Torah per sempre/Joseph Dov Soloveitchik e la Torah a priori: differenze tra le versioni

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==L'Ermeneutica della "Torah"==
==L'Ermeneutica della "Torah"==
In Brisk, Berlino e Boston, Soloveitchik venne a contatto con tre culture molto differenti, ognuna delle quali, una volta assobita, rimase con lui per tutta la vita. Le sue opere halakhiche, filosofiche ed omiletiche, la sua oratoria quanto le sue opere letterarie, sono ricchi campi intertestuali in cui la tradizione rabbinica lituana con la sua intertestualità interna si intreccia con filosofia, scienza, cultura generale e storia ebraica presente e passata. [[w:Hans-Georg Gadamer|Hans-Georg Gadamer]] osservò: "La riflessione ermeneutica si limita ad aprire nuove possibilità di conoscenza che non verrebbero percepite senza di essa. Di per se stessa non offre criteri di verità."<ref>H.-G. Gadamer, ''Kleine Schriften'' iv.130, citato in Weinsheimer, ''Gadamer's Hermeneutics'', I.</ref> Soloveitchik usò la sua formazione filosofica tedesca quale chiave ermeneutica per capire la natura della Torah; che luce getta questo sul suo concetto di ''Torah min hashamayim''?
[[File:Hans Gadamer.png|120px|left|Hans-Georg Gadamer, ritratto]] Gadamer commenta sulle difficoltà provate da pensatori del diciannovesimo e primo ventesimo secolo di fronte alle certezze di un mondo precedente:
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La frase importante qui è "estraneità rispetto al mondo storico". La "nuova scienza" di Soloveitchik – quella dell'Halakhah pura e autolegittimante – lo rende un "estraneo" nel mondo storico reale, cosicché il mondo dell'Halakhah ''si confronta'' col mondo dell'esperienza normale. Tuttavia Soloveitchik non abbandona il mondo alla ricerca, come "dati da cui un passato si concede di essere rappresentato", ma piuttosto afferma il suo "Uomo Halakhico" come un collegamento vitale tra il mondo in cui la storia è attuata e il mondo della religione trascendente.

I filosofi ebrei dell'antica Alesandria interpretavano la Torah come ''nomos'' (legge) ed i rabbini fecero progredire la nozione con la loro enfasi sull'Halakhah. Soloveitchik estende il processo all'estremo; ''ogni'' espressione della Torah è per lui un aspetto dell'Halakhah. Quando affronta il dibattito perenne del perché cose cattive accadano a gente buona, costruisce la sua risposta su una "semplice soluzione halakhica", che "la sofferenza viene ad esalater l'Uomo, a purificarlo e santificare il suo spirito".<ref>Soloveitchik, ''Kol dodi dofek'', 13.</ref> Classificare ciò come una affermazione halakhica per poi procedere ad interpretare Giobbe come manuale halakhico, vuol dire estendere il concetto di Halakhah fino ad un punto tale che non può più essere distinto dall'Aggadah.

Probabilmente è questo concetto esteso di Halakhah che aveva in mente quando scrisse le sue parole spesso citate:
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==Critica Storica==
==Critica Storica==

Versione delle 17:13, 13 mag 2019

Indice del libro
יוסף דב הלוי סולובייצ׳יק Yosef Dov ha-Levi Soloveychik
יוסף דב הלוי סולובייצ׳יק Yosef Dov ha-Levi Soloveychik

Nato in Pruzhany, Bielorussia (a quel tempo sotto l'Impero russo), in una importante famiglia di rabbini mitnaged,[1] Joseph Dov Soloveitchik (1903-1993)[2] studiò il Talmud con suo padre, Moshe Soloveitchik. Ci furono anche altre influenze; era attratto dal calore della preghiera chassidica e sua madre gli leggeva Ibsen, Pushkin, Lermontov e Bialik. Quando se ne andò a Berlino a studiare nel 1924, aveva imparato la dialettica talmudica, con un'infarinatura di chassidismo nonostante la forte tradizione mitnaged della famiglia, e fatti i primi passi nella cultura generale europea. I suoi insegnanti a Berlino inclusero Tonya Lewit, che sposò; tra i suoi amici ci fu Alexander Altmann, con cui studiò gli scritti di Hermann Cohen, Edmund Husserl e Max Scheler. Parte della ricca diversità della vita culturale ebraica che incontrò nella Germania Weimar è rivelata nelle memorie di Gershom Scholem,[3] Hillel Goldberg[4] e altri contemporanei che influenzarono profondamente l'ebraismo del tardo ventesimo secolo.

Soloveitchik lasciò la Germania e si stabilì negli Stati Uniti nel 1931 dopo aver presentato la sua tesi dottorale sull'epistemologia di Hermann Cohen alla facoltà di filosofia dell'Università Friedrich-Wilhelms a Berlino.[5] Dopo la morte di suo padre nel 1941, insegnò Talmud alla Yeshiva University di New York. Insegnò Halakhah, scrisse di filosofia e sviluppò un stile omiletico stimolante, maggiormente evidente nelle sue eulogie e nelle lezioni tenute annualmente per l'anniversario della morte del padre.

Il suo testamento filosofico principale è il saggio in ebraico del 1944 Halakhic Man (Ish hahalakhah).[6] Influenzato dalla tipologia di Max Scheler (1874-1928) dei capi esemplari come santi, saggi, eroi e conoscitori, creò una tipologia umana in tre parti:

  1. L'Uomo Scientifico (cognitivo, obiettivo) cerca di misurare, scoprire, controllare.
  2. L'Uomo Religioso (soggettivo) cerca mistero e la conservazione del "rapporto dinamico tra soggetto e oggetto".
  3. L'Uomo Halakhico colma il divario tra i due. Né trascendente né superficiale, l'Uomo Halakhico "viene con la Torah, datgli al Sinai... come un matematico che forma un mondo ideale e lo usa per stabilire una relazione tra se stesso e il mondo reale".
Hayim Soloveitchik
Hayim Soloveitchik

Soloveitchik modellò l'"Uomo Halakhico" su suo nonno, Hayim Soloveitchik (1853-1917). "Reb Hayim" era rinomato per il suo sviluppo della dialettica talmudica, conosciuta come il "Brisker derekh (modo)",[7] che ebbe a dominare lo studio talmudico nelle yeshivah lituane.[8] Una delle sue particolarità è la reificazione dei concetti; Reb Hayim parla delle leggi e dei concetti della Torah come se fossero oggetti metafisici, che fruiscono di un'esistenza apparentemente indipendente dal mondo e dall'umanità — una delle sue espressioni caratteristiche è ḥeftsa dedina, letteralmente "l'oggetto-legge".[9] Lo stesso Reb Hayim potrebbe non essere stato consapevole delle implicazioni filosofiche di ciò che per lui era probabilmente nient'altro che un modo conveniente di parlare, ma suo nipote ne assorbì il linguaggio, lo unì al "pensiero puro" di Hermann Cohen e dalla miscela escogitò una filosofia dell'Halakhah che costituiva un reame indipendente a priori che confronta e colma i mondi opposti di scienza e religione.

La nozione platonica di un reame "assoluto" di idee fu sviluppato da Max Scheler, che tentò nel suo saggio del 1926 "Problemi di una Sociologia della Conoscenza"[10] di formare quella che chiamava una sociologia a priori della conoscenza, rendendo la scienza della sociologia indipendente dalla storia:

« questa scienza non ha a che fare con fatti individuali e accadimenti nella storia, ma con regole, tipi medi e logico-ideali e, ove possibile, leggi...
Il compito principale della sociologia è caratterizzare tipologicamente e determinare con regole specifiche un evento sociologico con riferimento a questi due poli, stabilire cosa in questo evento sia condizionato da un autosviluppo autonomo dello spirito, come lo sviluppo logico-razionale della legge o la logica immanente della storia religiosa, nonché ciò che è condizionato dai fattori reali rilevanti sociologicamente, che hanno la loro propria causalità.[11]

secondo me il fine supremo di tutta la sociologia nondescrittiva e nonclassificatoria... è... una legge che governi l'ottenimento dell'ideale e fattori reali nel determinare tutti i contenuti della vita che appartengono a gruppi umani.[12]

evitiamo il relativismo, come fa la teoria di Einstein sulla sua propria base, sollevando il reame assoluto delle idee e valori, che corrispondono all'idea essenziale di umanità, molto oltre i sistemi di valori storici fattivi.[13]

Ho provato... non solo a verificare induttivamente... la suddetta "legge dell'ordine dei fattori causali" nelle tre fasi della storia, ma anche a renderla comprensibile deduttivamente secondo una "teoria delle origini delle pulsioni umane".[14] »

Scheler sbaglia quando asserisce un'analogia con Einstein. La matematica, presa per sé, può essere indipendente da "sistemi di valori storici fattivi", ma le teorie di Einstein erano concepite per stare in piedi o cadere alla luce dell'osservazione e dell'esperimento. La teoria della relatività è una teoria sul mondo reale e cerca di stabilire quale matematica lo modelli meglio; non è una teoria matematica che determina come deve essere il mondo. Einstein e in verità il complesso della scienza moderna, è del tutto opposto all'ideale platonico di una scienza a priori; la scienza moderna è un processo "dal basso all'alto" piuttosto che "dall'alto al basso". Scheler e Soloveitchik, tuttavia, come Hermann Cohen e altri filosofi idealisti, preferiscono lavorare dall'alto al basso; la teoria, non l'osservazione empirica, determina la loro opinione del mondo.

Il concetto dell'Halakhah da parte di Soloveitchik come un sistema a priori lo rende immune alla storia;[15] come la geometria non è influenzata dalle circostanze storiche della sua scoperta, o dal fatto empirico che nessuno può riuscire a tracciare circoli perfetti, così l'Halakhah rimane indifferente alla storia di come sia diventata quello che è, o ai problemi della sua attuazione nel mondo reale. Tuttavia questa immunità paga il prezzo di rimuovere i testi di Torah e Talmud dai contesti sociali e storici in cui vennero formulati e che determinano il loro significato, punto sottolineato da Rachel Shihor in un saggio eccellente pubblicato nel 1978.[16]

L'Ermeneutica della "Torah"

In Brisk, Berlino e Boston, Soloveitchik venne a contatto con tre culture molto differenti, ognuna delle quali, una volta assobita, rimase con lui per tutta la vita. Le sue opere halakhiche, filosofiche ed omiletiche, la sua oratoria quanto le sue opere letterarie, sono ricchi campi intertestuali in cui la tradizione rabbinica lituana con la sua intertestualità interna si intreccia con filosofia, scienza, cultura generale e storia ebraica presente e passata. Hans-Georg Gadamer osservò: "La riflessione ermeneutica si limita ad aprire nuove possibilità di conoscenza che non verrebbero percepite senza di essa. Di per se stessa non offre criteri di verità."[17] Soloveitchik usò la sua formazione filosofica tedesca quale chiave ermeneutica per capire la natura della Torah; che luce getta questo sul suo concetto di Torah min hashamayim?

Hans-Georg Gadamer, ritratto
Hans-Georg Gadamer, ritratto

Gadamer commenta sulle difficoltà provate da pensatori del diciannovesimo e primo ventesimo secolo di fronte alle certezze di un mondo precedente:

« Come l'estraneità (Fremdheit) che l'età della meccanica ha provato verso la natura ed il mondo ha la sua espressione epistemologica nel concetto di autoconsapevolezza e nella regola di certezza sviluppata metodologicamente, di "percezione chiara e distinta", così anche le scienze umane del diciannovesimo secolo provarono una pari estraneità rispetto al mondo storico. Le creazioni spirituali del passato, l'arte e la storia, non appartengono più al dominio evidente del presente ma sono piuttosto oggetti lasciati alla ricerca, dati da cui un passato si concede di essere rappresentato.[18] »

La frase importante qui è "estraneità rispetto al mondo storico". La "nuova scienza" di Soloveitchik – quella dell'Halakhah pura e autolegittimante – lo rende un "estraneo" nel mondo storico reale, cosicché il mondo dell'Halakhah si confronta col mondo dell'esperienza normale. Tuttavia Soloveitchik non abbandona il mondo alla ricerca, come "dati da cui un passato si concede di essere rappresentato", ma piuttosto afferma il suo "Uomo Halakhico" come un collegamento vitale tra il mondo in cui la storia è attuata e il mondo della religione trascendente.

I filosofi ebrei dell'antica Alesandria interpretavano la Torah come nomos (legge) ed i rabbini fecero progredire la nozione con la loro enfasi sull'Halakhah. Soloveitchik estende il processo all'estremo; ogni espressione della Torah è per lui un aspetto dell'Halakhah. Quando affronta il dibattito perenne del perché cose cattive accadano a gente buona, costruisce la sua risposta su una "semplice soluzione halakhica", che "la sofferenza viene ad esalater l'Uomo, a purificarlo e santificare il suo spirito".[19] Classificare ciò come una affermazione halakhica per poi procedere ad interpretare Giobbe come manuale halakhico, vuol dire estendere il concetto di Halakhah fino ad un punto tale che non può più essere distinto dall'Aggadah.

Probabilmente è questo concetto esteso di Halakhah che aveva in mente quando scrisse le sue parole spesso citate:

« ... ...[20] »

Critica Storica

Il Problema della Torah Orale

Conclusione

Note

  1. Mitnaged "opponente" è un termine applicato dai chassidim agli ebrei tradizionali che rifiutano i loro insegnamenti.
  2. Viene spesso chiamato "Joseph Ber", la forma yiddish di "Joseph Dov", e le sue iniziali riportate come J. B. invece di J. D.
  3. Scholem, From Berlin to Jerusalem; id., Walter Benjamin.
  4. Goldberg, Between Berlin and Slobodka.
  5. Il titolo della tesi è "Das reine Denken und die Seinskonstituierung bei Hermann Cohen".
  6. Le citazioni che seguono sono tradotte dalla versione inglese di Kaplan.
  7. Reb Hayim fu per un periodo il rabbino di Brest-Litovsk in Bielorussia.
  8. Solomon, Analytic Movement. L'originatore del metodo fu probabilmente Jacob Isaac Reines (1839-1915), ma la "reificazione" è esclusivamente di Reb Hayim.
  9. Solomon, Analytic Movement, 177, 180,184-8, 194-5.
  10. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 166-200.
  11. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 168-9.
  12. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 169. A p. 171 usa questa idea per criticare Hegel che "sostiene che il corso della storia culturale è un processo puramente spirituale determinato dalla sua stessa logica".
  13. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 174.
  14. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 193.
  15. Si vedano le osservazioni su Breuer in PARTE III.6.
  16. Shihor, "On the Problem of Halakhah's Status", 30-1.
  17. H.-G. Gadamer, Kleine Schriften iv.130, citato in Weinsheimer, Gadamer's Hermeneutics, I.
  18. Gadamer, Warheit und Methode 4 (Tubinga: Mohr, 1975), 61, citato in Weinsheimer, Gadamer's Hermeneutics, 4.
  19. Soloveitchik, Kol dodi dofek, 13.
  20. Halakhic Man, 19-20. "Quando l'uomo halakhico incontra una sorgente che ribolle..." riporta alla mente il pezzo di Buber "Io considero un albero..." (Io e Tu, ingl. I and Thou, p. 7).