Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Sacrificio religioso: differenze tra le versioni

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Passiamo ora più direttamente a Gesù. Quali che siano le divergenze narrative esistenti tra i quattro Vangeli canonici, essi sono tutt'uno nel descrivere la morte di Gesù avvenuta durante la stagione della Pesach. Marco, con tutta probabilità il Vangelo più antico, offre la seguente descrizione dell'inizio della carriera pubblica di Gesù:
Passiamo ora più direttamente a Gesù. Quali che siano le divergenze narrative esistenti tra i quattro Vangeli canonici, essi sono tutt'uno nel descrivere la morte di Gesù avvenuta durante la stagione della Pesach. Marco, con tutta probabilità il Vangelo più antico, offre la seguente descrizione dell'inizio della carriera pubblica di Gesù:
{{q|In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto".|{{passo biblico2|Marco|1:9-11}}<ref>Cfr. {{passo biblico2|Matteo|3:17}}, {{passo biblico2|Luca|3:22}}, {{passo biblico2|2Pietro|1:17}}</ref>}}
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Levenson vede echi del ruolo di Isacco nell’''Aqedah'' per la designazione di Gesù come il Figlio prediletto di Dio, ma c'è una grande ironia in questa designazione. Essere il prediletto figlio di Dio o anche il figlio benamato nel complesso religioso israelita-cananeo-fenicio non è una promessa di felicità duratura. Troppo spesso il destino del benamato figlio era quello di subire una prova sacrificale suprema o ancor peggio. A Cartagine, le famiglie nobili spesso sacrificavano ciò che era più prezioso per loro, il loro bambino, come dono alla dea [[w:Tanit|Taanit]] o al dio [[w:Ba'al Hammon|Baal Hammon]]. Inoltre, in una fase molto precoce, la neonata comunità cristiana arrivò a credere che il servo sofferente di {{passo biblico2|Isaia|52:13-53:12}} fosse collegato all'idea di Gesù come il Figlio prediletto di Dio. Ciò contribuì a trasformare la crocifissione da un'arma di morte dolorosa a una certezza di vita eterna.<ref>Levenson, ''The Death and Resurrection'', 200-01.</ref> Isacco, il servo sofferente di Isaia, e Gesù devono entrambi sottoporsi a un terribile confronto con la morte per compiacere il loro Padre celeste.<ref>Levenson, ''The Death and Resurrection'', 202.</ref>






Versione delle 14:34, 22 ago 2020

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"Consummatum Est", guazzo & grafite su carta di James Tissot, 1886-94

La separazione tra ebraismo e cristianesimo

Il Sacrificio religioso

In questo capitolo, esplorerò la questione di ciò che era in gioco culturalmente, religiosamente e psicologicamente nella separazione delle vie tra l'ebraismo e il paleocristianesimo. Poiché le questioni in gioco sono molteplici, ho scelto di concentrarmi principalmente sul sacrificio religioso. Credo che questo problema mostri simultaneamente elementi di continuità e discontinuità tra le due tradizioni.

Cominciamo con il racconto dell’Aqedah (ebr. הָעֲקֵידָה‎ Ha-Aqedah - "la legatura") nella Scrittura (Genesi 22:1-19). Come è noto, in uno dei giorni più sacri del calendario religioso ebraico, il secondo giorno di Rosh Hashanah, la lettura della Torah tratta principalmente dell’Aqedah, in cui ad Abramo viene comandato incondizionatamente: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" (Genesi 22:2 [1]).

Questa è la storia di un infanticidio abortito richiesto da Dio. Secondo l'eminente studioso ebreo, il compianto Shalom Spiegel, "lo scopo principale della storia dell’Akedah potrebbe essere stato solo questo: attaccare a un vero pilastro del popolo e ad una venerata reputazione la nuova norma: abolire il sacrificio umano, sostituirci invece gli animali".[1] Sembrerebbe che la maggior parte, ma non tutti, gli studiosi ebrei moderni siano d'accordo con Spiegel.

C'è, tuttavia, un'opinione di minoranza espressa in modo convincente da Jon Levenson di Harvard, che "Gen. 22:1-19 è spaventosamente inequivocabile sull'ordine di YHWH a un padre di offrire il proprio figlio in sacrificio".[2] Condivido questa opinione. Sebbene Shalom Spiegel fosse il mio insegnante al Jewish Theological Seminary,[3] devo rispettosamente dissentire con lui.

Una ragione importante per questa divergenza di opinioni è che ci sono versetti nella Scrittura in cui il comando divino di sacrificare il primogenito maschio sembra essere incondizionato. Ad esempio, Esodo 13:1-2 stabilisce: "Il SIGNORE disse a Mosè: «Consacrami ogni primogenito tra i figli d'Israele, ogni primo parto, sia tra gli uomini, sia tra gli animali: esso appartiene a me»". Esodo 22:28-29 recita: "Non ritarderai l'offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a Me. Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l'ottavo giorno Me lo darai." In nessuno dei due versetti troviamo una qualificazione attenuante.

Altrove in Esodo, la Scrittura richiede un'offerta sostitutiva a rimpiazzare e redimere il primogenito maschio: "Quando il SIGNORE ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei... consacra al SIGNORE ogni primogenito e ogni primo parto del tuo bestiame. I maschi saranno del SIGNORE. Ma riscatta ogni primo parto dell'asino con un agnello; se non lo vuoi riscattare, spezzagli il collo. Riscatterai anche ogni primogenito di uomo fra i tuoi figli" (Esodo 13:11-13).

Ci sono anche testimonianze nella Scrittura che il sacrificio di bambini non solo era praticato in Israele, forse fino al 500 p.e.v., ma che poteva benissimo anche essere stato parte del culto ufficiale piuttosto che un'intrusione pagana. Il suggerimento più intrigante che tale fosse effettivamente il caso si trova nelle parole del profeta Ezechiele nel descrivere YHWH che monta un crescendo di accuse contro "Gerusalemme" culminante nella seguente condanna: "Prendesti inoltre i tuoi figli e le tue figlie, che Mi avevi partoriti, e li offristi loro in sacrificio, perché li divorassero. Non bastavano dunque le tue prostituzioni, perché tu avessi anche a scannare i Miei figli, e a darli loro facendoli passare per il fuoco?" (Ezechiele 16:20-21).

Inoltre, c'è un passaggio molto strano in Ezechiele in cui il profeta ammette apparentemente che i rituali che detesta erano effettivamente praticati da uomini e donne che li consideravano un'autentica espressione dello Yahwismo: "Diedi loro perfino delle leggi non buone e dei precetti per i quali non potevano vivere. Li contaminai con i loro doni, quando facevano passare per il fuoco ogni primogenito, per ridurli alla desolazione affinché conoscessero che Io sono il SIGNORE" (Ezechiele 20:25-26).

Ed Noort, uno studioso olandese, ha definito questo passaggio "la frase più peculiare sul ruolo della torah (sic) nella Bibbia ebraica", notando: "è lo stesso YHWH che fornisce le leggi che portano alla morte invece che alla vita. Permette a Israele di contaminare se stesso con il sacrificio del primogenito".[4] La descrizione di Ezechiele che YHWH dà a Israele "leggi che conducono alla morte" è coerente con l'opinione di Noort secondo cui, nella ricerca biblica contemporanea, "Il quadro delle opposizioni in bianco e nero tra il Baalismo e lo Yahwismo è scomparso."[5]

Potremmo essere in grado di imparare molto sul sacrificio di bambini nell'antico Israele dall'antica Cartagine. Fondata come colonia della città fenicia di Tiro, con la quale Giuda e Israele avevano importanti contatti commerciali e religiosi nei tempi antichi, "apparentemente c'era una stretta affinità tra la cultura israelita e quella fenicia o cananea ".[6] Antichi scrittori come Clitarco, Agatocle, Diodoro Siculo, Plutarco e il teologo cristiano Tertulliano (c.155-c.220) testimoniano tutti la pratica del sacrificio di bambini nel regno di Cartagine. Nel dicembre 1921, il più grande cimitero di bambini sacrificati nell'antico Vicino Oriente fu scoperto a Cartagine, ora un sobborgo turistico della città di Tunisi.[7] Esistono siti fenici simili e più piccoli in Sicilia, Sardegna e Tunisia.

Stele nel Tofet di Cartagine
Stele nel Tofet di Cartagine

Negli anni ’70, gli archeologi Lawrence E. Stager e Samuel R. Wolff scavarono un'area nella città di Cartagine stimata non inferiore ai "54.000 e oltre i 64.000 piedi quadrati" che chiamarono il "Tofet cartaginese". Si stima che fino a 20.000 urne funerarie contenenti le ossa di bambini piccoli siano state depositate nel sito tra il 400 p.e.v. e il 200 p.e.v. o, circa, un sacrificio di bambini ogni tre giorni.[8] Mescolate con le ossa dei bambini in alcune urne furonoi trovate anche urne contenenti le ossa carbonizzate di agnelli e capretti. Ne conclusero che "gli animali bruciati erano intesi come sacrifici sostitutivi dei bambini".[9] Devo tuttavia precisare che una minoranza di studiosi contesta l'idea che bambini vivi fossero sacrificati a Cartagine e sostengono che le prove letterarie di tali sacrifici non erano altro di una diffamazione di sangue diffusa da antagonisti stranieri.[10] Tuttavia, il consenso della maggioranza di studiosi è che le prove letterarie e archeologiche puntano in modo schiacciante alla pratica del sacrificio di bambini. Dovremmo anche notare che sebbene tali sacrifici fossero motivati ​​religiosamente, servivano una funzione sociologica di controllo della popolazione, proprio come l'aborto e l'infanticidio hanno in altre culture.

Sembrerebbe quindi esserci una chiara connessione tra agnelli e capretti nelle urne cartaginesi e l'ariete che prende il posto di Isacco nell’Aqedah (Genesi 22:13), come anche l'agnello richiesto per il riscatto al posto del primogenito israelita in Esodo 34:19-20 dove Dio è raffigurato mentre dichiara: "Ogni essere che nasce per primo dal seno materno è Mio: ogni tuo capo di bestiame maschio, primogenito del bestiame grosso e minuto. Il primogenito dell'asino riscatterai con un altro capo di bestiame e, se non lo vorrai riscattare, gli spaccherai la nuca. Ogni primogenito dei tuoi figli lo dovrai riscattare. Nessuno venga davanti a Me a mani vuote".

“Ogni primo discendente del grembo materno è Mio, da tutto il tuo bestiame che lascia cadere un maschio come primogenito, sia bestiame che pecora. Ma riscatterai il primogenito dell'asino con una pecora; se non lo riscatti, devi spezzargli il collo. E devi riscattare ogni primogenito tra i tuoi figli. Nessuno comparirà davanti a me a mani vuote ". Parimenti, sembrerebbe esserci una connessione tra i surrogati animali cartaginesi e l'agnello pasquale in Esodo 12-13. Pertanto, la Scrittura descrive Dio mentre comanda agli ebrei di mettere "del sangue" d'agnello sugli stipiti delle loro case e dichiara: "In quella notte Io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dèi dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: Io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando Io colpirò il paese d'Egitto" (Esodo 12:12-13). Come per l'ariete dell’Aqedah, l'agnello pasquale è un'offerta sostitutiva al posto del primogenito ebreo. Il sangue fornisce la prova della sostituzione.

Come notato sopra, la maggior parte degli studiosi ebrei moderni ha sostenuto che la lezione fondamentale dell’Aqedah era che il sacrificio del primogenito non veniva più richiesto e che un animale era surrogato accettabile. Un tale giudizio può riflettere un pregiudizio culturale in cui la religione è vista come un'evoluzione dalle forme inferiori a quelle superiori. Pertanto, i pensatori ebrei riformati del diciannovesimo secolo tendevano ad eliminare le preghiere tradizionali per la restaurazione del Tempio di Gerusalemme e i suoi rituali di sacrificio animale ordinati secondo la Scrittura perché consideravano la preghiera una forma di adorazione "superiore" e più "spirituale" rispetto ai sacrifici animali cruenti. Tuttavia, Stager e Wolff ci informano che non ci fu cessazione di sacrifici umani a Cartagine nel corso dei secoli. Al contrario, riferiscono che la proporzione di ossa umane rispetto a quelle animali trovate nelle urne era di gran lunga maggiore nel "quarto e terzo secolo p.e.v., quando Cartagine aveva raggiunto l'apice dell'urbanità", rispetto ai secoli precedenti. Inoltre, le iscrizioni sui monumenti rivelano che una proporzione molto maggiore delle ossa era di figli di famiglie nobili e prospere piuttosto che di "comuni cartaginesi". Ci ricordano anche che i Fenici erano tra i popoli più civilizzati e cosmopoliti del Mediterraneo.[11] Ricordiamoci che Hiram, re di Tiro, inviò architetti, scalpellini e altri operai, oltre che legno di cedro, a Salomone per il costruzione del Primo Tempio di Gerusalemme.

Un motivo importante per la tenacia e anche per l'aumento del sacrificio umano può essere stato il pensiero che se i sacrifici animali erano efficaci, tanto più efficace sarebbe stata un'offerta maggiormente preziosa, il sacrificio dell'amato figlio.

"Pidyon HaBen": riscatto del primogenito

Inoltre, l'ebraismo non ha mai rifiutato del tutto l'idea che Dio richieda il sacrificio del figlio primogenito. Comunque valutiamo l'esistenza del sacrificio di bambini nell'antica Giuda, in Israele, in Canaan e nelle colonie di Canaan-Fenicia, è evidente che abbiamo a che fare con un Dio che esige la morte di bambini. Riflettendo sulla questione del sacrificio di bambini nell'ebraismo e nel cristianesimo, Levenson commenta, "il complesso mitico-rituale che chiamo ‘sacrificio di bambini’ non fu mai stato sradicato; fu solo trasformato".[12] Un primario esempio di questa trasformazione è il rituale pidyon haBen (פדיון הבן‎) in adempimento del comandamento già annotato: "Ogni primogenito dei tuoi figli lo dovrai riscattare. Nessuno venga davanti a Me a mani vuote" (Esodo 34:20). Nella cerimonia (ancor oggi) il padre presenta il suo figlio primogenito a un cohen o preposto sacerdote il trentesimo giorno dopo la sua nascita, dopodiché il sacerdote chiede al padre: "Quale preferisci, tuo figlio o il tuo denaro?" Il padre dichiara di preferire suo figlio e presenta al cohen cinque monete d'argento, l'equivalente simbolico di cinque sicli biblici, per "riscattare" suo figlio. Il sacerdote accetta le monete con la formula rituale: "Queste (monete) al posto di quello (il bambino). Questo in cambio di quello." Lo scopo fondamentale della cerimonia è di riconoscere subliminalmente le nostre tendenze infanticide e deviarne. A suo modo, questo motivo è operativo anche nel cristianesimo, poiché è Cristo, il Figlio, che viene sacrificato affinché gli altri possano essere redenti. Tuttavia capisco che, a un certo livello, il rituale ebraico riconosce che il potere sotterraneo dell'impulso infanticida non è mai del tutto scomparso. Oggi, la cerimonia è un'occasione familiare felice e pochi partecipanti, se non nessuno, sono consapevoli del suo significato più antico.

Non solo la tradizione ebraica continua ancor oggi la cerimonia del pidyon haBen, ma, come abbiamo visto, in uno dei giorni più sacri dell'ebraismo, agli ebrei viene ricordato che la morte del figlio primogenito del loro patriarca ancestrale fu scongiurata solo a causa dell'incondizionata obbedienza al terribile comando di Dio. Pertanto, la Scrittura descrive un "angelo del Signore" che dice ad Abrahamo: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". (Gen. 22:12) Segue un secondo discorso angelico. Ad Abramo viene detto: "Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia voce" (Genesi 22:18) Non solo il sacrificio è stato evitato a causa dell'obbedienza incondizionata di Abramo, ma l'Alleanza di Dio è stata conferita a lui e ai suoi discendenti a causa di tale stessa obbedienza. Inoltre, l'obbedienza di Abramo fu pari a quella di suo figlio. La Scrittura descrive Isacco mentre chiede a suo padre: "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?" E Abramo risponde: "Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". La Scrittura quindi riporta: "E proseguirono tutti e due insieme" (Genesi 22:7-8) indicando in tal modo la loro completa unità di risolutezza.[13] Alcune tradizioni si riferiscono alle "ceneri di Isacco" e affermano che Abramo compì il sacrificio ma che Isacco fu risorto.[14] Il poeta del XII secolo, Rabbi Efraim ben Jacob di Bonn (nato nel 1132), raffigurò Isacco mentre implorava Abramo così:

« Lega per me le mie mani e i miei piedi
Per non essere trovato ingrato e profano al sacrificio.
Ho paura del panico, mi preoccupo di onorarti,
La mia volontà è di onorarti grandemente.[15] »

Abramo quindi prepara il fuoco e la legna del sacrificio "nel giusto ordine", dopodiché:

« Con mani ferme lo sacrificò secondo il rito,
Nel giusto fu il macello. »

Il poeta poi racconta della risurrezione di Isacco e della determinazione di Abramo a completare il sacrificio:

« Giù su di lui cadde la rugiada di risurrezione, ed egli risuscitò.
Il padre (allora) lo afferrò per macellarlo ancora.
Scrittura, rendi testimonianza! Ben fondato è il fatto:
E il Signore chiamò Abramo, una seconda volta dal cielo. »

A quel punto, appare l'ariete "impigliato in un cespuglio vicino".

A causa dei massacri degli ebrei perpetrati dai Crociati nella Renania durante la vita del rabbino Ephraim, il poema ebbe un'intensità speciale. A quel tempo, molti padri ebrei sacrificarono i loro figli. Quando i Crociati invasero Bonn, Mainz, Wurms e altre comunità nel loro cammino verso la Terra Santa, diedero agli ebrei la scelta tra morte o conversione. A quei tempi gli ebrei preferivano morire e spesso uccidevano i loro figli per evitare che venissero sopraffatti da un momento di debolezza e si convertissero.

Come notato sopra, la maggior parte dei commentatori ebrei moderni vede la lezione dell’Aqedah come il rifiuto del sacrificio umano da parte di YHWH. Tuttavia, un'autorità religiosa così eminente quale il defunto rabbino Joseph Soloveitchik, probabilmente il più importante pensatore ortodosso dell'America del ventesimo secolo, rifiutò questa visione:

« Abramo attuò il sacrificio di Isacco non sul Monte Moria, ma nel profondo del suo cuore. Rinunciò a Isacco nello stesso istante in cui Dio si rivolse a lui e gli chiese di restituire il suo bene più prezioso al suo legittimo padrone e proprietario. Immediatamente, senza discutere o supplicare, Abramo rese Isacco. Vi rinunciò non appena fu emesso il comando "e offrilo là in olocausto" (Genesi 22:2). Dentro di sé, l'atto sacrificale fu consumato immediatamente. Isacco non appartenne più ad Abramo. Egli era morto per quanto concerneva Abramo.[16] »

Secondo Soloveitchik, a causa della volontà di Abramo di uccidere suo figlio e del fatto che egli provò il pieno orrore del sacrificio nell'istante stesso in cui gli fu dato il comando, "non ci fu bisogno del sacrificio fisico" e l'animale divenne un sostituto accettabile. Soloveitchik commenta ulteriormente che se Abramo non avesse "reso immediatamente Isacco, se non avesse provato l’Aqedah nella sua totale grandiosità e spaventosa impotenza, Dio non avrebbe mandato l'Angelo per impedire ad Abramo di attuare il comando. Abramo avrebbe perso Isacco fisicamente".[17]

Pertanto, Soloveitchik confuta chiaramente l'idea che lo scopo del racconto dell’Aqedah fosse quello di dimostrare il rifiuto di Dio del reale sacrificio di Isacco. L'interpretazione di Soloveitchik è coerente con la Scrittura che afferma chiaramente che non solo il sacrificio di Isacco fu scongiurato a causa dell'obbedienza incondizionata di Abramo, ma l'Alleanza di Dio fu concessa ad Abramo e alla sua progenie grazie a quella stessa obbedienza (Genesi 22:15-18).

Passiamo ora più direttamente a Gesù. Quali che siano le divergenze narrative esistenti tra i quattro Vangeli canonici, essi sono tutt'uno nel descrivere la morte di Gesù avvenuta durante la stagione della Pesach. Marco, con tutta probabilità il Vangelo più antico, offre la seguente descrizione dell'inizio della carriera pubblica di Gesù:

« In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto". »
(Marco 1:9-11[18])

Levenson vede echi del ruolo di Isacco nell’Aqedah per la designazione di Gesù come il Figlio prediletto di Dio, ma c'è una grande ironia in questa designazione. Essere il prediletto figlio di Dio o anche il figlio benamato nel complesso religioso israelita-cananeo-fenicio non è una promessa di felicità duratura. Troppo spesso il destino del benamato figlio era quello di subire una prova sacrificale suprema o ancor peggio. A Cartagine, le famiglie nobili spesso sacrificavano ciò che era più prezioso per loro, il loro bambino, come dono alla dea Taanit o al dio Baal Hammon. Inoltre, in una fase molto precoce, la neonata comunità cristiana arrivò a credere che il servo sofferente di Isaia 52:13-53:12 fosse collegato all'idea di Gesù come il Figlio prediletto di Dio. Ciò contribuì a trasformare la crocifissione da un'arma di morte dolorosa a una certezza di vita eterna.[19] Isacco, il servo sofferente di Isaia, e Gesù devono entrambi sottoporsi a un terribile confronto con la morte per compiacere il loro Padre celeste.[20]


Addendum

Sigmund Freud e il mito del crimine primordiale

Note

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche, Ebraicità del Cristo incarnato, Ecco l'uomo e Serie cristologica.
  1. Shalom Spiegel, The Last Trial, trad. (EN) Judah Goldin (New York: Schocken Books, 1969), 64.
  2. Jon D. Levenson, The Death and Resurrection of the Beloved Son (New Haven: Yale University Press, 1993), 12.
  3. Il Jewish Theological Seminary, conosciuto in ambiente ebraico semplicemente come JTS, è uno dei principali centri dell'Ebraismo conservatore fondato nel 1886 a New York City, su iniziativa del rabbino livornese Sabato Morais, come eredità del Seminario Teologico Ebraico di Breslavia.
  4. 3. Ed Noort, "Child Sacrifice in Ancient Israel: The Status Quaestionis", in Jan N. Bremmer, cur., The Strange World of Human Sacrifice (Leuwen: Peeters Publishers, 2006), 112-13.
  5. Noort, "Child Sacrifice", 104.
  6. evenson, The Death and Resurrection, 20.
  7. Malcolm W. Browne, "Relics of Carthage Show Brutality Among the Good Life", New York Times, 1 settembre 1987.
  8. Lawrence E. Stager e Samuel R. Wolff, "Child Sacrifice at Carthage-Religious Rite or Population Control?" Biblical Archaeology Review 10, no. 1 (gennaio-febbraio 1984): 31-51.
  9. Stager e Wolff, "Child Sacrifice".
  10. Si veda M’hamed Hassine Fantar, "Were Living Children Sacrificed to the Gods? No." Archaeology Odyssey 3, nr. 6 (novembre-dicembre 2000), e Joseph Greene e Lawrence E. Stager, "An Odyssey Debate: Were Living Children Sacrificed to the Gods? Yes." Archaeology Odyssey, 3, nr. 6 (novembre-dicembre 2000).
  11. Stager e Wolff, "Child Sacrifice".
  12. Levenson, The Death and Resurrection, 45.
  13. Si veda Levenson, The Death and Resurrection, 133-40.
  14. Si veda Levenson, The Death and Resurrection, 298-99.
  15. Una traduzione (EN) del poema si trova in Spiegel, The Last Trial, 143-52. La mia qui è una traduzione "libera".
  16. Joseph B. Soloveitchik, David Shatz, Joel B. Wolowelsky e Reuven Ziegler, curr., Abraham’s Journey: Reflections on the Life of the Founding Patriarch (New York: K’TSAV, 2008), 11-12.
  17. Soloveitchik et al., Abraham’s Journey.
  18. Cfr. Matteo 3:17, Luca 3:22, 2 Pietro 1:17
  19. Levenson, The Death and Resurrection, 200-01.
  20. Levenson, The Death and Resurrection, 202.