Insubre/Letture: differenze tra le versioni

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 49: Riga 49:


Eel el primm, ch'è rivaa? Oh bell! Oh bell!
Eel el primm, ch'è rivaa? Oh bell! Oh bell!
Oh i gran Franzes! Besogna<ref>Nel registro popolare dell'epoca invece si sarebbe detto ''besoeugna''.</ref> dill, no ghè<ref>Parini usa ancora con disinvoltura il ''no'' preposto, tanto più perché si tratta di un registro linguistico che guarda con disprezzo al popolano ''minga''.<ref>
Oh i gran Franzes! Besogna<ref>Nel registro popolare dell'epoca invece si sarebbe detto ''besoeugna''.</ref> dill, no ghè<ref>Parini usa ancora con disinvoltura il ''no'' preposto, tanto più perché si tratta di un registro linguistico che guarda con disprezzo al popolano ''minga''.</ref>
popol, che sappia fà i mej<ref>L'avverbio ''mej'' è usato qui come aggettivo.</ref> coss de quell<ref>La tesi di partenza è già dimenticata! L'estetica vale più della politica!</ref>.
popol, che sappia fà i mej<ref>L'avverbio ''mej'' è usato qui come aggettivo.</ref> coss de quell<ref>La tesi di partenza è già dimenticata! L'estetica vale più della politica!</ref>.
</poem>
</poem>

Versione delle 16:58, 28 ago 2013

Indice del libro

Lettura 1: La satira popolaresca

Sonetto "Sissignor, sur Marches, lu l'è marches" di Carlo Porta

 
Sissignor, sur[1] Marches, lu[2] l'è marches,
marchesazz, marcheson, marchesonon, [3]
e mì sont el sur Carlo Milanes,
e bott lì![4] senza nanch on strasc d'on Don[5].

Lu el ven[6] luster e bell[7] e el cress de pes
grattandes con sò comod i mincion[8]
e mì, magher e biott[9], per famm sti[10] spes
boeugna[11] che menna[12] tutt el dì el fetton[13].

Lu senza savè scriv né savè legg
e senza, direv[14] squas, savè descor
el god salamelecch, carezz, cortegg;

e mì (destinon porch!)[15], col mè stà su
sui palpee[16] tutt el dì, gh'hoo nanch[17] l'onor
d'on salud d'on asnon[18] come l'è lu.

  1. Forma antiquata, in uso presso il Porta, del moderno scior, "signore".
  2. Notiamo l'uso della terza persona di cortesia, con distinzione di genere.
  3. Qui il Porta ci mostra molti aggettivi alterati, tutti in senso dispregiativo. La desinenza -azz è antiquata per -asc, mentre -onon è formata dalla desinenza -on ripetuta.
  4. Questo inciso ci mostra una caratteristica del parlare milanese: l'utilizzo di onomatopee esclamative con funzione non solo riproduttiva ma anche narrativa ed enfatica.
  5. Don è il predicato generico utilizzato a quell'epoca per i nobili e per i patrizi.
  6. Viene utilizzato questo verbo di modo in senso metaforico come sostituzione di essere o apparire.
  7. È presente una dittologia, quasi sinonimica, molto frequente in insubre.
  8. Fraseologia triviale che indica l'ozio. Tale linguaggio è spesso utilizzato per alzare i toni alla violenza o per abbassarli alla semplicità. In questo caso ha il ruolo di un aspro attacco verbale (contro la nobiltà ignorante e altezzosa del tempo).
  9. Altra dittologia.
  10. Aggettivo dimostrativo questi troncato.
  11. Forma contratta, molto frequente, di besoeugna.
  12. Forma antiquata di congiuntivo, con la desinenza -a anziché -i, creata più recentemente per assimilazione con l'indicativo presente.
  13. Fraseologia per intendere il lavorare pesantemente. Presenta inoltre il termine fetton per indicare metaforicamente il sedere.
  14. Forma antiquata del condizionale diserìa.
  15. Notiamo, oltre all'accrescitivo, l'uso di porch, molto frequente nelle imprecazioni.
  16. Letteralmente i/le palpabili, cioè le natiche. Stà sù sui palpee significa quindi stare con la schiena eretta.
  17. Si può dire anche nanca (o rustico gnanca); molti altri avverbi hanno una forma piana ed una tronca, come foeu-foeura.
  18. Qui l'applicazione della desinenza richiede la caduta dello schwa eufonico (asen).

Lettura 2: Il linguaggio aristocratico

Sonetto "El magon di damm de Milan per i baronad de Franza" di Giuseppe Parini

Madamm[1], g'hala[2] quaj noeuva de Lion?
Massacren anch'adess i pret e i fraa
quij soeu birboni de Franzes[3], che han traa
la lesg, la fed, e tutt coss a monton?[4]

Cossa n'è de colù de quel[5] Petton[6]
che 'l pretend con sta bella libertaa
de mett insemma de nun[7] nobiltaa
e de nun Damm tutt quant i mascalzon?

A proposit, che la lassa vedè
quel capell là[8], che g'ha d'intorna on vell;[9]
eel staa inventaa dopo che han mazzaa el Rè?

Eel el primm, ch'è rivaa? Oh bell! Oh bell!
Oh i gran Franzes! Besogna[10] dill, no ghè[11]
popol, che sappia fà i mej[12] coss de quell[13].

  1. Già l'appellativo con cui la dama si rivolge all'altra tradisce, nonostante il discorso voglia far credere il contrario, una sostanziale dipendenza dal modello culturale francese
  2. G'hala=la gh'ha. È frequente questa posposizione in posizione enclitica delle particelle pronominali deboli, specialmente nelle domande. Un altro esempio, tratto dal linguaggio colloquiale, è Come vàla? (Come va?), talvolta anzi raddoppiando la particella: Come la vàla?.
  3. L'uso della "z" al posto della "c" palatale è tratto dalla koiné lombardo-veneta quale elemento di raffinatezza.
  4. Questo sonetto dipinge la leggerezza con la quale le donne nobili di Milano consideravano gli avvenimenti della Rivoluzione francese in corso.
  5. Colù de quel="quel tale".
  6. Si riferisce, deformandone il nome in "scoreggiatore", a Jerôme Pétion de Villeneuve, presidente della Convenzione Nazionale francese. In questo contesto signorile è ironico.
  7. Qui vediamo l'utilizzo corretto di insemma con la preposizione de, differentemente dall'italiano "insieme a"/"insieme con".
  8. Aggettivo dimostrativo con apodosi e protesi.
  9. Il discorso si sposta rapidamente su argomenti più frivoli: l'apprezzamento del cappello alla moda indossato dall'interlocutrice.
  10. Nel registro popolare dell'epoca invece si sarebbe detto besoeugna.
  11. Parini usa ancora con disinvoltura il no preposto, tanto più perché si tratta di un registro linguistico che guarda con disprezzo al popolano minga.
  12. L'avverbio mej è usato qui come aggettivo.
  13. La tesi di partenza è già dimenticata! L'estetica vale più della politica!

Lettura 3: L'espressione della realtà emotiva

Dalla lirica "La Mort de la Gussona" (III) di Delio Tessa

Ghe voo lì derent: «E donca
come valla? ben?» ghe foo.
Nò: la secudiss el coo:
... la me guarda... la me bronca

ona man...[1] «Robba de pocch...
uff... l’è nient...[2] el passa... el passa...»
Nò... la dis de nò...[3] la biassa,
la mastega, la fa mocch,

mocch de dio! per dì su
on quaj coss, ma no la pò
pu parlà... l’è inutil, nò,
la fa segn che la pò pu,

la pò pu... l’è sassinada
chì in la lengua[4]... pu parlà...
pu.[5] La volta el coo in là
e la fa giò ona lucciada[6].

  1. I gesti muti di questa donna valgono più di una risposta verbale. Il dramma della signora Gussoni coinvolge totalmente l'emotività del poeta.
  2. Il termine nient è più garbato, e adatto alla delicatezza della situazione, rispetto al volgare nagòtta.
  3. Il tentativo dell'uomo di consolarla è troncato dalla chiara comprensione che la donna ha dell'avvicinarsi della morte.
  4. Letteralmente "è assassinata qui nella lingua". Una frase non lontana dallo stile espressivo quotidiano milanese, che spesso associa la gestualità alle parole e colloca nelle varie parti del corpo ciò che avviene in realtà alla persona intera. Ad esempio: l'è tocch in del nomine-patris.
  5. Una lunga agonia di suoni sembra essere il tentativo del poeta di dar voce a quella povera donna che ha qualcosa da dire ma non può più parlare.
  6. La fà giò ona lucciada="fa colare una lacrima".