Storia della letteratura italiana/Crepuscolarismo: differenze tra le versioni

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Il 1º settembre 1910 apparve sul quotidiano ''La Stampa'' una recensione del critico Giuseppe Antonio Borgese alle liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves, dal titolo "Poesia crepuscolare". La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese,<ref name=Borgese>da Antonio Pimlex Borgese, ''La Stampa'' del 1º settembre 1910, "Poesia crepuscolare"</ref> "di non aver nulla da dire e da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così a essere usato dalla critica per delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi forma di poesia eroica o sublime. Con questa metafora Borgese voleva indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegneva in un «mite e lunghissimo crepuscolo»<ref name= Borgese /> dopo il mattino (Dante, Petrarca, Boccaccio), il mezzodì (Boiardo, Ariosto, Tasso), il primo meriggio (Goldoni, Parini, Alfieri) e il vespro (Foscolo, Manzoni, Leopardi).
Il 1º settembre 1910 apparve sul quotidiano ''La Stampa'' una recensione del critico Giuseppe Antonio Borgese alle liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves, dal titolo "Poesia crepuscolare". La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese,<ref name=Borgese>da Antonio Pimlex Borgese, ''La Stampa'' del 1º settembre 1910, "Poesia crepuscolare"</ref> "di non aver nulla da dire e da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così a essere usato dalla critica per delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi forma di poesia eroica o sublime. Con questa metafora Borgese voleva indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegneva in un «mite e lunghissimo crepuscolo»<ref name= Borgese /> dopo il mattino (Dante, Petrarca, Boccaccio), il mezzodì (Boiardo, Ariosto, Tasso), il primo meriggio (Goldoni, Parini, Alfieri) e il vespro (Foscolo, Manzoni, Leopardi).



Versione delle 12:04, 13 ago 2014

Indice del libro
Storia della letteratura italiana

Il 1º settembre 1910 apparve sul quotidiano La Stampa una recensione del critico Giuseppe Antonio Borgese alle liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves, dal titolo "Poesia crepuscolare". La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borgese,[1] "di non aver nulla da dire e da fare". Il termine "crepuscolare" cominciò così a essere usato dalla critica per delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi forma di poesia eroica o sublime. Con questa metafora Borgese voleva indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegneva in un «mite e lunghissimo crepuscolo»[1] dopo il mattino (Dante, Petrarca, Boccaccio), il mezzodì (Boiardo, Ariosto, Tasso), il primo meriggio (Goldoni, Parini, Alfieri) e il vespro (Foscolo, Manzoni, Leopardi).

Negli stessi anni in cui si diffondeva uno spirito di rivolta fondato sul vitalismo e sull'individualismo, propenso a vedere nell'intellettuale e nello scrittore il protagonista della storia e il creatore delle forze dell'avvenire, si sviluppano esperienze poetiche differenti, che svalutano la funzione del poeta e l'idea che la sua opera in linea con i grandi disegni della collettività. Queste esperienze partono da un rifiuto totale della poesia intesa come impegno sociale, civile e pubblico quale era stato affermato, seppure in modi differenti, da Giosuè Carducci, Gabriele D'Annunzio e Giovanni Pascoli. I crepuscolari si rifanno a Pascoli e al D'Annunzio del Poema paradisiaco, e risentono dell'influsso di Paul Verlaine e di poeti decadenti fiamminghi e francesi come Maurice Maeterlinck e Jules Laforgue. Hanno ormai preso coscienza del logoramento della tradizione classica, ma vi rimangono comunque fedeli.

Caratteristiche

Gli aspetti più banali della vita, privi di ogni ornamento e liberi dal peso della tradizione, sono accomunati dal bisogno di compianto e di confessione, dal rimpianto per i valori tradizionali persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione ma cerca solamente tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell'anima in cui rifugiarsi. Inoltre, i crepuscolari rifiutano la poetica celebrativa di Carducci e l'esasperato estetismo di D' Annunzio.

Uno dei primi crepuscolari, Corrado Govoni, in una lettera del 1904 inviata all'amico Gian Pietro Lucini, offre un esempio dei temi di questa poesia:

« Ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, i canti d’amore cantati dai vecchi nelle osterie, le preghiere delle suore, i mendichi pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni melanconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campane magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano sugli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l’erba; tutte le cose tristi della religione, le cose tristi dell’amore, le cose tristi del lavoro, le cose tristi delle miserie. »

A questi contenuti corrisponde una coerente scelta linguistica. I crepuscolari tendono a ridurre la poesia a prosa e cercano un verso che, pur mantenendo il ritmo poetico, rompa con la metrica tradizionale e rimanga nell'ambito della prosa. Questo desiderio di un linguaggio prosastico e privo di ogni forma aulica e classicistica conduce alla piena affermazione del verso libero.

Principali autori

Tra il 1899 e il 1904 nascono i primi testi crepuscolari a opera di un gruppo romano raccolto intorno a Tito Marrone, a Corrado Govoni e a Sergio Corazzini, mentre, contemporaneamente, comincia a produrre un gruppo torinese che ha come maggiore esponente Guido Gozzano. Oltre a questi gruppi operano altri autori, come Fausto Maria Martini, Marino Moretti e per un certo periodo Aldo Palazzeschi.

DI seguito si riporta l'elenco cronologico delle opere dei poeti crepuscolari ricostruito da Giuseppe Farinelli:[2]

  • 1899: Cesellature di Tito Marrone.
  • 1901: Le gemme e gli spettri e Le rime del commiato di Tito Marrone.
  • 1903: Le fiale e Armonia in grigio et in silenzio di Corrado Govoni; Tutti li angioli piangeranno di Giulio Gianelli.
  • 1904: Liriche di Tito Marrone; Mentre l'esilio dura di Giulio Gianelli; Dolcezze di Sergio Corazzini.
  • 1905: Fuochi d'artifizio di Corrado Govoni; L'amaro calice e Le aureole di Sergio Corazzini; Fraternità di Marino Moretti; I cavalli bianchi di Aldo Palazzeschi.
  • 1906: Piccolo libro inutile e Libro per la sera della domenica di Sergio Corazzini; Le piccole foglie morte di Fausto Maria Martini.
  • 1907: Gli aborti di Corrado Govoni; Panem nostrum di Fausto Maria Martini; Lanterna di Aldo Palazzeschi; La via del rifugio di Guido Gozzano; La rinunzia e Un giorno di Carlo Vallini.
  • 1908: Intimi vangeli di Giulio Gianelli; La serenata delle zanzare di Marino Moretti.
  • 1909: Liriche di Sergio Corazzini; Poemi di Aldo Palazzeschi; Canti brevi di Nino Oxilia.
  • 1910: Poesie provinciali di Fausto Maria Martini; Poesie scritte col lapis di Marino Moretti; Sogno e ironia di Carlo Chiaves; L'incendiario di Aldo Palazzeschi.
  • 1911: Poesie elettriche di Corrado Govoni; Poesie di tutti i giorni di Marino Moretti; I colloqui di Guido Gozzano.
  • 1913: L'incendiario II di Aldo Palazzeschi.
  • 1915: L'inaugurazione della primavera di Corrado Govoni; Il giardino dei frutti di Marino Moretti.
  • 1918: Gli orti di Nino Oxilia.

A questo elenco occorre aggiungere Carnascialate. Poemi provinciali. Favole e fiabe, una raccolta inedita di Tito Marrone, raccolta che coaduna composizioni in parte pubblicate su riviste tra il 1903 e il 1908.

Altri progetti

Note

  1. 1,0 1,1 da Antonio Pimlex Borgese, La Stampa del 1º settembre 1910, "Poesia crepuscolare"
  2. Giuseppe Farinelli Perché tu mi dici poeta?, Storia e poesia del movimento crepuscolare, Carocci, Roma 2005, pag. 33