Storia della letteratura italiana/Accademia dell'Arcadia: differenze tra le versioni

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Secondo una convenzione generalmente accettata, la prima metà del Settecento viene definita «età dell'Arcadia».<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 427.</ref> L'Accademia dell'Arcadia viene fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni, coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia. L'Accademia è considerata non solamente una scuola di pensiero, ma un vero e proprio movimento letterario che si sviluppa e si diffonde in tutta Italia in risposta a quello che era considerato il ''cattivo gusto'' del [[../Barocco|Barocco]].


Essa si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell'Arcadia, e il nome fu trovato da Taia durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale.<ref name="M">"Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol. I, pag.321-323</ref> Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista è il fatto che anche la sede, una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo, sia chiamata ''Bosco Parrasio''. I membri sono detti ''Pastori'', Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) è scelto come protettore, mentre insegna la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino. Ogni partecipante inoltre doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.
L'Accademia dell'Arcadia è un'accademia letteraria fondata a Roma nel 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia, tra i quali gli umbri Giuseppe Paolucci di Spello, Vincenzo Leonio da Spoleto e Paolo Antonio Viti di Orvieto, i romani Silvio Stampiglia e Jacopo Vicinelli, i genovesi Pompeo Figari e Paolo Antonio del Nero, i toscani Melchiorre Maggio di Firenze e Agostino Maria Taia di Siena, Giambattista Felice Zappi di Imola e il cardinale Carlo Tommaso Maillard di Tournon di Nizza.<ref>Ibid. pag. 5</ref> L'Accademia è considerata non solamente come una semplice scuola di pensiero, ma come un vero e proprio movimento letterario che si sviluppa e si diffonde in tutta Italia in risposta a quello che era considerato il ''cattivo gusto'' del Barocco.


== Struttura e organizzazione ==
Essa si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell'Arcadia, e il nome fu trovato da Taia durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale.<ref name="M">"Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol. I, pag.321-323</ref>
[[File:Arcadi.jpg|thumb|left|Stemma dell'Accademia]]
L'Accademia è una ''democrazia'' dove sovrana è l'assemblea dei membri che ha l'obbligo di riunirsi almeno due volte in inverno e una in estate. A convocarla e a presiederla è preposto un Custode, eletto, con scrutinio segreto, ogni quattro anni durante la celebrazione dei Giochi Olimpici. Il Custode deve anche nominare, tra tutti gli Arcadi che risiedono in Roma, un collegio di dodici Vicecustodi che ogni anno devono essere sostituiti per la metà. Sempre di nomina del custode sono due Sottocustodi con funzioni di cancellieri e un Vicario o Protocustode che, in caso di impedimento del facente funzioni, ha il compito di sostituirlo.


Per entrare nell'accademia, che era a numero chiuso, era necessario possedere tre requisiti fondamentali ovvero: avere minimo 24 anni<ref>Vi furono comunque delle eccezioni in caso di giovani di grande talento, ad esempio Giulio Carlo Fagnani (1682-1766), matematico e poeta, entrato in Arcadia a soli sedici anni (Giuseppe Mamiani, ''Elogi storici di Federico Commandino, G. Ubaldo del Monte, Giulio Carlo Fagnani'', Pesaro, Nobili, 1828, p. 95).</ref>, una reputazione e una storia personale rispettabile ed essere oggettivamente riconosciuto un esperto in una qualche area del sapere e, se uomini, è obbligatoria anche la competenza in una qualche disciplina letteraria.
Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista, anche la sede fu chiamata seguendo questa tendenza ''"Bosco Parrasio"'', una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo. ''Pastori'' furono detti i membri, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) fu scelto come protettore; come insegna, venne scelta la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino e ogni partecipante doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.


Al momento dell'ingresso nella congrega il neofita riceve dall'assemblea un nuovo nome, con cui sarà conosciuto in Arcadia. Il nome arcadico è costituito da due parti: la prima viene assegnata con un sorteggio mentre l'epiteto seguente è scelto dal candidato, previa approvazione dell'adunanza, purché faccia riferimento o a un luogo dell'Arcadia mitologica o geografica oppure vi sia comunque collegato.
== L'aneddoto della fondazione ==
[[File:Arcadi.jpg|thumb|right|Stemma dell'Accademia]]
{{quote|Andando un giorno a diporto il colto e geniale drappello ne' suburbii di Roma, e recitando alterne rime all'ombra delle piante ed al mormorare de' rivoli, un de' compagni sorse enfaticamente a dire: "Pare che noi facciamo rivivere l'antica Arcadia". Baretti chiama irrisoriamente magiche tali espressioni, poiché destarono esse il pensiero di fondare un'accademia col nome di Arcadia. Quattordici furono gl'istitutori di questa società.<ref>Giovanni Battista Corniani, ''I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento'', Torino, 1855, Vol. IV pag. 214</ref>}}

I teorici dell'Arcadia furono soprattutto il Gian Vincenzo Gravina e lo stesso Crescimbeni; i poeti di maggior rispetto furono Carlo Innocenzo Frugoni, Paolo Rolli, Jacopo Vittorelli, Ludovico Savioli e Pietro Metastasio.


== Programma letterario ==
== Programma letterario ==
[[File:Giovanni Mario Crescimbeni by Louis Legoux.jpg|thumb|Giovanni Mario Crescimbeni]]
{{quote|I fondatori, grandi uomini, della benemerita e celebre Accademia d'Arcadia ebbero per principal scopo nel prendere i nomi egli usi de' greci pastori e persino il loro calendario, di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme. Fingendosi pastori, immaginandosi di vivere nelle campagne, bandito ogni fasto, tolto fra loro ogni titolo di preminenza, studiando ne' classici greci, latini, e italiani, vennero naturalmente da sé stesse a cadere quelle ampollose metafore, que' stravolti concetti, e quello smodato lusso di erudizione, che formava la delizia non de' poeti soltanto, ma eziandio de' più applauditi oratori sagri, e su cui stoltamente si riponeva la sede del sublime e del bello.<ref>Gaetano Moroni, ''Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni'', Venezia, 1852, Vol. LIV, pag. 7</ref>}}
{{quote|I fondatori, grandi uomini, della benemerita e celebre Accademia d'Arcadia ebbero per principal scopo nel prendere i nomi egli usi de' greci pastori e persino il loro calendario, di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme. Fingendosi pastori, immaginandosi di vivere nelle campagne, bandito ogni fasto, tolto fra loro ogni titolo di preminenza, studiando ne' classici greci, latini, e italiani, vennero naturalmente da sé stesse a cadere quelle ampollose metafore, que' stravolti concetti, e quello smodato lusso di erudizione, che formava la delizia non de' poeti soltanto, ma eziandio de' più applauditi oratori sagri, e su cui stoltamente si riponeva la sede del sublime e del bello.<ref>Gaetano Moroni, ''Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni'', Venezia, 1852, Vol. LIV, pag. 7</ref>}}


[[File:Gian Vincenzo Gravina.JPG|thumb|left|Giovanni Vincenzo Gravina]]
I caratteri letterari dell'Accademia furono frutto del confronto tra due dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni.


Il primo vedeva nell'Accademia il centro propulsore di un rinnovamento non solo letterario, ma anche culturale. Questo ambizioso progetto era sostenuto dalla sua concezione della poesia come veicolo rivelatore di verità essenziali. Propose come modelli letterari Omero e Dante. Inoltre non gradiva gli aspetti mondani che l'accademia stava sempre più assumendo.<ref name = "M"/>
I caratteri letterari dell'Accademia sono frutto del confronto tra due dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni. Il primo vedeva nell'Accademia il centro propulsore di un rinnovamento non solo letterario, ma anche culturale. Questo ambizioso progetto era sostenuto dalla sua concezione della poesia come veicolo rivelatore di verità essenziali. Propose come modelli letterari Omero e Dante. Inoltre non gradiva gli aspetti mondani che l'Accademia stava sempre più assumendo.<ref name = "M"/> Il programma di Crescimbeni era decisamente più moderato e puntava a una più semplice reazione al disordine barocco ripristinando il «buon gusto». Crescimbeni puntava a raggiungere un certo classicismo con una poesia chiara, regolare di matrice [[../Francesco Petrarca|petrarchesca]]. Prevalse il programma di Crescimbeni, dal momento che anche gli altri membri avevano come obiettivo non l'elaborazione di una nuova cultura, ma una nuova poesia classicheggiante, semplice e aggraziata.


Una delle conseguenze di questo dissidio è la scissione, nel 1711, che portò alla fondazione di una Seconda Arcadia, patrocinata dagli scolari del Gravina, che tre anni dopo sarà denominata Accademia de' Quirini. Nel 1719 i due rami si ricompatteranno per omaggiare Gravina, morto l'anno prima.<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 429.</ref>
Il programma di Crescimbeni era decisamente più moderato e puntava a una più semplice reazione al ''disordine'' barocco ripristinando il ''buon gusto''. Crescimbeni puntava a raggiungere un certo classicismo con una poesia chiara, regolare di matrice [[../Francesco Petrarca|petrarchesca]].

Prevalse il programma di Crescimbeni, dal momento che anche gli altri membri avevano come obiettivo non l'elaborazione di una nuova cultura, ma una nuova poesia classicheggiante, semplice e aggraziata.

Tra le conseguenze di questo dissidio, vi fu una scissione, nel 1711, che portò alla fondazione di una Seconda Arcadia, patrocinata dagli scolari del Gravina, che tre anni dopo venne denominata Accademia de' Quirini. Nel 1719 i due rami si ricompattarono, per omaggiare Gravina, morto l'anno prima.


Dal punto di vista estetico gli scrittori dell'Arcadia sono ''classicisti'', mentre dal punto di vista filosofico sono ''razionalisti'' e si richiamano a Cartesio.
Dal punto di vista estetico gli scrittori dell'Arcadia sono ''classicisti'', mentre dal punto di vista filosofico sono ''razionalisti'' e si richiamano a Cartesio.


===La polemica contro il Barocco===
== Organigramma ==
Gia nel Seicento c'erano state delle opposizioni al [[../Giovan Battista Marino|marinismo]] e al gusto "trionfante" del Barocco, in particolare in Italia meridionale (Napoli e Cosenza) e in Lombardia. Queste tendenze mai sopite trovano infine sfogo nell'Arcadia. Alcuni dei membri fondatori dell'Accademia erano all'epoca letterati già noti, come Alessandro Guidi e Vincenzo di Filicaia e, come nota Salvatore Petronio, questo significa che «almeno in un primo momento e in alcuni scrittori, l'Arcadia comportò non una rottura netta e improvvisa con il passato, ma un suo superamento graduale».<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 428.</ref>

L'Accademia era una ''democrazia'' dove sovrana era l'assemblea dei membri che aveva l'obbligo di riunirsi almeno due volte in inverno e una in estate. A convocarla e a presiederla era preposto un Custode, eletto, con scrutinio segreto, ogni quattro anni durante la celebrazione dei Giochi Olimpici.

Il Custode doveva anche nominare, tra tutti gli Arcadi che risiedevano in Roma, un collegio di 12 Vicecustodi che ogni anno dovevano essere sostituiti per la metà.

Sempre di nomina del custode c'erano anche due Sottocustodi con funzioni di cancellieri e un Vicario o Protocustode che, in caso di impedimento del facente funzioni, aveva il compito di sostituirlo.


[[File:Bosco-parrasio.jpg|thumb|right|Il ''Bosco Parrasio'', sede dell'Accademia]]
== Criteri e metodi di ammissione ==


D'altra parte, è forte in tutti l'esigenza di superare il gusto del passato recente, e il nuovo gusto viene definito nei decenni successivi in opere come il ragionamento di Gravina sull<nowiki>'</nowiki>''Endimione'' di Guidi (1692), l<nowiki>'</nowiki>''Istoria della volgar poesia'' di Crescimbeni (1698), le ''Riflessioni sul buon gusto'' di [[../Ludovico Antonio Muratori|Antonio Muratori]]. Gli arcadi tuttavia, almeno nei primi anni, non definiscono uno stile propriamente nuovo, ma piuttosto si limitavano a richiamarsi al petrarchismo di stampo rinascimentale intriso di neoplatonismo, che ai loro occhi era un modello di equilibrio e perfezione. Questo inoltre rispondeva al proposito, vivo nei membri, di ordine interiore e di ossequio alla fede della Chiesa.<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 429.</ref>
Per entrare nell'accademia, che era a numero chiuso, era necessario possedere tre requisiti fondamentali ovvero: avere minimo 24 anni<ref>Vi furono comunque delle eccezioni in caso di giovani di grande talento, ad esempio Giulio Carlo Fagnani (1682-1766), matematico e poeta, entrato in Arcadia a soli sedici anni (Giuseppe Mamiani, ''Elogi storici di Federico Commandino, G. Ubaldo del Monte, Giulio Carlo Fagnani'', Pesaro, Nobili, 1828, p. 95).</ref>, una reputazione e una storia personale rispettabile ed essere oggettivamente riconosciuto un esperto in una qualche area del sapere e, se uomini, era obbligatoria anche la competenza in una qualche disciplina letteraria.


===Il razionalismo===
L'ammissione all'accademia avveniva in 5 modi differenti a seconda dei candidati.
La rottura con il passato recente teorizzato dall'Arcadia si inserisce nel più ampio quadro della penetrazione in Europa del razionalismo cartesiano. Bisogna precisare che la sua diffusione al di fuori della Francia spesso non riguarda i suoi principi o le sue formule, bensì il suo spirito, inteso come tentativo di ricondurre il sentimento alla ragione. In questo modo perdeva di interesse l'attenzione barocca per i lati oscuri dell'animo umano e per la loro classificazione. Al contrario, viene a delinearsi un uomo ideale i cui impulsi sono equilibrati e dominati da una lucida analisi. Allo stesso modo, anche la letteratura deve essere estremamente elegante e lucida, evitando ogni complicazione di carattere psicologico e ricorrendo a una lingua semplice e immediata.<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 430.</ref>


Gli esiti più importanti di questi assunti si ritrovano nella poesia di [[../Pietro Metastasio|Pietro Metastasio]]. Tra i poeti della prima generazione si ricordano Petronilla Paolini Massimi (1683-1726), Faustina Maratti Zappi (1680-1745) e il marito [[../Giambattista Felice Zappi|Giambattista Felice Zappi]], Eustachio Mafredi (1674-1739). Nelle generazioni successive alla nitidezza espressiva si affianca l'attenzione per le forme esteriori della vita contemporanea, e così oltre ai temi pastorali si affacciano anche immagini tratte dalla società aristocratica, figure gradevoli ma prive di spessore che caratterizzeranno il gusto cosiddetto [[w:Rococò|rococò]]. Tra gli autori a esso ricollegabili ci sono [[../Paolo Rolli|Paolo Rolli]], Tommaso Crudeli (1703-1745), Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768). Varianti della poesia arcadica proseguono anche nell'Ottocento con Jacopo Vittorelli (1749-1837) e Giovanni Meli (1740-1815).<ref>Giulio Ferroni, ''Profilo storico della letteratura italiana'', Einaudi, Torino, 2001, p. 462.</ref>
#''Per acclamazione''. Riservata a cardinali, principi, viceré ed ambasciatori. Alla proposta del nome del candidato ogni Arcade dava il proprio assenso o diniego ad alta voce durante un'assemblea celebrata a porte chiuse.
#''Per annoverazione''. Riservata alle signore. Il Collegio dei Vicecustodi proponeva all'assemblea le candidate e i soci, a porte chiuse ma a voce alta, decidevano in senso favorevole o contrario.
#''Per rappresentazione''. Riservata ai giovani nobili. L'assemblea delegava una commissione ristretta che la rappresentasse e decidesse al suo posto sull'ammissione o meno dei candidati.
#''Per surrogazione''. Riservata a tutti gli altri. Per sostituire i posti lasciati vacanti, per morte o malattia, da altri Arcadi l'assemblea decideva sugli aspiranti ma a scrutinio segreto.
#''Per destinazione''. Ad integrazione della precedente. Essendo difficile tenere il conto esatto di tutti gli Arcadi che venivano a mancare, per non escludere troppo a lungo personaggi anche di spicco, con voto segreto dell'assemblea, si dava il via libera all'associazione di nuovi membri assegnando loro anche un nome arcadico. Coloro che venivano nominati in questo modo divenivano membri effettivi, cioè potevano partecipare alle manifestazioni, solo quando il Custode, ricevuta notizia certa della scomparsa di uno dei vecchi soci, li convocava e procedeva alla nomina ufficiale.


==Diffusione della cultura arcadica==
Al momento dell'ingresso nella congrega il neofita avrebbe ricevuto dall'assemblea un nuovo nome, con cui sarebbe stato conosciuto in Arcadia. Il nome arcadico era costituito da due parti: la prima veniva assegnato con un sorteggio mentre l'epiteto seguente era scelto dal candidato, previa approvazione dell'adunanza, purché facesse riferimento o a un luogo dell'Arcadia mitologica o geografica oppure vi fosse comunque collegato.
Il programma letterario arcadico permea tutta la cultura italiana della prima metà del Settecento, tanto da portare a una serie di riforme che interessano il [[../Teatro nel Seicento|teatro]], la lirica, il [[../Librettisti|melodramma]].<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 430-431.</ref> La sua diffusione sulla penisola risponde inoltre a un progetto preciso, l'unione di tutti i letterati d'Italia. Questo contribuisce al rafforzamento dell'identità nazionale della penisola e la diffusione della cultura-anche se, come nota Petronio, avviene in un ambito ristretto della popolazione. Comporre un verso diventa una parte fondamentale della "buona educazione" e la poesia d'occasione dagli ambienti nobili si estende alla borghesia.<ref>Giuseppe Petronio, ''L'attività letteraria in Italia'', Palumbo, Palermo, 1970, p. 431.</ref>


== Altri progetti ==
== Altri progetti ==
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Versione delle 19:27, 11 ago 2014

Indice del libro

Secondo una convenzione generalmente accettata, la prima metà del Settecento viene definita «età dell'Arcadia».[1] L'Accademia dell'Arcadia viene fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni, coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia. L'Accademia è considerata non solamente una scuola di pensiero, ma un vero e proprio movimento letterario che si sviluppa e si diffonde in tutta Italia in risposta a quello che era considerato il cattivo gusto del Barocco.

Essa si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell'Arcadia, e il nome fu trovato da Taia durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale.[2] Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista è il fatto che anche la sede, una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo, sia chiamata Bosco Parrasio. I membri sono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) è scelto come protettore, mentre insegna la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino. Ogni partecipante inoltre doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.

Struttura e organizzazione

Stemma dell'Accademia

L'Accademia è una democrazia dove sovrana è l'assemblea dei membri che ha l'obbligo di riunirsi almeno due volte in inverno e una in estate. A convocarla e a presiederla è preposto un Custode, eletto, con scrutinio segreto, ogni quattro anni durante la celebrazione dei Giochi Olimpici. Il Custode deve anche nominare, tra tutti gli Arcadi che risiedono in Roma, un collegio di dodici Vicecustodi che ogni anno devono essere sostituiti per la metà. Sempre di nomina del custode sono due Sottocustodi con funzioni di cancellieri e un Vicario o Protocustode che, in caso di impedimento del facente funzioni, ha il compito di sostituirlo.

Per entrare nell'accademia, che era a numero chiuso, era necessario possedere tre requisiti fondamentali ovvero: avere minimo 24 anni[3], una reputazione e una storia personale rispettabile ed essere oggettivamente riconosciuto un esperto in una qualche area del sapere e, se uomini, è obbligatoria anche la competenza in una qualche disciplina letteraria.

Al momento dell'ingresso nella congrega il neofita riceve dall'assemblea un nuovo nome, con cui sarà conosciuto in Arcadia. Il nome arcadico è costituito da due parti: la prima viene assegnata con un sorteggio mentre l'epiteto seguente è scelto dal candidato, previa approvazione dell'adunanza, purché faccia riferimento o a un luogo dell'Arcadia mitologica o geografica oppure vi sia comunque collegato.

Programma letterario

Giovanni Mario Crescimbeni
« I fondatori, grandi uomini, della benemerita e celebre Accademia d'Arcadia ebbero per principal scopo nel prendere i nomi egli usi de' greci pastori e persino il loro calendario, di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme. Fingendosi pastori, immaginandosi di vivere nelle campagne, bandito ogni fasto, tolto fra loro ogni titolo di preminenza, studiando ne' classici greci, latini, e italiani, vennero naturalmente da sé stesse a cadere quelle ampollose metafore, que' stravolti concetti, e quello smodato lusso di erudizione, che formava la delizia non de' poeti soltanto, ma eziandio de' più applauditi oratori sagri, e su cui stoltamente si riponeva la sede del sublime e del bello.[4] »
Giovanni Vincenzo Gravina

I caratteri letterari dell'Accademia sono frutto del confronto tra due dei fondatori, Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni. Il primo vedeva nell'Accademia il centro propulsore di un rinnovamento non solo letterario, ma anche culturale. Questo ambizioso progetto era sostenuto dalla sua concezione della poesia come veicolo rivelatore di verità essenziali. Propose come modelli letterari Omero e Dante. Inoltre non gradiva gli aspetti mondani che l'Accademia stava sempre più assumendo.[2] Il programma di Crescimbeni era decisamente più moderato e puntava a una più semplice reazione al disordine barocco ripristinando il «buon gusto». Crescimbeni puntava a raggiungere un certo classicismo con una poesia chiara, regolare di matrice petrarchesca. Prevalse il programma di Crescimbeni, dal momento che anche gli altri membri avevano come obiettivo non l'elaborazione di una nuova cultura, ma una nuova poesia classicheggiante, semplice e aggraziata.

Una delle conseguenze di questo dissidio è la scissione, nel 1711, che portò alla fondazione di una Seconda Arcadia, patrocinata dagli scolari del Gravina, che tre anni dopo sarà denominata Accademia de' Quirini. Nel 1719 i due rami si ricompatteranno per omaggiare Gravina, morto l'anno prima.[5]

Dal punto di vista estetico gli scrittori dell'Arcadia sono classicisti, mentre dal punto di vista filosofico sono razionalisti e si richiamano a Cartesio.

La polemica contro il Barocco

Gia nel Seicento c'erano state delle opposizioni al marinismo e al gusto "trionfante" del Barocco, in particolare in Italia meridionale (Napoli e Cosenza) e in Lombardia. Queste tendenze mai sopite trovano infine sfogo nell'Arcadia. Alcuni dei membri fondatori dell'Accademia erano all'epoca letterati già noti, come Alessandro Guidi e Vincenzo di Filicaia e, come nota Salvatore Petronio, questo significa che «almeno in un primo momento e in alcuni scrittori, l'Arcadia comportò non una rottura netta e improvvisa con il passato, ma un suo superamento graduale».[6]

Il Bosco Parrasio, sede dell'Accademia

D'altra parte, è forte in tutti l'esigenza di superare il gusto del passato recente, e il nuovo gusto viene definito nei decenni successivi in opere come il ragionamento di Gravina sull'Endimione di Guidi (1692), l'Istoria della volgar poesia di Crescimbeni (1698), le Riflessioni sul buon gusto di Antonio Muratori. Gli arcadi tuttavia, almeno nei primi anni, non definiscono uno stile propriamente nuovo, ma piuttosto si limitavano a richiamarsi al petrarchismo di stampo rinascimentale intriso di neoplatonismo, che ai loro occhi era un modello di equilibrio e perfezione. Questo inoltre rispondeva al proposito, vivo nei membri, di ordine interiore e di ossequio alla fede della Chiesa.[7]

Il razionalismo

La rottura con il passato recente teorizzato dall'Arcadia si inserisce nel più ampio quadro della penetrazione in Europa del razionalismo cartesiano. Bisogna precisare che la sua diffusione al di fuori della Francia spesso non riguarda i suoi principi o le sue formule, bensì il suo spirito, inteso come tentativo di ricondurre il sentimento alla ragione. In questo modo perdeva di interesse l'attenzione barocca per i lati oscuri dell'animo umano e per la loro classificazione. Al contrario, viene a delinearsi un uomo ideale i cui impulsi sono equilibrati e dominati da una lucida analisi. Allo stesso modo, anche la letteratura deve essere estremamente elegante e lucida, evitando ogni complicazione di carattere psicologico e ricorrendo a una lingua semplice e immediata.[8]

Gli esiti più importanti di questi assunti si ritrovano nella poesia di Pietro Metastasio. Tra i poeti della prima generazione si ricordano Petronilla Paolini Massimi (1683-1726), Faustina Maratti Zappi (1680-1745) e il marito Giambattista Felice Zappi, Eustachio Mafredi (1674-1739). Nelle generazioni successive alla nitidezza espressiva si affianca l'attenzione per le forme esteriori della vita contemporanea, e così oltre ai temi pastorali si affacciano anche immagini tratte dalla società aristocratica, figure gradevoli ma prive di spessore che caratterizzeranno il gusto cosiddetto rococò. Tra gli autori a esso ricollegabili ci sono Paolo Rolli, Tommaso Crudeli (1703-1745), Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768). Varianti della poesia arcadica proseguono anche nell'Ottocento con Jacopo Vittorelli (1749-1837) e Giovanni Meli (1740-1815).[9]

Diffusione della cultura arcadica

Il programma letterario arcadico permea tutta la cultura italiana della prima metà del Settecento, tanto da portare a una serie di riforme che interessano il teatro, la lirica, il melodramma.[10] La sua diffusione sulla penisola risponde inoltre a un progetto preciso, l'unione di tutti i letterati d'Italia. Questo contribuisce al rafforzamento dell'identità nazionale della penisola e la diffusione della cultura-anche se, come nota Petronio, avviene in un ambito ristretto della popolazione. Comporre un verso diventa una parte fondamentale della "buona educazione" e la poesia d'occasione dagli ambienti nobili si estende alla borghesia.[11]

Altri progetti

Note

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 427.
  2. 2,0 2,1 "Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol. I, pag.321-323
  3. Vi furono comunque delle eccezioni in caso di giovani di grande talento, ad esempio Giulio Carlo Fagnani (1682-1766), matematico e poeta, entrato in Arcadia a soli sedici anni (Giuseppe Mamiani, Elogi storici di Federico Commandino, G. Ubaldo del Monte, Giulio Carlo Fagnani, Pesaro, Nobili, 1828, p. 95).
  4. Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1852, Vol. LIV, pag. 7
  5. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 429.
  6. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 428.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 429.
  8. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 430.
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 2001, p. 462.
  10. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 430-431.
  11. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo, 1970, p. 431.