Caccia tattici in azione/Lo Zero: differenze tra le versioni

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Lo Zero, quindi, se ben pilotato poteva reggere il confronto con avversari ben superiori sulla carta. Non c’era quindi una ragione tecnica precisa perché perdesse malamente contro gli Hellcat nel ’44, dato che questi ultimi in prestazioni (eccetto come autonomia) non erano superiori agli Spit Mk V in nessun aspetto, e forse non erano nemmeno più maneggevoli. Mentre lo Zero, nel ’44, era diventato l’A6M5, ancora migliore del tipo precedente. Aveva rivestimento alare irrobustito per sostenere meglio le picchiate più veloci, che ora potevano superare i 750 kmh, e i suoi cannoni erano adesso i Tipo 99-2, che offrivano una velocità iniziale molto maggiore. Non che fossero all’altezza degli Hispano-Suiza, ma con una v.iniziale di circa 750 m.sec, erano grossomodo al livello degli MG151 e con una portata utile di tiro passata da 200-300 a 400 e più metri, cosa importantissima nell’ingaggiare un avversario che si allontanava in velocità: si pensi che 180 kmh di differenza sono 50 m.sec, così facendo gli Zero potevano sparare per due secondi in più: iniziando diciamo da 200 m di distanza, significava 4 secondi di fuoco e non 2. In seguito gli Zero ebbero anche i cannoni con nastro da 125 colpi e forse anche i Tipo 99 migliorati, con cadenza di tiro portata da 500 a 700 c.min, il che riduceva l’autonomia di fuoco, ma permetteva una molto superiore efficacia contro bersagli elusivi come i veloci caccia americani, che oramai avevano imparato a combattere portandosi ad alta velocità. Lo Zero era superiore ad essi in manovra, ma sopra i 400-450 kmh i suoi comandi diventavano pesanti e così restava in svantaggio anche come maneggevolezza, perché era ottimizzato per duelli a velocità molto più basse. Tuttavia, resta il fatto che se lo Zero subì le perdite che subì la cosa non è direttamente accreditabile solo ad esso. Che l’A6M2 abbia potutto surclassare il pur buono Hurricane in maniera così netta è un fatto. Che l’A6M3 abbia battuto nella stessa misura lo Spitfire Mk V anche. L’A6M5 sarebbe stato un avversario anche più pericoloso per un eventuale nemico. In termini di salita, lo Zero era superato solo dallo Spit, mentre entro i 3.000 m conservava un vantaggio su Hellcat e Corsair. L’A6M5 era anche superiore in velocità, almeno a certe quote, anche contro il Seafire I (Mk V navalizzato), specie alle quote più elevate, una cosa piuttosto sorprendente, mentre in termini di autonomia e di agilità era molto superiore (ma qui non v’e nessuna sorpresa) così come in sicurezza all’appontaggio grazie alla bassa velocità e al largo carrello (lo Spit era invece del tutto inadatto e in tal senso rappresentò un peggioramento rispetto ai vecchi Sea Hurricane). In definitiva, lo Zero era un aereo temibile, che fino al tardo ’43, con piloti all’altezza, poteva tenere testa a Spitfire, Hurricane, e talvolta anche Corsair e P-38. Il rateo di successo dichiarato dagli americani, persino con il Corsair, non superava il 3:1, anches e con la loro velocità potevano sempre scappare o inseguire l’avversario, a seconda di come gli facesse comodo. Il punteggio finale del Corsair è di circa 11:1 in termini di abbattimenti-perdite, ma comprende anche un gran numero di aerei kamikaze e in generale volati da piloti oramai non più all’altezza della situazione, più i bombardieri e ricognitori veri e propri. Ma nel ’43 gli F4U, certo i più temibili caccia americani assieme ai P-38, non ottennero molto e gli Zero se la cavarono con un dignitoso risultato anche contro di essi, sia pure perdendo la maggior parte degli incontri. Finché ebbe piloti all’altezza, lo Zero rimase un avversario temibile per chiunque, e se questo era vero per l’A6M3, a maggior ragione lo sarebbe stato per l’A6M5 (specie per il potente armamento, visto che le 7,7 mm erano pressoché inefficaci contro i caccia moderni), posto che avesse piloti all’altezza. Ma come dimostrò la battaglia delle Marianne, questo nel ’44 non era più possibile. I pochi piloti esperti, come Sakai (ritornato in azione nonostante avesse perso un occhio) combatterono fino alla fine. Ancora nel luglio del ’45, gli scontri aerei potevano essere pericolosi per gli Americani e potevano anche contare sull’avvento delle mitragliatrici da 13 mm, prima una sola al posto di una delle 7,7 ma già utili, per esempio per la loro capacità di perforare strutture robuste e blindature. Durante il tentativo di salvare Ed Mikes, un pilota caduto in mare, una pattuglia di Zero irruppe contro una formazione di P-51D. Il capo formazione, un veterano che usava un uncino al posto di una mano, persa per via di una ferita di guerra, si avvicinò a tutto gas ad un P-51: da 500 m iniziò a sparare con le 3 mitragliatrici (ora erano tutte da 13,2 mm) e da 100 m anche con i due cannoni da 20 mm. Il Mustang perse il controllo e si schiantò in mare. Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra. Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio.
Lo Zero, quindi, se ben pilotato poteva reggere il confronto con avversari ben superiori sulla carta. Non c’era quindi una ragione tecnica precisa perché perdesse malamente contro gli Hellcat nel ’44, dato che questi ultimi in prestazioni (eccetto come autonomia) non erano superiori agli Spit Mk V in nessun aspetto, e forse non erano nemmeno più maneggevoli. Mentre lo Zero, nel ’44, era diventato l’A6M5, ancora migliore del tipo precedente. Aveva rivestimento alare irrobustito per sostenere meglio le picchiate più veloci, che ora potevano superare i 750 kmh, e i suoi cannoni erano adesso i Tipo 99-2, che offrivano una velocità iniziale molto maggiore. Non che fossero all’altezza degli Hispano-Suiza, ma con una v.iniziale di circa 750 m.sec, erano grossomodo al livello degli MG151 e con una portata utile di tiro passata da 200-300 a 400 e più metri, cosa importantissima nell’ingaggiare un avversario che si allontanava in velocità: si pensi che 180 kmh di differenza sono 50 m.sec, così facendo gli Zero potevano sparare per due secondi in più: iniziando diciamo da 200 m di distanza, significava 4 secondi di fuoco e non 2. In seguito gli Zero ebbero anche i cannoni con nastro da 125 colpi e forse anche i Tipo 99 migliorati, con cadenza di tiro portata da 500 a 700 c.min, il che riduceva l’autonomia di fuoco, ma permetteva una molto superiore efficacia contro bersagli elusivi come i veloci caccia americani, che oramai avevano imparato a combattere portandosi ad alta velocità. Lo Zero era superiore ad essi in manovra, ma sopra i 400-450 kmh i suoi comandi diventavano pesanti e così restava in svantaggio anche come maneggevolezza, perché era ottimizzato per duelli a velocità molto più basse. Tuttavia, resta il fatto che se lo Zero subì le perdite che subì la cosa non è direttamente accreditabile solo ad esso. Che l’A6M2 abbia potutto surclassare il pur buono Hurricane in maniera così netta è un fatto. Che l’A6M3 abbia battuto nella stessa misura lo Spitfire Mk V anche. L’A6M5 sarebbe stato un avversario anche più pericoloso per un eventuale nemico. In termini di salita, lo Zero era superato solo dallo Spit, mentre entro i 3.000 m conservava un vantaggio su Hellcat e Corsair. L’A6M5 era anche superiore in velocità, almeno a certe quote, anche contro il Seafire I (Mk V navalizzato), specie alle quote più elevate, una cosa piuttosto sorprendente, mentre in termini di autonomia e di agilità era molto superiore (ma qui non v’e nessuna sorpresa) così come in sicurezza all’appontaggio grazie alla bassa velocità e al largo carrello (lo Spit era invece del tutto inadatto e in tal senso rappresentò un peggioramento rispetto ai vecchi Sea Hurricane). In definitiva, lo Zero era un aereo temibile, che fino al tardo ’43, con piloti all’altezza, poteva tenere testa a Spitfire, Hurricane, e talvolta anche Corsair e P-38. Il rateo di successo dichiarato dagli americani, persino con il Corsair, non superava il 3:1, anches e con la loro velocità potevano sempre scappare o inseguire l’avversario, a seconda di come gli facesse comodo. Il punteggio finale del Corsair è di circa 11:1 in termini di abbattimenti-perdite, ma comprende anche un gran numero di aerei kamikaze e in generale volati da piloti oramai non più all’altezza della situazione, più i bombardieri e ricognitori veri e propri. Ma nel ’43 gli F4U, certo i più temibili caccia americani assieme ai P-38, non ottennero molto e gli Zero se la cavarono con un dignitoso risultato anche contro di essi, sia pure perdendo la maggior parte degli incontri. Finché ebbe piloti all’altezza, lo Zero rimase un avversario temibile per chiunque, e se questo era vero per l’A6M3, a maggior ragione lo sarebbe stato per l’A6M5 (specie per il potente armamento, visto che le 7,7 mm erano pressoché inefficaci contro i caccia moderni), posto che avesse piloti all’altezza. Ma come dimostrò la battaglia delle Marianne, questo nel ’44 non era più possibile. I pochi piloti esperti, come Sakai (ritornato in azione nonostante avesse perso un occhio) combatterono fino alla fine. Ancora nel luglio del ’45, gli scontri aerei potevano essere pericolosi per gli Americani e potevano anche contare sull’avvento delle mitragliatrici da 13 mm, prima una sola al posto di una delle 7,7 ma già utili, per esempio per la loro capacità di perforare strutture robuste e blindature. Durante il tentativo di salvare Ed Mikes, un pilota caduto in mare, una pattuglia di Zero irruppe contro una formazione di P-51D. Il capo formazione, un veterano che usava un uncino al posto di una mano, persa per via di una ferita di guerra, si avvicinò a tutto gas ad un P-51: da 500 m iniziò a sparare con le 3 mitragliatrici (ora erano tutte da 13,2 mm) e da 100 m anche con i due cannoni da 20 mm. Il Mustang perse il controllo e si schiantò in mare. Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra. Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio.


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Versione delle 12:37, 11 lug 2009

Indice del libro

Il Mitsubishi Zero è un altro di quegli aerei che non potrebbe suscitare opinioni più contrastanti, ora ignorato, ora temuto, infine ridicolizzato, e poi ancora ripreso in considerazione, mitizzato, analizzato criticamente, sopravvalutato, sottovalutato, e così via senza soluzione di continuità.

Per cercare di capirne di più bisogna prendere in considerazione di che aereo si tratti. Anzitutto, l’esigenza per la quale nacque non fu la potenza o le prestazioni di spicco. Il vero problema era l’autonomia, soprattutto per scortare i bombardieri, i quali a loro volta per percorrere le distanze del Pacifico dovettero sacrificare la protezione per il carburante. Il Betty era in particolare un bombardiere molto valido, ma anche propenso a prendere fuoco con troppa facilità quando colpito, a causa del gran quantitativo di carburante disponibile, che d’altro canto, in un circolo vizioso, era possibile solo perché i serbatoi non erano protetti (il che significa sacrificare molto del loro volume). Lo Zero aveva problemi simili, ma anche qui non c’era scelta. Con motori da caccia dell’ordine dei 1.000 hp non c’era modo di fare di meglio: aerei molto leggeri con grandi quantità di carburante a bordo, per ottimizzare il carico utile. Lo Zero non era protetto inizialmente, e solo le ultime versioni ebbero un parabrezza corazzato e poi il sedile blindato. Ma nel 1940 i caccia con protezioni a bordo erano ben pochi: gli Spitfire e i Bf-109 inizialmente non ne avevano e li dovettero installare in corsa. L’Esercito giapponese, che non aveva i problemi della Marina in fatto di autonomia, era invece interessato e così già i Mitsubishi Ki-21, parenti stretti dei G4M della marina, ebbero spesse corazze protettive per pilota e mitragliere dorsale. Nonostante questo, e la notevole velocità, non erano prede difficili per i robusti e pericolosi P-40, specie quelli dell’AVG.

La situazione degli Zero variava molto a seconda dei nemici. Inizialmente vennero usati in Cina e lì dichiararono oltre 100 vittorie, con due soli esemplari persi a causa della contraerea. Un caccia da supremazia aerea, che spazzò via i Polikarpov dei Cinesi, molto prima e meglio di come avevano fatto fin’allora i Ki-27 e gli A5M, pur assai efficaci in combattimento aereo. Ma come si arrivò allo scontro con gli americani, le cose cambiarono. In un anno non c’erano stati abbattimenti per via della caccia e solo due per la contraerea, ma il 7 dicembre 1941 gli Zero subirono 9 perdite a P.Harbour e 7 sulle Filippine: 16 aerei distrutti in un giorno.

Contro i P-40 a difesa dell’Australia, gli A6M2 si batterono bene, ma con un rateo di vittorie non particolarmente favorevole. L’AVG, invece, nonostante i continui proclami di vittoria contro gli Zero, affrontò soprattutto i Ki-27, che pure erano dotati di carrello fisso e quindi facilmente riconoscibili; oppure i Ki-43, più veloci e temibili.

Gli Zero vennero falcidiati dal ’44 in poi, ma sbaglia chi pensa che questo si doveva alla loro totale superatezza tecnologica, o alla mediocrità del disegno base. E’ vero che si trattava di un aereo dalle capacità di crescita molto limitate, come del resto tanti altri caccia dell’epoca. Ma è anche vero che alla fine la differenza la faceva il pilota, e non necessariamente ai comandi di ogni Zero c’era un Saburo Sakai. Inizialmente i piloti giapponesi, così come i tedeschi e forse gli italiani, avevano il vantaggio di una maggiore esperienza operativa con i conflitti locali, che gli anglosassoni non avevano combattuto. Poi le cose cambiarono, i rimpiazzi non erano sufficienti a sostituire i piloti uccisi e l’addestramento dovette essere limitato al massimo. Per chi cadeva sul Pacifico la situazione era drammatica, in teoria le sue calde acque consentivano al naufrago di sopravvivere molto meglio che per esempio, sul Mare del Nord; in pratica c’era il concreto rischio degli squali e di sparire nelle enormità dell’estensione pacifica. Cadendo a terra, si poteva finire nella jungla e morire tra gli stenti o per un contatto con qualche tribù di tagliatori di teste del Borneo. Insomma, era una guerra spietata anche se combattuta in un ambiente apparentemente paradisiaco. Quindi i piloti giapponesi sapevano che in sostanza potevano ritornare a casa oppure morire, e molti nemmeno portavano il paracadute. Tutto questo aumentava le perdite, i rimpiazzi erano inesperti e incapaci di sfruttare al meglio i loro aerei; gli americani invece spesso sopravvivevano, spesso i loro aerei erano capaci di incassare duri colpi e di disimpegnarsi per la maggiore velocità. La volta successiva, il pilota americano non avrebbe fatto lo stesso errore che gli aveva fatto trovare in coda lo Zero; il giapponese abbattuto in fiamme con una scarica di M2 invece non avrebbe raccontato anessuno la sua avventura e non ne avrebbe fatto tesoro.

Tutto questo assottigliava l’esperienza media dei piloti di Zero, i loro aerei erano sempre più superati rispetto a quelli Alleati e alla fine i due effetti si combinavano con risultati micidiali.

Ma lo Zero, di per sé, non era affatto un aereo inefficace. Privo di vizi di volo, con un abitacolo grande e confortevole, che aveva nondimeno poco spazio per i piloti di gamba lunga (a questo proposito, i Britannici trovarono i P-40 come pensati per piloti con braccia più lunghe e gambe più corte di loro), un tettuccio con eccellente visibilità anche se troppo ricco di montanti (stranamente, i Nakajima avevano invece dei tettucci estremamente leggeri e semplici). L’armamento era analogo a quello dei Bf-109E, solo che le mitragliatrici erano meno veloci e con la metà dei colpi (500). I cannoni erano analoghi e come tali, con una granata potente ma con cadenza di tiro e soprattutto velocità iniziale limitata, nonché con 60 colpi l’uno.

Lo Zero era un archetipo della tecnica per realizzare un caccia efficace e privo di rischi tecnologici, a parte il ricorso esteso alle leghe leggere ad alta resistenza. Non era nemmeno un caccia poco robusto in termini di carichi strutturali, perché era leggero e resistente. La mancanza di protezione era un problema notevole, ma inizialmente non fece molta differenza. Anzi, fu proprio quando gli Zero cominciarono ad avere protezioni varie che le perdite aumentavano a livelli eccessivi. I problemi erano oramai contingenti e di fronte a caccia con motori da 2.000 hp come gli Hellcat e Corsair c’era poco da sperare.

Eppure lo Zero era un caccia molto efficace nel suo piccolo. Con un motore da circa 1.100 hp, l’A6M5 poteva volare fino a circa 560 kmh (nelle sottoversioni più leggere), come il Bf-109E, di cui aveva anche una potenza analoga e così l’armamento. Ma ottenere le stesse prestazioni con un motore stellare, di analoga potenza, era una cosa tutt’altro che scontata. Il Nakajima Ki-43-II aveva prestazioni a sua volta molto valide, ma pur essendo dotato dello stesso motore non superava i 530 kmh, era meno armato (2x12,7 mm), con minor autonomia, non era una macchina navalizzata né possedeva la stessa robustezza che permise a molti Zero di ritornare alla base anche pesantemente colpiti, come quello di Sakai quando venne ferito su Rabaul.

In termini di prestazioni, gli Zero non sembravano eccezionali, ma se si considera che riuscirono a ottenere una velocità paragonabile, nella versione irrobustita e potenziata A6M5, a quelle del Bf-109E senza pagare pegno con un motore troppo complicato e vulnerabile, la questione cambia. Il Bf-109 ebbe il tipo migliorato T per impiego da portaerei. Anche con un motore DB-601N da 1.200 hp non superava i 565 kmh, aveva lo stesso armamento e velocità dello Zero; ma lo Zero era dotato di una visuale per il pilota molto superiore, aveva circa due volte il raggio d’azione ed era molto più maneggevole del Bf-109, inoltre era standard anche la predisposizione per bombe.

In termini di prestazioni, gli A6M1 spazzarono via i Polikarpov sulla Cina, ma era solo l’inizio. Gli A6M2 fecero lo stesso con i caccia alleati fino all’Australia, ottenendo una sostanziale superiorità in risultati. Non era solo un fatto di rateo abbattimenti: perdite. Quando gli Zero attaccarono le Filippine scortando i G4M, essi ebbero cura di scortare i bombardieri contro i caccia nemici: 7 Zero vennero perduti, ma nessun bombardiere subì analoga sorte e le Filippine persero gran parte delle difese aeree, inclusi 14 dei 35 B-17 disponibili. Spesso, tra l’altro, i G4M dimostrarono anche quanto fossero efficaci come bombardieri strategici: le loro missioni erano non di rado volate da oltre 7.500 m di quota. Si pensi solo alla pratica impossibilità di superare i 5.000 con gli SM.84, quando i G4M appositamente preparati portavano le 2,2 t delle bombe Okha fino ad oltre 8 mila metri, una prestazione degna di una Fortezza volante. A tali alte quote i caccia P-39 e P-40, con i loro deboli motori non riuscivano a competere con gli Zero, apparentemente altrettanto deboli ma in realtà in grado di ‘danzare’ attorno ai loro avversari. Le alte quote avrebbero dovuto almeno rendere il puntamento meno preciso: ma i bombardieri giapponesi si dimostrarono ugualmente e frequentemente molto precisi nel colpire gli obiettivi, causando gravissimi danni.

Gli Zero normalmente consumavano circa 140-150 l all’ora, ma per le azioni sulle Filippine si riuscì a ridurre il consumo, volando a poco più di 200 kmh, fino a soli 60-70 litri: con un serbatoio ausiliario, gli Zero erano in grado, ottimizzando il regime di volo, di volare fino a 9-10 ore consecutive, potendo così raggiungere obiettivi distanti anche 1.000 km.

Certo che è difficile, comunque, capire perché il rifornimento in volo all’epoca non fosse contemplato per risolvere tali problemi, che tra l’altro significavano per i piloti uno stress terribile dato che dovevano restare ai comandi per tutto quel tempo senza nessun ausilio. Eppure il rifornimento in volo aveva già dimostrato di poter funzionare 20 anni prima, per esempio allorché dei DH.9 volarono anche per oltre 24 ore consecutive. Ma nella II GM nessuno sembrò ricordarsene.

Gli Zero erano riusciti a migliorare di qualcosa durante il tempo. L’A6M3 aveva un motore più potente e poteva fare oltre 540 kmh a 6.000 m. L’armamento originariamente era costituito da due mitragliatrici (le cui culatte sporgevano nel pannello strumenti, come nei caccia della I GM) e due cannoni, ma questi ultimi avevano solo 7 secondi di fuoco e venivano usati soltanto per le ‘grandi occasioni’, ovvero per dare il colpo di grazia ad un caccia già danneggiato o contro i bombardieri. Quindi in azione non erano poi così armati come gli aerei americani, come gli F4F (4-6 M2 da 12,7 mm). I Wildcat furono gli unici a poter duellare ad armi pari con gli Zero, ottenendo risultati dell’ordine dell’1:1. Ma soprattutto, aiutando a vincere a Midway, al di là degli scontri diretti.

Il Wildcat fu poi protagonista di una certa evoluzione e l’FM-2 finale era un formidabile avversario. Nonostante il miglioramento degli aerei giapponesi, ottenne un risultato di abbattimenti-perdite molto superiore ai primi F4F, eppure rispeto ad essi non era che marginalmente migliore. Forse il problema, anche qui, era la decadenza del livello medio dei piloti giapponesi.

Dato che i piloti alleati erano in genere ben addestrati, anche se non necessariamente esperti, i Giapponesi inizialmente ebbero molto vantaggio, e non c’era scampo per chi li affrontava in uno scontro manovrato (eccetto che per i piloti di Wildcats). Ma anche così, il livello di successi ottenuto contro i caccia inglesi non può non stupire.

La prima prova schiacciante fu nell’incursione dell’aprile 1942, compiuta dalla Marina giapponese nell’Oceano indiano. Un’iniziativa che ebbe molto successo, ma anche criticabile per avere distolto forze necessarie per sostenere la successiva battaglia del Mar dei Coralli. In ogni caso, consentì di cacciare via gli Inglesi dall’Oceano Indiano e gli inflisse gravissime perdite. Contro la sessantina di Hurricane Mk I e II di Colombo gli Zero fecero il tiro a segno. Nel primo scontro ne distrussero 21 (oltre a 4 di sei Fulmar), contro un’unica perdita e qualche bombardiere D3A, i bersagli principali dei caccia inglesi. Nella seconda battaglia andò un po’ meglio, 2 bombardieri e 3 Zero persi contro 8 Hurricane. Alla fine però gli Zero ebbero modo di abbattere 29 Hurricane e 4 Fulmar contro appena 4 perdite loro, e si badi bene che questi non sono risultati dichiarati ma perdite reali, pari a circa 8:1 (7:1 contro i soli Hurricane).

Gli Zero erano stati sconfitti dai P-40 nell’ultima battaglia a difesa dell’Australia, nel ’42. Nel ’43 ritornarono col solito compito di scortare i G4M, ma stavolta trovarono gli Spitfire Mk V. Il prestigioso caccia britannico era presente in almeno un centinaio di esemplari e c’erano anche cacciatori esperti e copertura radar. I Giapponesi si presentarono con gli A6M3, potenziati rispetto agli A6M2 anche se con minore autonomia, il che spesso si rivelava fatale nelle lunghe missioni sul mare. Ad ogni modo, il loro armamento era adesso potenziato: pur conservando l’alimentazione a tamburo, i cannoni Tipo 99 avevano ora 100 colpi l’uno ovvero circa 11 secondi, più che sufficienti per un impiego generoso dei cannoni in ogni fase del combattimento aereo. Quando i piloti degli Spit, spesso veterani in Europa dove erano abituati a vincere con rapide manovre ogni avversario, si trovarono ad affrontarli, pensarono di avere successi facili. Ma gli Zero, nonostante l’alta quota, erano perfettamente in grado di contrastarli e finì come con gli Hurricane l’anno prima: 21-26 Spit abbattuti contro appena 3-4 Zero, oltre a pochi bombardieri. Gli Spit le presero anche contro i Ki-43, che si permisero di abbatterne due contro un’unica perdita loro durante l’unica incursione dell’Esercito giapponese.


Questo per dire quanto gli Zero fossero pericolosi, specie con chi cercava di duellarci. Il cortocircuito logico è che in Europa gli Spit erano capaci di battersi contro i Bf-109 che facevano invece strage di P-40, mentre in Australia gli Spitfire persero malamente contro gli Zero e i P-40 pareggiarono. Detta così è un controsenso, ma come si è visto vi erano vari altri aspetti da valutare, tra cui il potenziamento degli Zero e l’esperienza dei suoi piloti del 202 Kokutai.

Lo Zero, quindi, se ben pilotato poteva reggere il confronto con avversari ben superiori sulla carta. Non c’era quindi una ragione tecnica precisa perché perdesse malamente contro gli Hellcat nel ’44, dato che questi ultimi in prestazioni (eccetto come autonomia) non erano superiori agli Spit Mk V in nessun aspetto, e forse non erano nemmeno più maneggevoli. Mentre lo Zero, nel ’44, era diventato l’A6M5, ancora migliore del tipo precedente. Aveva rivestimento alare irrobustito per sostenere meglio le picchiate più veloci, che ora potevano superare i 750 kmh, e i suoi cannoni erano adesso i Tipo 99-2, che offrivano una velocità iniziale molto maggiore. Non che fossero all’altezza degli Hispano-Suiza, ma con una v.iniziale di circa 750 m.sec, erano grossomodo al livello degli MG151 e con una portata utile di tiro passata da 200-300 a 400 e più metri, cosa importantissima nell’ingaggiare un avversario che si allontanava in velocità: si pensi che 180 kmh di differenza sono 50 m.sec, così facendo gli Zero potevano sparare per due secondi in più: iniziando diciamo da 200 m di distanza, significava 4 secondi di fuoco e non 2. In seguito gli Zero ebbero anche i cannoni con nastro da 125 colpi e forse anche i Tipo 99 migliorati, con cadenza di tiro portata da 500 a 700 c.min, il che riduceva l’autonomia di fuoco, ma permetteva una molto superiore efficacia contro bersagli elusivi come i veloci caccia americani, che oramai avevano imparato a combattere portandosi ad alta velocità. Lo Zero era superiore ad essi in manovra, ma sopra i 400-450 kmh i suoi comandi diventavano pesanti e così restava in svantaggio anche come maneggevolezza, perché era ottimizzato per duelli a velocità molto più basse. Tuttavia, resta il fatto che se lo Zero subì le perdite che subì la cosa non è direttamente accreditabile solo ad esso. Che l’A6M2 abbia potutto surclassare il pur buono Hurricane in maniera così netta è un fatto. Che l’A6M3 abbia battuto nella stessa misura lo Spitfire Mk V anche. L’A6M5 sarebbe stato un avversario anche più pericoloso per un eventuale nemico. In termini di salita, lo Zero era superato solo dallo Spit, mentre entro i 3.000 m conservava un vantaggio su Hellcat e Corsair. L’A6M5 era anche superiore in velocità, almeno a certe quote, anche contro il Seafire I (Mk V navalizzato), specie alle quote più elevate, una cosa piuttosto sorprendente, mentre in termini di autonomia e di agilità era molto superiore (ma qui non v’e nessuna sorpresa) così come in sicurezza all’appontaggio grazie alla bassa velocità e al largo carrello (lo Spit era invece del tutto inadatto e in tal senso rappresentò un peggioramento rispetto ai vecchi Sea Hurricane). In definitiva, lo Zero era un aereo temibile, che fino al tardo ’43, con piloti all’altezza, poteva tenere testa a Spitfire, Hurricane, e talvolta anche Corsair e P-38. Il rateo di successo dichiarato dagli americani, persino con il Corsair, non superava il 3:1, anches e con la loro velocità potevano sempre scappare o inseguire l’avversario, a seconda di come gli facesse comodo. Il punteggio finale del Corsair è di circa 11:1 in termini di abbattimenti-perdite, ma comprende anche un gran numero di aerei kamikaze e in generale volati da piloti oramai non più all’altezza della situazione, più i bombardieri e ricognitori veri e propri. Ma nel ’43 gli F4U, certo i più temibili caccia americani assieme ai P-38, non ottennero molto e gli Zero se la cavarono con un dignitoso risultato anche contro di essi, sia pure perdendo la maggior parte degli incontri. Finché ebbe piloti all’altezza, lo Zero rimase un avversario temibile per chiunque, e se questo era vero per l’A6M3, a maggior ragione lo sarebbe stato per l’A6M5 (specie per il potente armamento, visto che le 7,7 mm erano pressoché inefficaci contro i caccia moderni), posto che avesse piloti all’altezza. Ma come dimostrò la battaglia delle Marianne, questo nel ’44 non era più possibile. I pochi piloti esperti, come Sakai (ritornato in azione nonostante avesse perso un occhio) combatterono fino alla fine. Ancora nel luglio del ’45, gli scontri aerei potevano essere pericolosi per gli Americani e potevano anche contare sull’avvento delle mitragliatrici da 13 mm, prima una sola al posto di una delle 7,7 ma già utili, per esempio per la loro capacità di perforare strutture robuste e blindature. Durante il tentativo di salvare Ed Mikes, un pilota caduto in mare, una pattuglia di Zero irruppe contro una formazione di P-51D. Il capo formazione, un veterano che usava un uncino al posto di una mano, persa per via di una ferita di guerra, si avvicinò a tutto gas ad un P-51: da 500 m iniziò a sparare con le 3 mitragliatrici (ora erano tutte da 13,2 mm) e da 100 m anche con i due cannoni da 20 mm. Il Mustang perse il controllo e si schiantò in mare. Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra. Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio.

Bibliografia