Le religioni della Mesopotamia/Sumer e Accad/I Sumeri/Gli Inferi: differenze tra le versioni

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==L'Aldilà==
==L'Aldilà==
[[File:Ishtar goddess.jpg|200px|thumb|right|Il Rilievo Burney conservato al British Museum di Londra. Altorilievo in terracotta del XIX secolo a.C. Questa opera templare rappresenta probabilmente<ref>Enrico Ascalone, ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p. 268.</ref> la dea guardiana degli inferi Ereškigal, sorella di Inanna/Ištar. La dea impugna il listello e la corda strumenti della giustizia.
[[File:Ishtar goddess.jpg|200px|thumb|right|Il Rilievo Burney conservato al British Museum di Londra. Altorilievo in terracotta del XIX secolo a.C. Questa opera templare rappresenta probabilmente<ref>Enrico Ascalone, ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p. 268.</ref> la dea guardiana degli inferi Ereškigal, sorella di Inanna/Ištar. La dea impugna il listello e la corda strumenti della giustizia.

Versione delle 18:47, 26 set 2020

L'Aldilà

Il Rilievo Burney conservato al British Museum di Londra. Altorilievo in terracotta del XIX secolo a.C. Questa opera templare rappresenta probabilmente[1] la dea guardiana degli inferi Ereškigal, sorella di Inanna/Ištar. La dea impugna il listello e la corda strumenti della giustizia.
« "Ecco che questa tua sorella Ištar sta nella porta,
colei che celebra grandi feste gioiose e sommuove l'oceano davanti ad Ea".
Ereškigal quando udì questo,
come un tamarisco reciso divenne pallida la sua faccia,
come canna kuninu tagliata divennero nere le sue labbra.
Che cosa ha indotto il suo cuore (a venire da me)? Che cosa ha diretto il suo animo contro di me?
Questa, (che cosa vuole)?
Io voglio (continuare a) bere acqua cogli Anunnaki,
quale cibo mangiare fango, quale bevanda inebbriante bere acqua sporca,
piangere sopra gli uomini che hanno abbandonato le loro mogli,
piangere sopra le donne che dal seno dei loro mariti sono state strappate,
sopra il bambino debole piangere che è stato falciato prima dei suoi giorni. »
(Discesa di Ištar agli inferi versione neoassira di Ninive, tradotta integralmente da Giuseppe Furlani; in Miti babilonesi e assiri, Firenze, Sansoni, 1958, p. 300)

Il cuneiforme è uno dei segni cuneiformi che rende la nozione di "Inferi"[2] qui intesi come mondo sotterraneo, luogo dove risiedono i morti. Tale segno cuneiforme indica anche la "montagna", ma in questo ambito è inteso come "fondamento" della "montagna": ciò che vi si nasconde "sotto", il luogo inferiore. La traslitterazione del segno cuneiforme è kur in sumerico, šadû in accadico (semitico).

Altri nomi con cui i Sumeri indicavano il mondo dei morti sono, ad esempio: kur-nu-gi4-a ("paese del non ritorno", in accadico: erṣet la târi), igi-kur, kur-kur, arali, lamḫu, irkalla, ganzi, kukku, ki-gal; resi in accadico, quando non presi direttamente in prestito, tra gli altri, come irkallu o erṣetu,

I dati archeologici ci dicono della grande attenzione dei Sumeri rivolta ai loro estinti. Le tombe sono curate e i corpi sono circondati da doni, la loro posizione è come "dormiente" o raggomitolata come un "embrione": aspetti che ci indicano la credenza in una esistenza dopo la morte. Tale esistenza infera è in un luogo, a volte individuato sotto l'(abzu, l'oceano di acqua dolce, il regno di Enki, su cui si poggia la terra) circondato da sette mura, dove regna sovrana la dea Ereškigal, coadiuvata da altri sette dèi (gli Anunna) e aiutata da un esercito demòni incorrutibili. Chiunque entri negli Inferi non può più uscirne.

L'esistenza negli Inferi è piuttosto penosa e determinata non dal fatto che si siano commessi o meno dei "peccati" (nozione, quella di "peccato", sconosciuta ai Sumeri[3]) quanto piuttosto dal modo in cui si è morti, dalle offerte che i vivi concedono loro, o dal numero dei figli generati in vita: più figli sono stati generati durante la propria vita e più la vita nell'Ade sumerico è "positiva". La peggiore condizione è riservata a coloro che sono morti in un incendio perdendo in questo modo il proprio corpo, essi non risiedono nemmeno negli Inferi.

(IT)
« Allora essi si abbracciarono e baciarono l'un l'altro,
essi conversarono sospirando:
"Hai visto gli ordinamenti degli Inferi?"
"Io non te li dirò, amico mio, non te li dirò!
Se io infatti, ti dicessi gli ordinamenti degli Inferi,
allora tu ti sederesti e piangeresti." "Io voglio sedermi e piangere."
"Il mio corpo, al cui contatto il tuo cuore gioiva,
[ ] ...": disse:
"(il mio corpo) è mangiato dai vermi, come [un vecchio vestito].
[il mio corpo] è come una crepa della terra, pieno di polvere."
"Ahimè!": il signore gridò, e si buttò nella polvere. »

(SUX)
« 243. gu2-ni gu2-da mu-ni-in-la2 ne mu-un-su-ub-be2
244. en3 tar-re im-mi-in-kuš2-u3-ne
245. a2 aĝ2-ĝa2 kur-ra igi bi2-du8
246. nu-uš-ma-ab-be2-en gu5-li-ĝu10 nu-uš-/ma-be2\-en
247. tukum-bi a2 aĝ2-ĝa2 kur-ra mu-ra-ab-[be2-en]
248. [za]-e tuš-a er2 ĝe26-e ga-tuš ga-/er2\
249. [X] šu bi2-in-tag-/ga\ šag4-zu ba-e-ḫul2
250. […]-/ši?\-du-un bi2-in-dug4
251. [… tug2 sumun]-/a\-gin7 uḫ bi2-in-/tag\
252. [… ki]-in-dar-ra-gin7 saḫar-ra a-ab-si
253. en-e u8 bi2-in-dug4 saḫar-ra ba-da-an-tuš »
(Gilgameš, Enkidu e gli Inferi (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su3-ra2 re-a; lett. In quei giorni, in quei giorni lontani) 244-254 (243-253). Traduzione di Giovanni Pettinato, in La Saga di Gilgameš, p. 376-377.)

Quindi gli Inferi sono oscuri, polverosi, luogo dove si aggirano assetati gli spiriti, le ombre dei morti (sumerico: gidim; accadico: eţemmu; cuneiforme: ). Negli Inferi regna sovrana la dea Ereškigal, accompagnata dal marito Nergal, la quale si limita a indicare il nome del morto, quindi senza emettere alcun giudizio, registrato su una tavola dalla dea Geštinana. Altre divinità dimoranti negli Inferi sono: il dio Ningigzida, maggiordomo di Ereškigal, Pabilsaĝ suo amministratore, Namtar suo messeggero, e Neti il custode dei cancelli infernali.

Una particolare condizione riguarda i bambini, morti prima dei loro giorni (sumerico: niĝin3-ĝar; cuneiforme: ):

(IT)
« "Hai visto i miei bambini che non hanno visto la luce del sole, li hai visti?." "Sì li ho visti." "Come stanno?"
"Essi giocano a una tavola d'oro e d'argento piena di dolci e miele." »

(SUX)
« niĝin3-ĝar tur-tur-ĝu10 ni2-ba nu-zu igi bi2-du8-am3 igi bi2-du8-am3 a-/na\-gin7 an-ak
ĝišbanšur kug-sig17 kug-babbar lal3 i3-nun-ta e-ne im-di-e-ne »
(Gilgameš, Enkidu e gli Inferi (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su3-ra2 re-a; lett. In quei giorni, in quei giorni lontani) 300-301. Traduzione di Giovanni Pettinato, in La Saga di Gilgameš, p. 380.)

Note

  1. Enrico Ascalone, Mesopotamia, Milano, Electa, 2005, p. 268.
  2. Il termine italiano "infero" (mondo sotterraneo) origina dal latino inferus con significato analogo. Il termine latino conserva precise corrispondenze: adharas (sanscrito, "ciò che sta sotto"), aðara (avestico, con medesimo significato); quindi dall'indoeuropeo *ṇdhero, da cui l'inglese under e il tedesco unter. Sempre dall'indoeuropeo *ṇdhero proviene il latino infra (sotto), da cui inferus: la presenza della lettera f nei termini latini è di derivazione osca, quindi dall'eredità del nome e della credenza italica dove Cuma (Campania) era inteso come luogo dell'ingresso agli Inferi.
  3. in tal senso cfr. Giovanni Pettinato, Mitologia sumerica, pos. 1339 vers. mobi.