Caccia tattici in azione/Lo Zero: differenze tra le versioni

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{{Caccia tattici in azione}}
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==Lo Zero==
Il Mitsubishi Zero è un altro di quegli aerei che non potrebbe suscitare opinioni più contrastanti, ora ignorato, ora temuto, infine ridicolizzato, e poi ancora ripreso in considerazione, mitizzato, analizzato criticamente, sopravvalutato, sottovalutato, e così via senza soluzione di continuità.
Il Mitsubishi Zero è un altro di quegli aerei che non potrebbe suscitare opinioni più contrastanti, ora ignorato, ora temuto, infine ridicolizzato, e poi ancora ripreso in considerazione, mitizzato, analizzato criticamente, sopravvalutato, sottovalutato, e così via senza soluzione di continuità.


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Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra.
Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra.
Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio e come disse Sakai ''Come per volere dello stesso Diavolo, il nostro Paese venne trascinato nella disgrazia''<ref>Enciclopedia Take Off: 'Zero: il Samurai Superiore'</ref>
Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio e come disse Sakai ''Come per volere dello stesso Diavolo, il nostro Paese venne trascinato nella disgrazia''<ref>Enciclopedia Take Off: 'Zero: il Samurai Superiore'</ref>


==Il Kawasaki Hien e altri Giapponesi==
Hien significa 'Rondine' e ben si addice alla sagoma slanciata e all'ala di grande allungamento (7,2:1) di questo caccia dell'Esercito, potente ma non molto fortunato.

Il Ki-61 era un contraltare ben diverso dallo Zero e dal più diretto equivalente dell'Esercito, ovvero il Ki-43. La scelta di usare un motore raffreddato a liquido per ridurre la resistenza aerodinamica era una tendenza ben precisa nei tardi anni '30 e molte ditte e forze aeree volevano tali motori sui loro caccia; non nel caso dei bombardieri, dato che la velocità di questi ultimi è sempre stata inferiore e poco influenzabile dai motori in linea, sebbene poi vari tipi (Lancaster, Pe-2, Mosquito) li hanno ricevuti. Il Ki-61, senz'altro il più occidentale dei caccia giapponesi, era erede di una tradizione poco nota ma precedente e di un certo livello, per esempio con la costruzione dei caccia (anch’essi con motore in linea) del tipo Ki-10. Esso nacque dagli sforzi del capoprogettista Takeo Doi della Kawasaki, sulla base di un nuovo motore, che era il DB-601 prodotto su licenza. Purtroppo per i Giapponesi, questa non sarà una scelta felice. Infatti i progettisti giapponesi si produssero in uno sforzo di bravura nell'alleggerire i 670 kg originari, ottenendo un risparmio di circa 40 kg pur se con una potenza di 1.100 hp. Laddove gli stessi produttori italiani ebbero molte difficoltà con i DB, cosicché i motori dell'Alfa Romeo, nonostante l'esperienza, avevano qualche decina di hp in meno e circa 30-40 kg di peso in più per garantire la necessaria affidabilità, i motori giapponesi tirarono troppo la corda di un progetto già di per sé critico. Il risultato fu una serie di problemi che divennero poi apocalittici nel caso del motore per il Ki-61-II, l'equivalente del DB-605, ma totalmente inaffidabile e per giunta sfortunato: a dimostrazione che i B-29 non produssero solo distruzioni di poco conto, in una delle loro incursioni annientarono la fabbrica dove questi motori erano prodotti. Già ne erano stati realizzati solo un centinaio, e la metà presentò dei problemi tali da essere rimandata in ditta per essere rilavorati, e lì vennero sorpresi dalle bombe americane.

Il Ki-61 venne progettato con una notevole somiglianza ai caccia europei dotati di DB-601, ma più che al Macchi 202, che seguiva di circa un anno, era affine con il Bf-109, come si vede dalla sezione posteriore della fusoliera, assai lunga rispetto al muso (esattamente al contrario del Macchi). Al contrario, il muso era affilato e basso, ma non in maniera direttamente confrontabile con i tipi europei, perché esso era molto liscio, differentemente dal Bf-109E (ma similmente all'F), mentre l'abitacolo era piuttosto basso sopra di esso, a differenza del Macchi. L'ala, invece, non aveva equivalenti essendo di ben 12 m di apertura e 20 m2 di superficie. L'unico tipo che si avvicinava a questi valori era il Bf-109T, e poi il Bf-109H. Ma nella produzione di grande serie il Ki-61 rimase senz'altro un aereo dall'ala ad alto allungamento, più dei tipi europei equivalenti (i Bf-109T e H vennero prodotti in pochissimi esemplari). La macchina era dotata di un largo carrello piuttosto confortevole, anche se i freni erano piuttosto deboli. La sensazione dei collaudatori americani che testarono i l velivolo fu di un mezzo piuttosto angusto, forse anche più del Bf-109 (senz'altro era così per gli americani, di statura e taglia ben più robusta della media giapponese); la visuale era scarsa, a sua volta, più che altro nel settore anteriore (forse anche qui il Bf-109 era meglio, ma se sì non di molto); sui lati era accettabile, mentre non c'era uno specchio retrovisore, che data la natura incassata dell'abitacolo, sarebbe stato senz'altro preferibile. Se le dimensioni dell'abitacolo e la visibilità erano poco attraenti, così non era per il pannello strumenti, completo e disposto razionalmente per il loro impiego; non che i caccia dell'epoca fossero particolarmente pieni di orologi e indicatori, ma era senz'altro utile la loro disposizione razionale.

Il Ki-61 aveva vari punti di forza: spesso, forse non sempre, di parabrezza blindato; più interessante ancora, le due piastre protettive per la testa e il corpo del pilota, spesse entrambe 12,7 mm e pertanto a prova dei proiettili di piccolo calibro, ma almeno oltre una certa distanza, anche di grosso -grazie anche alla protezione extra della fusoliera posteriore. Ma c'era di più: l'aereo aveva serbatoi protetti, altro punto avanzato del nuovo progetto. La loro capacità totale era ben 550 litri, laddove il Bf-109 arrivava a 400 e il MC.202 a 430. Oltre ad essere autostagnanti, erano anche dotati di un sistema di pressurizzazione con gas inerte tratto dai tubi di scarico, per ridurre il rischio di esplosione o incendio dei serbatoi. Questi erano uno da 46 galloni dietro il pilota e due da ben 50 galloni nell'ala. La presenza di questo sistema di pressurizzazione più i serbatoi autostagnanti aiuta a capire come il Ki-61 non avesse nessuna particolare inclinazione a prendere fuoco quando colpito, anche mortalmente, e questo pur avendo appena meno carburante dei 630 l di uno Zero. La corazzatura protettiva e una struttura ragionevolmente robusta consentivano al pilota di non perdere la speranza laddove fosse stato centrato dalle 12,7 mm americane. I caccia italiani, per esempio, avevano piastre da 11 mm che proteggevano dai colpi da 12,7 mm (non è però chiaro se italiani o dei tipi americani o russi, ben più potenti). In ogni caso, per esempio, il FW-190 e il Bf-109 avevano in genere corazze da appena 8 mm con poggiatesta da 12 mm, quindi -a parte la qualità delle corazze usate- non c'era ragione di lamentarsi. Non è chiaro quanto le piastre fossero estese, ma rispetto al nulla dei primi Ki-43 e al poco dei successivi, come anche dei Ki-44, il Ki-61 era un aereo ben protetto.

La sua analisi ci è pervenuta da poche fonti. Anzitutto parliamo del suo comportamento in volo delle origini: l'aereo venne testato contro il Ki-43, il Ki-44, un P-40E catturato e un LaGG-3 volato da un disertore (un vulnus senz'altro grave, dato che era un aereo nuovissimo; la cosa si sarebbe ripetuta nel 1975 con il famoso caso del MiG-25 Foxbat), che forse ispirò anche la soluzione -tipicamente sovietica- dei serbatoi riempiti con gas inerte (che peraltro, nel caso sovietico deterioravano la gommatura della protezione, tanto che si trovò il modo di far convivere entrambe le soluzioni limitando l'azionamento del sistema a gas solo durante le missioni di combattimento). Nonostante la presenza di tanti e tali caccia avanzati (almeno per il 1941), il prototipo del Ki-61 batté tutti gli avversari in ogni aspetto, eccetto nella capacità di manovrare stretto, dove il Ki-43 si dimostrò superiore. Quest'ultimo era davvero un caccia eccezionalmente agile, fattore molto importante per i Giapponesi, dato che il prototipo del Ki-61 era pesante appena 2.260 kg a pieno carico (con i soli pesi interni alla struttura), mentre il motore era lo stesso dei tipi successivi. Questo sarà poi un problema: gli ultimi Ki-61 pesavano fino a 3.400 kg a pieno carico. Il Ki-61 ovviamente peggiorò le proprie doti di volo, inclusa la velocità massima, scesa dai 592 kmh del prototipo a 590 del Ki-Ia e ai 580 kmh del Ki-61-Ib armato di cannoni. Nel frattempo, la non entusiasmante velocità di salita, 6 minuti per 5 km, venne aumentata per la stessa quota di un minuto. La tangenza pratica era di circa 10 mila metri.

Il Ki-61 si era quindi dimostrato veloce e manovriero, surclassando il Bf-109E che aveva praticamente lo stesso motore. Si fosse accettato di installare un motore più pesante ma più affidabile, molte cose sarebbero state senz'altro migliori, anche perché il caccia comunque aumentò di peso. L'affidabilità nei reparti di prima linea, specie quelli lontani dalla patria, con carburanti, lubrificanti e manutenzione sub-standard, fu molto labile e al contrario, in teatri come la Nuova Guinea il Ki-61 si dimostrò di fatto meno efficace di un Ki-43-II, che però in aria era surclassato dai caccia Alleati.

Questi ebbero finalmente modo di incontrare l'avversario, che spesso aveva dato loro molto filo da torcere. Gli americani sopratutto avevano la tendenza ad evitare saggiamente il combattimento manovrato per disimpegnarsi ad alta velocità: funzionava con il Ki-43, che invece era pressoché imbattibile in manovrabilità e accelerazione tra i 250 e i 400 kmh: nemmeno lo Zero poteva superarlo in manovrabilità, e dire che il Ki-43 inizialmente era stato male accolto dai piloti, che lamentavano la ridotta agilità rispetto al Ki-27! In effetti, nonostante un motore da 950 hp e il carrello retrattile, il Ki-43 era solo 25 kmh più rapido del Ki-27, di cui condivideva l'armamento, pressoché inefficace contro aerei corazzati. Il Ki-61 invece fu prescelto tra vari progetti della Kawasaki relativi a caccia con motore in linea, alcuni anche molto avanzati, per esempio il Ki-64 con due motori, uno posteriore e uno anteriore all'abitacolo. In effetti, le prestazioni dei caccia giapponesi, nonostante la loro leggerezza, non furono particolarmente elevate, anche ricorrendo a motori alquanto potenti. Il primo tipo che doveva essere prodotto era l'intercettore Ki-60, con ala ridotta e specificatamente pensato per arrivare a 600 kmh. Solo che di fatto, nonostante gli sforzi fatti, era capace di circa 550 kmh, troppo poco. Dall'altro canto il piccolo aereo aveva caratteristiche di volo mediocri, alta velocità di stallo, lunga corsa di decollo, e in manovra, i collaudatori avevano affermato di avere pilotato bombardieri più agili. Così, senza sorprese, andò avanti solo il Ki-61, che era quasi altrettanto veloce di quanto previsto per il Ki-60, ma nonostante questo, come si è detto, aveva una grande ala dalla superficie e apertura paragonabile a quella degli Zero, ma più sottile e con maggiore corda. Esso si dimostrò superiore in tutto e per tutto ai suoi oppositori, e passò agevolmente in produzione.

A parte questo il Ki-61, battezzato Hien (rondine), era un bell'aereo, dalla sagoma proporzionata e ben avviata. Il motore era solidale con la fusoliera, un pò tipo l'He-100V, con i pannelli d'ispezione solo superiori e inferiori, ma non laterali. Questo per rendere più piccola e leggera la struttura del muso, anche se a scapito della manutenibilità. Anche la Nakajima (l'altra fornitrice di caccia dell'Esercito, mentre la Mitsubishi aveva il monopolio di quelli della Marina) aveva proceduto in una strada di questo tipo: il Ki-43 era il tipo 'leggero', il Ki-44 quello pesante, o meglio, l'intercettore perché di pesante c'era davvero poco in quest'aereo, una sorta di racer con una fusoliera e ali minuscole rispetto al motore. Questo doveva dargli velocità di salita e massima entro la specifica, che però non fu attesta, semplicemente non c'era abbastanza potenza per tale compito e nemmeno gli affinamenti successivi ebbero successo. Tuttavia, si decise che il Ki-44 bastava anche così com'era e, dopo avere fatto tutto il possibile, ci si ritrovò con un caccia che sfruttava bene i 1.200 hp del motore radiale, con velocità massima, di salita e di picchiata notevoli, e un buon armamento. Se i Giapponesi fossero stati maggiormente convinti delle tattiche di combattimento moderne, quest'aereo, poco maneggevole e con una visuale piuttosto limitata per l'abitacolo angusto -ma pur sempre con un tettuccio integrale- sarebbe stato ben più apprezzato. L'ultima versione, con un motore da 1.500 hp era capace di 604 kmh e di salire a 5.000 m in poco oltre 4 minuti, ovvero forse la migliore prestazione di salita dei caccia giapponesi. Solo la Marina aveva un qualcosa di simile, un altro 'racer' con l'aspetto più affusolato per il motore disposto in maniera diversa: era il J2M, il fratello 'veloce' dello Zero, dotato di un abitacolo senza tettuccio a bolla e con una visuale decisamente limitata. Venne relegato -causa la velocità d'atterraggio elevata- ai soli servizi a terra e siccome ne vennero prodotti solo 576 non stupisce che esso è rimasto poco noto se paragonato allo Zero (oltre 10 mila). Il Ki-44 era in realtà una risposta vincente e bene o male ne erano in servizio alcuni già quasi in contemporanea dei Ki-43. Questi ultimi erano non solo inferiori nell'insieme agli Zero (in particolare, più lenti, meno autonomia, meno robustezza e niente cannoni), ma erano anche disponibili in meno esemplari -appena 40 all'inizio delle ostilità contro 330. I Ki-44 Shoki (demonio) ebbero una produzione di 1.225 esemplari complessivi, e i prototipi senza armamento passavano i 620 kmh (ma scendevano sotto la specifica quando armati, circa 580 kmh), pochi ma non pochissimi se comparati ai 5.443 Ki-43. Sarebbero tornati utili contro i B-29, essendo forse i migliori caccia intercettori giapponesi, con prestazioni in quota eccellenti, e maggiore affidabilità rispetto ai J2M. Inoltre, degli ultimi caccia giapponesi, né il Ki-100 né lo Shiden ebbero potenze sufficienti per le alte quote, mentre il Ki-84 era buono, ma non eccezionale e solo di poco più veloce del Ki-44. Il Ki-84 era molto prone a problemi meccanici che di fatto ridussero notevolmente l'apporto dato da questo eccellente caccia, entrato in servizio negli ultimi 18 mesi di guerra e prodotto in oltre 3.000 esemplari, ma con materiali sempre più scadenti. Differentemente dal Ki-44, esso era molto più agile con ali più grandi, maggiore autonomia e armamento, ma era anche più pesante, sopratutto i sistemi idraulici e meccanici lasciavano a desiderare in affidabilità.

La produzione dei caccia della Marina ebbe un cambiamento netto con la Kawanishi, che dagli idrovolanti passò ai caccia tramite l'N1, poi diventato N1K: un caccia idrovolante, poi trasformato in caccia terrestre. Il progetto era nato per rimpiazzare il Rufe, la versione idro dello Zero, ma capace solo di 440 kmh. La Kawanishi, autrice di eccellenti idrovolanti a lungo raggio, si cimentò con il N1K Kyofu, da 489 kmh e molto più potente. Ne vennero prodotti relativamente pochi, poi si passò al tipo terrestre con carrello retrattile, ma che conservava il difetto originale dell'ala in posizione media, dovuta alla presenza di galleggianti. La cosa era indirettamente problematica perché il carrello diventava insolitamente lungo e complesso, con problemi ed incidenti. Ma l'aereo era ben armato, veloce e corazzato, con 4 cannoni da 20 mm Tipo 99 e due armi da 7,7 nel muso (originariamente c'erano solo due cannoni e due mtg). Anche il motore Homare era inaffidabile, ma in aria l'aereo era capace, seppur meno veloce, di affrontare l'Hellcat e anche il Corsair. La situazione, dopo oltre un migliaio di aerei prodotti, venne migliorata con l'N1K2 che era una riprogettazione integrale: il motore restava sempre quello, ma l'ala era bassa e il carrello semplificato, e nell'insieme era possibile ridurre il peso a vuoto di 250 preziosi kg, alleggerendo un aereo piuttosto pesante di suo. Il risultato fu una macchina più affidabile e veloce sia in aria che a terra, il cui unico limite era la scarsa potenza in quota, che gli impediva di intercettare facilmente i B-29, ma che in combattimento, specie a media quota, era capace di affrontare i caccia USA ad armi pari. L'episodio più famoso è forse quello di un pilota giapponese, tale Kensuke Muto, che venne attaccato da 12 Hellcat e riuscì ad abbatterne 4 costringendo al ritiro gli altri. La cosa fa il paio con un altro caso, i caccia Ki-100 che, affrontati gli Hellcat, ne abbatterono 14. O almeno, questo è quello che si disse all'epoca. Invece le cose, come al solito in queste battaglie tra caccia, stavano in maniera diversa. Da quello che ha ricostruito lo storico Joe Brennan, nel primo caso K.Muto partecipò ad un combattimento in cui vennero abbattuti 4 Hellcat, ma non era solo e non si sa quanti aerei americani, se ve ne furono, vennero distrutti dal sui N1K-2. Nel secondo caso i Giapponesi comunicarono inizialmente che avevano abbattuto 12 aerei con due loro perdite, ma pare che la notizia sia stata fusa e tutti gli aerei abbattuti divennero americani, portando così il risultato a 14. In realtà gli USA persero solo 2 Hellcat, il che al di là delle cattive ricostruzioni del momento, dà comunque un dignitoso risultato di parità, piuttosto raro all'epoca. Così avvenne, ma con numeri ben maggiori, con il 343 stormo della Marina, armato di N1K-1 e -2, sopratutto questi ultimi. Nella primavera del '43 ebbe il giorno da Leoni contro i caccia dell'USN, allorché dichiarò una cinquantina di caccia abbattuti. In realtà le perdite americane furono di circa 15 aerei, più o meno quelli persi dai Giapponesi. La cosa più curiosa, è che i Corsair emularono le presunte gesta del cap. Muto, allorché due di essi vennero a trovarsi inseguiti dagli Shiden, ma coprendosi a vicenda, abbatterono ben 4 caccia e poi tornarono alla portaerei salvi. Ma la giornata dimostrò che i piloti giapponesi avevano ancora stoffa, e che gli Hellcat erano abbastanza alla portata degli Shiden, specialmente l'ultimo tipo (Shiden-KAI). I Corsair erano più difficili da abbattere, ma in ogni caso riportarono a loro volta perdite non indifferenti. Data la sproporzione numerica, con 12.000 Corsair in produzione rispetto a circa 500 Shiden-KAI, l'esito era comunque scontato sul lungo termine. Sakai non volò spesso con lo Shiden, nonostante tutto, a quanto pare non gli garbava il carrello, sicuramente riferendosi al primo modello. Lo Shiden doveva molta della sua capacità combattiva alla presenza di ipersostentatori di combattimento, che consentivano di stringere molto le virate nonostante il peso non indifferente. In tal senso, se gli Hellcat e i Corsair finivano a duellare a breve distanza erano in grave pericolo. Entrambi i contendenti avevano un armamento più che sufficiente per abbattersi a vicenda, ma questo non impedirà quel giorno delle battaglie semplicemente furibonde, in cui i caccia duellarono anche per mezz'ora consecutiva, senza tutto sommato subire molte perdite.

Quanto ai Ki-61, nel loro piccolo, essi erano diventati piuttosto superati nel 1944. Quest'aereo era apparso circa un anno dopo il Macchi 202 e circa 2 anni dopo il Me-109E, così la sua validità era marginalizzata. Nel '42 ne vennero prodotti poche decine, pertanto si può considerare coevo dell'Hellcat e anche del Corsair; nel 1943 ne vennero prodotti oltre 700, ma oramai il disegno base cominciava ad essere superato anche in Estremo Oriente, così come del resto in Europa (dove i caccia, essendo macchine terrestri, erano in genere di prestazioni migliori) non erano più competiviti all'epoca i vari Bf-109E, F e MC.202. In tutto vennero prodotti oltre 3.000 aerei. Ben presto vennero equipaggiati di cannoni: oltre 700 MG151/20 giunsero dalla Germania con un grosso sottomarino, poi divennero finalmente disponibili i locali Ho-3, derivazione della mitragliatrice pesante Ho-103. Da notare che quest'ultima era praticamente una Browning adattata al meno potente munizionamento da 12,7x81 mm Vickers. Anche le Breda erano abbastanza simili in tal riguardo, anche se maggiormenet originali rispetto alle M2. Ma non riuscivano a ridurre in maniera apprezzabile i pesi e per giunta, erano dimensionalmente ancora più grosse. La cadenza di tiro delle armi italiane era piuttosto bassa: circa 700 c.min, 750 max, ma con la sincronizzazione calava del 25% in media. Questo era necessario per garantire un'elevata affidabilità. I Giapponesi invece, riuscirono ad ottenere delle armi affidabili pur se pesanti solo 25 kg anziché 29-30, e con una cadenza di tiro di circa 900 c.min. I problemi di meccanica incontrati dalle industrie italiane, al riguardo, si esemplificano bene con le rivali delle Breda, le Scotti, che erano più leggere e di qualcosa più rapide in termini di cadenza di tiro: sulla carta, un equivalente delle Ho-103, in pratica dei sistemi inaffidabili con troppe parti meccaniche in movimento e una gittata pratica insufficiente: sebbene spesso usate come armi difensive dei bombardieri, non ebbero mai impiego per i caccia, essendo il muso e le ali irraggiungibili dal pilota per riparare le armi inceppate o danneggiate. Questo fu un peccato per gli Italiani, i cui caccia, fino alla Serie 5, erano in genere limitati a due sole 12,7 mm, troppo poco specie contro i bombardieri. Avessero avuto le Ho-103, forse i progettisti avrebbero tentato anche l'impiego di altre due armi nelle ali. Sta di fatto che con 3.600 c.min di cadenza di tiro teorica, vs 1.400, il Ki-61 era nettamente più potente dei Macchi e anche dei Bf-109E, la cui leggera superiorità di fuoco si esauriva dopo i primi 7 secondi di tiro, quelli necessari per svuotare i caricatori da 60 colpi degli MG FF. Dopo di ché restavano con due sole MG 17.

In ogni caso anche i Ki-61 ebbero bisogno di miglioramenti nell'armamento di base: se il prototipo era armato come i Macchi 202 ultime serie (2 x 12,7 e 2,x77), e se le prime serie in produzione avevano sia questo che l'armamento di 4x12,7 mm, l'esigenza di cannoni da 20 mm si palesava tutta, e così vennero sia comprati gli MG151, che poi dato il via ai locali Ho-3. Se la Mitsubishi e la Marina non ebbero così alcune cose della Nakajima e dell'Esercito, come le corazzature e i tettucci semplificati, con poche montature, i caccia dell'Esercito stranamente non adottarono subito i superati ma leggeri Tipo 99 (Oerlikon) degli Zero. La crescita delle Ho-103 come armi da 20 risultò molto positiva, si trattava di cannoni da 800 c.min e gittata utile da 900 m circa; tant'é che -sempre con il meccanismo base delle M2, si arriverà addirittura a costruire un certo numero di cannoni da 30 mm, gli Ho-5.

I Ki-61 erano dei validi aerei, ma perseguitati da problemi di motore e di affidabilità meccanica in generale, tranne in teatri come la Cina e il Giappone, dove la manutenzione era adeguata e carbulubrificanti disponibili nelle qualità previste, e non roba di scarso livello che causava problemi meccanici notevoli. La difesa del Giappone vide spesso i Ki-61 in azione contro i B-29 ad alta quota, un compito non facile date le prestazioni dei nuovi aerei americani. Alle votle vennero anche usati per azioni semi-suicide, con collisioni in volo dirette. Non erano ufficialmente missioni kamikaze, ma comunque era pericoloso: nel migliore dei casi ci si doveva lanciare, magari da un aereo in avvitamento dopo che aveva perso un'ala nell'impatto. Ma vi furono persino dei piloti che riuscirono a ritornare alla base con gli aerei che portavano i segni dell'incontro con il B-29, magari con quest'ultimo abbattuto nell'azione diretta. Era senz'altro un merito per un aereo rientrare così gravemente danneggiato, anche se spesso si fracassavano all'atterraggio. I piloti, per quanto in grave pericolo, a loro volta non erano condannati senza appello come i kamikaze. Da notare che l'Esercito giapponese, a differenza della Marina, non era tanto disperato nemmeno nel 1944, da concepire le missioni suicide su vasta scala, per cui fu molto difficile convincere i piloti a sacrificarsi. Parte del merito era nel fatto che fin'allora i giapponesi non avevano incontrato nemici tali da esserne totalmente travolti, sul continente asiatico dove per lo più operava l'Esercito. Uno dei meriti era senz'altro la presenza dei Ki-61, che fecero sentire più volte i reparti su P-40 surclassati, e diedero filo da torcere anche ai P-38.





==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 12:29, 15 lug 2009

Indice del libro

Lo Zero

Il Mitsubishi Zero è un altro di quegli aerei che non potrebbe suscitare opinioni più contrastanti, ora ignorato, ora temuto, infine ridicolizzato, e poi ancora ripreso in considerazione, mitizzato, analizzato criticamente, sopravvalutato, sottovalutato, e così via senza soluzione di continuità.

Per cercare di capirne di più bisogna prendere in considerazione di che aereo si tratti. Anzitutto, l’esigenza per la quale nacque non fu la potenza o le prestazioni di spicco. Il vero problema era l’autonomia, soprattutto per scortare i bombardieri, i quali a loro volta per percorrere le distanze del Pacifico dovettero sacrificare la protezione per il carburante. Il Betty era in particolare un bombardiere molto valido, ma anche propenso a prendere fuoco con troppa facilità quando colpito, a causa del gran quantitativo di carburante disponibile, che d’altro canto, in un circolo vizioso, era possibile solo perché i serbatoi non erano protetti (il che significa sacrificare molto del loro volume). Lo Zero aveva problemi simili, ma anche qui non c’era scelta. Con motori da caccia dell’ordine dei 1.000 hp non c’era modo di fare di meglio: aerei molto leggeri con grandi quantità di carburante a bordo, per ottimizzare il carico utile. Lo Zero non era protetto inizialmente, e solo le ultime versioni ebbero un parabrezza corazzato e poi il sedile blindato. Ma nel 1940 i caccia con protezioni a bordo erano ben pochi: gli Spitfire e i Bf-109 inizialmente non ne avevano e li dovettero installare in corsa. L’Esercito giapponese, che non aveva i problemi della Marina in fatto di autonomia, era invece interessato e così già i Mitsubishi Ki-21, parenti stretti dei G4M della marina, ebbero spesse corazze protettive per pilota e mitragliere dorsale. Nonostante questo, e la notevole velocità, non erano prede difficili per i robusti e pericolosi P-40, specie quelli dell’AVG.

La situazione degli Zero variava molto a seconda dei nemici. Inizialmente vennero usati in Cina e lì dichiararono oltre 100 vittorie, con due soli esemplari persi a causa della contraerea. Un caccia da supremazia aerea, che spazzò via i Polikarpov dei Cinesi, molto prima e meglio di come avevano fatto fin’allora i Ki-27 e gli A5M, pur assai efficaci in combattimento aereo. Ma come si arrivò allo scontro con gli americani, le cose cambiarono. In un anno non c’erano stati abbattimenti per via della caccia e solo due per la contraerea, ma il 7 dicembre 1941 gli Zero subirono 9 perdite a P.Harbour e 7 sulle Filippine: 16 aerei distrutti in un giorno.

Contro i P-40 a difesa dell’Australia, gli A6M2 si batterono bene, ma con un rateo di vittorie non particolarmente favorevole[1]. L’AVG, invece, nonostante i continui proclami di vittoria contro gli Zero, affrontò soprattutto i Ki-27, che pure erano dotati di carrello fisso e quindi facilmente riconoscibili; oppure i Ki-43, più veloci e temibili. Gli Zero avevano altro da fare che esser abbattuti in massa dagli Americani, tanto che non pare che questi si ritrovarono mai a che fare con le Tigri Volanti: il loro avversario era l'aviazione dell'Esercito.

Gli Zero vennero falcidiati dal ’44 in poi, ma sbaglia chi pensa che questo si dovesse alla loro totale superatezza tecnologica, o alla mediocrità del disegno base. E’ vero che si trattava di un aereo dalle capacità di crescita molto limitate, come del resto tanti altri caccia dell’epoca. Ma è anche vero che alla fine la differenza la faceva il pilota, e non necessariamente ai comandi di ogni Zero c’era un Saburo Sakai. Inizialmente i piloti giapponesi, così come i tedeschi e forse gli italiani, avevano il vantaggio di una maggiore esperienza operativa con i conflitti locali, che gli anglosassoni non avevano combattuto. Poi le cose cambiarono, i rimpiazzi non erano sufficienti a sostituire i piloti uccisi e l’addestramento dovette essere limitato al massimo. Per chi cadeva sul Pacifico la situazione era drammatica, in teoria le sue calde acque consentivano al naufrago di sopravvivere molto meglio che per esempio, sul Mare del Nord; in pratica c’era il concreto rischio degli squali e di sparire nelle enormità dell’estensione pacifica. Cadendo a terra, si poteva finire nella jungla e morire tra gli stenti o per un contatto con qualche tribù di tagliatori di teste del Borneo. Insomma, era una guerra spietata anche se combattuta in un ambiente apparentemente paradisiaco. Quindi i piloti giapponesi sapevano che in sostanza potevano ritornare a casa oppure morire, e molti nemmeno portavano il paracadute. Tutto questo aumentava le perdite, i rimpiazzi erano inesperti e incapaci di sfruttare al meglio i loro aerei; gli americani invece spesso sopravvivevano, spesso i loro aerei erano capaci di incassare duri colpi e di disimpegnarsi per la maggiore velocità. La volta successiva, il pilota americano non avrebbe fatto lo stesso errore che gli aveva fatto trovare in coda lo Zero; il giapponese abbattuto in fiamme con una scarica di M2 invece non avrebbe raccontato anessuno la sua avventura e non ne avrebbe fatto tesoro.

Tutto questo assottigliava l’esperienza media dei piloti di Zero, i loro aerei erano sempre più superati rispetto a quelli Alleati e alla fine i due effetti si combinavano con risultati micidiali.

Ma lo Zero, di per sé, non era affatto un aereo inefficace. Privo di vizi di volo, con un abitacolo grande e confortevole, che aveva nondimeno poco spazio per i piloti di gamba lunga (a questo proposito, è interessante ricordare che i Britannici trovarono i P-40 come pensati per piloti con braccia più lunghe e gambe più corte di loro[2]), un tettuccio con eccellente visibilità anche se troppo ricco di montanti (stranamente, i Nakajima avevano invece dei tettucci estremamente leggeri e semplici). L’armamento era analogo a quello dei Bf-109E, solo che le mitragliatrici erano meno veloci e con la metà dei colpi (500). I cannoni erano analoghi e come tali, con una granata potente ma con cadenza di tiro e soprattutto velocità iniziale limitata, nonché con 60 colpi l’uno.

Lo Zero era un archetipo della tecnica per realizzare un caccia efficace e privo di rischi tecnologici, a parte il ricorso esteso alle leghe leggere ad alta resistenza. Non era nemmeno un caccia poco robusto in termini di carichi strutturali, perché era leggero e resistente. La mancanza di protezione era un problema notevole, ma inizialmente non fece molta differenza. Anzi, fu proprio quando gli Zero cominciarono ad avere protezioni varie che le perdite aumentavano a livelli eccessivi. I problemi erano oramai contingenti e di fronte a caccia con motori da 2.000 hp come gli Hellcat e Corsair c’era poco da sperare.

Nonostante un motore da circa 1.100 hp, l’A6M5 poteva volare fino a 560+ kmh (nelle sottoversioni più leggere), come il Bf-109E: rispetto ad esso aveva anche una potenza analoga e così per l’armamento. Ma otteneva le stesse prestazioni con un rustico e semplice motore stellare, di analoga potenza, una cosa tutt’altro che scontata. Il Nakajima Ki-43-II, pur essendo dotato dello stesso motore, non superava i 530 kmh, era meno armato (2x12,7 mm), con minor autonomia, non era una navalizzato né possedeva la stessa robustezza che permise a molti Zero di ritornare alla base anche pesantemente colpiti, come quello di Sakai quando venne ferito su Rabaul, ritornando alla base quasi cieco e con l'aereo crivellato di colpi, ma ancora perfettamente stabile[3]. Questo è forse il fatto più impressionante: sebbene i Ki-43 non fossero chiamati ad operare su tali distanze, eccetto che in agilità a bassa velocità erano inferiori agli Zero in tutto il resto, robustezza inclusa.

In termini di prestazioni, gli Zero non sembravano eccezionali, ma se si considera che riuscirono a ottenere una velocità paragonabile, nella versione irrobustita e potenziata A6M5, a quelle del Bf-109E senza pagare pegno con un motore troppo complicato e vulnerabile, la questione cambia. Il Bf-109 ebbe il tipo migliorato T per impiego da portaerei. Anche con un motore DB-601N da 1.200 hp non superava i 568 kmh, aveva lo stesso armamento e velocità dello Zero; ma lo Zero era dotato di una visuale per il pilota molto superiore, aveva circa due volte il raggio d’azione ed era molto più maneggevole del Bf-109, inoltre era standard anche la predisposizione per bombe. Quel che proprio non riusciva a fare bene erano le picchiate, almeno nelle prime versioni: inizialmente teneva il passo, ma poi la resistenza aerodinamica e l'insufficiente potenza lo lasciavano indietro. Infine l'acrobazia era ottimale fino a velocità di circa 400 kmh, ma se lo si costringeva a duellare a velocità più alte, perdeva il suo vantaggio contro i più potenti caccia americani.

Quando l'A6M5 venne provato contro i velivoli USA, la differenza di prestazioni con F6F e F4U fu netta a tutte le quote, ma non in salita, dove entro i 3 km era superiore, grazie alla sua leggerezza; in volo orizzontale era largamente superato a tutte le quote, in picchiata surclassato rapidamente. L'FM-2, il vero 'equivalente', non era invece superiore allo Zero; sebbene avesse 1.350 hp di potenza, non riusciva a superarlo in velocità, anzi, più la quota aumentava e più lo Zero guadagnava, dell'ordine di 6-10 kmh. Al contrario degli aerei più grandi, però, il Wildcat FM-2 poteva stringere le virate come lo Zero, ma anche qui, ad alta quota, il giapponese passava in vantaggio. Come salita non c'era molto da scegliere tra i due. Nonostante la potenza inferiore di circa 200 hp, quindi, lo Zero riusciva ad essere competitivo con un caccia nominalmente più potente. Era anche un temibile avversario per il Seafire I, che risultava solo marginalmente più veloce: 544 kmh vs 539, ma ad alta quota era il giapponese, sorprendentemente, a passare in avanti rispetto a quello che era pur sempre il derivato navale dello Spit Mk V. In salita e picchiata l'aereo inglese era superiore, in manovra però non riusciva a stringere altrettanto bene[4].

Va detto che l'A6M5 avrebbe dovuto, almeno nelle configutazioni più leggere, fare 560+ kmh, ma qui, forse perché un pò logorato, l'aereo giapponese risultava circa 25 kmh più lento. Del resto, quando venne catturato un A6M3 Hamp, il reportage sulla sua velocità parlò di un massimo di circa 460 kmh a bassa quota (non male, l'Hurricane Mk I e i vari Reggiane 2000-2003 non passavano i 410-450 kmh) ma solo 500 kmh scarsi in quota. Tuttavia il dato ufficiale era di 545 kmh a 6.000 m e, come si vedrà, l'A6M3 si dimostrò tutt'altro che un'anatra seduta quando venne ingaggiato dagli Spitfire. Una delle ragioni della bassa valutazione era il motore, che per vari inconvenienti non venne spinto a 2.600 giri di potenza massima, ma limitato a 2.400[5].

In termini di prestazioni, come si è detto gli A6M1 spazzarono via i Polikarpov sulla Cina, ma era solo l’inizio. Gli A6M2 fecero lo stesso con i caccia alleati fino all’Australia, ottenendo una sostanziale superiorità in risultati. Non era solo un fatto di rateo abbattimenti: perdite. Quando gli Zero attaccarono le Filippine scortando i G4M, essi ebbero cura di scortare i bombardieri contro i caccia nemici: 7 Zero vennero perduti, ma nessun bombardiere subì analoga sorte e le Filippine persero gran parte delle difese aeree, inclusi 14 dei 35 B-17 disponibili[6]. Spesso, tra l’altro, i G4M dimostrarono anche quanto fossero efficaci come bombardieri strategici: non solo raggiungevano distanze straordinariamente lunghe, colpendo anche dove non ci si aspettava tale comparsa; ma le loro missioni erano non di rado volate da oltre 7.500 m di quota. Si pensi solo alla pratica impossibilità di superare i 5.000 con gli SM.84, quando i G4M appositamente preparati portavano le 2,2 t delle bombe Okha fino ad oltre 8 mila metri, una prestazione degna di una Fortezza volante. A tali alte quote i caccia P-39 e P-40, con i loro deboli motori non riuscivano a competere con gli Zero, apparentemente altrettanto deboli ma in realtà in grado di ‘danzare’ attorno ai loro avversari. Le alte quote avrebbero dovuto almeno rendere il puntamento meno preciso: ma i bombardieri giapponesi si dimostrarono ugualmente e frequentemente micidiali nel colpire gli obiettivi, causando gravissimi danni[7].

Per tenere il loro passo, almeno nelle missioni meno impegnative (per quelle a più lungo raggio non c'era proprio nulla da fare), gli Zero dovettero inventarsi nuove strategie: normalmente consumavano circa 140-150 l all’ora, ma per le azioni sulle Filippine si riuscì a ridurre il consumo, volando a poco più di 200 kmh, fino a soli 60-70 litri: con un serbatoio ausiliario, gli Zero erano in grado, ottimizzando il regime di volo, di volare fino a 9-10 ore consecutive, potendo così raggiungere obiettivi distanti anche 1.000 km[8].

Certo che è difficile, comunque, capire come mai il rifornimento in volo all’epoca non fosse contemplato per risolvere tali problemi, che tra l’altro significavano per i piloti uno stress terribile dato che dovevano restare ai comandi per tutto quel tempo senza nessun ausilio. Eppure il rifornimento in volo aveva già dimostrato di poter funzionare 20 anni prima, per esempio allorché dei DH.9 volarono anche per oltre 24 ore consecutive. Ma nella II GM nessuno sembrò ricordarsene. Gli aerei giapponesi, chiamati ad operare su distanze così grandi, dovettero così far di necessità virtù con i relativi svantaggi della leggerezza e mancanza di protezioni.

Gli Zero erano riusciti a migliorare di qualcosa durante il tempo. L’A6M3 aveva un motore più potente e poteva fare oltre 540 kmh a 6.000 m. L’armamento originariamente era costituito da due mitragliatrici (le cui culatte sporgevano nel pannello strumenti, come nei caccia della I GM) e due cannoni, ma questi ultimi avevano solo 7 secondi di fuoco e venivano usati soltanto per le ‘grandi occasioni’, ovvero per dare il colpo di grazia ad un caccia già danneggiato o contro i bombardieri. Quindi in azione non erano poi così armati come gli aerei americani, come gli F4F (4-6 M2 da 12,7 mm). I Wildcat furono gli unici a poter duellare ad armi pari con gli Zero, ottenendo risultati dell’ordine dell’1:1. Ma soprattutto, aiutando a vincere a Midway, al di là degli scontri diretti.

Il Wildcat fu poi protagonista di una certa evoluzione e, come già accennato, l’FM-2 finale era un formidabile avversario. Nonostante il miglioramento degli aerei giapponesi, ottenne un risultato di abbattimenti-perdite molto superiore ai primi F4F, eppure rispetto ad essi non era che marginalmente migliore. Forse il problema, anche qui, era la decadenza del livello medio dei piloti giapponesi. Tuttavia esso non crollò subito dopo Midway: ancora nella battaglia delle Isole S.Cruz, 26 Ottobre 1942, i Giapponesi si batterono molto bene e finirono per vincere lo scontro navale con gli americani, che persero la Hornet. Gli Americani furono costretti sopratutto a confidare nella potenza di fuoco delle corazzate per difendere le portaerei (Enterprise e Hornet), con particolare mensione per la South Dakota, che grazie all'esordio delle spolette radar di prossimità da 127 mm, dichiarò 32 aerei abbattuti (26 poi confermati). I Giapponesi avrebbero avuto 115 aerei distrutti in azione, ma come sempre le cifre appaiono gonfiate. La cifra che ufficialmente ammettono persa fu di 74 aerei, di cui 6 Zero, 31 D3A e 21 B5N negli attacchi alle navi americane, e solo 5 altri Zero in difesa delle proprie navi. Solo questi ultimi caccia rivendicarono (erano una torma di circa 60 esemplari) 20 vittorie ovvero un 4:1. Gli Americani persero 74 aerei più quelli (non noti) con la Yorktown, ma in aria le perdite furono uguali da una parte e dall'altra[9].

Dato che i piloti alleati erano in genere ben addestrati, anche se non necessariamente esperti, i Giapponesi inizialmente ebbero molto vantaggio, e non c’era scampo per chi li affrontava in uno scontro manovrato (eccetto che per i piloti di Wildcats). Ma anche così, il livello di successi ottenuto contro i caccia inglesi non può non stupire.

La prima prova schiacciante fu nell’incursione dell’aprile 1942, compiuta dalla Marina giapponese nell’Oceano indiano. Un’iniziativa che ebbe molto successo, ma anche criticabile per avere distolto forze necessarie per sostenere la successiva battaglia del Mar dei Coralli. In ogni caso, consentì di cacciare via gli Inglesi dall’Oceano Indiano e gli inflisse gravissime perdite. Contro la sessantina di Hurricane Mk I e II di Colombo gli Zero fecero il tiro a segno. Nel primo scontro ne distrussero 21 (oltre a 4 di sei Fulmar), contro un’unica perdita e qualche bombardiere D3A, i bersagli principali dei caccia inglesi. Nella seconda battaglia andò un po’ meglio, 2 bombardieri e 3 Zero persi contro 8 Hurricane. Alla fine però gli Zero ebbero modo di abbattere 29 Hurricane e 4 Fulmar contro appena 4 perdite loro, e si badi bene che questi non sono risultati dichiarati ma perdite reali, pari a circa 8:1 (7:1 contro i soli Hurricane)[10]. In quell'occasione, in tutto, i Giapponesi subirono la perdita di 18 aerei, 6 dei quali Zero (altri due vennero abbattuti dai Blenheim, che nel loro piccolo si dimostrarono nemici più pericolosi degli Hurricane, avendo perso in contraccambio 'solo' 5 aerei), distruggendone una sessantina, affondando oltre 100.000 t di naviglio, due incrociatori pesanti e la portaerei Hermes, e in definitiva cacciando via i Britannici da quell'Oceano. Anche se ebbe successo, quell'azione vide poi cocenti critiche per avere distolto preziose risorse in un momento decisivo: nel maggio successivo, infatti, i Giapponesi non riusciranno a vincere la Battaglia del Mar dei Coralli, decisiva per la difesa dell'Australia.

Gli Zero, come si è accennato, trovarono duri opponenti nei caccia americani ed erano stati sconfitti dai P-40 nell’ultima battaglia a difesa dell’Australia, nell'estate del’42. Ma nel ’43 ritornarono col solito compito di scortare i G4M, stavolta trovandosi contro gli Spitfire Mk V. Il prestigioso caccia britannico era presente in almeno un centinaio di esemplari e c’erano anche piloti esperti e una copertura radar. I Giapponesi si presentarono con gli A6M3, potenziati rispetto agli A6M2, anche se con minore autonomia, il che spesso si rivelava fatale nelle lunghe missioni sul mare. Ad ogni modo, il loro armamento era adesso potenziato: pur conservando l’alimentazione a tamburo, i cannoni Tipo 99 avevano ora 100 colpi l’uno ovvero circa 11 secondi, più che sufficienti per un impiego generoso dei cannoni in ogni fase del combattimento aereo. Quando i piloti degli Spit, spesso veterani in Europa dove erano abituati a vincere con rapide manovre ogni avversario, si trovarono ad affrontarli, pensarono di avere successi facili con i loro potenti mezzi. Ma gli Zero, nonostante l’alta quota, erano perfettamente in grado di contrastarli e finì come con gli Hurricane l’anno prima: 21-26 Spit abbattuti contro appena 3-4 Zero, oltre a pochi bombardieri. Gli Spit le presero anche contro i Ki-43, che si permisero di abbatterne due contro un’unica perdita loro durante l’unica incursione dell’Esercito giapponese[11].

Questo per dire quanto gli Zero fossero pericolosi, specie con chi cercava di duellarci. Il cortocircuito logico è che in Europa gli Spit erano capaci di battersi contro i Bf-109 che facevano invece strage di P-40, mentre in Australia gli Spitfire persero malamente contro gli Zero e i P-40 pareggiarono. Detta così è un controsenso, ma come si è visto vi erano vari altri aspetti da valutare, tra cui il potenziamento degli Zero e l’esperienza dei suoi piloti del 202 Kokutai. Se si considera queste pur limitate esperienze, quindi, questo caccia, per quanto limitato in potenza, ottenne sugli Spitfire un rapporto abbattimenti-perdite agevolmente superiore a quello dei ben più possenti FW-190A, che già seminarono sgomento nella RAF (pur non andando molto oltre il 2:1).

Quindi lo Zero, se ben pilotato, poteva reggere il confronto con avversari molto superiori. Non c’era quindi una ragione tecnica precisa perché perdesse malamente contro gli Hellcat nel ’44, dato che questi ultimi in prestazioni (eccetto come autonomia) non erano superiori agli Spit Mk V in nessun aspetto, e forse non erano nemmeno più maneggevoli. Mentre lo Zero, nel ’44, era diventato l’A6M5, ancora migliore del tipo precedente. Aveva rivestimento alare irrobustito per sostenere meglio le picchiate più veloci, che ora potevano superare i 750 kmh, e i suoi cannoni erano adesso i Tipo 99-2, che offrivano una velocità iniziale molto maggiore. Non che fossero all’altezza degli Hispano-Suiza, ma con una v.iniziale di circa 750 m.sec, erano grossomodo al livello degli MG151 e con una portata utile di tiro passata da 200-300 a 400 e più metri, cosa importantissima nell’ingaggiare un avversario che si allontanava in velocità: si pensi che 180 kmh di differenza sono 50 m.sec, così facendo gli Zero potevano sparare per due secondi in più: iniziando diciamo da 200 m di distanza, significava 4 secondi di fuoco e non 2. In seguito gli Zero ebbero anche i cannoni con nastro da 125 colpi e forse anche i Tipo 99 migliorati, con cadenza di tiro portata da 500 a 700 c.min, il che riduceva l’autonomia di fuoco, ma permetteva una molto superiore efficacia contro bersagli elusivi come i veloci caccia americani, che oramai avevano imparato a combattere portandosi ad alta velocità. Lo Zero era superiore ad essi in manovra, ma sopra i 400-450 kmh i suoi comandi diventavano pesanti e così restava in svantaggio anche come maneggevolezza, perché era ottimizzato per duelli a velocità molto più basse.

Tuttavia, resta il fatto che se lo Zero subì le perdite che subì la cosa non è direttamente accreditabile solo ad esso. Che l’A6M2 abbia potutto surclassare il pur buono Hurricane in maniera così netta è un fatto. Che l’A6M3 abbia battuto nella stessa misura lo Spitfire Mk V anche. L’A6M5 sarebbe stato un avversario anche più pericoloso per un eventuale nemico. In termini di salita, lo Zero era superato solo dallo Spit, mentre entro i 3.000 m conservava un vantaggio su Hellcat e Corsair. L’A6M5 era anche superiore in velocità, almeno a certe quote, anche contro il Seafire I (Mk V navalizzato), specie alle quote più elevate, una cosa piuttosto sorprendente, mentre in termini di autonomia e di agilità era molto superiore (ma qui non v’e nessuna sorpresa) così come in sicurezza all’appontaggio grazie alla bassa velocità e al largo carrello (lo Spit era invece del tutto inadatto e in tal senso rappresentò un peggioramento rispetto ai vecchi Sea Hurricane).

In definitiva, lo Zero era un aereo temibile, che fino al tardo ’43, con piloti all’altezza, poteva tenere testa a Spitfire, Hurricane, e talvolta anche Corsair e P-38. Il rateo di successo dichiarato dagli americani, persino con il Corsair, non superava il 3:1, anche se con la loro velocità potevano sempre scappare o inseguire l’avversario, a seconda di come gli facesse comodo. Il punteggio finale del Corsair è di circa 11:1 in termini di abbattimenti-perdite, ma comprende anche un gran numero di aerei kamikaze e in generale volati da piloti oramai non più all’altezza della situazione, più i bombardieri e ricognitori veri e propri. Ma nel ’43 gli F4U, certo i più temibili caccia americani assieme ai P-38, non ottennero molto e gli Zero se la cavarono con un dignitoso risultato anche contro di essi, sia pure perdendo la maggior parte degli incontri. Finché ebbe piloti all’altezza, lo Zero rimase un avversario temibile per chiunque, e se questo era vero per l’A6M3, a maggior ragione lo sarebbe stato per l’A6M5 (specie per il potente armamento, visto che le 7,7 mm erano pressoché inefficaci contro i caccia moderni), posto che avesse piloti all’altezza. Ma come dimostrò la battaglia delle Marianne, questo nel ’44 non era più possibile. I pochi piloti esperti, come Sakai (ritornato in azione nonostante avesse perso un occhio) combatterono fino alla fine. Ancora nel luglio del ’45, gli scontri aerei potevano essere pericolosi per gli Americani e potevano anche contare sull’avvento delle mitragliatrici da 13 mm, prima una sola al posto di una delle 7,7 ma già utili, per esempio per la loro capacità di perforare strutture robuste e blindature. Durante il tentativo di salvare Ed Mikes, un pilota caduto in mare, una pattuglia di Zero irruppe contro una formazione di P-51D. Il capo formazione, un veterano che usava un uncino al posto di una mano, persa per via di una ferita di guerra, si avvicinò a tutto gas ad un P-51: da 500 m iniziò a sparare con le 3 mitragliatrici (ora erano tutte da 13,2 mm) e da 100 m anche con i due cannoni da 20 mm. Il Mustang perse il controllo e si schiantò in mare[12].

Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra. Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio e come disse Sakai Come per volere dello stesso Diavolo, il nostro Paese venne trascinato nella disgrazia[13]


Il Kawasaki Hien e altri Giapponesi

Hien significa 'Rondine' e ben si addice alla sagoma slanciata e all'ala di grande allungamento (7,2:1) di questo caccia dell'Esercito, potente ma non molto fortunato.

Il Ki-61 era un contraltare ben diverso dallo Zero e dal più diretto equivalente dell'Esercito, ovvero il Ki-43. La scelta di usare un motore raffreddato a liquido per ridurre la resistenza aerodinamica era una tendenza ben precisa nei tardi anni '30 e molte ditte e forze aeree volevano tali motori sui loro caccia; non nel caso dei bombardieri, dato che la velocità di questi ultimi è sempre stata inferiore e poco influenzabile dai motori in linea, sebbene poi vari tipi (Lancaster, Pe-2, Mosquito) li hanno ricevuti. Il Ki-61, senz'altro il più occidentale dei caccia giapponesi, era erede di una tradizione poco nota ma precedente e di un certo livello, per esempio con la costruzione dei caccia (anch’essi con motore in linea) del tipo Ki-10. Esso nacque dagli sforzi del capoprogettista Takeo Doi della Kawasaki, sulla base di un nuovo motore, che era il DB-601 prodotto su licenza. Purtroppo per i Giapponesi, questa non sarà una scelta felice. Infatti i progettisti giapponesi si produssero in uno sforzo di bravura nell'alleggerire i 670 kg originari, ottenendo un risparmio di circa 40 kg pur se con una potenza di 1.100 hp. Laddove gli stessi produttori italiani ebbero molte difficoltà con i DB, cosicché i motori dell'Alfa Romeo, nonostante l'esperienza, avevano qualche decina di hp in meno e circa 30-40 kg di peso in più per garantire la necessaria affidabilità, i motori giapponesi tirarono troppo la corda di un progetto già di per sé critico. Il risultato fu una serie di problemi che divennero poi apocalittici nel caso del motore per il Ki-61-II, l'equivalente del DB-605, ma totalmente inaffidabile e per giunta sfortunato: a dimostrazione che i B-29 non produssero solo distruzioni di poco conto, in una delle loro incursioni annientarono la fabbrica dove questi motori erano prodotti. Già ne erano stati realizzati solo un centinaio, e la metà presentò dei problemi tali da essere rimandata in ditta per essere rilavorati, e lì vennero sorpresi dalle bombe americane.

Il Ki-61 venne progettato con una notevole somiglianza ai caccia europei dotati di DB-601, ma più che al Macchi 202, che seguiva di circa un anno, era affine con il Bf-109, come si vede dalla sezione posteriore della fusoliera, assai lunga rispetto al muso (esattamente al contrario del Macchi). Al contrario, il muso era affilato e basso, ma non in maniera direttamente confrontabile con i tipi europei, perché esso era molto liscio, differentemente dal Bf-109E (ma similmente all'F), mentre l'abitacolo era piuttosto basso sopra di esso, a differenza del Macchi. L'ala, invece, non aveva equivalenti essendo di ben 12 m di apertura e 20 m2 di superficie. L'unico tipo che si avvicinava a questi valori era il Bf-109T, e poi il Bf-109H. Ma nella produzione di grande serie il Ki-61 rimase senz'altro un aereo dall'ala ad alto allungamento, più dei tipi europei equivalenti (i Bf-109T e H vennero prodotti in pochissimi esemplari). La macchina era dotata di un largo carrello piuttosto confortevole, anche se i freni erano piuttosto deboli. La sensazione dei collaudatori americani che testarono i l velivolo fu di un mezzo piuttosto angusto, forse anche più del Bf-109 (senz'altro era così per gli americani, di statura e taglia ben più robusta della media giapponese); la visuale era scarsa, a sua volta, più che altro nel settore anteriore (forse anche qui il Bf-109 era meglio, ma se sì non di molto); sui lati era accettabile, mentre non c'era uno specchio retrovisore, che data la natura incassata dell'abitacolo, sarebbe stato senz'altro preferibile. Se le dimensioni dell'abitacolo e la visibilità erano poco attraenti, così non era per il pannello strumenti, completo e disposto razionalmente per il loro impiego; non che i caccia dell'epoca fossero particolarmente pieni di orologi e indicatori, ma era senz'altro utile la loro disposizione razionale.

Il Ki-61 aveva vari punti di forza: spesso, forse non sempre, di parabrezza blindato; più interessante ancora, le due piastre protettive per la testa e il corpo del pilota, spesse entrambe 12,7 mm e pertanto a prova dei proiettili di piccolo calibro, ma almeno oltre una certa distanza, anche di grosso -grazie anche alla protezione extra della fusoliera posteriore. Ma c'era di più: l'aereo aveva serbatoi protetti, altro punto avanzato del nuovo progetto. La loro capacità totale era ben 550 litri, laddove il Bf-109 arrivava a 400 e il MC.202 a 430. Oltre ad essere autostagnanti, erano anche dotati di un sistema di pressurizzazione con gas inerte tratto dai tubi di scarico, per ridurre il rischio di esplosione o incendio dei serbatoi. Questi erano uno da 46 galloni dietro il pilota e due da ben 50 galloni nell'ala. La presenza di questo sistema di pressurizzazione più i serbatoi autostagnanti aiuta a capire come il Ki-61 non avesse nessuna particolare inclinazione a prendere fuoco quando colpito, anche mortalmente, e questo pur avendo appena meno carburante dei 630 l di uno Zero. La corazzatura protettiva e una struttura ragionevolmente robusta consentivano al pilota di non perdere la speranza laddove fosse stato centrato dalle 12,7 mm americane. I caccia italiani, per esempio, avevano piastre da 11 mm che proteggevano dai colpi da 12,7 mm (non è però chiaro se italiani o dei tipi americani o russi, ben più potenti). In ogni caso, per esempio, il FW-190 e il Bf-109 avevano in genere corazze da appena 8 mm con poggiatesta da 12 mm, quindi -a parte la qualità delle corazze usate- non c'era ragione di lamentarsi. Non è chiaro quanto le piastre fossero estese, ma rispetto al nulla dei primi Ki-43 e al poco dei successivi, come anche dei Ki-44, il Ki-61 era un aereo ben protetto.

La sua analisi ci è pervenuta da poche fonti. Anzitutto parliamo del suo comportamento in volo delle origini: l'aereo venne testato contro il Ki-43, il Ki-44, un P-40E catturato e un LaGG-3 volato da un disertore (un vulnus senz'altro grave, dato che era un aereo nuovissimo; la cosa si sarebbe ripetuta nel 1975 con il famoso caso del MiG-25 Foxbat), che forse ispirò anche la soluzione -tipicamente sovietica- dei serbatoi riempiti con gas inerte (che peraltro, nel caso sovietico deterioravano la gommatura della protezione, tanto che si trovò il modo di far convivere entrambe le soluzioni limitando l'azionamento del sistema a gas solo durante le missioni di combattimento). Nonostante la presenza di tanti e tali caccia avanzati (almeno per il 1941), il prototipo del Ki-61 batté tutti gli avversari in ogni aspetto, eccetto nella capacità di manovrare stretto, dove il Ki-43 si dimostrò superiore. Quest'ultimo era davvero un caccia eccezionalmente agile, fattore molto importante per i Giapponesi, dato che il prototipo del Ki-61 era pesante appena 2.260 kg a pieno carico (con i soli pesi interni alla struttura), mentre il motore era lo stesso dei tipi successivi. Questo sarà poi un problema: gli ultimi Ki-61 pesavano fino a 3.400 kg a pieno carico. Il Ki-61 ovviamente peggiorò le proprie doti di volo, inclusa la velocità massima, scesa dai 592 kmh del prototipo a 590 del Ki-Ia e ai 580 kmh del Ki-61-Ib armato di cannoni. Nel frattempo, la non entusiasmante velocità di salita, 6 minuti per 5 km, venne aumentata per la stessa quota di un minuto. La tangenza pratica era di circa 10 mila metri.

Il Ki-61 si era quindi dimostrato veloce e manovriero, surclassando il Bf-109E che aveva praticamente lo stesso motore. Si fosse accettato di installare un motore più pesante ma più affidabile, molte cose sarebbero state senz'altro migliori, anche perché il caccia comunque aumentò di peso. L'affidabilità nei reparti di prima linea, specie quelli lontani dalla patria, con carburanti, lubrificanti e manutenzione sub-standard, fu molto labile e al contrario, in teatri come la Nuova Guinea il Ki-61 si dimostrò di fatto meno efficace di un Ki-43-II, che però in aria era surclassato dai caccia Alleati.

Questi ebbero finalmente modo di incontrare l'avversario, che spesso aveva dato loro molto filo da torcere. Gli americani sopratutto avevano la tendenza ad evitare saggiamente il combattimento manovrato per disimpegnarsi ad alta velocità: funzionava con il Ki-43, che invece era pressoché imbattibile in manovrabilità e accelerazione tra i 250 e i 400 kmh: nemmeno lo Zero poteva superarlo in manovrabilità, e dire che il Ki-43 inizialmente era stato male accolto dai piloti, che lamentavano la ridotta agilità rispetto al Ki-27! In effetti, nonostante un motore da 950 hp e il carrello retrattile, il Ki-43 era solo 25 kmh più rapido del Ki-27, di cui condivideva l'armamento, pressoché inefficace contro aerei corazzati. Il Ki-61 invece fu prescelto tra vari progetti della Kawasaki relativi a caccia con motore in linea, alcuni anche molto avanzati, per esempio il Ki-64 con due motori, uno posteriore e uno anteriore all'abitacolo. In effetti, le prestazioni dei caccia giapponesi, nonostante la loro leggerezza, non furono particolarmente elevate, anche ricorrendo a motori alquanto potenti. Il primo tipo che doveva essere prodotto era l'intercettore Ki-60, con ala ridotta e specificatamente pensato per arrivare a 600 kmh. Solo che di fatto, nonostante gli sforzi fatti, era capace di circa 550 kmh, troppo poco. Dall'altro canto il piccolo aereo aveva caratteristiche di volo mediocri, alta velocità di stallo, lunga corsa di decollo, e in manovra, i collaudatori avevano affermato di avere pilotato bombardieri più agili. Così, senza sorprese, andò avanti solo il Ki-61, che era quasi altrettanto veloce di quanto previsto per il Ki-60, ma nonostante questo, come si è detto, aveva una grande ala dalla superficie e apertura paragonabile a quella degli Zero, ma più sottile e con maggiore corda. Esso si dimostrò superiore in tutto e per tutto ai suoi oppositori, e passò agevolmente in produzione.

A parte questo il Ki-61, battezzato Hien (rondine), era un bell'aereo, dalla sagoma proporzionata e ben avviata. Il motore era solidale con la fusoliera, un pò tipo l'He-100V, con i pannelli d'ispezione solo superiori e inferiori, ma non laterali. Questo per rendere più piccola e leggera la struttura del muso, anche se a scapito della manutenibilità. Anche la Nakajima (l'altra fornitrice di caccia dell'Esercito, mentre la Mitsubishi aveva il monopolio di quelli della Marina) aveva proceduto in una strada di questo tipo: il Ki-43 era il tipo 'leggero', il Ki-44 quello pesante, o meglio, l'intercettore perché di pesante c'era davvero poco in quest'aereo, una sorta di racer con una fusoliera e ali minuscole rispetto al motore. Questo doveva dargli velocità di salita e massima entro la specifica, che però non fu attesta, semplicemente non c'era abbastanza potenza per tale compito e nemmeno gli affinamenti successivi ebbero successo. Tuttavia, si decise che il Ki-44 bastava anche così com'era e, dopo avere fatto tutto il possibile, ci si ritrovò con un caccia che sfruttava bene i 1.200 hp del motore radiale, con velocità massima, di salita e di picchiata notevoli, e un buon armamento. Se i Giapponesi fossero stati maggiormente convinti delle tattiche di combattimento moderne, quest'aereo, poco maneggevole e con una visuale piuttosto limitata per l'abitacolo angusto -ma pur sempre con un tettuccio integrale- sarebbe stato ben più apprezzato. L'ultima versione, con un motore da 1.500 hp era capace di 604 kmh e di salire a 5.000 m in poco oltre 4 minuti, ovvero forse la migliore prestazione di salita dei caccia giapponesi. Solo la Marina aveva un qualcosa di simile, un altro 'racer' con l'aspetto più affusolato per il motore disposto in maniera diversa: era il J2M, il fratello 'veloce' dello Zero, dotato di un abitacolo senza tettuccio a bolla e con una visuale decisamente limitata. Venne relegato -causa la velocità d'atterraggio elevata- ai soli servizi a terra e siccome ne vennero prodotti solo 576 non stupisce che esso è rimasto poco noto se paragonato allo Zero (oltre 10 mila). Il Ki-44 era in realtà una risposta vincente e bene o male ne erano in servizio alcuni già quasi in contemporanea dei Ki-43. Questi ultimi erano non solo inferiori nell'insieme agli Zero (in particolare, più lenti, meno autonomia, meno robustezza e niente cannoni), ma erano anche disponibili in meno esemplari -appena 40 all'inizio delle ostilità contro 330. I Ki-44 Shoki (demonio) ebbero una produzione di 1.225 esemplari complessivi, e i prototipi senza armamento passavano i 620 kmh (ma scendevano sotto la specifica quando armati, circa 580 kmh), pochi ma non pochissimi se comparati ai 5.443 Ki-43. Sarebbero tornati utili contro i B-29, essendo forse i migliori caccia intercettori giapponesi, con prestazioni in quota eccellenti, e maggiore affidabilità rispetto ai J2M. Inoltre, degli ultimi caccia giapponesi, né il Ki-100 né lo Shiden ebbero potenze sufficienti per le alte quote, mentre il Ki-84 era buono, ma non eccezionale e solo di poco più veloce del Ki-44. Il Ki-84 era molto prone a problemi meccanici che di fatto ridussero notevolmente l'apporto dato da questo eccellente caccia, entrato in servizio negli ultimi 18 mesi di guerra e prodotto in oltre 3.000 esemplari, ma con materiali sempre più scadenti. Differentemente dal Ki-44, esso era molto più agile con ali più grandi, maggiore autonomia e armamento, ma era anche più pesante, sopratutto i sistemi idraulici e meccanici lasciavano a desiderare in affidabilità.

La produzione dei caccia della Marina ebbe un cambiamento netto con la Kawanishi, che dagli idrovolanti passò ai caccia tramite l'N1, poi diventato N1K: un caccia idrovolante, poi trasformato in caccia terrestre. Il progetto era nato per rimpiazzare il Rufe, la versione idro dello Zero, ma capace solo di 440 kmh. La Kawanishi, autrice di eccellenti idrovolanti a lungo raggio, si cimentò con il N1K Kyofu, da 489 kmh e molto più potente. Ne vennero prodotti relativamente pochi, poi si passò al tipo terrestre con carrello retrattile, ma che conservava il difetto originale dell'ala in posizione media, dovuta alla presenza di galleggianti. La cosa era indirettamente problematica perché il carrello diventava insolitamente lungo e complesso, con problemi ed incidenti. Ma l'aereo era ben armato, veloce e corazzato, con 4 cannoni da 20 mm Tipo 99 e due armi da 7,7 nel muso (originariamente c'erano solo due cannoni e due mtg). Anche il motore Homare era inaffidabile, ma in aria l'aereo era capace, seppur meno veloce, di affrontare l'Hellcat e anche il Corsair. La situazione, dopo oltre un migliaio di aerei prodotti, venne migliorata con l'N1K2 che era una riprogettazione integrale: il motore restava sempre quello, ma l'ala era bassa e il carrello semplificato, e nell'insieme era possibile ridurre il peso a vuoto di 250 preziosi kg, alleggerendo un aereo piuttosto pesante di suo. Il risultato fu una macchina più affidabile e veloce sia in aria che a terra, il cui unico limite era la scarsa potenza in quota, che gli impediva di intercettare facilmente i B-29, ma che in combattimento, specie a media quota, era capace di affrontare i caccia USA ad armi pari. L'episodio più famoso è forse quello di un pilota giapponese, tale Kensuke Muto, che venne attaccato da 12 Hellcat e riuscì ad abbatterne 4 costringendo al ritiro gli altri. La cosa fa il paio con un altro caso, i caccia Ki-100 che, affrontati gli Hellcat, ne abbatterono 14. O almeno, questo è quello che si disse all'epoca. Invece le cose, come al solito in queste battaglie tra caccia, stavano in maniera diversa. Da quello che ha ricostruito lo storico Joe Brennan, nel primo caso K.Muto partecipò ad un combattimento in cui vennero abbattuti 4 Hellcat, ma non era solo e non si sa quanti aerei americani, se ve ne furono, vennero distrutti dal sui N1K-2. Nel secondo caso i Giapponesi comunicarono inizialmente che avevano abbattuto 12 aerei con due loro perdite, ma pare che la notizia sia stata fusa e tutti gli aerei abbattuti divennero americani, portando così il risultato a 14. In realtà gli USA persero solo 2 Hellcat, il che al di là delle cattive ricostruzioni del momento, dà comunque un dignitoso risultato di parità, piuttosto raro all'epoca. Così avvenne, ma con numeri ben maggiori, con il 343 stormo della Marina, armato di N1K-1 e -2, sopratutto questi ultimi. Nella primavera del '43 ebbe il giorno da Leoni contro i caccia dell'USN, allorché dichiarò una cinquantina di caccia abbattuti. In realtà le perdite americane furono di circa 15 aerei, più o meno quelli persi dai Giapponesi. La cosa più curiosa, è che i Corsair emularono le presunte gesta del cap. Muto, allorché due di essi vennero a trovarsi inseguiti dagli Shiden, ma coprendosi a vicenda, abbatterono ben 4 caccia e poi tornarono alla portaerei salvi. Ma la giornata dimostrò che i piloti giapponesi avevano ancora stoffa, e che gli Hellcat erano abbastanza alla portata degli Shiden, specialmente l'ultimo tipo (Shiden-KAI). I Corsair erano più difficili da abbattere, ma in ogni caso riportarono a loro volta perdite non indifferenti. Data la sproporzione numerica, con 12.000 Corsair in produzione rispetto a circa 500 Shiden-KAI, l'esito era comunque scontato sul lungo termine. Sakai non volò spesso con lo Shiden, nonostante tutto, a quanto pare non gli garbava il carrello, sicuramente riferendosi al primo modello. Lo Shiden doveva molta della sua capacità combattiva alla presenza di ipersostentatori di combattimento, che consentivano di stringere molto le virate nonostante il peso non indifferente. In tal senso, se gli Hellcat e i Corsair finivano a duellare a breve distanza erano in grave pericolo. Entrambi i contendenti avevano un armamento più che sufficiente per abbattersi a vicenda, ma questo non impedirà quel giorno delle battaglie semplicemente furibonde, in cui i caccia duellarono anche per mezz'ora consecutiva, senza tutto sommato subire molte perdite.

Quanto ai Ki-61, nel loro piccolo, essi erano diventati piuttosto superati nel 1944. Quest'aereo era apparso circa un anno dopo il Macchi 202 e circa 2 anni dopo il Me-109E, così la sua validità era marginalizzata. Nel '42 ne vennero prodotti poche decine, pertanto si può considerare coevo dell'Hellcat e anche del Corsair; nel 1943 ne vennero prodotti oltre 700, ma oramai il disegno base cominciava ad essere superato anche in Estremo Oriente, così come del resto in Europa (dove i caccia, essendo macchine terrestri, erano in genere di prestazioni migliori) non erano più competiviti all'epoca i vari Bf-109E, F e MC.202. In tutto vennero prodotti oltre 3.000 aerei. Ben presto vennero equipaggiati di cannoni: oltre 700 MG151/20 giunsero dalla Germania con un grosso sottomarino, poi divennero finalmente disponibili i locali Ho-3, derivazione della mitragliatrice pesante Ho-103. Da notare che quest'ultima era praticamente una Browning adattata al meno potente munizionamento da 12,7x81 mm Vickers. Anche le Breda erano abbastanza simili in tal riguardo, anche se maggiormenet originali rispetto alle M2. Ma non riuscivano a ridurre in maniera apprezzabile i pesi e per giunta, erano dimensionalmente ancora più grosse. La cadenza di tiro delle armi italiane era piuttosto bassa: circa 700 c.min, 750 max, ma con la sincronizzazione calava del 25% in media. Questo era necessario per garantire un'elevata affidabilità. I Giapponesi invece, riuscirono ad ottenere delle armi affidabili pur se pesanti solo 25 kg anziché 29-30, e con una cadenza di tiro di circa 900 c.min. I problemi di meccanica incontrati dalle industrie italiane, al riguardo, si esemplificano bene con le rivali delle Breda, le Scotti, che erano più leggere e di qualcosa più rapide in termini di cadenza di tiro: sulla carta, un equivalente delle Ho-103, in pratica dei sistemi inaffidabili con troppe parti meccaniche in movimento e una gittata pratica insufficiente: sebbene spesso usate come armi difensive dei bombardieri, non ebbero mai impiego per i caccia, essendo il muso e le ali irraggiungibili dal pilota per riparare le armi inceppate o danneggiate. Questo fu un peccato per gli Italiani, i cui caccia, fino alla Serie 5, erano in genere limitati a due sole 12,7 mm, troppo poco specie contro i bombardieri. Avessero avuto le Ho-103, forse i progettisti avrebbero tentato anche l'impiego di altre due armi nelle ali. Sta di fatto che con 3.600 c.min di cadenza di tiro teorica, vs 1.400, il Ki-61 era nettamente più potente dei Macchi e anche dei Bf-109E, la cui leggera superiorità di fuoco si esauriva dopo i primi 7 secondi di tiro, quelli necessari per svuotare i caricatori da 60 colpi degli MG FF. Dopo di ché restavano con due sole MG 17.

In ogni caso anche i Ki-61 ebbero bisogno di miglioramenti nell'armamento di base: se il prototipo era armato come i Macchi 202 ultime serie (2 x 12,7 e 2,x77), e se le prime serie in produzione avevano sia questo che l'armamento di 4x12,7 mm, l'esigenza di cannoni da 20 mm si palesava tutta, e così vennero sia comprati gli MG151, che poi dato il via ai locali Ho-3. Se la Mitsubishi e la Marina non ebbero così alcune cose della Nakajima e dell'Esercito, come le corazzature e i tettucci semplificati, con poche montature, i caccia dell'Esercito stranamente non adottarono subito i superati ma leggeri Tipo 99 (Oerlikon) degli Zero. La crescita delle Ho-103 come armi da 20 risultò molto positiva, si trattava di cannoni da 800 c.min e gittata utile da 900 m circa; tant'é che -sempre con il meccanismo base delle M2, si arriverà addirittura a costruire un certo numero di cannoni da 30 mm, gli Ho-5.

I Ki-61 erano dei validi aerei, ma perseguitati da problemi di motore e di affidabilità meccanica in generale, tranne in teatri come la Cina e il Giappone, dove la manutenzione era adeguata e carbulubrificanti disponibili nelle qualità previste, e non roba di scarso livello che causava problemi meccanici notevoli. La difesa del Giappone vide spesso i Ki-61 in azione contro i B-29 ad alta quota, un compito non facile date le prestazioni dei nuovi aerei americani. Alle votle vennero anche usati per azioni semi-suicide, con collisioni in volo dirette. Non erano ufficialmente missioni kamikaze, ma comunque era pericoloso: nel migliore dei casi ci si doveva lanciare, magari da un aereo in avvitamento dopo che aveva perso un'ala nell'impatto. Ma vi furono persino dei piloti che riuscirono a ritornare alla base con gli aerei che portavano i segni dell'incontro con il B-29, magari con quest'ultimo abbattuto nell'azione diretta. Era senz'altro un merito per un aereo rientrare così gravemente danneggiato, anche se spesso si fracassavano all'atterraggio. I piloti, per quanto in grave pericolo, a loro volta non erano condannati senza appello come i kamikaze. Da notare che l'Esercito giapponese, a differenza della Marina, non era tanto disperato nemmeno nel 1944, da concepire le missioni suicide su vasta scala, per cui fu molto difficile convincere i piloti a sacrificarsi. Parte del merito era nel fatto che fin'allora i giapponesi non avevano incontrato nemici tali da esserne totalmente travolti, sul continente asiatico dove per lo più operava l'Esercito. Uno dei meriti era senz'altro la presenza dei Ki-61, che fecero sentire più volte i reparti su P-40 surclassati, e diedero filo da torcere anche ai P-38.



Bibliografia

  1. Vedi Vaccari ott 2003
  2. Cockpit N.19
  3. Veti Take Off: 'Zero: il Samurai Superiore'
  4. vedi [1]
  5. vedi [2]
  6. P.F. Vaccari: Attacco alle Filippine, RID Lu 1997
  7. PF Vaccari, RID Set 03
  8. PF Vaccari, RID Lu 1997
  9. PF Vaccari, la Battaglia delle Isole S.Cruz, Rivista Storica Gen 1996
  10. Vaccari, Incursione nell'Oceano Indiano, Rivista Storica Ago 1995
  11. Vedi Vaccari ott 2003
  12. PF Vaccari: Il salvataggio del cap Ed Mikes, RID Gen 2003
  13. Enciclopedia Take Off: 'Zero: il Samurai Superiore'

Rivista Storica: P.F. Vaccari, Scorreria nell'Oceano Indiano, agosto 1995

RID: articolo di P.F.Vaccari sulla guerra in Australia (Ott 2003) e quello sullo sul salvataggio del cap. Ed Mikes (Gen 2003)