Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Un nuovo inizio: la letteratura israeliana: differenze tra le versioni

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La poesia ebraica in ebraico deriva molta della sua potenza dal condurre un dialogo con le proprie fonti. La letteratura ebraica nel corso del tempo, col suo materiale linguistico, è stata la veste che ha ricoperto la nuova produzione; le fonti bibliche e, in parte, le [[w:letteratura rabbinica|fonti rabbiniche]] sono servite ai poeti ebrei medievali nelle loro innovazioni metriche, ricercando sia un'ispirazione religiosa sia il linguaggio appropriato per versi occasionali. Tale è stata la natura di una lingua non usata in normale conversazione, ma permeata da antiche ascendenze letterarie.<ref name="Dia"/>
La poesia ebraica in ebraico deriva molta della sua potenza dal condurre un dialogo con le proprie fonti. La letteratura ebraica nel corso del tempo, col suo materiale linguistico, è stata la veste che ha ricoperto la nuova produzione; le fonti bibliche e, in parte, le [[w:letteratura rabbinica|fonti rabbiniche]] sono servite ai poeti ebrei medievali nelle loro innovazioni metriche, ricercando sia un'ispirazione religiosa sia il linguaggio appropriato per versi occasionali. Tale è stata la natura di una lingua non usata in normale conversazione, ma permeata da antiche ascendenze letterarie.<ref name="Dia"/>


E ciò vale anche per la poesia israeliana, che usa una lingua ora parlata. L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] solo recentemente (relativamente alla sua storia) è risorto come vernacolo, e l'eco principale delle cadenze ebraiche deve originarsi dalla sua tradizione, una tradizione di storia ebraica e di liturgia ebraica. La poetica israeliana è scritta sullo sfondo di guerre recenti, dell'Olocausto europeo, di una stato di assedio continuo, di una situazione apparentemente molto cambiata che getta ombre di lato e all'indietro in somiglianze sconcertanti. Il poeta israeliano, commentando il presente, si focalizza sul proprio passato. '''[[w:Yehuda Amichai|Yehuda Amichai]]''' (1924-2000), nato a [[w:Würzburg|Würzburg]] e all'anagrafe Ludwig Pfeuffer, fa riferimento a se stesso e alla propria storia, pertanto anche alla storia degli ebrei — poiché è l'Israele in evoluzione che Amichai ha sperimentato dal 1936, all'ombra dell'Europa che lasciò con la sua famiglia. Questa svolta personale riflette anche i contorni itineranti della vita ebraica, della vecchia diaspora o, per dargli un nome religioso con connotazioni negative, dell'esilio. Emigrato per creare una storia nuova nell'Israele emergente, autodeterminante.<ref name="Amichai">Vasta è la produzione poetica, in varie lingue, di Yehuda Amichai e le opere critiche che ci si riferiscono. Per una bibliografia esauriente, che include le traduzioni, cfr. Essi Lapon-Kandeslshein, ''To Commemorate the 70th Birthday of Yehuda Amichai: A Bibliography of His Work in Translation'', Institute of the Translation of Hebrew Literature, 1994. Tra gli autori consultati, si vedano Nili Scharf Gold: Yehuda Amichai: The Making of Israel's National Poet, Brandeis University Press, 2008; [[:en:w:Yehudit Tzvik|Yehudit Tzvik]]:''Yehuda Amichai: A Selection of critical essays on his writing,'' Hakibbutz Hameuchad, 1988; [http://www.forward.com/articles/14134/ Joshua Cohen; "The Poet Who Invented Himself", ''Forwads.com'' 04/09/2008]; [http://www.poetryfoundation.org/bio/yehuda-amichai Biografia su ''Poetry Foundation'']; [http://www.uvm.edu/%7Esgutman/Amichai.htm "Yehuda Amichai's Poetry"], introduzione alla poesia di Amichai, in audio. In italiano sono state pubblicate le seguenti opere: ''La novella d'Israele'', Spirali [raccolta di novelle di: Aharon Appelfeld, Amalia Kahana-Carmon, Amos Oz, Abraham B. Yehoshua, D. Shahar, Ruth Almog, Yaakov Shabtai, Yitzhak Orpaz-Auerbach, Yitzhak Ben Ner, Yossl Birstein], 1987 ; 2000 ''Ogni uomo nasce poeta'', Di Renzo Editore, 2000; ''Poesie'', Crocetti, 2001.</ref>
E ciò vale anche per la poesia israeliana, che usa una lingua ora parlata. L'[[w:lingua ebraica|ebraico]] solo recentemente (relativamente alla sua storia) è risorto come vernacolo, e l'eco principale delle cadenze ebraiche deve originarsi dalla sua tradizione, una tradizione di storia ebraica e di liturgia ebraica. La poetica israeliana è scritta sullo sfondo di guerre recenti, dell'Olocausto europeo, di una stato di assedio continuo, di una situazione apparentemente molto cambiata che getta ombre di lato e all'indietro in somiglianze sconcertanti.<ref>Per gli stralci e le valutazioni critiche, cfr. [http://vagheggiando.blogspot.co.uk/2006/06/ebraica.html ''Hebraica''], su ''Vagheggiando''.</ref> Il poeta israeliano, commentando il presente, si focalizza sul proprio passato. '''[[w:Yehuda Amichai|Yehuda Amichai]]''' (1924-2000), nato a [[w:Würzburg|Würzburg]] e all'anagrafe Ludwig Pfeuffer, fa riferimento a se stesso e alla propria storia, pertanto anche alla storia degli ebrei — poiché è l'Israele in evoluzione che Amichai ha sperimentato dal 1936, all'ombra dell'Europa che lasciò con la sua famiglia. Questa svolta personale riflette anche i contorni itineranti della vita ebraica, della vecchia diaspora o, per dargli un nome religioso con connotazioni negative, dell'esilio. Emigrato per creare una storia nuova nell'Israele emergente, autodeterminante.<ref name="Amichai">Vasta è la produzione poetica, in varie lingue, di Yehuda Amichai e le opere critiche che ci si riferiscono. Per una bibliografia esauriente, che include le traduzioni, cfr. Essi Lapon-Kandeslshein, ''To Commemorate the 70th Birthday of Yehuda Amichai: A Bibliography of His Work in Translation'', Institute of the Translation of Hebrew Literature, 1994. Tra gli autori consultati, si vedano Nili Scharf Gold: Yehuda Amichai: The Making of Israel's National Poet, Brandeis University Press, 2008; [[:en:w:Yehudit Tzvik|Yehudit Tzvik]]:''Yehuda Amichai: A Selection of critical essays on his writing,'' Hakibbutz Hameuchad, 1988; [http://www.forward.com/articles/14134/ Joshua Cohen; "The Poet Who Invented Himself", ''Forwads.com'' 04/09/2008]; [http://www.poetryfoundation.org/bio/yehuda-amichai Biografia su ''Poetry Foundation'']; [http://www.uvm.edu/%7Esgutman/Amichai.htm "Yehuda Amichai's Poetry"], introduzione alla poesia di Amichai, in audio. In italiano sono state pubblicate le seguenti opere: ''La novella d'Israele'', Spirali [raccolta di novelle di: Aharon Appelfeld, Amalia Kahana-Carmon, Amos Oz, Abraham B. Yehoshua, D. Shahar, Ruth Almog, Yaakov Shabtai, Yitzhak Orpaz-Auerbach, Yitzhak Ben Ner, Yossl Birstein], 1987 ; ''Ogni uomo nasce poeta'', Di Renzo Editore, 2000; ''Poesie'', Crocetti, 2001.</ref>


Amichai delinea la tensione di questa situazione mediante un contrappunto costante. La sua abilità particolare, sia in poesia che in prosa, è l'accostamente inatteso di immagini disparate da sfere contrastanti. Le sue poesie di solito non si sviluppano dialetticamente o linearmente: consistono di allusioni e riquadri che indicano lo stato d'animo. La sua è un'anima divisa, attratta a volte da due poli opposti, come egli stesso dipinge tale movimento, in alto e verso il basso, al cielo dimora tradizionale di Dio, in terra verso preoccupazioni mondane. "Mi chiamano",<ref>La traduzione italiana è estemporanea, e certamente non rende l'inflessione e bellezza dell'originale.</ref> da una raccolta recente:
Amichai delinea la tensione di questa situazione mediante un contrappunto costante. La sua abilità particolare, sia in poesia che in prosa, è l'accostamente inatteso di immagini disparate da sfere contrastanti. Le sue poesie di solito non si sviluppano dialetticamente o linearmente: consistono di allusioni e riquadri che indicano lo stato d'animo. La sua è un'anima divisa, attratta a volte da due poli opposti, come egli stesso dipinge tale movimento, in alto e verso il basso, al cielo dimora tradizionale di Dio, in terra verso preoccupazioni mondane. "Mi chiamano",<ref>La traduzione italiana è estemporanea, e certamente non rende l'inflessione e bellezza dell'originale.</ref> da una raccolta recente:
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:''Come anche gli alberi, come anche le pietre<br/>
:''Come anche gli alberi, come anche le pietre<br/>
:''Il sole, la luna e le stelle.''<br/>
:''Il sole, la luna e le stelle.''<br/>

Una domanda che può e deve essere posta riguardo alle tensioni specifiche della poetica ebraica nel suo complesso e quella di Amichai in particolare è se la traduzione riesca a trasmettere l'essenza originale. Come affermava [[w:Umberto Eco|Umberto Eco]], "traduttori traditori".<ref>[http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854807334 AA.VV., ''Tradurre e comprendere. Pluralità dei linguaggi e delle culture'', Aracne, 2008.]</ref> Gran parte di questa esperienza lirica è racchiusa nella lingua ebraica, dove l'allusione della nostalgia è posta nel richiamo, dove la fede ebraica ha citazione testuale. Il successo di Amichai in altre lingue ha sicuramente confermato la possibilità. Presenta una nostalgia che è universale — una fede morta ma attiva è un'esperienza comune nel mondo d'oggi. La storia degli ebrei nel suo profilo primario è ben nota e il tipo di idioma di Amichai è familiare per il mondo contemporaneo. I ritmi sciolti del poeta, metafore audaci e echi sfuggenti riescono ad essere catturati in altre lingue.<ref name="Amichai"/> Con tutta la sua forza allusiva, la lingua è affine al "linguaggio di strada", semplice e idiomatico. Ecco una sua poesia tradotta, dal titolo "Gerusalemme porto di mare in riva all'eternità":

:''L'altura del Santuario vasta nave, piroscafo sontuoso<br/>
:''di dolci svaghi. Dagli oblo' del suo Muro Occidentale<br/>
:''occhieggiano giulivi santi in partenza. Chassidim si sbracciano<br/>
:''sulla banchina a salutare, arrivederci, urrà. Una nave<br/>
:''che attracca e salpa perpetuamente. E le transenne e i moli<br/>
:''e i poliziotti e le bandiere e l'alta alberatura delle chiese<br/>
:''e di moschee e i fumaioli di sinagoghe e le scialuppe<br/>
:''degli osanna e le colline-onde. Un suono di shofar: un'altra<br/>
:''che ha levato l'ancora. Biancovestiti marinai del Kippur<br/>
:''s'inerpicano per le scale ed il sartiame<br/>
:''di preghiere collaudate.''<br/>

:''E il mercatare, gli archi, le cupole dorate:
:''Gerusalemme è la Venezia di Dio.''<br/>

Tuttavia, l'esame di una singola breve poesia ci può dimostrare quanto sia ingannevole la somiglianza apparente della semplicità. Una delle sue prime poesie, "Geshem Bisdeh Qrav" ("Pioggia su un campo di battaglia"), presentato nella traduzione pubblicata in [[w:lingua inglese|inglese]] ("Rain on a Battlefield"), è la seguente:
:''It rains on my friends' faces,<br/>
:''On my live friends' faces,<br/>
:''Those who cover their heads with a blanket.<br/>
:''And it rains on my dead friends' faces,<br/>
:''Those who are covered by nothing.''<ref> Trad. ital.: ''Piove sui volti dei miei amici,/Sui volti dei miei amici vivi,/Che si coprono la testa con coperte./E piove sui volti dei miei amici morti,/Che non sono coperti da nulla.''</ref><br/>

L'ebraico è molto semplice e non usa parole insolite nel linguaggio di tutti i giorni. Ma le differenze della versione inglese sono molteplici nella loro dipartita dall'originale letterale. "It rains" (piove) è una locuzione comune in inglese, mentre l'ordine delle parole in ebraico è importante. "Rain falls" (pioggia cade) è l'ebraico, mentre "falls rain" (cade la pioggia) sarebbe l'uso più comune. La parola "friend" (amico) nella traduzione rappresenta l'ebraico "rea" che, come si è visto nella discussione dell'opera di Shamir, ha il significato di "vicino" o "compagno", non necessariamente un amico, o un conoscente, ma uno che condivide un destino comune. Riecheggia "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Lev. 19:18; Matt. 19:19, ecc.).<ref name="Amichai"/>


==Galleria di autori israeliani==
==Galleria di autori israeliani==

Versione delle 18:14, 28 dic 2014

Copertina di libro israeliano, dell'autore Avihai Rubin[1]

Le tendenze verso la concentrazione della letteratura ebraica in Palestina piuttosto che nella diaspora come descritta nel Capitolo 5 vennero ulteriormente confermate dalla creazione dello Stato di Israele. Uno stato sovrano con una popolazione crescente offriva una patria agli ebrei del mondo. Nel frattempo, la diaspora stava annaspando nel ritorno dall'Olocausto, che aveva in effetti distrutto il popolo ebraico d'Europa. E le due rimanenti comunità importanti stavano sparendo come entità culturali — nell'Unione Sovietica sotto la pressione di proibizioni e discriminazione, e negli Stati Uniti attraverso l'assimilazione naturale. Israele divenne l'unica fonte particolarista dell'espressione ebraica. L'ebraico era la lingua ufficiale e la letteratura ebraica veniva incoraggiata nazionalmente. La produzione di libri fece un salto in avanti, specialmente negli anni subito dopo la dichiarazione dello Stato d'indipendenza, quando la popolazione aumentò in maniera massiccia. Tra maggio 1948 e dicembre 1951 il totale d'immigrazione ammontava a 684.201 persone,[2] indicando la tendenza del mondo ebraico a cercare residenza in Israele piuttosto che altrove (sebbene anche oggi solo un quarto della popolazione ebraica mondiale risieda in Israele).[2]

Gli scrittori israeliani volevano combinare il riorientamento degli ebrei e di Israele con un nuovo spirito nella letteratura. Secondo questa visione, doveva essere di genere differente e di livello differente. Dopo tutto, la letteratura ebraica era ora l'espressione di un popolo indipendente nella propria terra, e non l'interesse di piccoli gruppi in nazioni straniere dove gli ebrei erano solo una minoranza mal tollerata. C'era ora un'unità totale, che esprimeva un interesse nazionale, non un interesse etnico o religioso specialistico nell'ambito di un più vasto complesso. C'erano quindi nuove responsabilità implicite nel fare politica e formare una prospettiva matura e onnicomprensiva. Proprio come si era assistito ad un senso di distinzione autocaratterizzante da parte degli scrittori ebrei immigrati in Palestina che desideravano differenziarsi dai propri predecessori, così anche gli scrittori israeliani si sentivano diversi dagli scrittori pre-israeliani. Volevano investire la letteratura ebraica di un carattere sabra (israeliano natio), sia di vedute che di forme d'espressione. La loro lingua scritta era anche la loro lingua parlata, e stavano sviluppandosi in una condizione di normalità nazionale.[3]

La nuova letteratura periodica rifletteva questa tendenza sia nei programmi che nei contenuti. Internamente esistevano dei disaccordi politici e letterari che avevano una percezione comune di tale letteratura come "israeliana" (sebbene in essere e funzionante prima dell'indipendenza), piuttosto che soltanto "ebraica". Anche i nomi delle riviste implicavano questa visione — si vede per esempio Alef, cioè la prima lettera dell'alfabeto ebraico, che annunciava un nuovo inizio. La prima edizione della rivista uscì a Tel Aviv nel 1949, uscendo poi ad intervalli irregolari, e serviva da arena alle interpretazioni più radicali di "israelianismo" quale entità separata dal mondo ebraico in generale. La loro ideologia veniva conosciuta popolarmente come "cananismo", ad indicare un suo risalire alla tradizione preisraelita della Terra, ed il suo focalizzarsi sulla terra piuttosto che su un particolare gruppo etnico. Era quindi un'ideologia non ebraica, ad eccezione del senso incidentale che erano gli ebrei a venire in Palestina, e a leggere e scrivere questa letteratura. Anche il Yalqut Hareim ("Lo Zaino dei Compagni") fu una rivista "pre-indipendenza" emesso intermittentemente tra il 1942 e il 1946. La seguivano e serviva da punto d'incontro per la cosiddetta generazione Palmach,[4] un gruppo pionieristico aggressivamente nazionalista ma di sinistra, collettivista, consapevolmente antifascista. Sotto il patrocinio di Moshe Shamir, sosteneva dottrine estratte dal Realismo Socialista. Non avremo, insisteva, al posto della vecchia "una letteratura ingenua, dolciastra, banale, amena, ma una che sia realistica e rivoluzionaria, una letteratura senza pietà." (Yalqut Hareim, nr. 3, 1946). Tale letteratura doveva essere non rivoluzionaria nello stile e nella tecnica, ma rivoluzionaria nel senso che era connessa al processo politico e sociale. Una terza rivista, Liqrath, di vita piuttosto breve (1952-1953), fu più esclusivamente letteraria, evitando associazioni restrittive o sopecificamente politiche. Ma anche qui, il titolo (che significa "Avanti") implica novità e potenziale invece che tradizione. Si riteneva — sotto la guida principalmente di poeti come N. Zach, M. Dor, Y. Amichai e A. Sivan — aperta a possibilità di sviluppo alla luce di necessità contemporanee. I contributori erano particolarmente giovani, di solito studenti, meno consapevolmente israeliani in senso politico, che coltivavano uno stile poetico apolitico, dove in genere predominava l'immagine.[3]

L'ideologia letteraria sovietica è percettibile indirettamente in Yalqut. Una dichiarazione di Shamir esorta ad un'esposizione totale dello scrittore al pubblico e a condividere i temi, mettendo da parte privacy e tenebre: "Non c'è altra vita al mondo che la nostra vita quotidiana, né una vita piacevole o non troppo piacevole, né dolori buoni o non troppo buoni, né belle parole, o parole non belle, istinti gradevoli o istinti sgradevoli, soggetti simpatici o antipatici. Non esiste luogo per nascondersi, né angolo oscuro nella vita dell'uomo che non richieda espressione "(Yalqut Hareim, nr. 3, 1946). Lo scrittore non è un individuo che soffre privatamente, ma una proprietà pubblica, e ha una responsabilità verso la propria generazione. Questa è la dottrina sovietica della responsabilità dello scrittore verso il pubblico, sebbene nell'Unione Sovietica il pubblico naturalmente sia rappresentato del Partito, cosicché lo scrittore deve articolare anche la linea del Partito. Lo scrittore deve inoltre esprimere una visione, cioè essere ottimista, aver fede, essere positivo, non sottomettersi alla negatività o alla disperazione. La funzione dello scrittore è di proclamare la dottrina rivoluzionaria, sionista. Il sionismo, afferma un'altra dichiarazione, rappresenta "una visione di redenzione... fede nella fratellanza delle nazioni e degli uomini" (Yalqut Hareim, nr. 4). Quale dovrebbe essere quindi il contenuto della letteratura ebraica contemporanea? Accettazione di una dottrina pionierista, senza di cui la letteratura ebraica è decadente: "Campi e strade sono l'imperativo della letteratura ebraica, e ancor di più, l'uomo nuovo ebreo, la sua risoluzione di vita." (ibid.)[3]

S. Yizhar, 1951

Alef è meno rivoluzionario sul modello sovietico, ma accetta meno la linea prevalente. Critica il Mapam (partito sionista della sinistra) e implicitamente il Yalqut, per aver accettato ciecamente la politica sovietica: "L'attaccamento di quel partito a Israele è misterioso. Perché non gli dovrebbe piacere il Bund, lavorare per un socialista ebreo altrove?" (Alef, gennaio 1950). Tra i partecipanti ad Alef figurano i poeti A. Kenan e A. Amir, che instono sul diritto di coloro che vivono nella Terra a darle la forma che preferiscono e a scegliere una qualsiasi direzione appropriata; il romanziere B. Tammuz, che pubblicò lì i suoi primi racconti; e l'ideologo principale del movimento, il poeta Y. Ratosh, che diede inizio ad una poetica ebraica di tipo orientale (sebbene egli stesso provenisse dall'Europa dell'Est. Insistettero su "Ebraismo" piuttosto che "Giudaismo" e parlarono di "un nuovo prin cipio" nell'articolo "Iniziamo da Alef" (Alef 1, 1949). Il destino della nazione doveva essere determinato dai suoi abitanti "senza riguardo a religione, comunità o origine, ed in riconoscimento del carattere del popolo che vive in Israele distinto dalla popolazione ebraica in generale". Ed in un altro articolo: "il centro dei giovani ebrei (come si facevano chiamare) vede lo Stato di Israele non come Terra Santa ma come popolo separato, come nazione sovrana, parte della più grande terra ebraica del rinascimento ebraico nel suo complesso — un rinascimento nazionale, secolare, non religioso e non confessionale." È perché la politica pubblica non è di questo colore, ma è invece esclusivista, settaria, zelante nella sua unica lealtà agli ebrei, che Alef lancia questo attacco. Assume che la natura dello stato ebraico sarà facilmente e prontamente accettata come dominante da tutti i residenti della regione. Anche le lealtà letterarie della rivista sono caratteristicamente sabra, originarie della Terra, criticando gli associamenti extraterritoriali. In particolare promuove il romanziere S. Yizhar (pseudonimo di Yizhar Smilansky, 1916–2006), e gradisce i suoi attacchi fantasiosi contro i comportamenti ebraici.[5]

Liqrat promuoveva la poesia avanguardista e imagista che Amichai, Zach, Dor, Sivan e compagnia stavano iniziando a scrivere. In fogli ciclostilati queste poesie veniva diffuse e difese da declamatori, tra cui B. Hrushowski. Il tono della rivista è meno stridente e fiducioso delle altre due, più esitante e lirico. I contenuti dei versi sono usualmente personali.[6][3]

In queste giovani riviste si nota quel settarismo di vita israeliana che provocava conflitti intestini del tipo già sperimentato da periodici ebraici precedenti. Nel complesso però caratterizzano gli interessi dei partecipanti in tutto: nella loro autopercezione come israeliani, le loro varie associazioni e visioni.[6]

Moshe Shamir, anni '50

I periodici promulganbo il programma, annuncia le dichiarazioni ideologiche e fornisce la piattaforma agli scrittori più giovani. Ma se ne possono giudicare veramente i talenti mediante i volumi pubblicati. Moshe Shamir (1921–2004) per esempio, si affermò come esponente della narrativa sabra con tre romanzi, pubblicati tra il 1947 e il 1951, cioè precisamente durante quel periodo in cui Israele stava combattendo per la propria esistenza, emergendo come Stato indipendente, e impegnandosi ad integrare un'immigrazione ebraica massiccia proveniente da tutto il mondo. L'autore aveva già annunciato il suo programma per la letteratura isrealiana: doveva rispecchiare la rivoluzione che stava avvenendo nella vita pubblica, piuttosto che la necessità di essere innovativi nella tecnica stilistica. Shamir non è innovativo, e ha prodotto tre narrazioni molto tradizionali con un eroe al centro di ognuna, una trama forte di eventi esterni, ed una moralità articolata che riflette gli assetti prevalenti nel paese. L'eroe dei romanzi di Shamir è un tipo di sabra che è diventato un cliché nel corso degli anni. Uri Cahana, in Hu Halakh Basadoth ("Camminò nei campi", 1947), è prestante, attraente, non troppo introspettivo, e si relaziona totalmente a situazioni locali in via di sviluppo, come l'agricoltura, le sicurezza e la propria maturità incombente. Crede nella responsabilità collettiva come "compagno" (titolo anche della rivista di Shamir). A differenza di suo padre Willy, che aveva scelto il kibbutz tra varie alternative, Uri non ha opzioni. Si sviluppa nella situazione in cui è nato. Israele è un dato di fatto, il kibbutz pure, una morte prematura anche possibile. L'eroe tipico di Shamir muore giovane, in un senso di necessità e accettazione del proprio ruolo. Tutte queste cose sono date per scontate.[7]

Bemo Yadaw ("Con le proprie mani", 1951) ha come protagonista suo fratello Elik, caduto nella Guerra d'indipendenza, e si apre con la frase "Elik nacque dal mare". Sebbene il contesto sia allegro, il sentimento è sincero e generalizzato. Il protagonista è nuovo in Israele, e tuttavia non ha radici altrove. Non ha più connessioni con la diaspora, con gli ebrei d'oltremare, con le loro lingue, la loro storia e i loro ambienti. Appartiene ad Israele, ma deve sopportare ostilità ed alienazione. I titoli dei romanzi di Shamir (e di altre giovani opere ebraiche contemporanee, di scrittori come Tammuz, Megged e Yizhar) sottolineano la natura fisica del corpo nel contesto del paesaggio israeliano. Elik viene dal mare, ama molto gli animali, le piante e anche i prodotti dell'ambiente in evoluzione. Così vicino è il sabra alla sua terra natia che ne diventa parte integrante. Il sentimento naturale diventa la sua ideologia. In Thahath Hashamsh ("Sotto il sole", 1950), il protagonista Aharon cerca di rapportarsi con l'amata Balfouria così come ha fatto con la sua terra. L'insistenza dell'autore nel descrivere l'ambiente dettagliatamente costituisce un'affermazione di possesso, di appartenenza. Anche la morte inevitabile sebbene prematura è un fatto molto fisico che accade "sotto il sole". In contrapposizione, (come per Hu Halakh Basadoth) si trovano il tipo-sabra Willy, padre di Uri e la sua ragazza, Mika. Costoro non sono proprio "indigeni", per quanto in un certo senso siano più ammirevoli poiché hanno scelto di venire, di rimanere e di far parte del territorio locale.[7]

Appare ovvio al lettore che tale narrativa, a modo suo, vuole sostenere una tesi. La nuova letteratura israeliana, come il nuovo eroe israeliano, è contrapposto alla vecchia letteratura ebraica e al trascorso eroe. Per la prima volta nei secoli, nei millenni, l'ebreo è a casa nella propria patria, una che deve difendere da nemici mortali con le proprie manie ed il proprio corpo. Ama la terra, la apprende, la viene a conoscere. Non è uomo di libri (non c'è tempo, e non è una necessità urgente), né un cosmopolita (appartiene qui, e solo qui). Non è un introverso, perché se si domanda troppe cose potrebbe darsi le risposte sbagliate o esprimere dubbi, quando invece ciò di cui c'è bisogno è una fredda risolutezza. Questa è la natura della rivoluzione ebraica, dove la posizione tradizionale, erudita, passiva, sradicata, deve essere invertita. Necessita un nuovo tipo di ebreo per le mutate circostanze dell'indipendenza emergente. Ecco cosa significa rivoluzione di vita, associata ad una letteratura partecipante, celebratoria, pubblica. Necessita un attitudine non nevrotica, sana, positiva. Ciò può essere assorbito anche da un uomo come Willy, a differenza di Goren nello stesso romanzo, che viveva un feconda vita interiore. Necessita, esprime la narrazione, il tipo che goda della vita pubblica e dia un esempio pubblico. La tecnica narrante è tradizionale, con la fine preannunciata nel titolo o nell'atmosfera creata all'inizio. È anche una letteratura giovane, per giovani, con giovani capacità.[7]

Il "giovane" di questa letteratura è uno dei suoi problemi. Diventava fisso in una posizione che era troppo salda per permettere divergenze successive. Un altro scrittore di prosa, tra i più virtuosi del gruppo, è il succitato S. Yizhar, la cui produzione, sebbene più sperimentale di quella di Shamir, è di prospettiva più ristretta e più limitata nello scopo. Yizhar iniziò a scrivere racconti nel 1938, pubblicando principalmente sulla rivista del poeta e giornalista Yitzhak Lamdan (1899-1954), Gilyonoth. Rispecchiano la vita del suo ambiente palestinese, la campagna, gli animali, il kibbutz. Nel 1950 produsse una raccolta di quattro racconti, Arbaah Sipurim, scritti nel corso di due-tre anni, sulla guerra a cui partecipò. Poi pubblicò un lungo romanzo, dal titolo Yemey Tziqlag ("Giorni di Ziglag, 1958), anch'esso sulla guerra, e susseguentemente un altro volume di racconti, Sipurey Mishor ("Racconti della pianura", 1964) sull'infanzia, e da allora quasi niente fino al 1992, con la pubblicazione del suo romanzo, Mikdamot ("Preliminari"), subito seguito da altri cinque volumi di prosa, sia romanzi che raccolte di racconti.[8] Tuttavia descrivere i racconti di Yizhar come storie sui kibbutz o sulla guerra o sull'infanzia, sarebbe ingannevole. Questi temi esterni lo riportano ad un unico soggetto, il conscio che riflette — il flusso di coscienza, che riflette su un dilemma morale: ritornare alla lucerna, liberare il prigioniero arabo, lasciar andare il cavallo, ecc. (tutti problemi immediati nelle sue storie). Dopo un conflitto interiore condotto attraverso un monologo, chi riflette adotta poi una linea d'azione, usualmente in accordo con le necessità del gruppo, oppure lascia aperta la situazione. Il monologo come argomento può quindi continuare nella mente del lettore.[5]

Non c'è quasi trama nelle storie di Yizhar, non importa quanto siano lunghe, né sviluppo. Sebbene avvengano dibattiti, si misurino i pro ed i contro, il protagonista non subisce una trasformazione o maturazione. Il dibattito, specie quello interiore, viene condotto in un linguaggio di una ricchezza eccezionale, e anche il tipo di osservazione è rimarchevole — chi riflette viene posto in contrasto con l'ambiente, spesso fondendosi in esso. Poi c'è il gruppo che confronta il protagonista, composto da persone insensibili, conformiste, normative. Ci sono quattro interpreti in una storia di Yizhar: l'"Io", il gruppo che fa pressioni, la vittima — forse una proiezione sentimentale delle affinità del protagonista, e la lingua, inumana ma incisa con precisione. Ambiente, flora, fauna, suoni di battaglia, conversazioni tra soldati, coscienza degli individui e, soprattutto, la consapevolezza del personaggio principale — tutto viene descritto intensamente. Ma la trama non si muove. Gira sul suo asse, e la situazione rimane in gran parte immutata, la stessa di quando inizia la storia, sebbene ora le opzioni siano state presentate esaurientemente,e l'"Io" può prendere una decisione. Tuttavia, tale decisione sarà inefficace.[5]

La guerra di indipendenza è il catalizzatore del conscio più efficace. Se i primi racconti di Yizhar si erano concentrati su un dilemma morale posto all'eroe, la guerra poteva porre tale dilemma costantemente e in forma più acuta. Nonostante la mancanza di azione, c'è una grande passione in ogni frase della prosa per stabilire il carattere preciso dell'ambiente e l'umore individuale. Ma tutti gli individui sono simili. Sono in verità aspetti del collettivo, e una volta individuati, non sono così differenti dal narrante. Come l'individuo non si sviluppa realmente e la trama non porta avanti la storia, così i personaggi non vengono separati. Abbiamo un'esposizione brillante di una situazione statica, sentita, analizzata e lasciata. Per tale ragione, l'autore è incagliato nell'adolescenza, da cui non riesce a spostarsi. Interessante è il fatto che i suoi racconti ultimi la riportino all'infanzia, e non va oltre allo "storia che non era inziata" (titolo di uno dei racconti stessi): il mondo dell'infanzia ed il mondo di verità primaria dell'autore, dove l'ego rimane esclusiovo e affranto, dove nessuno può condividere dal di fuori il dolore del narratore. Ma è vero anche l'inverso, perché l'autore non riesce ad estendere i suoi sentimenti ad altri personaggi e quindi costruire una storia che prenda in considerazione differenze e approfondimenti. L'immaginazione è stentata e lasciata pertanto a stornare una situazione che è già stata esplorata. La produzione di Yizhar è l'opera di un virtuoso "su un unica corda", come afferma il critico letterario Baruch Kurzweil.[9]

Il poeta israeliano Yehuda Amichai

La poesia ebraica in ebraico deriva molta della sua potenza dal condurre un dialogo con le proprie fonti. La letteratura ebraica nel corso del tempo, col suo materiale linguistico, è stata la veste che ha ricoperto la nuova produzione; le fonti bibliche e, in parte, le fonti rabbiniche sono servite ai poeti ebrei medievali nelle loro innovazioni metriche, ricercando sia un'ispirazione religiosa sia il linguaggio appropriato per versi occasionali. Tale è stata la natura di una lingua non usata in normale conversazione, ma permeata da antiche ascendenze letterarie.[9]

E ciò vale anche per la poesia israeliana, che usa una lingua ora parlata. L'ebraico solo recentemente (relativamente alla sua storia) è risorto come vernacolo, e l'eco principale delle cadenze ebraiche deve originarsi dalla sua tradizione, una tradizione di storia ebraica e di liturgia ebraica. La poetica israeliana è scritta sullo sfondo di guerre recenti, dell'Olocausto europeo, di una stato di assedio continuo, di una situazione apparentemente molto cambiata che getta ombre di lato e all'indietro in somiglianze sconcertanti.[10] Il poeta israeliano, commentando il presente, si focalizza sul proprio passato. Yehuda Amichai (1924-2000), nato a Würzburg e all'anagrafe Ludwig Pfeuffer, fa riferimento a se stesso e alla propria storia, pertanto anche alla storia degli ebrei — poiché è l'Israele in evoluzione che Amichai ha sperimentato dal 1936, all'ombra dell'Europa che lasciò con la sua famiglia. Questa svolta personale riflette anche i contorni itineranti della vita ebraica, della vecchia diaspora o, per dargli un nome religioso con connotazioni negative, dell'esilio. Emigrato per creare una storia nuova nell'Israele emergente, autodeterminante.[11]

Amichai delinea la tensione di questa situazione mediante un contrappunto costante. La sua abilità particolare, sia in poesia che in prosa, è l'accostamente inatteso di immagini disparate da sfere contrastanti. Le sue poesie di solito non si sviluppano dialetticamente o linearmente: consistono di allusioni e riquadri che indicano lo stato d'animo. La sua è un'anima divisa, attratta a volte da due poli opposti, come egli stesso dipinge tale movimento, in alto e verso il basso, al cielo dimora tradizionale di Dio, in terra verso preoccupazioni mondane. "Mi chiamano",[12] da una raccolta recente:

Taxi giù
E angeli su
Sono impazienti.
Allo stesso tempo
Mi chiamano
Con voce terribile.
Sto venendo, sto
Venendo,
Vengo giù,
Vengo su!

Luogo comune nell'opera di Amichai è la vicinanza del meccanico moderno con lo spirituale antico, entrambi al centro dell'attenzione narrante. Usando un'immagine di tale tipo per catturare gli effetti della morte "reale" del padre in narrazione (dal racconto Morte di mio padre in Baruah Hanoraah Hazoth), scrive: "Una volta si chiamava Dio in aiuto, ora si chiama un taxi". Poi declama:

Dio è coricato supino sotto il mondo
Sempre impegnato in riparazioni, sempre qualcosa si guasta
Avrei voluto vederlo per intero ma vedo
Solo la suola delle sue scarpe e piango

E in una poesia, "Laem" ("Alla madre"), paragona la duplice funzione della madre alle due braccia di un mulino a vento protese verso l'alto in preghiera, "piangendo al cielo", e due verso il basso per cucinare "preparando le porzioni" (Shirim, Poesie). Forse la fonte principale della grande popolarità di Amichai, e affermazione della centralità dei suoi versi sulla scena letteraria israeliana, è il colore drammatico col quale ha rivestito questo tema; l'effetto di un passato funzionalmente morto ma non troppo distante su un presente che è stato modellato da tale passato. Amichai quindi può rappresentare l'esperienza collettiva di una generazione attraverso la propria vita che ci offre nei suoi scritti. Il passato non è forse più vitale nel suo senso originale, ma morde ancora, anche se con una presa differente. Dio è morto? Beh, sì, forse lo è, ma il suo cadavere è ancora con noi. In un'altra breve poesia, "Il Destino di Dio" (dalla raccolta in inglese Selected Poems, 1971), scrive:

Il destino di Dio
È ora
Il destino di alberi pietre sole e luna
Che smisero di adorare
Quando iniziarono a credere in Dio.
Ma Egli è costretto a rimanere con noi
Come anche gli alberi, come anche le pietre
Il sole, la luna e le stelle.

Una domanda che può e deve essere posta riguardo alle tensioni specifiche della poetica ebraica nel suo complesso e quella di Amichai in particolare è se la traduzione riesca a trasmettere l'essenza originale. Come affermava Umberto Eco, "traduttori traditori".[13] Gran parte di questa esperienza lirica è racchiusa nella lingua ebraica, dove l'allusione della nostalgia è posta nel richiamo, dove la fede ebraica ha citazione testuale. Il successo di Amichai in altre lingue ha sicuramente confermato la possibilità. Presenta una nostalgia che è universale — una fede morta ma attiva è un'esperienza comune nel mondo d'oggi. La storia degli ebrei nel suo profilo primario è ben nota e il tipo di idioma di Amichai è familiare per il mondo contemporaneo. I ritmi sciolti del poeta, metafore audaci e echi sfuggenti riescono ad essere catturati in altre lingue.[11] Con tutta la sua forza allusiva, la lingua è affine al "linguaggio di strada", semplice e idiomatico. Ecco una sua poesia tradotta, dal titolo "Gerusalemme porto di mare in riva all'eternità":

L'altura del Santuario vasta nave, piroscafo sontuoso
di dolci svaghi. Dagli oblo' del suo Muro Occidentale
occhieggiano giulivi santi in partenza. Chassidim si sbracciano
sulla banchina a salutare, arrivederci, urrà. Una nave
che attracca e salpa perpetuamente. E le transenne e i moli
e i poliziotti e le bandiere e l'alta alberatura delle chiese
e di moschee e i fumaioli di sinagoghe e le scialuppe
degli osanna e le colline-onde. Un suono di shofar: un'altra
che ha levato l'ancora. Biancovestiti marinai del Kippur
s'inerpicano per le scale ed il sartiame
di preghiere collaudate.
E il mercatare, gli archi, le cupole dorate:
Gerusalemme è la Venezia di Dio.

Tuttavia, l'esame di una singola breve poesia ci può dimostrare quanto sia ingannevole la somiglianza apparente della semplicità. Una delle sue prime poesie, "Geshem Bisdeh Qrav" ("Pioggia su un campo di battaglia"), presentato nella traduzione pubblicata in inglese ("Rain on a Battlefield"), è la seguente:

It rains on my friends' faces,
On my live friends' faces,
Those who cover their heads with a blanket.
And it rains on my dead friends' faces,
Those who are covered by nothing.[14]

L'ebraico è molto semplice e non usa parole insolite nel linguaggio di tutti i giorni. Ma le differenze della versione inglese sono molteplici nella loro dipartita dall'originale letterale. "It rains" (piove) è una locuzione comune in inglese, mentre l'ordine delle parole in ebraico è importante. "Rain falls" (pioggia cade) è l'ebraico, mentre "falls rain" (cade la pioggia) sarebbe l'uso più comune. La parola "friend" (amico) nella traduzione rappresenta l'ebraico "rea" che, come si è visto nella discussione dell'opera di Shamir, ha il significato di "vicino" o "compagno", non necessariamente un amico, o un conoscente, ma uno che condivide un destino comune. Riecheggia "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Lev. 19:18; Matt. 19:19, ecc.).[11]

Galleria di autori israeliani

Note

  1. כריכתו של הספר "אהבה אחת ושתי תקופות חיים של בדידות" של אביחי רובין
  2. 2,0 2,1 Encyclopaedia Judaica, "Jewish Demography" - popolazione ebraica mondiale, cifre e distribuzione.
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 Per questa sezione si sono consultati, int. al., i seguenti autori: Risa Domb, Identity and Modern Israeli Literature, Vallentine Mitchell & Co Ltd, 2005; Ammiel Alcalay, Keys to the Garden: Israeli Writing in the Middle East, City Lights Books, 1996; David Derovan, Israeli Culture in Perspective, Mitchell Lane Publishers, 2014; Dvir Abramovich, Back to the Future: Israeli Literature of the 1980s and 1990s, Cambridge Scholars Publishing, 2011; Runo Isaksen, Literature and War: Conversations with Israeli and Palestinian Writers, Olive Branch Press, 2008; Shai Ginsburg, Rhetoric and Nation: The Formation of Hebrew National Culture, 1880-1990, Syracuse University Press, 2014, passim.
  4. Il Palmach (in ebraico פלמ"ח, abbreviazione di פלוגות מחץ Plugot Maḥaṣ [pluˈgɔːt ma’χaːts] "compagnie d'attacco"), era la forza di combattimento regolare degli Yishuv (insediamenti ebraici) nella Palestina britannica, prima della fondazione dello stato di Israele. Sezione paramilitare della Haganah, il Palmach fu costituito il 15 (o il 19) maggio del 1941 col fine di curare l'addestramento dei giovani. Forza inizialmente dalla ridotta consistenza, l'anno appena prima della guerra del 1948 essa arrivò a contare tre (secondo altre fonti cinque) brigate, oltre a reparti di supporto aerei, navali e di intelligence, per un totale di circa 2.000 uomini. Il Palmach contribuì in modo significativo alla cultura e all'ethos d'Israele, al di là del suo indubbio contributo militare. I suoi membri formarono per molti anni la spina dorsale dell'Alto Comando delle Forze di Difesa Israeliane per diventare in seguito importanti uomini politici e di cultura. Cfr. The Palmach—Its Warriors and Operation, di Uri Brener, ediz. speciale per la Conferenza Nazionale Palmach, 1978.
  5. 5,0 5,1 5,2 Vita e Opere di S. Yizhar presso la Jewish Virtual Library; Elisha Porat, "From the Edge of the North to the Edge of the Negev", saggio sulle fonti delle opere di S. Yizhar, al sito Literatura (in ebr.); Joseph Galron-Goldschläger (cur.), "S. Yizhar", in Modern Hebrew Literature: a Bio-Bibliographical Lexicon (in ebr.); "S. Yizhar", bibliografia all'Institute for Translation of Hebrew Literature; "Yizhar Smilansky" su Guardian, necrologio scritto da Lawrence Joffe, 24/08/2006; Stralcio in ingl. del romanzo autobiografico Preliminaries; Khirbet Khizeh, trad. ingl.
  6. 6,0 6,1 B. Hrushowski, Poetics Today, Schenkman Publishing Company, Vol. 2, nr. 3, 1981, pp. 39-44; id., Papers On Poetics And Semiotics No. 4, Israeli Institute For Poetics & Semiotics, 1976, pp. 36-60.
  7. 7,0 7,1 7,2 Per testi e bibliografie di Moshe Shamir, cfr. "Moshe Shamir", Institute for Translation of Hebrew Literature; "Moshe Shamir", Knesset, membri parlamentari; "Moshe Shamir", Jewish Virtual Library.
  8. Tra questi ultimi racconti di Yizhar, si annoverano Tsalhavim, Etsel Ha-Yam ("In mare"), Tsedadiyim ("Marginali") e Malkomyah Yefehfiyah ("Bella Malcolmia"). Il suo ultimo libro, Gilui Eliahu ("Scoprendo Elia"), ambientato nel periodo della Guerra del Kippur, fu pubblicato nel 1999 e adattato per il teatro. Il dramma ha vinto il Primo Premio al Festival di Acco ("Acco Festival of Alternative Israeli Theatre") nel 2001.
  9. 9,0 9,1 James S. Diamond, Barukh Kurzweil and modern Hebrew literature, Calif. Scholars Pr. Brown Judaic Studies, 1983; David G.Roskies Roskies, Modern Jewish Literature, in Jack Wertheimer (a cura di), The Modern Jewish Experience: a Reader's Guide, NYU Press, 1993.p. 214.
  10. Per gli stralci e le valutazioni critiche, cfr. Hebraica, su Vagheggiando.
  11. 11,0 11,1 11,2 Vasta è la produzione poetica, in varie lingue, di Yehuda Amichai e le opere critiche che ci si riferiscono. Per una bibliografia esauriente, che include le traduzioni, cfr. Essi Lapon-Kandeslshein, To Commemorate the 70th Birthday of Yehuda Amichai: A Bibliography of His Work in Translation, Institute of the Translation of Hebrew Literature, 1994. Tra gli autori consultati, si vedano Nili Scharf Gold: Yehuda Amichai: The Making of Israel's National Poet, Brandeis University Press, 2008; Yehudit Tzvik:Yehuda Amichai: A Selection of critical essays on his writing, Hakibbutz Hameuchad, 1988; Joshua Cohen; "The Poet Who Invented Himself", Forwads.com 04/09/2008; Biografia su Poetry Foundation; "Yehuda Amichai's Poetry", introduzione alla poesia di Amichai, in audio. In italiano sono state pubblicate le seguenti opere: La novella d'Israele, Spirali [raccolta di novelle di: Aharon Appelfeld, Amalia Kahana-Carmon, Amos Oz, Abraham B. Yehoshua, D. Shahar, Ruth Almog, Yaakov Shabtai, Yitzhak Orpaz-Auerbach, Yitzhak Ben Ner, Yossl Birstein], 1987 ; Ogni uomo nasce poeta, Di Renzo Editore, 2000; Poesie, Crocetti, 2001.
  12. La traduzione italiana è estemporanea, e certamente non rende l'inflessione e bellezza dell'originale.
  13. AA.VV., Tradurre e comprendere. Pluralità dei linguaggi e delle culture, Aracne, 2008.
  14. Trad. ital.: Piove sui volti dei miei amici,/Sui volti dei miei amici vivi,/Che si coprono la testa con coperte./E piove sui volti dei miei amici morti,/Che non sono coperti da nulla.