La religione greca/La religione greca nel periodo arcaico e classico/Il mondo di Omero: differenze tra le versioni
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[[File:Pan (Sparta).jpg|200px|right|thumb|Statua in marmo pario del dio Pan (Πάν) rinvenuta a Sparta e oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Il dio Pan è originario dell'Arcadia, stessa regione del dio Ermes, suo genitore. Dio della fecondità delle greggi, il suo nome è stato accostato al "tutto"<ref>Cfr. ''Inni omerici'' XIX, 47 «e lo chiamarono Pan in quanto a tutti aveva reso l'animo lieto»; o ancora Platone, ''Cratilo'' 408c, dove il filosofo ateniese spiega la sua iconografia come comprendente nella parte "inferiore", di disegno caprino, quella umana e falsa, mentre la parte "superiore", di disegno umano, invece indicante la natura divina.</ref> divenendo nelle tarde ipotesi teologiche un dio "universale". Il dio Pan può incutere il "timor panico" ovvero lo "smarrimento" proprio delle greggi terrorizzate<ref>Cfr. Polibio, ''Storie'' XX, 6, 12 «Tuttavia alla notizia che era giunto Filopemene guidando gli Achei, il panico si impossessò dei Beoti che lasciando le scale appoggiate alle mura si volsero in fuga precipitosa verso la propria patria.».</ref>. Pan può risultare quindi una divinità temibile: occorre rimanere tranquilli nelle ore meridiane quando riposa per non farlo adirare<ref>Teocrito, I, 15 e segg.</ref>. Ma se le greggi risultano infeconde, allora si provvede a fustigare la sua statua onde risvegliarne i compiti<ref>Teocrito, VII, 106.</ref>. Nella mano sinistra, Pan impugna una siringa, strumento musicale proprio dei pastori, che accompagna il dio nelle sue frequentazioni dei monti e dei luoghi isolati.]] |
[[File:Pan (Sparta).jpg|200px|right|thumb|Statua in marmo pario del dio Pan (Πάν) rinvenuta a Sparta e oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Il dio Pan è originario dell'Arcadia, stessa regione del dio Ermes, suo genitore. Dio della fecondità delle greggi, il suo nome è stato accostato al "tutto"<ref>Cfr. ''Inni omerici'' XIX, 47 «e lo chiamarono Pan in quanto a tutti aveva reso l'animo lieto»; o ancora Platone, ''Cratilo'' 408c, dove il filosofo ateniese spiega la sua iconografia come comprendente nella parte "inferiore", di disegno caprino, quella umana e falsa, mentre la parte "superiore", di disegno umano, invece indicante la natura divina.</ref> divenendo nelle tarde ipotesi teologiche un dio "universale". Il dio Pan può incutere il "timor panico" ovvero lo "smarrimento" proprio delle greggi terrorizzate<ref>Cfr. Polibio, ''Storie'' XX, 6, 12 «Tuttavia alla notizia che era giunto Filopemene guidando gli Achei, il panico si impossessò dei Beoti che lasciando le scale appoggiate alle mura si volsero in fuga precipitosa verso la propria patria.».</ref>. Pan può risultare quindi una divinità temibile: occorre rimanere tranquilli nelle ore meridiane quando riposa per non farlo adirare<ref>Teocrito, I, 15 e segg.</ref>. Ma se le greggi risultano infeconde, allora si provvede a fustigare la sua statua onde risvegliarne i compiti<ref>Teocrito, VII, 106.</ref>. Nella mano sinistra, Pan impugna una siringa, strumento musicale proprio dei pastori, che accompagna il dio nelle sue frequentazioni dei monti e dei luoghi isolati.]] |
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[[File:Eros bow Musei Capitolini MC410.jpg|thumb|right|200px|''Eros che incorda l'arco'' - Copia romana in marmo dall'originale di Lisippo conservata nei Musei Capitolini di Roma.<br> La prima menzione del dio Eros armato di arco e frecce la si riscontra nell'opera di Euripide ''Ifigenia in Aulide''<ref>Cfr. George M. A. Hanfmann. ''Oxford Classica Dictionary''. Oxford Univeristy Press, 1970. In italiano ''Dizionario delle antichità classiche'' Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849.</ref>: {{quote|Avventurato chi prova fa <br>della dea dell'amore con <br> temperanza e misura, <br> e con grande placidità <br>lungi dagli estri folli, perché <br>duplice è l'arco della beltà <br> che l'Amore (Eros) tende su di noi: <br>l'uno ci porta felicità, <br> l'altro la vita torbida fa.|Euripide ''Ifigenia in Aulide'' 542-50. Traduzione di Filippo Maria Pontani in Euripide ''Le tragedie''. Milano, Mondadori, 2007}}]] |
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[[File:Afrodite Sosandra Archo Napoli 1.JPG|200px|thumb|Afrodite ''Sosandra'' ("salvatrice degli uomini"), copia romana (II secolo d.C.) dall'originale di Calamide (V secolo a.C.) conservata presso il Museo archeologico nazionale di Napoli. Luciano di Samosata la descrive come una statua velata che conserva un sorriso "puro e venerando": {{quote|Calamide l'adornerà della verecondia della sua Sosandra e di quello stesso sorriso dignitoso e lieve|Luciano di Samosata. ''Le immagini''. Traduzione di Luigi Settembrini}}.]] |
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[[File:Eris Antikensammlung Berlin F1775.jpg|200px|thumb|Eris (Ἔρις) la dea della discordia e della competizione, in un ''kylix'' a figure nere risalente al VI secolo a.C., oggi conservato presso l'Altes Museum di Berlino. Eris non possiede solo un aspetto negativo, ma governa anche la sana emulazione tra compagni di lavoro (Esiodo ''Opere e giorni'' 11 e sgg.). Figlia della Notte (Nύξ, Nyx) è madre, tra gli altri, dei Dolori, delle Menzogne e degli Assassinii. I ''Canti Ciprii'' (VII secolo a.C.) riportano l'evento in cui Zeus, volendo alleggerire la Terra (Γαῖα, Gaia) dal peso dei troppi mortali decide la presenza di Eris al matrimonio di Peleo e Teti, facendo così suscitare la competizione tra le dee che condurrà al giudizio di Paride e quindi alla rovinosa guerra di Troia.]] |
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[[File:Statue of Zeus (Hermitage) - Статуя Юпитера.jpg|200px|thumb|Statua di ''Iupiter'' alta circa 3 metri, risalente alla fine del I secolo d.C., ma restaurata nel XIX secolo. Proveniente dalla villa di Domiziano a Castel Gandolfo questa statua è oggi conservata presso il Museo statale Ermitage di San Pietroburgo. <br> La statua di ''Iupiter'' è probabilmente ispirata alla statua di Zeus, quest'ultima opera di Fidia (cfr. Pausania V, 10,2) e ospitata nell'omonimo tempio a Olimpia, ma andata poi perduta, probabilmente a seguito dell'incendio dello stesso provocato in base a un editto di Teodosio II<ref>Cfr. Salvatore Rizzo nota 2 p.485 e nota 1 p.491, in Pausania, ''Viaggio in Grecia'' (Libri V e VI). Milano, Rizzoli, 2001.</ref>. <br>Considerata una delle "Sette meraviglie"<ref>Cfr. Igino Astronomo, 223.</ref> ne resta la seguente descrizione di Pausania:{{quote|Il dio, fatto d'oro<ref>«Figlio di Zeus è l’oro, non lo intacca né tarma né tarlo» (Pindaro, fr. 222 M.). «Le statue dedicate a Zeus venivano ritualmente decorate con il prezioso metallo che, essendo l'unico materiale immutabile nel colore, nella lucentezza e nella resistenza veniva destinato in Grecia, come in tutto il Mediterraneo all'ambito del sacro.» Lia Luzzatto e Renata Pompas. ''Il significato dei colori nelle civiltà antiche''. Milano, Bompiani, 2005, p. 189.</ref> e d'avorio<ref>L'avorio è considerato "carne divina" e quindi destinato all'arte sacra, questo sia per la sua preziosità sia per il fatto che rappresentava meglio del "bianco" il fulgore divino (cfr. Valentina Manzelli. ''La policromia nella statuaria greca arcaica''. Roma, L'Erma di Bretschneider, 1994, p. 64; Lia Luzzatto e Renata Pompas. ''Il significato dei colori nelle civiltà antiche''. Milano, Bompiani, 2005, p. 108).</ref>, è seduto in trono. Gli sta sulla testa una corona lavorata in forma di ramoscelli d'ulivo. Nella mano destra regge una Nike, anch'essa criselefantina, con una benda e, sulla testa, una corona. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo, e l'uccello che sta posato sullo scettro è l'aquila<ref>Cfr. anche: {{quote|Sullo scettro di Zeus<br>l'aquila la regina degli uccelli<br> dorme calando l'una e l'altra<br>rapida ala [...]|Pindaro. ''Pitiche'' I, 11-4, ''Per Ierone e per Etna''. Traduzione di Enzo Mandruzzato. Pindaro ''Tutte le opere''. Milano, Bompiani, 2010, p.209}}</ref>. D'oro sono anche i calzari del dio e così pure il manto. Nel manto sono ricamate figurine di animali e fiori di giglio.|Pausania, ''Viaggio in Grecia'' (Libri V e VI), V, 11, 1-2. Traduzione di Salvatore Rizzo, Milano, Rizzoli, 2001, p.161.}}]] |
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[[File:Netuno19b.jpg|200px|thumb|Statua in bronzo di Posidone (o Poseidone), risalente al V secolo a.C., conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene. Questa statua fu recuperata nel 1928 a largo del mare di Artemisio, era parte del carico di una nave affondata a cavallo della nostra Era. Posidone era originariamente il dio dell'acqua (da cui il suo epiteto di Υαιήοχος, ''Gaiéokos'', "Possessore della terra" inteso come marito della Terra ovvero l'acqua che la feconda) e del terremoto (Ennosigeo, Ἐννοσίγαιον, Scuotitore della terra), solo successivamente fu associato al mare. Questo perché l'ambiente originario dei Greci fu dapprima continentale, fatto dimostrato dalla rarità di nomi greci dei pesci<ref>Cfr. Herbert Jennings Rose e Charles Martin Robertson, ''Oxford Classical Dictionary'' 1970; trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1709.</ref>.La distinzione iconografica tra Zeus e Posidone è piuttosto difficile essendo rappresentati spesso in modo molto simile. In questo caso, tuttavia, la disposizione della mano che lancia propende più per il tridente piuttosto che per il fulmine, questo solitamente impugnato con tutte le dita a differenza del primo impugnato con sole tre dita atte a calibrare il lancio (cfr. Stefania Ratto. ''Grecia''. Milano, Electa, 2006, p.95).]] |
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Il mondo di Omero è il mondo descritto essenzialmente dai poemi epico-religiosi dell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' e dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'', come anche dalla ''Teogonia'' di Esiodo e dai cosiddetti ''Inni omerici''. La datazione di queste opere è controversa e si situa tra l'VIII e il VI secolo a.C.<ref>Secondo Erodoto queste opere appartengono al IX secolo a.C.; Teopompo le colloca al VII secolo. La critica moderna non è andata certamente più avanti: per Erich Bethe la loro redazione definitiva è nella seconda metà del VI secolo (epoca di Pisistrato); Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff colloca l'<nowiki></nowiki>''Iliade'', da lui considerata opera di un singolo grande poeta con il probabile nome di Omero erede di una tradizione più antica, nell'VIII secolo, mentre l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', fusione di quattro poemi anteriori, nel VI secolo; Victor Bérard, come Adolf Kirchhoff, colloca i tre poemi all'origine dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'' tra il IX e l'VIII secolo; Paul Mazon li colloca tra il IX e l'VIII; Friedrich Focke colloca l'<nowiki></nowiki>''Odissea'' nell'VIII secolo; Fernard Robert ritiene le due opere un adattamento geniale realizzato alla fine dell'VIII secolo; Émile Mireaux ritiene sia opera di un singolo poeta del VII secolo, erede di una tradizione più antica e risalente alle ultime decadi del secolo precedente. Per quanto attiene gli ''Inni omerici'' sono anch'essi databili nello stesso periodo, così come la ''Teogonia'' di Esiodo.</ref>. |
Il mondo di Omero è il mondo descritto essenzialmente dai poemi epico-religiosi dell'<nowiki></nowiki>''Iliade'' e dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'', come anche dalla ''Teogonia'' di Esiodo e dai cosiddetti ''Inni omerici''. La datazione di queste opere è controversa e si situa tra l'VIII e il VI secolo a.C.<ref>Secondo Erodoto queste opere appartengono al IX secolo a.C.; Teopompo le colloca al VII secolo. La critica moderna non è andata certamente più avanti: per Erich Bethe la loro redazione definitiva è nella seconda metà del VI secolo (epoca di Pisistrato); Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff colloca l'<nowiki></nowiki>''Iliade'', da lui considerata opera di un singolo grande poeta con il probabile nome di Omero erede di una tradizione più antica, nell'VIII secolo, mentre l'<nowiki></nowiki>''Odissea'', fusione di quattro poemi anteriori, nel VI secolo; Victor Bérard, come Adolf Kirchhoff, colloca i tre poemi all'origine dell'<nowiki></nowiki>''Odissea'' tra il IX e l'VIII secolo; Paul Mazon li colloca tra il IX e l'VIII; Friedrich Focke colloca l'<nowiki></nowiki>''Odissea'' nell'VIII secolo; Fernard Robert ritiene le due opere un adattamento geniale realizzato alla fine dell'VIII secolo; Émile Mireaux ritiene sia opera di un singolo poeta del VII secolo, erede di una tradizione più antica e risalente alle ultime decadi del secolo precedente. Per quanto attiene gli ''Inni omerici'' sono anch'essi databili nello stesso periodo, così come la ''Teogonia'' di Esiodo.</ref>. |
Versione delle 10:55, 23 mag 2014
Il mondo di Omero è il mondo descritto essenzialmente dai poemi epico-religiosi dell'Iliade e dell'Odissea, come anche dalla Teogonia di Esiodo e dai cosiddetti Inni omerici. La datazione di queste opere è controversa e si situa tra l'VIII e il VI secolo a.C.[5].
Le Muse e l'origine sacra del canto
I poemi "omerici", così come la Teogonia di Esiodo, si contraddistinguono per un preciso incipit che richiama l'intervento di alcune dee indicate con il nome di "Muse" (Μοῦσαι, -ῶν).
Come nota Walter Friedrich Otto, le Muse sono divinità con delle caratteristiche uniche:
La loro origine è stata raccontata in un "inno" di Pindaro andato perduto, l'Inno a Zeus, ma ricostruibile per mezzo di una preghiera alle stesse redatta da Elio Aristide[6] il quale ricorda come in occasione del suo matrimonio, Zeus domandò agli altri dèi quale fosse un loro desiderio non ancora esaudito e questi gli risposero chiedendo di generare delle divinità «capaci di celebrare, attraverso la parola e la musica, le sue grandi imprese e tutto ciò che egli aveva stabilito.»[7].
Otto[8] evidenzia, con questo accadimento, come non sia il creato «a dover lodare il suo creatore, piuttosto ad esso manca ancora qualcosa: l'essere delle cose non è ancora compiuto finché non si dà una voce che lo esprima. Le cose e la loro gloria devono essere pronunciate: questo è l'adempimento della loro essenza».
Se dunque le Muse sono quelle dee che rappresentano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'"eterna magnificenza del divino"[9], i poeti sono da loro 'posseduti', sono entheos, (ἔνθεος "pieni di Dio") come ricorda lo stesso Democrito[10].
Ed essere entheos, "pieno di Dio", è una condizione che «il poeta condivide con altri ispirati: i profeti, le baccanti e le pitonesse»[11][12][13].
Nel caso di Esiodo viene raccontata una vera e propria epifania: le dee incontrano il pastore Esiodo «mentre pascolava agnelli sotto il divino Elicone» apostrofandolo tra i «pastori campestri, vili creature obbrobriose, niente altro che ventri», ma le dee consegnano al pastore Esiodo il bastone (o lo scettro) decorato di alloro trasformandolo da «'ventre', ovvero rozzo contadino e pastore in poeta: una divina grazia tanto eccezionale quanto misteriosa»[14].
Le Muse, dunque, sono le dee che donano agli uomini la possibilità di parlare secondo il "vero" e, figlie di Mnemosýne (Μνημοσύνη), la Memoria, consentono ai cantori di "ricordare" avendo questa stessa funzione uno statuto religioso e un proprio culto[15].
Non solo, Marcel Detienne evidenziano come la memoria dei "poeti" non corrisponda agli stessi fini di quella degli uomini moderni, chiosa:
Quindi la potenza, la dea della memoria, Mnemosine
Il mondo di Omero
Il mondo descritto da questi canti non corrisponde ad uno spazio governato da leggi come quello nostro, ma è un mondo pienamente dotato di vita: tutti gli elementi che lo compongono sono infatti viventi o hanno un volto vivente percepibile o misterioso che sia.
Quindi il mondo omerico è un mondo interamente vivente e in buona parte divino. Così Talete che nel VII secolo a.C. indicò questo mondo pieno di divinità[18].
Il mondo di Omero non è il nostro mondo nemmeno nelle dimensioni. Esso corrisponde a un disco del diametro di quattromila chilometri: Delfi, e quindi la Grecia, è il centro del disco. Questo disco, anch'esso divino e indicato con il nome di Gaia (Γαῖα anche Γῆ Gea), è a sua volta circondato da un largo fiume (e dio) indicato con il nome di Oceano (Ὠκεανός, Ōkeanós) le cui acque corrispondono all'oceano Atlantico, al mar Baltico, al mar Caspio, alle coste settentrionali dell'oceano Indiano e al confine meridionale della Nubia. Il Sole (divino anch'esso e indicato con il nome di Helios, Ἥλιος) attraversa nella sua rotazione questo disco, ma il suo volto lucente illumina solo esso, ne consegue che il mondo al di là del disco e quindi della rotazione del sole, ovvero ciò che è oltre il fiume Oceano risulti privo di luce. Da Oceano hanno origine le altre acque, anche quelle infere come lo Stige attraverso connessioni sotterranee[19]. Quando i corpi celesti tramontano si bagnano nell'Oceano[20], così lo stesso Sole, dopo essere tramontato, lo attraversa per mezzo di una coppa d'oro per risorgere da Oriente il mattino seguente[21]. Al di là del fiume Oceano, c'è il buio, vi sono le aperture all'Erebo (Ερεβος), il mondo sotterraneo, lì, presso queste aperture, vivono i Cimmeri (Κιμμέριοι).
Il disco terrestre circondato dal dio-fiume Oceano è suddiviso in tre parti: nord-ovest abitato dagli Iperborei (Ὑπερβόρεοι)[22]; il meridione, dopo l'Egitto, è abitato dai devoti Etiopi (Αἰθιοπῆες), uomini dal volto bruciato dal Sole, oltre le terre dei quali vivono i nani Pigmei (Πυγμαῖοι); tra queste due estremità vi è la zona temperata del Mediterraneo nel cui centro si colloca la Grecia. Dal punto di vista verticale, il mondo omerico ha come tetto il Cielo (divino anch'esso con il nome di Urano, Οὐρανός Ouranós), costituito di bronzo, il quale delimita il percorso del Sole. Ai limiti del Cielo volteggiano gli dèi che amano sedersi sulle cime dei monti e da lì contemplare le vicende del mondo. Dimora degli dèi è uno di questi, il monte Olimpo. Sotto la Terra si situa il Tartaro (Τάϱταϱος, Tártaros; divinità anch'essa), luogo buio, dove sono incatenati i Titani (Τιτάνες Titánes), divinità sconfitte dagli Dei, luogo circondato da mura di bronzo e chiuso da porte fabbricato da Posidone. La distanza posta tra la sommità di Urano e la Terra, ci dice Esiodo nella Teogonia[23], è percorribile da una incudine lasciata da lì cadere che raggiungerà la superficie della Terra all'alba del decimo giorno; medesima distanza oppone la Terra dalla base del Tartaro. Tra l'Urano e il Tartaro si situa dunque quel "mondo di mezzo" abitato da Dei celesti e sotterranei, semidei, uomini e animali, dai vivi e dai morti.
Note
- ↑ Cfr. Inni omerici XIX, 47 «e lo chiamarono Pan in quanto a tutti aveva reso l'animo lieto»; o ancora Platone, Cratilo 408c, dove il filosofo ateniese spiega la sua iconografia come comprendente nella parte "inferiore", di disegno caprino, quella umana e falsa, mentre la parte "superiore", di disegno umano, invece indicante la natura divina.
- ↑ Cfr. Polibio, Storie XX, 6, 12 «Tuttavia alla notizia che era giunto Filopemene guidando gli Achei, il panico si impossessò dei Beoti che lasciando le scale appoggiate alle mura si volsero in fuga precipitosa verso la propria patria.».
- ↑ Teocrito, I, 15 e segg.
- ↑ Teocrito, VII, 106.
- ↑ Secondo Erodoto queste opere appartengono al IX secolo a.C.; Teopompo le colloca al VII secolo. La critica moderna non è andata certamente più avanti: per Erich Bethe la loro redazione definitiva è nella seconda metà del VI secolo (epoca di Pisistrato); Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff colloca l'Iliade, da lui considerata opera di un singolo grande poeta con il probabile nome di Omero erede di una tradizione più antica, nell'VIII secolo, mentre l'Odissea, fusione di quattro poemi anteriori, nel VI secolo; Victor Bérard, come Adolf Kirchhoff, colloca i tre poemi all'origine dell'Odissea tra il IX e l'VIII secolo; Paul Mazon li colloca tra il IX e l'VIII; Friedrich Focke colloca l'Odissea nell'VIII secolo; Fernard Robert ritiene le due opere un adattamento geniale realizzato alla fine dell'VIII secolo; Émile Mireaux ritiene sia opera di un singolo poeta del VII secolo, erede di una tradizione più antica e risalente alle ultime decadi del secolo precedente. Per quanto attiene gli Inni omerici sono anch'essi databili nello stesso periodo, così come la Teogonia di Esiodo.
- ↑ Cfr. II, 142 Dind. (Ludwig Dindorf); citato anche in Walter Friedrich Otto, Le Muse e l'origine divina della parola e del canto, Roma, Fazi, 2005, p.31; nonché da David Bouvier in "Meme". Le peripezie della memoria greca in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol.6 La cultura dei Greci (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, pp.1131 e sgg., il quale ricorda anche un passaggio nella Piantagione di Noè (De plantatione) di Filone di Alessandria ai versi 172 e sgg. (Cfr. nella traduzione di Roberto Radice in Filone di Alessandria. Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia. Bompiani, Milano, 2005, pp.871 e sgg.).
- ↑ Citato in Bouvier, Op.cit. p.1132
- ↑ Le Muse e l'origine divina della parola e del canto, p. 32
- ↑ Walter Friedrich Otto. Theophania. Genova, Il Melangolo, 1996, p.49
- ↑ Cfr. fr.18
- ↑ Cfr. Pierre Somville, Poetica in Il sapere greco vol.1 (a cura di Jacques Brunschwig e Goffrey E.R. Lloyd). Torino, Einaudi, 2007, p. 506.
- ↑ Rispetto alla μανία (mania) concessa per donazione divina (θείᾳ μέντοι δόσει διδομένης) e propria dei poeti, essa appartiene, per Platone, ad uno dei quattro "divini furori": "furore profetico" (da Apollo); furore telestico o rituale (da Dioniso); furore poetico (dalle Muse); furore erotico (da Afrodite ed Eros), in tal senso cfr. Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale, Milano, Rizzoli, 2009, p.109.
- ↑ Come ricorda Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, nota 118 p.146 in molte lingue indoeuropee il "poeta" e il "veggente" sono indicati con la stessa parola: vates in latino; fili in irlandese; thurl in islandese.
- ↑ Cesare Casanmagnago in Esiodo, Tutte le opere. Milano, Bompiani, 2009, p.925
- ↑ Cfr. Marcel Detienne. I maestri di verità nella Grecia arcaica. Milano, Mondadori, 1992, p.4
- ↑ τά τ᾽ ἐόντα τά τ᾽ ἐσσόμενα πρό τ᾽ ἐόντα.
- ↑ Esiodo, Teogonia 55.
- ↑
- ↑ George M.A. Hanffman. Oceano in Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 1489
- ↑ Iliade XVIII, 489
- ↑ Mimnerno, in Aten. XI 470 a-b
- ↑ Da tener presente, tuttavia, che la menzione più antica del popolo degli Iperborei è negli Inni omerici A Dioniso VII,29. E comunque è un popolo adoratore di Apollo cfr. Erodoto IV,33.
- ↑ Cfr. Teogonia vv. 720 e sgg.