Guida maimonidea/Meditazione logica: differenze tra le versioni

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[[File:Measure of men.jpg|thumb|300px|left|Maimonide insegna la "misura dell'uomo",<ref>"In confronto alla terra e all'universo, gli uomini sono infinitamente piccoli" (''Moreh Nevukhim'').</ref> in una pagina miniata della ''Guida dei perplessi'' (edizione del 1347)]]
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{{q|''Sappi... che quando tu distogli il pensiero dal Signore, sia pure per dedicarti a quanto ti è necessario per vivere, tu interrompi il contatto con Lui e con Lui non sei più né Lui è più con te, perché il legame che c'è tra di voi in quel momento cessa. Per questo gli uomini pii furono su ciò particolarmente severi, concedendosi poco tempo da dedicare ad altro che al Signore;... e anche David dice:'' Io ho posto sempre il Signore davanti a me ([[w:Salmi|Salmo 16:8]])|''Moreh Nevukhim'' III, 51<ref>Si veda anche David Kimhi, ''Commento ai Salmi'', Città Nuova, 1991, p. 153 n. 6.</ref>}}


L'impulso di conoscere Dio aveva pervaso Maimonide sin da giovane.<ref>Questo capitolo è propedeutico al [[Guida maimonidea/Guida dei Perplessi|capitolo 8]] della seconda parte ''[[Guida maimonidea/Rinuncia e compimento|Rinuncia e compimento]]''. Si cerca qui di rendere il processo mentale invece del pensiero cristallizzato di Maimonide, l'atto di contemplazione invece dei suoi risultati, seguendo anche l'impostazione data dal Abraham Joshua Heschel nel suo ''Maimonides'' (''cit.'', 1982). Tale sistema, che dovrebbe in genere essere utilizzato nel presentare la filosofia medievale, si adatta in modo particolare al modo di pensare di Maimonide in origine, anche se trascura le convenzioni di attività intellettuale e di stile di scrittura del Medioevo. Cfr. anche Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in ''The Guide of the Perplexed'': The Interpretation in the Past and Present", ''Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought'', Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.)</ref> Il pensiero, la riflessione, e la concentrazione della sua mente su questo più alto tra tutti i problemi aveva determinato il suo comportamento spirituale ed intellettuale in tutte le fasi della sua vita.<ref name="Ravi1">Nei successivi paragrafi ed in base al testo primario di ''Moreh Nevukhim'', si sono consultate anche le seguenti fonti secondarie: Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in ''The Guide of the Perplexed'': The Interpretation in the Past and Present", ''Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought'', Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.); Shalom Rozenberg, "Biblical Interpretation in the Guide", ''Jerusalem Studies in Jewish Thought'', State University of N.Y. Press, 2000; Kenneth Seeskin, ''Searching for the Distant God: The Legacy of Maimonides'', Oxford University Press, 2000; Yair Lorberbaum, "On Allegory, Metaphor, and Symbol in ''The Guide for the Perplexed''", ''Studia Judaica'' 16, 2008, pp. 95-106.</ref>
L'impulso di conoscere Dio aveva pervaso Maimonide sin da giovane.<ref>Questo capitolo è propedeutico al [[Guida maimonidea/Guida dei Perplessi|capitolo 8]] della seconda parte ''[[Guida maimonidea/Rinuncia e compimento|Rinuncia e compimento]]''. Si cerca qui di rendere il processo mentale invece del pensiero cristallizzato di Maimonide, l'atto di contemplazione invece dei suoi risultati, seguendo anche l'impostazione data da Abraham Joshua Heschel nel suo ''Maimonides'' (''cit.'', 1982). Tale sistema, che dovrebbe in genere essere utilizzato nel presentare la filosofia medievale, si adatta in modo particolare al modo di pensare di Maimonide in origine, anche se trascura le convenzioni di attività intellettuale e di stile di scrittura del Medioevo. Cfr. anche Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in ''The Guide of the Perplexed'': The Interpretation in the Past and Present", ''Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought'', Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.)</ref> Il pensiero, la riflessione, e la concentrazione della sua mente su questo più alto tra tutti i problemi aveva determinato il suo comportamento spirituale ed intellettuale in tutte le fasi della sua vita. La sua passione per la ragione, il suo anelare quasi ingenuo, la sua ricerca e introspezione nell'intuito del mistero non si fermò mai. Tuttavia nella sua mente, che non fu mai libera da emozioni profonde, il desiderio di conoscere Dio si originava non solo dall'incertezza di sentimenti vaghi ma anche dalla necessità di pensare: tale desiderio lo condusse a scandagliare le possibilità della conoscenza metafisica.<ref name="Ravi1">Nei successivi paragrafi ed in base al testo primario di ''Moreh Nevukhim'', si sono consultate anche le seguenti fonti secondarie: Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in ''The Guide of the Perplexed'': The Interpretation in the Past and Present", ''Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought'', Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.); Shalom Rozenberg, "Biblical Interpretation in the Guide", ''Jerusalem Studies in Jewish Thought'', State University of N.Y. Press, 2000; Kenneth Seeskin, ''Searching for the Distant God: The Legacy of Maimonides'', Oxford University Press, 2000; Yair Lorberbaum, "On Allegory, Metaphor, and Symbol in ''The Guide for the Perplexed''", ''Studia Judaica'' 16, 2008, pp. 95-106.</ref>

{{q|L'uomo non deve immergersi in questo soggetto sublime e venerabile in una maniera affrettata e superficiale, senza prima familiarizzarsi con le altre scienze e con la conoscenza genuina. Deve purificare il suo carattere totalmente e attentamente, e sottomettere i suoi desideri e le passioni generate dalla sua immaginazione. Tuttavia, se conosce le vere premesse, se padroneggia i metodi di ragionamento e deduzione, se sa come guardarsi dai sofismi del pensare, allora gli può essere permesso di iniziare un'esplorazione di questo soggetto. Ma non deve, proprio all'inizio della comprensione, darne un giudizio decisivo, o dare libero sfogo alle sue idee attribuendo ai suoi pensieri il potere di comprendere Dio. Invece deve esercitare cautela e moderazione ed aspettare che le verità gli si dischiudino poco per volta. È alla luce di tale comportamento che dobbiamo interpretare il versetto: "Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio" ([[w:Libro dell'Esodo|Esodo 3:6]])|''Moreh Nevukhim'' I, 5}}

Quale tecnica di meditazione utilizzò? Maimonide continuò a chiedere alla sua ragione: Come si conosce Dio? Quali caratteristiche e qualità di Dio possono essere enunciate? "Le nostre menti sono semplicemente troppo deboli per conoscere anche soltanto l'essenza del Cielo, che è, dopo tutto, un corpo in moto. L'abbiamo misurato in spanne e cubiti e, riguardo le sue parti, siamo consci della loro misura e la maggioranza dei suoi movimenti. Sappiamo che di necessità il Cielo ha materia e forma, ma questa materia non è la stessa che noi possediamo. Quindi, non possiamo descriverla con affermazioni positive, ma solo con espressioni che non siano affermative, come: Il Cielo non è leggero né pesante, non è impressionabile o soggetto a qualsiasi influenza e pertanto non assorbe influenze, non ha sapore né odore — e altri termini negativi di tal fatta, i quali tutti sono necessari perché non conosciamo la natura di questa materia. Quale sarà quindi lo stato della nostra conoscenza quando mira a comprendere qualcosa che è immateriale, assolutamente semplice, e necessariamente esistente?" (''Moreh Nevukhim'' I, 58). Fece il seguente esempio:
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Allo stesso modo, Maimonide sperava di usare affermazioni negative per avvicinartsi alla conoscenza e al concetto di Dio.<ref name="Aheschel">Abraham Joshua Heschel, ''Maimonides'', Farrar, Straus and Giroux, 1983, pp. 157-162.</ref>

Nella sua meditazione su Dio, Maimonide prende come punto di partenza che, a parte le cose percepibili e concepibili, un essere necessariamente esistente sia presente. Di tale essere afferma che il suo non-Essere è impensabile. Poi riconosce che questo essere non esiste nello stesso modo come, per esempio, i quattro elementi, che sono corpi senza vita, e conclude: la modalità di Essere di Dio non è simile alla modalità di Essere di corpi senza vita. Poi capisce che tale essere non esiste nella stessa maniera del Cielo, che è un corpo vivente. E considera: Dio non è un corpo. Inoltre, comprende che questo essere non esiste nello stesso modo di uno degli esseri della ragione, che sono incorporei e non morti, ma sono causati. Quindi dice a se stesso: Non esiste causa che abbia prodotto Dio. Allora si rende conto che per questo essere non è abbastanza esistere per se stesso da solo ma piuttosto che da esso emanino le innumerevoli cose esistenti di questo mondo, non nel modo che il calore emana dal fuoco o la lucve dal sole, ma in modo tale che la sua agenzia dia permanenza, continuità e ordine alle cose esistenti. Capisce an che che questo essere non è impotente, ignorante, irresponsabile, e non è negligente. Inoltre, non assomiglia a nulla; e quindi conclude: È impossibile che abbia pluralità, è Uno.<ref name="Aheschel"/>


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Versione delle 22:57, 14 ott 2014

Indice del libro
Maimonide insegna la "misura dell'uomo",[1] in una pagina miniata della Guida dei perplessi (edizione del 1347)
« Sappi... che quando tu distogli il pensiero dal Signore, sia pure per dedicarti a quanto ti è necessario per vivere, tu interrompi il contatto con Lui e con Lui non sei più né Lui è più con te, perché il legame che c'è tra di voi in quel momento cessa. Per questo gli uomini pii furono su ciò particolarmente severi, concedendosi poco tempo da dedicare ad altro che al Signore;... e anche David dice: Io ho posto sempre il Signore davanti a me (Salmo 16:8»
(Moreh Nevukhim III, 51[2])

L'impulso di conoscere Dio aveva pervaso Maimonide sin da giovane.[3] Il pensiero, la riflessione, e la concentrazione della sua mente su questo più alto tra tutti i problemi aveva determinato il suo comportamento spirituale ed intellettuale in tutte le fasi della sua vita. La sua passione per la ragione, il suo anelare quasi ingenuo, la sua ricerca e introspezione nell'intuito del mistero non si fermò mai. Tuttavia nella sua mente, che non fu mai libera da emozioni profonde, il desiderio di conoscere Dio si originava non solo dall'incertezza di sentimenti vaghi ma anche dalla necessità di pensare: tale desiderio lo condusse a scandagliare le possibilità della conoscenza metafisica.[4]

« L'uomo non deve immergersi in questo soggetto sublime e venerabile in una maniera affrettata e superficiale, senza prima familiarizzarsi con le altre scienze e con la conoscenza genuina. Deve purificare il suo carattere totalmente e attentamente, e sottomettere i suoi desideri e le passioni generate dalla sua immaginazione. Tuttavia, se conosce le vere premesse, se padroneggia i metodi di ragionamento e deduzione, se sa come guardarsi dai sofismi del pensare, allora gli può essere permesso di iniziare un'esplorazione di questo soggetto. Ma non deve, proprio all'inizio della comprensione, darne un giudizio decisivo, o dare libero sfogo alle sue idee attribuendo ai suoi pensieri il potere di comprendere Dio. Invece deve esercitare cautela e moderazione ed aspettare che le verità gli si dischiudino poco per volta. È alla luce di tale comportamento che dobbiamo interpretare il versetto: "Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio" (Esodo 3:6»
(Moreh Nevukhim I, 5)

Quale tecnica di meditazione utilizzò? Maimonide continuò a chiedere alla sua ragione: Come si conosce Dio? Quali caratteristiche e qualità di Dio possono essere enunciate? "Le nostre menti sono semplicemente troppo deboli per conoscere anche soltanto l'essenza del Cielo, che è, dopo tutto, un corpo in moto. L'abbiamo misurato in spanne e cubiti e, riguardo le sue parti, siamo consci della loro misura e la maggioranza dei suoi movimenti. Sappiamo che di necessità il Cielo ha materia e forma, ma questa materia non è la stessa che noi possediamo. Quindi, non possiamo descriverla con affermazioni positive, ma solo con espressioni che non siano affermative, come: Il Cielo non è leggero né pesante, non è impressionabile o soggetto a qualsiasi influenza e pertanto non assorbe influenze, non ha sapore né odore — e altri termini negativi di tal fatta, i quali tutti sono necessari perché non conosciamo la natura di questa materia. Quale sarà quindi lo stato della nostra conoscenza quando mira a comprendere qualcosa che è immateriale, assolutamente semplice, e necessariamente esistente?" (Moreh Nevukhim I, 58). Fece il seguente esempio:

« Un uomo ha riconosciuto come vero che una "nave" esiste, tuttavia non sa a cosa applicare tale termine, se sia un essere indipendente o un incidente. Un altro uomo successivamente capisce che la nave non è un incidente. Un altro uomo ancora apprende che non è un animale, un altro uomo che non è un minerale, un altro che non è una pianta attaccata alla terra. Poi ad un altro uomo viene rivelato che non è un corpo singolo le cui parti aderiscono in maniera naturale. Un altro uomo ottiene la convinzione che non abbia una forma piartta come le tavole o le porte; l'uomo successivo scopre che non ha una forma sferica; un altro che non è appuntita; un altro che non è rotonda né equilatera; e infine un altro uomo capisce che non è una massa solida. È ora chiaro che quest'ultimo uomo, attraverso tutte queste asserzioni negative, è quais arrivato alla nozione corretta della nave com'è veramente, e in una certa misura è alla pari con l'uomo che concepisce la nave come un corpo allungato fatto di legno incavo, con molti pezzi di legno, ma che ha raggiunto tale nozione mediante asserzioni affermative. Quanto agli altri, ciascun uomo che giudica la nave è più distante dal concetto corretto che non il suo successore, cosicché il primo uomo non sa altro che il nome "nave". »
(Moreh Nevukhim I, 60)

Allo stesso modo, Maimonide sperava di usare affermazioni negative per avvicinartsi alla conoscenza e al concetto di Dio.[5]

Nella sua meditazione su Dio, Maimonide prende come punto di partenza che, a parte le cose percepibili e concepibili, un essere necessariamente esistente sia presente. Di tale essere afferma che il suo non-Essere è impensabile. Poi riconosce che questo essere non esiste nello stesso modo come, per esempio, i quattro elementi, che sono corpi senza vita, e conclude: la modalità di Essere di Dio non è simile alla modalità di Essere di corpi senza vita. Poi capisce che tale essere non esiste nella stessa maniera del Cielo, che è un corpo vivente. E considera: Dio non è un corpo. Inoltre, comprende che questo essere non esiste nello stesso modo di uno degli esseri della ragione, che sono incorporei e non morti, ma sono causati. Quindi dice a se stesso: Non esiste causa che abbia prodotto Dio. Allora si rende conto che per questo essere non è abbastanza esistere per se stesso da solo ma piuttosto che da esso emanino le innumerevoli cose esistenti di questo mondo, non nel modo che il calore emana dal fuoco o la lucve dal sole, ma in modo tale che la sua agenzia dia permanenza, continuità e ordine alle cose esistenti. Capisce an che che questo essere non è impotente, ignorante, irresponsabile, e non è negligente. Inoltre, non assomiglia a nulla; e quindi conclude: È impossibile che abbia pluralità, è Uno.[5]

Note

  1. "In confronto alla terra e all'universo, gli uomini sono infinitamente piccoli" (Moreh Nevukhim).
  2. Si veda anche David Kimhi, Commento ai Salmi, Città Nuova, 1991, p. 153 n. 6.
  3. Questo capitolo è propedeutico al capitolo 8 della seconda parte Rinuncia e compimento. Si cerca qui di rendere il processo mentale invece del pensiero cristallizzato di Maimonide, l'atto di contemplazione invece dei suoi risultati, seguendo anche l'impostazione data da Abraham Joshua Heschel nel suo Maimonides (cit., 1982). Tale sistema, che dovrebbe in genere essere utilizzato nel presentare la filosofia medievale, si adatta in modo particolare al modo di pensare di Maimonide in origine, anche se trascura le convenzioni di attività intellettuale e di stile di scrittura del Medioevo. Cfr. anche Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in The Guide of the Perplexed: The Interpretation in the Past and Present", Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought, Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.)
  4. Nei successivi paragrafi ed in base al testo primario di Moreh Nevukhim, si sono consultate anche le seguenti fonti secondarie: Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in The Guide of the Perplexed: The Interpretation in the Past and Present", Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought, Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.); Shalom Rozenberg, "Biblical Interpretation in the Guide", Jerusalem Studies in Jewish Thought, State University of N.Y. Press, 2000; Kenneth Seeskin, Searching for the Distant God: The Legacy of Maimonides, Oxford University Press, 2000; Yair Lorberbaum, "On Allegory, Metaphor, and Symbol in The Guide for the Perplexed", Studia Judaica 16, 2008, pp. 95-106.
  5. 5,0 5,1 Abraham Joshua Heschel, Maimonides, Farrar, Straus and Giroux, 1983, pp. 157-162.