poter soltanto partecipare ai lavori assembleari ed alla discussione, senza potersi esprimere nel momento deliberativo. Discussa invece, ma tendenzialmente da escludere, è la possibilità di dar vita a categorie di soci dotati di voto “plurimo”. In dottrina si ritiene pure ammissibile che lo statuto consenta un “peso” del voto ragguagliato non al principio “una testa un voto”, ma all’entità delle elargizioni fatte dal singolo associato all’organizzazione, oppure all’entità dello scambio posto in essere fra associato ed ente (principio c.d. meritocratico).
Si reputa possibile inoltre la costituzione di assemblee separate, ove si esprimano specifiche categorie di aderenti all’associazione, ad esempio molto caratterizzati sotto il profilo geografico o merceologico. Il rappresentante dell’assemblea speciale poi sarà chiamato ad esprimersi nell’assemblea generale dell’associazione.