Non c'è alcun altro/Dio è Antipatico: differenze tra le versioni

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==Dio è etico?==
==Dio è etico?==
Ad un livello più astratto, l'invocazione solleva un problema puramente teologico. Per dirlo chiaro e tondo: Dio è etico? La risposta più precisa è che dipende da cosa uno intenda per etico. La risposta tradizionalista sarebbe quella di scartarla come eretica. Dio definisce ciò che è etico, e non viceversa. Tutto quello che fa Dio è, per definizione, etico. Ovviamente Dio è etico, che domande!
Ad un livello più astratto, l'invocazione solleva un problema puramente teologico. Per dirlo chiaro e tondo: Dio è etico? La risposta più precisa è che dipende da cosa uno intenda per etico. La risposta tradizionalista sarebbe quella di scartarla come eretica. Dio definisce ciò che è etico, e non viceversa. Tutto quello che fa Dio è, per definizione, etico. Ovviamente Dio è etico, che domande!

Ma c'è chi ha dei dubbi, e alcuni di noi mettono in discussione detta opinione. Preferiamo tirar fuori il nostro codice d'etica indipendente, che fa peso sull'attività di Dio, e poi decidiamo se Dio passa il test o meno. I tradizionalisti ci contesterebbero: cosa rende autorevole il vostro codice etico? Perché Dio deve essere dovrebbe sottomettersi a qualche insieme di valori umani? Una risposta potrebbe essere il passo di Genesi {{passo biblico|Genesi|18:19}}, parte della storia della sfida di Abramo a Dio riguardo al fato degli abitanti di Sodoma e Gomorra, dove la "via del Signore" richiede di "agire con giustizia e diritto". A questo il tradizionalista risponderebbe semplicemente che è Dio, non l'umanità, che determina quello che è giusto e diritto in una data situazione. Tuttavia, noi insisteremmo che anche la nostra stessa coscienza è un dono di Dio e che possiamo quindi usare la nostra coscienza ad influenzare il comportamento di Dio.

Questa tensione è presente in tutta la Bibbia e nella tradizione susseguente, come vediamo in due narrazioni bibliche. Numeri {{passo biblico|Numeri|31:1-18}} racconta come Dio comandasse a Mosè di "vendicare i figli d'Israele contro i Madianiti". Il riferimento è quello di una precedente narrazione dove le donne moabite, in un piano architettato dai Madianiti, avevano sedotto gli uomini israeliti dandosi alla fornicazione e all'adorazione di idoli (Numeri {{passo biblico|Numeri|25:1-9}}). Ora Israele deve vendicarsi sui Madianiti. Ci viene raccontato che Mosè assembla un esercito; che questo esercito uccide ogni uomo madianita, risparmiando le donne ed i bambini, che vengono condotti insieme al bottino a Mosè, e che Mosè si arrabbia alquanto:
{{q|Avete lasciato in vita tutte le femmine? Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l'infedeltà verso il Signore... Ora dunque uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi.|Numeri {{passo biblico|Numeri|31:15-18}}}}
Ogni anno, quando racconto questa storia durante il ciclo di letture bibliche annuali, mi blocco e sudo freddo. Non ho alternativa ma di leggere il testo — un altro esempio di come la liturgia serve da avanguardia alla teologia. Non posso certo eliminare il brano dalla Torah, ma digrigno i denti ogni anno. La storia offende i miei valori umanistici. Come può essere giustificabile ammazzare masse di donne? La Torah giustifica tale comportamento sottolineando che furono proprio le donne che condussero Israele al peccato. Se è così, perché allora massacrare gli uomini madianiti? Inoltre, la punizione si adatta al crimine? Si può mai giustificare il massacro di massa?

Una storia simile viene raccontata in [[w:Libri di Samuele|1 Samuele]] {{passo biblico|Samuele|15}}. Qui il profeta Samuele dice a Saul, re d'Israele, di vendicarsi contro Amalek. Amalek aveva attaccato gli Israeliti subito dopo la loro liberazione dall'Egitto (Esodo {{passo biblico|Esodo|17:8-14}}), cosicché Dio comanda agli Israeliti di "cancellere la memoria di Amalek sotto al cielo" (Deuteronomio {{passo biblico|Deut|25:19}}). Ora tale promessa deve essere mantenuta.

[[File:The Bible panorama, or The Holy Scriptures in picture and story (1891) (14598234930).jpg|250px|right|"Samuele uccide Agag", incisione di William A. Foster (1891)]] Saul riunisce le sue truppe, va a sconfiggere Amalek e passa tutto il popolo a fil di spada. Tuttavia, risparmia il re amalecita, Agag, insieme alle pecore e al bestiame e ad altri articoli di valore. Ritorna trionfante da Samuele, che però si infuria. Saul ha disobbedito il comando di Dio, di estirpare tutti gli Amaleciti. Saul difende il suo comportamento dicendo che voleva risparmiare i greggi per sacrificarli a Dio. Samuele risponde:
{{q|Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici come obbedire alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è più del grasso degli arieti.|1 Samuele {{passo biblico|Samuele|15:22-23}}}}
Soprattutto, Dio richiede obbedienza, specialmente dal re d'Israele, che è l'unto di Dio. Saul non affronta qui il problema etico; non mette in dubbio la moralità di massacrare animali innocenti. Il suo argomento è che Dio vuole sacrifici di animali. A ciò Samuele risponde, molto giustamente, che Dio non dipende da sacrifici animali per il proprio sostentamento. I sacrifici sono per il popolo, non per Dio; sono intesi a pernmettere agli esseri umani di adorare Dio, ma mai al prezzo di disobbedire un comando esplicito di Dio.

Samuele poi uccide Agag ed informa Saul che Dio ha tolto il potere sovrano a lui e ai suoi discendenti. Poco dopo, Samuele incorona Davide re d'Israele. Per molti di noi, comunque, il problema etico è proprio il fulcro della faccenda. Il poscritto di questa storia è che nel [[w:Libro di Ester|Libro di Ester]], Aman, uno dei nemici leggendari di Israele, viene identificato come l'Agaghita ({{passo biblico|Ester|3:1}}). La decisione di Saul di risparmiare Agag diventa quindi la causa ultima di un altro doloroso episodio nella storia ebraica. La Bibbia pertanto ci dà una ragione ''ex post facto'' del perché Saul avrebbe dovuto ucciderlo — una giustificazione pragmatica del comando iniziale di ucciderlo.

Il tradizionalista giustifica la furia di Samuele contro Saul per non aver ucciso Agag, invocando la storia di Ester. E allora che dire degli animali innocenti? Perché macellarli a causa dei peccati dei loro proprietari? Qui di nuovo vediamo la tensione tra i nostri valori umanistici e la volontà di Dio. Dio richiede obbedienza, insiste Samuele, e per definizione qualunque cosa Dio comandi è etica.

Ad esser sinceri, è possibile argomentare che le storie bibliche siano artefatti culturali, frammenti di un epoca primitiva in cui uccidere i propri nemici era totalmente accettabile in un contesto militare. Si potrebbe anche dire che il male assoluto deve essere distrutto completamente, proprio per motivi morali. Nei nostri tempi, i sopravvissuti dell'[[w:Olocausto|Olocausto]] comprendono tale risoluzione del problema molto bene. Questo può giustificare anche lo sterminio dei Madianiti e di Amalek; in ciascun caso, il massacro è una punizione per la nazione che ha maltrattato Israele. Ciò ci riporta comunque a Giobbe, dove Dio rifiuta esplicitamente la nozione che la sofferenza di Giobbe fosse una punizione di Dio. Ci rimane l'immagine di un Dio onnipotente che decreta il destino degli individui e delle nazioni in modi che sono al di là della comprensione umana, a volte con risultati orribili.


==La morte di Rabbi Akiva==
==La morte di Rabbi Akiva==

Versione delle 16:47, 23 ago 2019

Indice del libro


"Creazione del Sole e della Luna", incisione di Wenceslas Hollar (ca.1650)
"Creazione del Sole e della Luna", incisione di Wenceslas Hollar (ca.1650)
Rotolo della Torah su pergamena
Rotolo della Torah su pergamena

Metafore invise

Tuttavia Dio non è sempre simpatico. I nostri antenati ne erano completamente consapevoli, come noi del resto. A volte Dio sembra maltrattare le persone — anche le persone giuste, anche il popolo ebraico, che Dio dovrebbe amare in modo speciale. Quando si sentivano maltrattati, ingiuriati, gli ebrei cercavano disperatamente di giustificare il comportamento di Dio in modo da integrare la propria delusione con la loro immagine di un Dio amorevole. Ma spesso i sentimenti negativi scivolano tra le crepe e la tensione viene esposta a tutti.

Ma anche allora, la loro rabbia per il comportamento di Dio veniva sempre espressa nell'ambito del costante rapporto con Lui. Non permisero mai che il loro senso di essere stati maltrattati da Dio li facesse abbandonare la comunità religiosa e la rispettiva struttura confessionale. Alcuni probabilmente se ne andarono; ma comprensibilmente, con almeno un'eccezione degna di nota, i nostri testi non conservano traccia che ne spieghi le loro motivazioni. D'altra parte, ci sono molti testi che registrano i sentimenti di coloro che, nonostante la loro evidente ira contro Dio, rimasero ebrei devoti e fedeli. Queste persone scrissero salmi per questo Dio che li abbandonava o narrarono storie del comportamento divino, incanalando la loro delusione in una sfida. Non chiesero mai scusa per la loro rabbia con Dio. Capivano che fosse una dimensione totalmente legittima di ogni rapporto interpresonale; non andava a significare che il rapporto era morto. In verità, abbandonare tale rapporto li avrebbe privati delle basi necessarie alla loro sfida.

Queste esperienze negative e i sentimenti che suscitavano vennero incorporati in quelle che io chiamo immagini "antipatiche" di Dio e che pervadono la nostra letteratura classica. Ci si può certamente chiedere cosa ci facciano questi testi nella Bibbia, ma i nostri avi che erano responsabili della canonizzazione della Bibbia, del Talmud e della liturgia, riconoscevano che la gente a volte si sentiva così con Dio, che loro stessi avevano questi sentimenti negativi e tristi, e che tali sentimenti facevano parte del repertorio vasto e complesso degli incontri tra Dio e gli esseri umani.

Nella Bibbia stessa e in gran parte dellaletteratura postbiblica, il modo convenzionale di integrare le esperienze negative di Dio era di attribuirle a punizioni divine per la peccaminosità umana. Tutto d'un colpo, questa immagine di un Dio giudicante e punitivo risolveva quasi tutto: difendeva il comportamento di Dio, cancellava i sentimenti di abbandono e forniva un mezzo per ripristinare la relazione positiva originale — cioè, pentimento e ritorno a Dio. La dichiarazione classica dell'equazione che il peccato provoca punizione (e la virtù provoca tutti i tipi di benedizione) è Deuteronomio 11:13-21, il secondo dei tre paragrafi della Shema, che gli ebrei recitano due volte al giorno. Se ascoltiamo i comandi di Dio e Lo serviamo con tutto il cuore e con tutta l'anima, allora riceveremo pioggia, raccolti abbondanti, cibo e bevande; se ci ribelliamo, la nostraterra non darà frutto e noi saremo banditi dalla terra.

I nostri progenitori potevano giustificare il comportamento di Dio perché credevano che i Suoi giudizi fossero sempre equi e onesti. Oggi riconosciamo che alcuni giudici umani sono corrotti, ma che Dio fosse un giudice corrotto era impensabile per i n ostri antenati. A tutt'oggi, quando un ebreo sente che qualcuno è morto, la sua reazione liturgica immediata è Barukh dayan ha-emet. Traduzione letterale della frase è: "Sia benedetto il Giudice della verità", oppure "il vero Giudice", o "il Giudice che giudica sinceramente", o "accuratamente", o "il cui giudizio è vero".

Quale che sia il modo di tradurre la frase, la metafora sottesa è che Dio sia una giudice giusto e che la nostra sofferenza sia meritata. Pertanto, un'esperienza di Dio potenzialmente negativa diventa positiva. Potremmo essere a disagio con la nozione che Dio segga in trono a giudicare le persone – di solito preferiamo relazioni che non ci giudicano – ma primo, c'è una dimensione intrinseca non-giudicativa in tutti i rapporti interpersonali; secondo, l'implicazione pratica di vedere Dio come giudice è di insegnarci che siamo responsabili delle vite che viviamo. Poiché Dio è un giudice giusto, possiamo aspettarci un giudizio giusto, e forse anche un giudizio compassionevole, dato che Dio è anche compassionevole.

Ciononostante, ci sono testi che descrivono l'abbandono di Dio che sono completamente privi della benché minima allusione a colpe. Abbiamo prima studiato due di questi, i Salmi 13 e 44. Il primo un'invocazione di lamento da parte di una persona che si sente abbandonata da Dio in un momento di crisi e Lo prega di considerarlo, di rispondergli e di salvarlo. Il secondo è un'invocazione ancor più dolorosa — questa volta a nome del popolo di Israele, che è stato devastato dai suoi nemici. I nessuno di questi due testi c'è alcuna allusione che la condotta punitiva di Dio sia meritata. Invero, il secondo salmo asserisce proprio l'oppsto: è precisamente a causa della lealtà a Dio da parte della comunità che tale comunità sta venendo distrutta. L'unica conclusione possibile è che Dio stia dormendo...

Dio ha dormito troppo? La sveglia di Dio non ha suonato per tempo? Questo sarcasmo amaro, per quanto sia doloroso leggerlo, viene canonizzato nella Scrittura ebraica. È come un dono alla nostra generazione post-Olocausto. Ci dà modo di esprimere la nostra amarezza odierna. Ci fornisce un linguaggio per sfogare i nostri problemi correnti.

Giobbe

"Giobbe" di Léon Joseph Florentin Bonnat (1880)
"Giobbe" di Léon Joseph Florentin Bonnat (1880)

L'immagine di Dio in quei due salmi è abbastanza negativa, ma lo diventa ancor di più, e più dolorosa, nei primi due capitoli del Libro di Giobbe. Prima di tutto, ci si chiede "Che ci fa questo libro nella Bibbia?" Giobbe era un uomo giusto, dice il testo. Dio elogia la devozione di Giobbe parlandone a Satana – l'"avversario" o che fa, appunto, l'"avvocato del diavolo" – che controbatte che Giobbe è giusto solo perché Dio non lo ha mai messo alla prova. Allora Dio concede a Satana il diritto di danneggiare la proprietà di Giobbe e, nel capitolo 2, di ferirlo fisicamente ma non di ucciderlo. In tutto questo, come dire, pandemonio Giobbe rimane fedele a Dio. La moglie di Giobbe lo sollecita a "Bestemmia Dio e muori!" ma Giobbe risponde: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?" (Giobbe 9-10).

Poi arrivano i "consolatori" di Giobbe ed evocano l'interpretazione classica della sofferenza presente nella Torah: Giobbe deve aver peccato. Ma Giobbe ribatte di non aver peccato, o che non ha peccato abbastanza da giustificare tale punizione. Alla fine del libro, Dio parla a Giobbe nei discorsi "di mezzo al turbine". Questi sono un peana alla potenza di Dio e alla complessità della Sua creazione. I loro messaggio è: "Giobbe, non cercare di capirMi. Non cercare di inserirMi nelle tue categorie morali. I sono Dio; tu sei un essere umano." Sorprendentemente, Giobbe riconosce la differenza:

« Comprendo che puoi tutto
e che nessuna cosa è impossibile per te...
Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono.
Perciò mi ricredo
e ne provo pentimento sopra polvere e cenere. »
(Giobbe 42:2,5-6)

Ciò implica che Giobbe ha ora ottenuto una comprensione più chiara delle vie di Dio e una misura di chiusura. Allora Dio "ha riguardo di Giobbe" (42:9) e ripristina la sua fortuna, "accresce anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto" (42:10) e Giobbe muore "vecchio e sazio di giorni" (42:9) — la stessa frase usata per descrivere la morte di Abramo (Genesi 25:8).

Esiste un'altra traduzione dell'ultimo versetto che dà un'interpretazione alquanto differente. Possiamo infatti leggere gli ultimi due versetti come "Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora che i miei occhi ti vedono rabbrividisco di dolore per il fango mortale." In questa traduzione, Giobbe sembra sì di esser giunto ad una misura di conclusione, ma non ha certo ritrattato la sua sfida a Dio. Sfida Dio fino alla fine. In effetti, dice a Dio: "Se questo è il tipo di Dio che sei, allora rabbrividisco per gli esseri umani che devono vivere sotto il Tuo dominio." Il Dio che loda Giobbe alla fine del libro stesso e ripristina le sue fortune è un Dio che ha perso. Paradossalmente, la perdita di Dio è anche la Sua vittoria, dato che ora sappiamo che questo è un Dio che apprezza l'irreverenza di Giobbe e accetta la sua sfida.[1]

Tre questioni non mancano mai di preoccuparmi ogni volta che riapro e leggo questo libro impossibile. Prima questione: a Giobbe non viene mai detto perché soffra. I lettori, che lo hanno capito dal primo capitolo che descrive la sfida di Satana, sanno il perché, ma Giobbe non lo scopre mai. Ad Abramo, alla fine della storia del sacrificio di Isacco (Genesi 22), viene detto che era tutta una messa in prova della sua fedeltà. A Giobbe invece non viene mai data una spiegazione. Mi viene a volte una fantasia dove cerco di immaginare cosa sarebbe successo se Giobbe e Abramo si fossero incontrati e condiviso le proprie rispettive esperienze, sorseggiando una tazza di caffè seduti su una panchina lungo la strada. Che si sarebbero detti? Non riesco ad oltrepassare l'immagine della faccia di Giobbe quando Abramo gli dice che, alla fine, gli fu detto che Dio stava mettendo alla prova la sua fede. "Almeno tu sai perché ti sia successo così. Io non l'ho mai saputo!" avrebbe detto Giobbe. D'altra parte, sono anche contento che non l'abbia mai saputo. Come avrebbe reagito Giobbe venendo a sapere che le sue sofferenze erano state prodotte per far vincere una scommessa di Dio con Satana?

Seconda questione: nel passo 42:7 Dio esplicitamente rifiuta la teologia dei consolatori che la sofferenza di Giobbe fosse una punizione di peccati; in verità, Dio dice a Giobbe che se lui intercede per loro, Dio li perdonerà. Ma questo è un ripudio totale della spiegazione normativa che la Torah dà per la sofferenza umana. L'autore biblico ha proprio un bel coraggio, una vera audacia teologica! Tuttavia, coloro che canonizzarono il Libro di Giobbe includendolo nella Bibbia non furono disturbati da questa inversione apparentemente eretica. Dando un'interpretazione positiva a tale conclusione, da essa impariamo che è legittimo anche per noi moderni rifiutare antiche dottine ebraiche quando non ci sembrano più accettabili.[2]

Infine, e più dolorosamente. mentre nei Salmi 13 e 44 rimaniamo a chiederci perché Dio sia così trascurato, qui nel Libro di Giobbe abbiamo un indizio per le motivazioni di Dio: è stata semplicemente la vanità di Dio in reazione alla sfida di Satana. Dio considera la devozione di Giobbe come testimonianza della Sua potenza. Quando Satana mette in dubbio tale presupposto, Dio risponde: "Mettilo alla prova e vedrai che ha ragione." Non c'è da stupirci che Dio non voglia far conoscere a Giobbe tale motivazione, alla fine del libro.

Approfondiamo per un momento questa immagine di Dio. Veramente, quale che sia l'interpretazione del passo di chiusura succitato, cosa comporterebbe vivere in un mondo governato da questo tipo di Dio? Sarebbe come vivere in un mondo regolato da un sovrano, vanitoso, capriccioso, ma onnipotente, che si relaziona alle persone in modi totalmente imprevedibili e non sente nemmeno il bisogno di render conto del proprio comportamento. Non c'è traccia qui di un dualismo divino; Satana è chiaramente soggetto a Dio. Necessita del permesso di Dio per mettere alla prova Giobbe. Dio è indubbiamente il sovrano esclusivo del mondo, ma che Dio è questo? Se ricolleghiamo la decisione originale di Abramo di lasciare la sua terra natia col relativo paganesimo, alla motivazione di una visione di vita regolata da un Dio che promuove giustizia e rettitudine, allora Giobbe sembra sovvertire tale visione completamente. Ciò che impariamo però da questo libro – specie se accettiamo l'interpretazione alternativa dell'ultimo versetto nel discorso conclusivo di Giobbe – è che Dio accoglie le nostre contestazioni, persino la nostra empietà. Una lezione così non è da poco!

Rimane il fatto che solo un versetto dal Libro di Giobbe viene riportato nella liturgia successiva. Si recita: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore" (1:21) ad ogni inumazione ebraica. Tale dichiarazione non deve essere presa come un tentativo di giustificare o riscattare Dio, un modo di renderLo "simpatico". Non è un'affermazione teologica, né un'asserzione concettuale astratta sulla natura di Dio. È invece un'invocazione che viene dal cuore, un'affermazione della sovranità di Dio e del Suo potere assoluto sui nostri destini, esclamata proprio al momento quando siamo più tentati a mettere in dubbio tale principio. Le parole sono performative; sono una formulazione verbale dell'atto di inchinare la testa e accettare il giudizio di Dio, qualunque esso sia. E ciò è precisamente quello che fa Giobbe. Ecco perché continuiamo a recitare queste parole quando siamo in contatto con la morte.[3]

Dio è etico?

Ad un livello più astratto, l'invocazione solleva un problema puramente teologico. Per dirlo chiaro e tondo: Dio è etico? La risposta più precisa è che dipende da cosa uno intenda per etico. La risposta tradizionalista sarebbe quella di scartarla come eretica. Dio definisce ciò che è etico, e non viceversa. Tutto quello che fa Dio è, per definizione, etico. Ovviamente Dio è etico, che domande!

Ma c'è chi ha dei dubbi, e alcuni di noi mettono in discussione detta opinione. Preferiamo tirar fuori il nostro codice d'etica indipendente, che fa peso sull'attività di Dio, e poi decidiamo se Dio passa il test o meno. I tradizionalisti ci contesterebbero: cosa rende autorevole il vostro codice etico? Perché Dio deve essere dovrebbe sottomettersi a qualche insieme di valori umani? Una risposta potrebbe essere il passo di Genesi 18:19, parte della storia della sfida di Abramo a Dio riguardo al fato degli abitanti di Sodoma e Gomorra, dove la "via del Signore" richiede di "agire con giustizia e diritto". A questo il tradizionalista risponderebbe semplicemente che è Dio, non l'umanità, che determina quello che è giusto e diritto in una data situazione. Tuttavia, noi insisteremmo che anche la nostra stessa coscienza è un dono di Dio e che possiamo quindi usare la nostra coscienza ad influenzare il comportamento di Dio.

Questa tensione è presente in tutta la Bibbia e nella tradizione susseguente, come vediamo in due narrazioni bibliche. Numeri 31:1-18 racconta come Dio comandasse a Mosè di "vendicare i figli d'Israele contro i Madianiti". Il riferimento è quello di una precedente narrazione dove le donne moabite, in un piano architettato dai Madianiti, avevano sedotto gli uomini israeliti dandosi alla fornicazione e all'adorazione di idoli (Numeri 25:1-9). Ora Israele deve vendicarsi sui Madianiti. Ci viene raccontato che Mosè assembla un esercito; che questo esercito uccide ogni uomo madianita, risparmiando le donne ed i bambini, che vengono condotti insieme al bottino a Mosè, e che Mosè si arrabbia alquanto:

« Avete lasciato in vita tutte le femmine? Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l'infedeltà verso il Signore... Ora dunque uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi. »
(Numeri 31:15-18)

Ogni anno, quando racconto questa storia durante il ciclo di letture bibliche annuali, mi blocco e sudo freddo. Non ho alternativa ma di leggere il testo — un altro esempio di come la liturgia serve da avanguardia alla teologia. Non posso certo eliminare il brano dalla Torah, ma digrigno i denti ogni anno. La storia offende i miei valori umanistici. Come può essere giustificabile ammazzare masse di donne? La Torah giustifica tale comportamento sottolineando che furono proprio le donne che condussero Israele al peccato. Se è così, perché allora massacrare gli uomini madianiti? Inoltre, la punizione si adatta al crimine? Si può mai giustificare il massacro di massa?

Una storia simile viene raccontata in 1 Samuele 15. Qui il profeta Samuele dice a Saul, re d'Israele, di vendicarsi contro Amalek. Amalek aveva attaccato gli Israeliti subito dopo la loro liberazione dall'Egitto (Esodo 17:8-14), cosicché Dio comanda agli Israeliti di "cancellere la memoria di Amalek sotto al cielo" (Deuteronomio 25:19). Ora tale promessa deve essere mantenuta.

"Samuele uccide Agag", incisione di William A. Foster (1891)
"Samuele uccide Agag", incisione di William A. Foster (1891)

Saul riunisce le sue truppe, va a sconfiggere Amalek e passa tutto il popolo a fil di spada. Tuttavia, risparmia il re amalecita, Agag, insieme alle pecore e al bestiame e ad altri articoli di valore. Ritorna trionfante da Samuele, che però si infuria. Saul ha disobbedito il comando di Dio, di estirpare tutti gli Amaleciti. Saul difende il suo comportamento dicendo che voleva risparmiare i greggi per sacrificarli a Dio. Samuele risponde:

« Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici come obbedire alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è più del grasso degli arieti. »
(1 Samuele 15:22-23)

Soprattutto, Dio richiede obbedienza, specialmente dal re d'Israele, che è l'unto di Dio. Saul non affronta qui il problema etico; non mette in dubbio la moralità di massacrare animali innocenti. Il suo argomento è che Dio vuole sacrifici di animali. A ciò Samuele risponde, molto giustamente, che Dio non dipende da sacrifici animali per il proprio sostentamento. I sacrifici sono per il popolo, non per Dio; sono intesi a pernmettere agli esseri umani di adorare Dio, ma mai al prezzo di disobbedire un comando esplicito di Dio.

Samuele poi uccide Agag ed informa Saul che Dio ha tolto il potere sovrano a lui e ai suoi discendenti. Poco dopo, Samuele incorona Davide re d'Israele. Per molti di noi, comunque, il problema etico è proprio il fulcro della faccenda. Il poscritto di questa storia è che nel Libro di Ester, Aman, uno dei nemici leggendari di Israele, viene identificato come l'Agaghita (3:1). La decisione di Saul di risparmiare Agag diventa quindi la causa ultima di un altro doloroso episodio nella storia ebraica. La Bibbia pertanto ci dà una ragione ex post facto del perché Saul avrebbe dovuto ucciderlo — una giustificazione pragmatica del comando iniziale di ucciderlo.

Il tradizionalista giustifica la furia di Samuele contro Saul per non aver ucciso Agag, invocando la storia di Ester. E allora che dire degli animali innocenti? Perché macellarli a causa dei peccati dei loro proprietari? Qui di nuovo vediamo la tensione tra i nostri valori umanistici e la volontà di Dio. Dio richiede obbedienza, insiste Samuele, e per definizione qualunque cosa Dio comandi è etica.

Ad esser sinceri, è possibile argomentare che le storie bibliche siano artefatti culturali, frammenti di un epoca primitiva in cui uccidere i propri nemici era totalmente accettabile in un contesto militare. Si potrebbe anche dire che il male assoluto deve essere distrutto completamente, proprio per motivi morali. Nei nostri tempi, i sopravvissuti dell'Olocausto comprendono tale risoluzione del problema molto bene. Questo può giustificare anche lo sterminio dei Madianiti e di Amalek; in ciascun caso, il massacro è una punizione per la nazione che ha maltrattato Israele. Ciò ci riporta comunque a Giobbe, dove Dio rifiuta esplicitamente la nozione che la sofferenza di Giobbe fosse una punizione di Dio. Ci rimane l'immagine di un Dio onnipotente che decreta il destino degli individui e delle nazioni in modi che sono al di là della comprensione umana, a volte con risultati orribili.

La morte di Rabbi Akiva

"Rabbi Akiva", illustrazione sulla Haggadah di Mantova (1568)
"Rabbi Akiva", illustrazione sulla Haggadah di Mantova (1568)

Dio non è onnipotente

Dopo l'Olocausto

Dio è morto

Note

  1. Per questa interpretazione più radicale del passo finale nel Libro di Giobbe, si veda Jack Miles, God: A Biography, Alfred A. Knopf, 1995, 323-328.
  2. Per questa sezione si veda Richard Rubenstein, in The Condition of Jewish Belief, compilato dai curatori di Commentary Magazine, Macmillan, 1966, 199-209.
  3. Si veda Will Herberg, Judaism and Modern Man: An Interpretation of Jewish Religion, Jewish Lights Publishing, 1997, 47-86 e Parte III passim.