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::{{cita libro|cognome=Maroni Lumbroso|nome=Matizia|titolo=Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica|anno= [[1978]]|editore= Fondazione Ernesta Besso|città=[[Roma]]| pagine=180}}
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==Il confinato di Ponte di Legno==
===Il confinato di Ponte di Legno===
Vi era nei pressi di Ponte di Legno un uomo che era morto, ma in forma di spirto era tornato e faceva del male. Gli abitanti del paese si rivolgono al prete che vuole scacciarlo dal luogo. Ma lo spirito chiede al parroco di non scacciarlo dal suo paese, e quindi viene confinato sotto un ponte. Ma anche qui non smette di fare dispetti ai vivi, tanto che due donne, che abitavano vicino al ponte, finirono per mornire di paura.
Vi era nei pressi di Ponte di Legno un uomo che era morto, ma in forma di spirto era tornato e faceva del male. Gli abitanti del paese si rivolgono al prete che vuole scacciarlo dal luogo. Ma lo spirito chiede al parroco di non scacciarlo dal suo paese, e quindi viene confinato sotto un ponte. Ma anche qui non smette di fare dispetti ai vivi, tanto che due donne, che abitavano vicino al ponte, finirono per mornire di paura.
: Confinati, Ponte di Legno
: Confinati, Ponte di Legno
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==Il confinato della Val Pisgana==
===Il confinato della Val Pisgana===
Vi era un uomo che era stato confinato, come spierito, in Val Pisgana. Il suo obbligo dopo morto era quello di fare rotolare le fascine di legna ai boscaioli. Un giorno il figlio di questo spieto si ercò in Val Pisgana per tagliare un albero, ma osservando le fascine che rotolano si accorge dello spierito di suo padre. Spaventatosi per la visione, morirà dalla paura da lì a due giorni.
Vi era un uomo che era stato confinato, come spierito, in Val Pisgana. Il suo obbligo dopo morto era quello di fare rotolare le fascine di legna ai boscaioli. Un giorno il figlio di questo spieto si ercò in Val Pisgana per tagliare un albero, ma osservando le fascine che rotolano si accorge dello spierito di suo padre. Spaventatosi per la visione, morirà dalla paura da lì a due giorni.
: Confinati, Val Pisgana
: Confinati, Val Pisgana

Versione delle 14:55, 8 mar 2008

Indice del libro

LEGGENDE DI VALLE CAMONICA

Miti, Tradizioni e Folklore Camuno

PERSONAGGI

  • Diaoi
  • Strie
  • Gacc
  • Fulecc
  • Pagà
  • Confinati
  • Donna del gioco


ALTA VALLE

La sagra di sangue

Durante il periodo veneziano la Val di Scalve, a corto di spazio per le proprie bestie, chiese ed ottenne alla Serenissima di utilizzare la Malga Culvegla, di proprietà di Corteno. I cortenesi attesero fino al 1797 (fine del governo veneziano) per riappropriarsene, scacciandone gli scalvini. Il 15 agosto 1758, giorno della Sagra dell'Assunta patrona di corteno, gli scalvini, giunti attraverso passo Sellero e del Sellerino, assaltarono la malga e, dopo aver affogato il casaro nel siero, tentano di sottrarre anche le bestie al pascolo. Un secondo pastore, sceso in paese, dà l'allarme e dal villaggio una folla armata risale la montagna in due gruppi: il primo attravero il Preborem, l'Orio ed il Torsolet, il secondo lungo i Tremonti, il Foràm ed il Sessa.Nel frattempo i consoli del paese tentano la trattativa con gli scalvini. Essa non va a buon fine, ed al segnale dei consoli (un fazzoletto rosso sventolato) la folla scende dai monti facendo massacro. Il torrente insanguinato venne chiamato Val Ròsa.

Tratto da: Giacomo Bianchi, La magnifica comunità di Corteno Golgi, Brescia, Massetti Rodella Editore, 2005 [1979], p. 93.
Corteno, Val di Scalve, Malga, Sagra di Sangue

Monte Padrio

Il monte Padrio, posto sul confine tra la Val Camonica e la Valtellina ha un aspetto brullo e spoglio. Una leggenda della Val di Corteno vuol che questa sua apprarenza derivi dal fatto che in anichità, poichè era rifugio di lupi e serpenti, era stato incendiato dalla popolazione

Tratto da: Giacomo Bianchi, La magnifica comunità di Corteno Golgi, Brescia, Massetti Rodella Editore, 2005 [1979], p. 153.
Corteno, Monte, Malga, Lupo, Serpente

La roccia di Incudine

Sul monte Fosanno (forse il Monte Plazza) esisteva un incavo nella roccia nel quale nei periodi di siccità, una vergine versava dell'acqua, annettendosi tale cerimonia superstiziosa la virtù di far piovere. Fu distrutta nel 1634.

Tratto da: Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli, Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992, p. 294.
Incudine, Roccia, Vergine

Il nome di Edolo

Si dice che il nome di Edolo derivi da Idulo, idolo, dal nome di un simulacro dedicato a Saturno che esisteva sul luogo della Chiesa di San Clemente. Esso era chiamato luogo dei Pagà (pagani).

Tratto da: Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli, Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992, p. 411.
Edolo, Pagà, Saturno

Mù sommerso

Tradizione vuole che Mù fosse un tempo una grande borgata, fin quando un lago antico, che si estendeva presso la valle Foppa, straripò e sommerse l'abitato.

Tratto da: Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli, Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992, p. 414.
Mù, Lago, Foppa, inondazione

S. Martino di Corteno

La chiesa di san martino sarebbe stata la primitiva parrocchia dei cortenaschi. La sua origine riale a quei tempi in cuiil paganesimo non era ancora estinto, e la tradizione vuole che i cristiani vi ricevessero gl'insulti nell'attualità dell'esercizio dei loro culti.

Tratto da: Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli, Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992, p. 427.
Corteno, Pagà, San Martino

La Valle dei Santo

Un torrente burrascoso scendeva dal Monte Padrio in valtellina, provocando danni. La popolazione riunita allora decise di deviarne il flusso in Valle Camonica. Detto fatto, la notte di S. Martino un gruppo di guastatori si rcò sul monte, ma al momento di deviare gli argini si presentò un giovane, col vestito rosso fuoco, che propose, in cambio dell'anima dei presenti, di deviare il corso d'acqua. I presnrti accettarono e questi con un tridente voltò il torrente verso Galleno. Gli abitanti, svegiati dal fragore, invocarono l'aiuto di S.Martino e questi, giungendo all'isytante sul suo cavallo bianco, arrestò la corsa del torrente, deviandolo verso quella che ancora oggi è chiamavata la Al del Sànt (Valle del santo).

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 68.
Corteno Golgi, Galleno, Valtellina, Diàol, San Martino

I diavoli della Val d'Avio

Nella Val d'Avio una volta non vi erano laghi, ma solo una grande piana dove abitavano delle persone cattive come i diavoli (diaòi). Un angelo venuto dal cielo li avverte: cambiate il vostro modo di vivere oppure verrente puniti. I consigli vengono inùgnorati, allora l'angelo sbreccia grossi massi dal monte Adamello e li posiziona sul fondo della valle, chiudendola. Quindi inizia a piovere tanto che le cattive persone vengono sommerse, e si formano i due laghi d'Avio.

Valli d'Avio, diaoi, Lago, inondazione
Matizia Maroni Lumbroso, Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica, Roma, Fondazione Ernesta Besso, 1978, p. 180.

La Donna del Gioco di Vione

La Donna del Gioco era una bellissima ragazza che viveva nel bosco, vestita dei suoi soli capelli, con uno sguardo capace di ammaliare le persone. Essa dimorava presso Vione, e volava a cavallo di un serpente che gettava fuoco da occhi e coda. Quando ci fu il Concilio di Trento essa venne esorcizzata e non comparve più.

Donna del Gioco, Vione, Concilio di Trento
Matizia Maroni Lumbroso, Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica, Roma, Fondazione Ernesta Besso, 1978, p. 180.

Il confinato di Ponte di Legno

Vi era nei pressi di Ponte di Legno un uomo che era morto, ma in forma di spirto era tornato e faceva del male. Gli abitanti del paese si rivolgono al prete che vuole scacciarlo dal luogo. Ma lo spirito chiede al parroco di non scacciarlo dal suo paese, e quindi viene confinato sotto un ponte. Ma anche qui non smette di fare dispetti ai vivi, tanto che due donne, che abitavano vicino al ponte, finirono per mornire di paura.

Confinati, Ponte di Legno
Matizia Maroni Lumbroso, Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica, Roma, Fondazione Ernesta Besso, 1978, p. 186.

Il confinato della Val Pisgana

Vi era un uomo che era stato confinato, come spierito, in Val Pisgana. Il suo obbligo dopo morto era quello di fare rotolare le fascine di legna ai boscaioli. Un giorno il figlio di questo spieto si ercò in Val Pisgana per tagliare un albero, ma osservando le fascine che rotolano si accorge dello spierito di suo padre. Spaventatosi per la visione, morirà dalla paura da lì a due giorni.

Confinati, Val Pisgana
Matizia Maroni Lumbroso, Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica, Roma, Fondazione Ernesta Besso, 1978, p. 186.


BASSA VALLE

Lago Moro

Un tempo il Lago Moro non esisteva, ma al suo posto vi era una conca dove sorgevano due abitazioni: una ricca e molto ampia, l'altra piccola e povera. Un giorno giunge nel posto un misero pellegrino, che chiede qualcosa da mangiare ed un posto dove dormire nella casa ricca ed ampia. Ma la donna che vi abita all'interno, con un figlio piccolo in fasce, lo scaccia a malo modo. Allora il pellegrino chiede le stesse cose nella casa più povera, nella quale la donna che vi abita, anch'essa con un figlio in fasce, lo ospita e condivide la propria poca cena. Quando il pellegrino si fu rifocillato disse alla donna: prendi tuo figlio e vattene da questa valle, fuggi più in alto che puoi senza mai voltarti indietro e detto questo scomparve. La donna impaurita prese il figlio e fuggì dall'abitazione, secondo le istruzioni del vecchio. D'un tratto il cielo s'incupì e iniziò a piovere rovinosamente, tanto che la conca venne sommersa dall'acqua. Anora oggi nelle notti di luna piena si vede sul fondo del lago una culla vuota e si siente il pianto di un bambino.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 19.
Darfo Boario Terme, Lago Moro, inondazione

Santuario di San Silvestro

Il santuario di San Silvestro era luogo di rogazione delle popolazione nei periodi di siccità o di troppa pioggia. Si narra che essendo cambiato il parroco, questo si rifiutasse di chiedere l'intercessione del Santo per far scendere la pioggia. Ma su insistenza della popolazione, che vedeva appassire le porprie piante, si vide costretto, ma senza esserne convinto, ad effettuare la rogazione. A poche centinaia di metri dal santuario però si condensano nubi ed inizia a piovere.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 22.
Angolo Terme, San Silvestro, Clima

I Morti dei Grimàlcc

I Grimàlcc sono una località tra Angolo Terme e Rogno. Un vecchietto aveva portato colà a svernare le proprie bestie, ma la sera dal bosco proviene questa voce Zampa di capra-piede di porco-chi non è vivo-di certo è morto. Il vecchio, che non credeva nei Morti, manda alla malora le voci che l'hnno svegliato nella notte. Il mattino seguente, andnando al casinèt (edificio adibito alla lavorazione del formaggio) si trova, al posto del catenaccio della porta, il braccio di un morto. Livido dal terrore allova fugge in paese, chiedendo consiglio al parroco. QUesti gli consiglia di tornare alla cascina recando in mano un gatto con la lettera M incisa sulla fronte, da solo, in modo da riparare l'offesa ai Morti. Egli allora vaga per tutto il paese cercando il gatto con tale caratteristica, che trova in cima al tetto del castello dei Federici. Quindi risale verso la cascina dove nuovamente risuona il canzonatorio Zampa di capra-piede di porco-chi non è vivo-di certo è morto. Il vecchio allora dice anime benedette riprendetevi il vostro braccio,ed io giuro che non farò più scherno di voi. Alora una voce disse beato te che porti il gatto dei Morti, altrimenti ci avresti dovuto seguire su due piedi!. Fatto questo sia i morti che il gatto scomparvero.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 25.
Angolo Terme, Rogno, Morti, Gatto

Monte Pora

Si dice che il monte Pora fosse abitato da Folécc (folletti). Un giovane, che non credeva a questa leggenda, venne a trovarsi una sera presso la Malga Alta di Varno. Qui sentì delle voci che dicevano Ol vé adés! (Viene adesso!) e da lontano l'altra replicava Ah sé? Chè 'l vègne! (Ah sì? Che venga!) dopo le quali venne colpito con un calcio nel posteriore che lo fece volare sino alla Cascina Alta del Monte Pora. Da qui un secondo calcio lo rispedì in basso, e coì per diverse altre volte. Alla fine il giovane mandriano, punito dai folècc, fu lasciato andare, e da quel giorno il monte fu chiamato Pora (paura).

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 28.
Monte Pora, Folècc

I piedi del Diavolo

Un giorno un vecchio irascibile, facile nelle bestemmie, non riusciva a montare la panna con la zangola. Dopo ore di inutile lavoro esclamòcomparisse almeno il diavolo ad aiutarmi. Detto questo comparve un essere incandescendete circondato dal fuoco. Al chè il vecchio fuggì dalla sua casa, inseguito dal mostro, e raggiunse un gruppo di manriani presso la località Giardì dove vi era una pietra squadrata a mo' di altare. Lì s'inginocchiarono e si fecero il segno della croce per invocare i santi. Quando aprirono di nuovo gli occhi si accorsero che il demonio era sparito, ma sulla roccia di fronte a loro erano rimaste delle orme caprine. Essa è tutt'ora chiamata la Corna dei pè del diàol.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 39.
Roccia, Diavolo

Buco della Paura

Sul Pian del carnì, sopra Angolo Terme, si trova il Buco della Paura (Bùs de la Pòra). Si narra che una giovane ragazza stesse portando al pascolo le sue agnelle, quando incrociò un viandante seduto s un sasso, che aveva dei piedi caprini, delle dita lunghissime con le unghie come quelle dei nibbi, ed i capelli ricciuti come serpenti, ma la voce soave che ammaliava. La giovane cadde sotto l'incanto e si mise a seguire il viandante che s'avviava verso la montagana. Al passaggio dell'uomo dai pè de cavra (piedi di capra) tutti gli animali fuggivano e la natura appassiva. Ad un tratto scppia un temporale ad, al rimbombo del tuono, del quale aveva sempre avuto timore, la ragazza si scuote dall'icanto e si fa automaticamente il segno della croce. il vinadante sgomento viene allora colpito da un fulmine, che crea un profondo buco dove agli vi cade dentro. Questa è l'origine del Bus de la Pòra.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 39.
Ango Terme, Buco, Pè de Cavra

Il nome di Terzano

Scoppiata la peste tutte le persone si nascondono nelle proprie abitazioni, per evitare il contagio. Tre montanari fuggiti sul monte, riescono a sfuggire al morbo e tornati a valle a pericolo scampato, trovano che tutti i loro vicini sono morti. Allora i tre sani si recano ad Angolo, dove rapiscono tre fanciulle e fondano il paese di Terzano (da tre-sani, Tersà in dialetto camuno).

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 47.
Ango Terme, Terzano, Peste

Santi Glisente Fermo e Cristina

Al tempo di Carlomagno Fermo Glisente e la loro sorella Cristina giunsero in Valle Camonica. Cristina era convertita al cristianesimo, e tentava di convincere anche i suoi fratelli, ma vi siuscì solo quando, lacerati dalle ferite della battaglia, mennero improvvisamente miracolati. Allora i tre decisero di abbandonare il mondo e ritirarsi in romitaggio in tre luoghi della valle camonica: Glisente, il maggiore, scelse un monte presso Berzo Inferiore, Fermo un monte presso Borno e Cristina un monte presso Lozio. Essi escogitarono un sistema di segnali per permettere ai parenti di capire se fossero vivi oppure no: avrebbero acceso dei fuochi al calar della sera. Ma solamente Fermo ne avrebbe accesi due: uno per Cristina (che dalla sua posizione non poteva vedere quello di Glisente) e uno per Glisente (che non poteva vedere quello di Cristina). Una sera Ferno accese un solo fuoco: Cristina (a cui una cerva portava da mangiare) infatti era morta. Un'altro giorno anche il fuoco di Glisente non s'accese: anche il fratello maggiore era morto. Fermo, assistito da un'aquila e da un'orsa, concluse anch'esso la sua vita, e gli abitanti di Borno gli dedicarono il monte.

Tratto da: Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990, p. 55.
Borno, Losine, Berzo Inferiore, Colle di S. Glidente, Monte S. Fermo

Risorse

Bibliografia

  • Giorgio Gaioni, Leggende di Val Camonica e di Val di Scalve, Artogne, M. Quetti, 1990.
  • Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli, Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992.
  • Giacomo Bianchi, La magnifica comunità di Corteno Golgi, Brescia, Massetti Rodella Editore, 2005 [1979].
  • Matizia Maroni Lumbroso, Viù... 'na òlta: folklore della Val Camonica, Roma, Fondazione Ernesta Besso, 1978.