Latino/Vocativo: differenze tra le versioni
mNessun oggetto della modifica |
mNessun oggetto della modifica |
||
Riga 1: | Riga 1: | ||
{{Latino}} |
{{Latino}} |
||
{{latino/Grammatica}} |
|||
Il caso '''vocativo''' (dal verbo '''''vocare''''': «chiamare, rivolgersi a») indica la persona o la cosa cui si rivolge un discorso diretto. |
Il caso '''vocativo''' (dal verbo '''''vocare''''': «chiamare, rivolgersi a») indica la persona o la cosa cui si rivolge un discorso diretto. |
Versione attuale delle 14:54, 25 giu 2017
Il caso vocativo (dal verbo vocare: «chiamare, rivolgersi a») indica la persona o la cosa cui si rivolge un discorso diretto.
Morfologicamente è identico al nominativo, eccezion fatta per il singolare dei nomi in -us della 2^ declinazione che al vocativo presentano la desinenza -e; di conseguenza, il nominativo, accusativo e vocativo dei nomi neutri sono omografi.
In genere il vocativo è isolato dal resto della frase con l'apposizione di una o più virgole; può essere introdotto da interiezioni come o, heu, heus, eheu, pro, io, etc., che non raramente possono introdurre un accusativo esclamativo (O me miserum!: «Oh me infelice!»).
Gli attributi e le apposizioni, riferite al nome in caso vocativo, generalmente concordano in numero, genere e caso. Così, ad esempio:
- Ave, Maxime, prime meorum propinquorum.: «Salute, o Massimo, primo dei miei parenti».
Osservazioni[modifica]
- Il sostantivo populus (singolare collettivo) difetta di vocativo; al suo posto si utilizzano vocativi plurali come cives, homines, Quirites, etc.
- In poesia e in latino arcaico non sono rari i nominativi utilizzati al posto di vocativi.
- [...] Equitem Messapus in armis, / et cum fratre, Coras, latis diffundite campis. (Virgilio, Eneide XI, vv. 464–65)