Guida maimonidea/Critica del linguaggio: differenze tra le versioni

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Il conflitto tra creazione e preesistenza implica quindi uno scontro tra due differenti nozioni di perfezione. Nella versione aristotelica, la perfezione di Dio significa che l'esistenza del mondo è derivata causalmente proprio dalla presenza di Dio, senza nessun atto intenzionale. La situazione può essere paragonata a quella di un leader che non ha bisogno di alzare la voce per dare un comando, per punire, o per minacciare, così da motivare i suoi seguaci. Esercita la sua influenza semplicemente con la sua esistenza, tramite l'ispirazione fornita dalla sua presenza. La visione che afferma la creazione, in contrapposizione, vede l'espressione della perfezione di Dio nella Sua libertà totale di esercitare la Sua volontà per cambiare l'esistenza come desidera. Dietro gli sforzi tecnici dettagliati per provare o confutare l'una o l'altra posizione, vi si possono vedere riflesse impostazioni fondamentalmente diverse di potenza. Una vede la potenza come stabilità immutabile; l'altra la vede come movimento libero e costante. Nella ''Guida'', Maimonide formulò queste impostazioni alternative al concetto di Dio in termini di saggezza e volontà: la necessità causale riflette ordine strutturato e saggezza; la libertà di volontà riflette la frattura dell'ordine e della struttura e la creazione di qualcosa ''ex nihilo''.<ref name="Ivry">Alfred L. Ivry, “Maimonides on Creation”, ''Creation and the End of Days: Judaism and Scientific Cosmology'', D. Novack & N. Samuelson (curatori), pp. 185-214; ''id.'', “Maimonides on the Creation of the World”, ''Shlomo Pines Jubilee Volume'', M. Idel ''et al.'', vol. 2, pp. 115-137; Norbert Samuelson, “Maimonides’ Doctrine of Creation”, ''Harvard Theological Review'' 84, 1991, pp. 249-271.</ref>
Il conflitto tra creazione e preesistenza implica quindi uno scontro tra due differenti nozioni di perfezione. Nella versione aristotelica, la perfezione di Dio significa che l'esistenza del mondo è derivata causalmente proprio dalla presenza di Dio, senza nessun atto intenzionale. La situazione può essere paragonata a quella di un leader che non ha bisogno di alzare la voce per dare un comando, per punire, o per minacciare, così da motivare i suoi seguaci. Esercita la sua influenza semplicemente con la sua esistenza, tramite l'ispirazione fornita dalla sua presenza. La visione che afferma la creazione, in contrapposizione, vede l'espressione della perfezione di Dio nella Sua libertà totale di esercitare la Sua volontà per cambiare l'esistenza come desidera. Dietro gli sforzi tecnici dettagliati per provare o confutare l'una o l'altra posizione, vi si possono vedere riflesse impostazioni fondamentalmente diverse di potenza. Una vede la potenza come stabilità immutabile; l'altra la vede come movimento libero e costante. Nella ''Guida'', Maimonide formulò queste impostazioni alternative al concetto di Dio in termini di saggezza e volontà: la necessità causale riflette ordine strutturato e saggezza; la libertà di volontà riflette la frattura dell'ordine e della struttura e la creazione di qualcosa ''ex nihilo''.<ref name="Ivry">Alfred L. Ivry, “Maimonides on Creation”, ''Creation and the End of Days: Judaism and Scientific Cosmology'', D. Novack & N. Samuelson (curatori), pp. 185-214; ''id.'', “Maimonides on the Creation of the World”, ''Shlomo Pines Jubilee Volume'', M. Idel ''et al.'', vol. 2, pp. 115-137; Norbert Samuelson, “Maimonides’ Doctrine of Creation”, ''Harvard Theological Review'' 84, 1991, pp. 249-271.</ref>

Rifiutando la volontà divina ha conseguenze non solo sulla creazione ma anche su tutti i concetti fondamentali della fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Prima di tutto, la negazione della volontà divina mina il concetto tradizionale della profezia. La rivelazione apparentemente sembrerebbe essere un atto di volontà divina. Dio si rivela in un momento particolare con la forza della Sua volontà, esercitando la Sua autorità sull'uomo mediante un comando supremo. L'Ebraismo può sopravvivere senza il concetto di creazione, ma la propria essenza è la rivelazione, e la nozione aristotelica della divinità sembrerebbe quindi minacciare l'essenza dell'Ebraismo. Tuttavia non è solo la rivelazione che è in pericolo nello scontro tra saggezza e volontà. Nozioni fondamentali di religione biblica e tradizione ebraica — provvidenza, ricompensa e punizione, e miracoli, tra le altre cose — dipendono dal fatto che Dio abbia una personalità inclusiva di volontà, motivata e attiva, che reagisce e cambia continuamente. La divinità aristotelica, in contrasto, è interamente egocentrica, inalterabile nella sua perfezione, che muove l'Universo grazie alla sua esistenza. Non c'è quindi da meravigliarsi che la questione di preesistenza o creazione sia divenuta il problema ultimo della fede ebraica nel suo incontro con la filosofia greco-araba. Coloro che interiorizzarono la nozione filosofica della preesistenza si confrontarono con una dura decisione esistenziale rispetto alla propria identità religiosa ebraica.<ref name="Ivry"/>

Maimonide analizzò tre possibilità rispetto alla creazione. La prima, quella di Aristotele, negava che ci fosse stato un qualche evento di creazione ''ex nihilo''. Il mondo come lo conosciamo è esistito da sempre; l'universo è eterno. La seconda posizione, quella tradizionale della Torah di Mosè, afferma che Dio creò il mondo ''ex nihilo'' e che il mondo rappresenta qualcosa di nuovo. La terza posizione, attribuita a Platone, asserisce che prima della creazione del mondo esistesse una materia primordiale grezza, che Dio formò nel mondo. Riguardo al concetto del divino, è chiaro che eista una profonda tensione tra la visione di Aristotele e quella della Torah; cioè, tra un mondo eterno preesistente e un mondo creato dal nulla. L'idea platonica della creazione, tuttavia, non nega l'atto volitivo di Dio nell'imporre forma alla materia primordiale. Un ebreo devoto non avrebbe difficoltà ad assorbire tale posizione, che potrebbe persino incorporare il significato semplice del testo biblico. La problematica seria vien posta dalla posizione aristotelica, e questa riceve quindi la maggior attenzione nei capitoli della ''Guida'' che si occupano della creazione. Ed è in questi capitoli che la tensione tra la lettura coservatrice della ''Guida'' e quella radicale diventa palese.<ref name="Ivry"/>

La '''lettura conservatrice''' si basa aulle parelle espressi di Maimonide nei capitoli in cui considera la creazione e che si estendono dalla Parte I, Capitolo 71, alla Parte II, Capitolo 31. Lì egli difende l'idea della creazione come una possibilità ragionevole, rifiutando la prova di Aristotele riguardo ad un mondo preesistente. Secondo Maimonide, la ragione è limitata nella sua abilità di risolvere questa questione metafisica; néé la creazione né la preesistenza possono essere provate o confutate. Le limitazioni sorgono dal fatto che una considerazione delle origini del mondo richiede l'analisi di materie come esistono ora e il tentativo di proiettare i risultati di tale analisi nel lontano passato. Tale sorta di esperimento tuttavia può produrre solo congetture. Si presupponga, suggrisce Maimonide, che un bambino divenga orfano di madre mentre ancora infante e fosse cresciuto da un gruppo di uomini su un isola sperduta, non vedendo mai una donna, una gravidanza o una nascita. Se gli venisse detto che l'uomo nasce dall'utero di una donna, dove il feto è racchiuso in un contenitore di liquidi incapace di respirare o evacuare le proprie feci, il bambino rifiuterebbe l'idea ritenendola assurda e sosterrebbe con certezza che l'essere umano non potrebbe sopravvivere in quel tipo di situazione per nove mesi. Il difetto nel proiettare dal presente al passato si riscontra nella premessa, spesso semplicemente errata, che le cose restino le stesse. Questo argomento fondamentale proposto da Maimonide assomiglia, sebbene in direzione opposta, all'obiezione sull'induzione sostenuta da [[w:David Hume|David Hume]] centinaia di anni dopo. La nostra conoscenza del mondo si origina dalla nostra esperienza diretta dello stato attuale delle cose. Hume mette in dubbio la nostra capacità di trarre conclusioni dal presente al futuro, una situazione della quale non abbiamo esperienza. Perché possiamo assumere, per esempio, che dato che il sole è sorto stamattina lo farà anche domattina? Lo crediamo perche in tutto il corso della nostra vita abbiamo verificato l'apparizione quotidiana del sole. Ma c'è un problema in questo tipo di induzione, poiché il futuro stesso non è qualcosa che abbiamo verificato. Le nostre inferenze su ciò potrebbero metterci nella situazione dll'animale che è stato ingrassato per la macellazione: la bella vita che ha goduto lo porta ad aspettarsi che tale vita continui felicemente fino a tarda età. Maimonide cita limitazioni analoghe circa la nostra abilità di trarre conclusioni dalle nostre esperienze attuali per il passato.<ref name="Ivry"/><ref name="Creazione"/>

Inoltre, Maimonide credeva che, sebbene né la creazione né la preesistenza potessero essere provate, la creazione era nonostante tutto la più ragionevole delle due posizioni. L'astronomia medievale non poteve offrire una spiegazione plausibile del moto stellare e planetario. Se il mondo proseguiva causalmente solo dalla saggezza divina, ci si doveva aspettare che i pianeti e le stelle si muovessero in percorsi circolari regolari. Tuttavia, l'osservazione dimostra che si muovono a velocità differenti ed in direzioni differenti e sono distribuiti in tutti i cieli in gruppi alquanto arbitrari. Per spiegare queste osservazioni, l'astronomia medievale postulava svariati modi di epicicli, ma il quadro che ne risultava era complesso, confuso e sgraziato. Implicava l'esistenza nell'Universo di un elemento di libera scelta e libero arbitrio responsabile di tutto questo disordine. Di conseguenza, il mondo non consegue di necessità dal fatto che Dio esista, e la dipartita da una struttura ordinata riflette un esercizio di volontà e di intenzione deliberata. Se Maimonide avesse conosciuto le scoperte di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]] e di [[w:Giovanni Keplero|Keplero]] e della [[w:Isaac Newton|fisica newtoniana]], quasi sicuramente non avrebbe fatto quel ragionamento. L'astronomia moderna ha ovviato la complessità dei cicli e degli epicicli e offerto una struttura elegante del moto celeste che avrebbe entusiasmato i proponenti della saggezza (contro quelli della volontà). Maimonide, in ogni caso, credeva che l'idea di innovazione e creazione ''ex nihilo'', sebbene non necessaria, fosse più ragionevole dell'alternativa.<ref name="Creazione"/>

Attribuire volontà a Dio, come si è visto, sta in contrasto con la nozione aristotelica della perfezione divina, e la tensione tra quelle idee genera seri problemi metafisici. Per risolvere tali problemi, Maimonide asserisce che uno non può paragonare la "volontà" come la conosciamo in un contesto umano con la volontà divina; condividono solo il termine che le designa. La volontà divina non è causata da qualche carenza o da un motore esterno, e non implica un cambiamento nella divinità stessa. La differenza sostanziale tra l'umano ed il divino permette di attribuire a Dio la volontà senza implicare l'attribuzione di un difetto. Secondo la lettura conservatrice della ''Guida'', questa trattazione del problema della volontà divina spiega la connessione tra la Parte I, che si occupa delle limitazioni del linguaggio, ed i capitoli successivi, che considerano la creazione del mondo. La discussione del linguaggio insegna che uno non può fare delle analogie tra un fenomeno umano e la divinità.<ref name="Faur2">J. Faur, “Maimonides on Freedom and Language”, ''Helios'' 9, 1982, pp. 73-95; Arthur Hyman, “Maimonides on Religious Language”, ''Perspectives on Maimonides: Philosophical and Historical Studies'', Joel L. Kraemer (cur.), pp. 175-194; Josef Stern, “Maimonides on Language and the Science of Language”, ''Maimonides and the Sciences'', Robert S. Cohen & Hillel Levine (curatori), pp. 173-226.</ref>

La lettura scettica della ''Guida'', tuttavia, sostiene una necessità di un ulteriore e consistente sviluppo della critica del linguaggio. Se è vero che non ha senso associare attributi positivi a Dio, allora ciò vale anche per gli attributi di "volontà" e "saggezza".


==Il Concetto della Profezia==
==Il Concetto della Profezia==

Versione delle 19:59, 30 nov 2014

Indice del libro
Manoscritto yemenita della Guida dei perplessi, XIII secolo
« Il Tuo splendore è la mia oscurità. Non conosco nulla di Te e, da solo, non riesco neppure a immaginare come fare per conoscerTi. Se Ti immagino, m'inganno. Se Ti comprendo, m'illudo. Se sono consapevole e certo di conoscerTi, sono pazzo.
L'oscurità basta. »

(Thomas Merton, Dialoghi con il Silenzio)
« Inoltre, ci sono cose che la mente comprende in una parte, ma ne rimane ignorante in un'altra; e quando l'uomo è capace di comprendere certe cose, non ne consegue che debba esser capace a comprendere tutto. »
(Maimonide)

Dopo i primi settanta capitoli della Guida, che trattano in gran parte del linguaggio biblico e del linguaggio religioso in generale, Maimonide si dedica al grande e centrale problema metafisico dell'opera: il mondo fu creato ex nihilo o è esistito da tutta l'eternità, come Dio? Questa porzione dell'opera copre trentasette capitoli, andando dal Capitolo 71 della Parte I al Capitolo 31 della Parte II. È la parte più tecnica e filosofica del trattato, ma è importante notare che la discussione non intende fornire una presentazione sistematica delle posizioni filosofiche di per se stesse. Come per la prima parte del trattato, questa sezione fu scritta per dare una risposta alla crisi esistenziale della persona perplessa.[1]

La domanda a cui questi capitoli sono dedicati era la più fondamentale che avesse mai confrontato l'Ebraismo del Medioevo. La posizione che uno assumeva se il mondo fosse stato creato ex nihilo o era esistito da tutta l'eternità aveva implicazioni per i concetti basilari dell'Ebraismo nel suo complesso, e la tensione creata da questo problema metafisico è presente in tutto il resto della Guida. I vari approcci al problema della creazione si irradiano in quattro materie trattate nella seconda metà della Guida, ed il presente capitolo le esaminerà nel seguente ordine: 1) il concetto di profezia; 2) il problema del male e il fine dell'esistenza; 3) l'idea della divina provvidenza e conoscenza; 4) le ragioni dei comandamenti. Oltre a ciò, le varie interpretazioni della posizione di Maimonide sulla questione della creazione, un soggetto sul quale i suoi interpreti sono stati incerti dal Medioevo ad oggi, ci presentano le due rimanenti letture complessive della Guida (oltre alla lettura scettica e a quella mistica già discusse) — la lettura conservatrice e la lettura filosofica.

La Creazione del mondo: Lettura Conservatrice e Lettura Filosofica

Perché la questione dell'eternità del cosmo o la creazione ex nihilo divennero la domanda principale dei perplessi di quel tempo? Altri numerosi problemi, che andavano ben oltre la semplice curiosità circa le origini del mondo, dipendevano da questa domanda. La scelta tra vedute alternative sull'inizio del mondo rifletteva, in effetti, due posizioni opposte relative al concetto di divinità. L'idea tradizionale della creazione presume che in un determinato momento, la volontà di creare il mondo sorse in Dio, e per forza di tale volontà, l'Universo fu creato ex nihilo. Dalla prospettiva della filosofia aristotelica, tuttavia, attribuire volontà a Dio menoma la Sua perfezione. Ciò che è perfetto non manca di nulla e non desidera nulla, ma lo stimolo della volontà di Dio implica che Dio mancava di qualcosa — e ciò è imperfetto. Similmente, lo stimolo della volontà di Dio implica un cambiamento nella divinità, l'attualizzazione di un potenziale. Un'entità perfetta non cambia; è stabile e fissa, il motore immobile. Inoltre, se il mondo fu creato con la forza di volontà di Dio, non si può sostenere che Dio la prima causa in una concatenazione di causalità, perché sembrerebbe che ci fosse stato un qualche altro fattore che ha mosso la Sua volontà e quindi abbia agito come Primo Motore. Aristotele quindi affermava che il mondo era esistito dall'eternità e che la relazione di Dio col mondo non era quella di creatore verso creatura — come, per dire, quella di un falegname con la sedia che ha costruito. Il mondo esiste proprio a ragione del fatto che Dio esiste e non in conseguenza di un Suo volere, come l'ombra di un uomo consegue proprio dall'esistenza di quest'ultimo o la luce irradiata dal sole scaturisce dall'esistenza del sole. Di conseguenza, il mondo è eterno e dipende, in modo continuante, dall'esistenza di Dio.[1]

La posizione alternativa, che affermava la creazione del mondo ex nihilo, è anch'essa basata su una nozione della perfezione di Dio, sebbene opposta. Se la volontà non può essere attribuita a Dio, Gli viene negata una componente basilare di sovranità e potere. Dio onnipotente non ha limitazioni. Può creare ex nihilo mediante la forza della Sua volontà, e la Sua perfezione è caratterizzata dal libero esercizio della Sua volontà.[1]

Il conflitto tra creazione e preesistenza implica quindi uno scontro tra due differenti nozioni di perfezione. Nella versione aristotelica, la perfezione di Dio significa che l'esistenza del mondo è derivata causalmente proprio dalla presenza di Dio, senza nessun atto intenzionale. La situazione può essere paragonata a quella di un leader che non ha bisogno di alzare la voce per dare un comando, per punire, o per minacciare, così da motivare i suoi seguaci. Esercita la sua influenza semplicemente con la sua esistenza, tramite l'ispirazione fornita dalla sua presenza. La visione che afferma la creazione, in contrapposizione, vede l'espressione della perfezione di Dio nella Sua libertà totale di esercitare la Sua volontà per cambiare l'esistenza come desidera. Dietro gli sforzi tecnici dettagliati per provare o confutare l'una o l'altra posizione, vi si possono vedere riflesse impostazioni fondamentalmente diverse di potenza. Una vede la potenza come stabilità immutabile; l'altra la vede come movimento libero e costante. Nella Guida, Maimonide formulò queste impostazioni alternative al concetto di Dio in termini di saggezza e volontà: la necessità causale riflette ordine strutturato e saggezza; la libertà di volontà riflette la frattura dell'ordine e della struttura e la creazione di qualcosa ex nihilo.[2]

Rifiutando la volontà divina ha conseguenze non solo sulla creazione ma anche su tutti i concetti fondamentali della fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Prima di tutto, la negazione della volontà divina mina il concetto tradizionale della profezia. La rivelazione apparentemente sembrerebbe essere un atto di volontà divina. Dio si rivela in un momento particolare con la forza della Sua volontà, esercitando la Sua autorità sull'uomo mediante un comando supremo. L'Ebraismo può sopravvivere senza il concetto di creazione, ma la propria essenza è la rivelazione, e la nozione aristotelica della divinità sembrerebbe quindi minacciare l'essenza dell'Ebraismo. Tuttavia non è solo la rivelazione che è in pericolo nello scontro tra saggezza e volontà. Nozioni fondamentali di religione biblica e tradizione ebraica — provvidenza, ricompensa e punizione, e miracoli, tra le altre cose — dipendono dal fatto che Dio abbia una personalità inclusiva di volontà, motivata e attiva, che reagisce e cambia continuamente. La divinità aristotelica, in contrasto, è interamente egocentrica, inalterabile nella sua perfezione, che muove l'Universo grazie alla sua esistenza. Non c'è quindi da meravigliarsi che la questione di preesistenza o creazione sia divenuta il problema ultimo della fede ebraica nel suo incontro con la filosofia greco-araba. Coloro che interiorizzarono la nozione filosofica della preesistenza si confrontarono con una dura decisione esistenziale rispetto alla propria identità religiosa ebraica.[2]

Maimonide analizzò tre possibilità rispetto alla creazione. La prima, quella di Aristotele, negava che ci fosse stato un qualche evento di creazione ex nihilo. Il mondo come lo conosciamo è esistito da sempre; l'universo è eterno. La seconda posizione, quella tradizionale della Torah di Mosè, afferma che Dio creò il mondo ex nihilo e che il mondo rappresenta qualcosa di nuovo. La terza posizione, attribuita a Platone, asserisce che prima della creazione del mondo esistesse una materia primordiale grezza, che Dio formò nel mondo. Riguardo al concetto del divino, è chiaro che eista una profonda tensione tra la visione di Aristotele e quella della Torah; cioè, tra un mondo eterno preesistente e un mondo creato dal nulla. L'idea platonica della creazione, tuttavia, non nega l'atto volitivo di Dio nell'imporre forma alla materia primordiale. Un ebreo devoto non avrebbe difficoltà ad assorbire tale posizione, che potrebbe persino incorporare il significato semplice del testo biblico. La problematica seria vien posta dalla posizione aristotelica, e questa riceve quindi la maggior attenzione nei capitoli della Guida che si occupano della creazione. Ed è in questi capitoli che la tensione tra la lettura coservatrice della Guida e quella radicale diventa palese.[2]

La lettura conservatrice si basa aulle parelle espressi di Maimonide nei capitoli in cui considera la creazione e che si estendono dalla Parte I, Capitolo 71, alla Parte II, Capitolo 31. Lì egli difende l'idea della creazione come una possibilità ragionevole, rifiutando la prova di Aristotele riguardo ad un mondo preesistente. Secondo Maimonide, la ragione è limitata nella sua abilità di risolvere questa questione metafisica; néé la creazione né la preesistenza possono essere provate o confutate. Le limitazioni sorgono dal fatto che una considerazione delle origini del mondo richiede l'analisi di materie come esistono ora e il tentativo di proiettare i risultati di tale analisi nel lontano passato. Tale sorta di esperimento tuttavia può produrre solo congetture. Si presupponga, suggrisce Maimonide, che un bambino divenga orfano di madre mentre ancora infante e fosse cresciuto da un gruppo di uomini su un isola sperduta, non vedendo mai una donna, una gravidanza o una nascita. Se gli venisse detto che l'uomo nasce dall'utero di una donna, dove il feto è racchiuso in un contenitore di liquidi incapace di respirare o evacuare le proprie feci, il bambino rifiuterebbe l'idea ritenendola assurda e sosterrebbe con certezza che l'essere umano non potrebbe sopravvivere in quel tipo di situazione per nove mesi. Il difetto nel proiettare dal presente al passato si riscontra nella premessa, spesso semplicemente errata, che le cose restino le stesse. Questo argomento fondamentale proposto da Maimonide assomiglia, sebbene in direzione opposta, all'obiezione sull'induzione sostenuta da David Hume centinaia di anni dopo. La nostra conoscenza del mondo si origina dalla nostra esperienza diretta dello stato attuale delle cose. Hume mette in dubbio la nostra capacità di trarre conclusioni dal presente al futuro, una situazione della quale non abbiamo esperienza. Perché possiamo assumere, per esempio, che dato che il sole è sorto stamattina lo farà anche domattina? Lo crediamo perche in tutto il corso della nostra vita abbiamo verificato l'apparizione quotidiana del sole. Ma c'è un problema in questo tipo di induzione, poiché il futuro stesso non è qualcosa che abbiamo verificato. Le nostre inferenze su ciò potrebbero metterci nella situazione dll'animale che è stato ingrassato per la macellazione: la bella vita che ha goduto lo porta ad aspettarsi che tale vita continui felicemente fino a tarda età. Maimonide cita limitazioni analoghe circa la nostra abilità di trarre conclusioni dalle nostre esperienze attuali per il passato.[2][1]

Inoltre, Maimonide credeva che, sebbene né la creazione né la preesistenza potessero essere provate, la creazione era nonostante tutto la più ragionevole delle due posizioni. L'astronomia medievale non poteve offrire una spiegazione plausibile del moto stellare e planetario. Se il mondo proseguiva causalmente solo dalla saggezza divina, ci si doveva aspettare che i pianeti e le stelle si muovessero in percorsi circolari regolari. Tuttavia, l'osservazione dimostra che si muovono a velocità differenti ed in direzioni differenti e sono distribuiti in tutti i cieli in gruppi alquanto arbitrari. Per spiegare queste osservazioni, l'astronomia medievale postulava svariati modi di epicicli, ma il quadro che ne risultava era complesso, confuso e sgraziato. Implicava l'esistenza nell'Universo di un elemento di libera scelta e libero arbitrio responsabile di tutto questo disordine. Di conseguenza, il mondo non consegue di necessità dal fatto che Dio esista, e la dipartita da una struttura ordinata riflette un esercizio di volontà e di intenzione deliberata. Se Maimonide avesse conosciuto le scoperte di Copernico e di Keplero e della fisica newtoniana, quasi sicuramente non avrebbe fatto quel ragionamento. L'astronomia moderna ha ovviato la complessità dei cicli e degli epicicli e offerto una struttura elegante del moto celeste che avrebbe entusiasmato i proponenti della saggezza (contro quelli della volontà). Maimonide, in ogni caso, credeva che l'idea di innovazione e creazione ex nihilo, sebbene non necessaria, fosse più ragionevole dell'alternativa.[1]

Attribuire volontà a Dio, come si è visto, sta in contrasto con la nozione aristotelica della perfezione divina, e la tensione tra quelle idee genera seri problemi metafisici. Per risolvere tali problemi, Maimonide asserisce che uno non può paragonare la "volontà" come la conosciamo in un contesto umano con la volontà divina; condividono solo il termine che le designa. La volontà divina non è causata da qualche carenza o da un motore esterno, e non implica un cambiamento nella divinità stessa. La differenza sostanziale tra l'umano ed il divino permette di attribuire a Dio la volontà senza implicare l'attribuzione di un difetto. Secondo la lettura conservatrice della Guida, questa trattazione del problema della volontà divina spiega la connessione tra la Parte I, che si occupa delle limitazioni del linguaggio, ed i capitoli successivi, che considerano la creazione del mondo. La discussione del linguaggio insegna che uno non può fare delle analogie tra un fenomeno umano e la divinità.[3]

La lettura scettica della Guida, tuttavia, sostiene una necessità di un ulteriore e consistente sviluppo della critica del linguaggio. Se è vero che non ha senso associare attributi positivi a Dio, allora ciò vale anche per gli attributi di "volontà" e "saggezza".

Il Concetto della Profezia

Pagina della Guida dei perplessi in ebraico

Il Problema del Male e il Fine dell'Esistenza

La Provvidenza

Le Ragioni dei Comandamenti

Note

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 Per questa sezione si vedano in particolare Herbert Davidson, "Maimonides` Secret Position on Creation", Studies in Medieval Jewish History and Literature, Harvard University Press, 1979, pp. 16-40; Gad Freudenthal, "Maimonides on the Knowability of the Heavens and of Their Mover: Guide 2:24", Aleph 8, 2008, pp. 151-157; Sarah Klein-Brelavy, Maimonides` Interpretation of the Creation Story, Reuven Mass Press, 1988 (in ebr.); Abraham Nuriel, "Creation of the World or Eternity Accoding to Maimonides", Revealed and Hidden in Medieval Jewish Philosophy, Magnes Press, 1980, pp.25-40; Kenneth Seeskin, Maimonides: A Guide for Today's Perplexed, Behrman House, 1991, passim & ss.vv.
  2. 2,0 2,1 2,2 2,3 Alfred L. Ivry, “Maimonides on Creation”, Creation and the End of Days: Judaism and Scientific Cosmology, D. Novack & N. Samuelson (curatori), pp. 185-214; id., “Maimonides on the Creation of the World”, Shlomo Pines Jubilee Volume, M. Idel et al., vol. 2, pp. 115-137; Norbert Samuelson, “Maimonides’ Doctrine of Creation”, Harvard Theological Review 84, 1991, pp. 249-271.
  3. J. Faur, “Maimonides on Freedom and Language”, Helios 9, 1982, pp. 73-95; Arthur Hyman, “Maimonides on Religious Language”, Perspectives on Maimonides: Philosophical and Historical Studies, Joel L. Kraemer (cur.), pp. 175-194; Josef Stern, “Maimonides on Language and the Science of Language”, Maimonides and the Sciences, Robert S. Cohen & Hillel Levine (curatori), pp. 173-226.