Chimica per il liceo/I legami: differenze tra le versioni

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Una legge valida per tutti i [[w:Sistema (fisica)|sistemi chimico-fisici]] è che sono in uno stato ottimale quando hanno il minimo contenuto di energia. Gli atomi tendono ad avere l'ottetto, condizione energicamente stabile in cui ci sono otto elettroni nel livello più esterno. Gli atomi cercano di raggiungere l'ottetto cedendo o acquistando elettroni.


= I legami chimici =
Quando gli atomi si scambiano uno o più elettroni si incontrano e mettono in comune una regione di spazio ('''nube elettronica di legame'''), in modo da raggiungere la situazione di ottetto. Il nucleo attrae gli elettroni propri ma anche quelli dell'altro atomo con cui si è legato. La forza con cui un atomo attrae l'altro dipende per lo più dalla grandezza dell'atomo.


== La formazione dei legami chimici ==
La forza di un legame (forza di legame) è quell'energia necessaria per rompere un legame, facendo tornare un composto alla sua situazione precedente.
L’enorme varietà di sostanze chimiche che formano non solo il mondo in cui viviamo, ma l’intero Universo, deriva dalla combinazione degli atomi che costituiscono gli elementi classificati nella Tavola periodica.


Mentre i gas nobili esistono come atomi isolati, gli atomi di tutti gli altri elementi tendono a combinarsi, sia con atomi dello stesso tipo (sostanze elementari), sia con atomi di elementi differenti (composti), mediante la formazione di legami chimici, ossia interazioni di natura elettrica in cui sono coinvolti gli elettroni più esterni che possono essere scambiati o messi in condivisione. La formazione dei legami chimici è un processo complesso, che per essere studiato a pieno, richiederebbe conoscenze più approfondite della struttura atomica e della meccanica quantistica, ma che è in ogni caso fondamentale comprendere almeno nelle sue linee essenziali, in quanto le trasformazioni chimiche comportano normalmente la rottura e la formazione di legami chimici.
Quando la differenza di [[w:elettronegatività|elettronegatività]] è compresa tra 0 e 0,4 si ha un legame ompolare, se essa è compresa tra 0,5 e 1,7 (a volta anche 1,8) è considerato eteropolare, infine se è superiore a 1,7 (fino a un limite di 4) si ha un legame ionico.


Per quanto il numero di possibili combinazioni fra gli atomi sia virtualmente infinito, non sempre è possibile che si instaurino legami fra essi: condizione essenziale è che l’energia potenziale dell’associazione atomica che si viene a formare sia minore di quella dei singoli atomi separati. Il composto che si ottiene, in seguito all’instaurarsi di legami chimici, ha pertanto una maggior stabilità rispetto ai singoli atomi che lo costituiscono, proprio perché il suo contenuto energetico è minore rispetto a quello degli atomi separati. Con il termine energia di legame si indica la quantità di energia che deve essere fornita per rompere un legame chimico. La distanza tra i nuclei dei due atomi coinvolti in un legame chimico è invece definita lunghezza di legame.
=== Legame omopolare ===


=== Gli elettroni di legame ===
Il legame '''omopolare''' o '''[[w:Legame_chimico#Legame_covalente_puro|covalente puro]]''' si forma tra due atomi della stessa specie. C'è una distribuzione simmetrica della carica: infatti, la nube elettronica di legame viene attratta con la stessa forza dagli atomi e viene condivisa mediamente nel tempo tra i due atomi; non avviene una separazione di cariche netta.
Come precedentemente osservato, alle interazioni tra atomi, ossia alla formazione dei legami chimici, prendono normalmente parte solo gli elettroni più esterni che pertanto vengono chiamati elettroni di legame o elettroni di valenza, in quanto il livello energetico più esterno di un atomo, dove sono localizzati tali elettroni, è definito strato di valenza. Il numero di elettroni di valenza può essere agevolmente determinato facendo riferimento alla Tavola periodica rappresentata in figura 8.1 [figura 8.1 - tavola periodica con l’indicazione sia IUPAC sia tradizionale dei gruppi preferibilmente che metta in evidenza i gruppi 1-2 e 13-18], in particolare:


* i metalli alcalini (gruppo 1) e alcalino-terrosi (gruppo 2) hanno rispettivamente uno o due elettroni di legame;
[[Immagine:Legame_chimico_covalente_puro.PNG|center|300px]]
* gli elementi dei gruppi dal 13 al 18 hanno un numero di elettroni di legame pari al numero del gruppo diminuito di dieci (tre elettroni per gli elementi del gruppo 13, quattro elettroni per gli elementi del gruppo 14 e così via), con l’eccezione dell’elio che pur appartenendo al gruppo 18 ha in totale solo due elettroni.


Per quanto riguarda gli elementi appartenenti ai gruppi dal 3 al 12 (metalli di transizione) la determinazione degli elettroni di valenza è più complessa, a causa della loro peculiare struttura atomica, e non è possibile enunciare regole semplici per stabilire quanti siano tali elettroni.
=== Legame eteropolare ===


Facendo riferimento alla classificazione tradizionale dei gruppi, tuttora riportata sulla maggior parte delle Tavole periodiche, e senza considerare i metalli di transizione, è ancora più agevole la determinazione degli elettroni di valenza, poiché il loro quantitativo corrisponde al numero romano con cui viene indicato il gruppo: un elettrone per gli elementi del gruppo I (metalli alcalini), due elettroni per gli elementi del gruppo II (metalli alcalino-terrosi), tre elettroni per gli elementi del gruppo III (boro, alluminio, gallio, ecc.), e così via fino ad arrivare ai gas nobili (gruppo VIII), che hanno tutti 8 elettroni di legame nello strato più esterno (con l’eccezione, già ricordata dell’elio).
Nel legame eteropolare o [[w:Legame_chimico#Legame_covalente_polare|covalente polare]], gli elettroni di legame stanno di più su un atomo che su un altro, la dissimmetria nella distribuzione delle cariche non è però esasperata come nel legame ionico. Le cariche sono simboleggiate dalla lettera greca '''δ''' che indica una carica parziale che l'atomo acquista a seguito della formazione del legame.
[[Immagine:Legame_chimico_covalente_polare.PNG|center|300px]]


=== I simboli di Lewis e la regola dell’ottetto ===
Un esempio di legame eteropolare è il legame che intercorre tra due atomi di litio (Li) e uno di ossigeno (O).
Gli elettroni di valenza possono essere facilmente rappresentati mediante pratiche notazioni introdotte dal chimico statunitense Gilber N. Lewis e per questo note come simboli di Lewis, in cui tali elettroni sono indicati come puntini o come coppie di puntini disegnati ai quattro lati del simbolo chimico dell'elemento. Come regola generale, si colloca un puntino su ciascun lato del simbolo chimico (è indifferente il lato da cui partire e l’ordine da seguire) per i primi quattro elettroni di legame, dopodichè si accoppiano i puntini su ciascun lato: l'importante è collocare i primi quattro puntini su ciascun lato, dopodichè accoppiarli. Nella figura 8.2 [figura 8.2 - struttura di Lewis dei primi 18 elementi] sono rappresentate le strutture di Lewis per gli elementi appartenenti ai primi tre periodi. Come è possibile notare, gli elementi appartenenti al medesimo gruppo presentano la stessa stessa struttura di Lewis, in quanto dotati della stessa configurazione elettronica più esterna, ossia la stessa distribuzione degli elettroni di valenza.


Nel 1916, Lewis ha inoltre formulato la cosiddetta regola dell'ottetto, una regola empirica che tenta di spiegare, anche se in modo approssimato, la formazione dei legami chimici tra gli atomi. Secondo tale regola quando un atomo possiede il livello elettronico esterno completo (ossia lo strato di valenza), che in genere è costituito da otto elettroni, esso è in una condizione di particolare stabilità energetica e tende a non formare ulteriori legami. In altre parole, un atomo è particolarmente stabile quando ha otto elettroni nello strato di valenza.
[[Immagine:Legame litio-ossigeno.PNG|center|250px]]


I gas nobili, in natura, risultano sostanzialmente inerti (salvo alcune reazioni particolari che danno origine però origine a composti rari e poco stabili) ed esistono come atomi singoli, proprio in virtù del fatto che presentano un ottetto completo nello strato di valenza: si ricorda sempre la peculiarità dell’elio che risulta stabile con soli due elettroni. Al contrario, tutti gli altri elementi, che non possiedono l’ottetto completo, tendono, a seconda dei casi, a cedere, ad acquistare o a mettere in comune i propri elettroni di legame, al fine di completare il proprio strato di valenza. Ogni elemento pertanto ha la tendenza a raggiungere l’ottetto e ad assumere lo stesso assetto di elettroni del gas nobile ad esso più vicino.
=== Legame ionico ===


Questa regola empirica, che propone una giustificazione della tendenza degli atomi a legarsi fra loro, mediante la formazione di legami chimici, è normalmente ben rispettata dagli elementi dei primi due gruppi (metalli alcalini e alcalino-terrosi) e da quelli dei gruppi dal 13 al 18 (sono comunque note delle eccezioni), mentre i metalli di transizione, i lantanidi e gli attinidi hanno comportamenti complessi e non sempre riconducibili a tale regola.
La maggior parte delle sostanze solide presenta il [[w:legame ionico|legame ionico]], i loro ioni si dispongono secondo un reticolo cristallino ('''cella cristallina''').


In linea generale, si può osservare che gli elementi dei primi gruppi, che si trovano nella parte sinistra della Tavola periodica, sono portati a cedere elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li precede, mentre gli elementi dei gruppi più a destra della Tavola periodica sono portati ad acquistare elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li segue. In alternativa, molti elementi possono condividere i propri elettroni con altri elementi, sempre al fine di raggiungere l’ottetto. Si vuole osservare infine che l’idrogeno (con un solo elettrone), il litio (con tre elettroni) e il berillio (con quattro elettroni) tendono ad assumere la configurazione elettronica dell’elio e raggiungono pertanto la stabilità quando hanno due elettroni, nello strato più esterno.
In conseguenza della formazione di un '''legame ionico''', gli atomi diventano degli ioni (ossia atomi carichi, positivi e negativi). Gli elettroni si spostano totalmente dalla parte dell'atomo più elettronegativo, ossia che attrae con più forza gli '''elettroni di valenza'''. Gli ioni si dispongono secondo il reticolo cristallino che fa si che per rompere il legame sia necessario superare e l'attrazione elettronica e l'energia reticolare, che è l'energia fisica dovuta alla disposizione cristallina che conferisce ulteriore stabilità. C'è, quindi, una distribuzione delle cariche asimmetrica ed è per questo il legame più forte.
La densità di probabilità elettronica in un legame ionico è tutta sull'atomo più elettronegativo.


== Il legame covalente ==
[[Immagine:Legame_chimico_ionico.PNG|center|200px]]
Il legame covalente si basa sulla condivisione degli elettroni: due atomi mettono in comune una o più coppie di elettroni. Il raggiungimento dell’ottetto è possibile poiché gli elettroni condivisi appartengono contemporaneamente a entrambi gli atomi.


Il cloro, ad esempio, è un gas tossico di colore verde-giallastro (il nome di tale elemento deriva proprio dal termine greco χλωρός, chlōros, che significa “verde”) che, in natura, esiste sotto forma di molecole biatomiche: Cl2. Ciascuno dei due atomi di cloro che formano la molecola possiede 7 elettroni di valenza (il cloro appartiene infatti al gruppo 17, quello degli alogeni) e pertanto per raggiungere l’ottetto (corrispondente alla stessa configurazione elettronica del gas nobile più vicino, l’argon) necessitano entrambi di un elettrone: ciò è possibile mediante la formazione un legame covalente in cui ciascun atomo mette in compartecipazione un proprio elettrone. Come mostrato nella figura 8.3 [figura 8.3 - formazione della molecola di cloro utilizzando le strutture di Lewis] quando i due atomi di cloro si legano per formare una molecola si forma una coppia di elettroni condivisa, in modo tale che i due elettroni appartengano contemporaneamente a entrambi gli atomi, che si trovano così ad avere otto elettroni di valenza ciascuno. È possibile indicare la presenza di un legame covalente fra i due atomi, anche senza esplicitare gli elettroni di valenza tramite i simboli di Lewis, utilizzando un trattino che ne unisce i simboli: Cl-Cl.
=== Legame dativo ===


Il legame covalente può formarsi tra atomi uguali, come nel caso precedentemente analizzato, ma anche tra atomi di elementi differenti. Per esempio, nella molecola del metano (CH4), un gas incolore, inodore e altamente infiammabile, utilizzato per il riscaldamento domestico e come combustibile per le automobili, l’atomo di carbonio mette in condivisione tutti i suoi quattro elettroni con altrettanti atomi di idrogeno, formando quattro distinti legami covalenti. Ciò permette al carbonio di completare l’ottetto e contemporaneamente a ciascun atomo di idrogeno di raggiungere la configurazione elettronica stabile dell’elio. Nella figura 8.4 [figura 8.4 - molecola del metano possibilmente mostrata con Lewis e coi trattini] è rappresentata la molecola del metano.
È possibile in alcuni casi la formazione di un legame chimico in cui entrambi gli elettroni di legame sono forniti dallo stesso atomo, questa situazione è detta '''legame dativo''' (od anche '''di coordinazione'''). Questo legame è recentemente considerato obsoleto, in quanto è una forma di legame dativo. Infatti la sua natura, una volta instauratosi il legame, non è diversa da quella di un qualunque legame covalente.


=== Legami covalenti semplici, doppi e tripli ===
Perché si possa formare un legame dativo è necessaria la presenza di un atomo A, che fungerà da donatore, dotato di un doppietto elettronico libero (ad esempio un atomo di zolfo, ossigeno, azoto...), e di un atomo B, che fungerà da accettore, con la possibilità di accettare gli elettroni di legame e con elettronegatività maggiore dell'atomo A.
In base al numero di coppie di elettroni che vengono condivise tra due atomi per raggiungere l’ottetto si possono distinguere tre tipologie di legami covalenti:


# Nel legame covalente semplice (o singolo) viene condivisa una sola coppia di elettroni tra due atomi, come nei casi precedentemente analizzati del cloro molecolare e del metano (in cui sono presenti quattro distinti legami semplici), o nel caso della molecola di idrogeno (H2), in cui ciascun atomo mette in condivisione il suo unico elettrone, al fine di raggiungere la stabilità (rappresentata in questo caso dalla configurazione elettronica dell’elio), come mostrato in figura 8.5 [figura 8.5 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis]; anche in questo caso è possibile rappresentare la struttura della molecola, in forma semplificata, mediante un trattino che unisce i simboli dei due atomi legati: H-H.
Un esempio di questo tipo di legame è lo ione ammonio [NH<math>_{4}</math>]<math>^{+}</math>, in cui l'atomo di azoto della molecola di ammoniaca mette in compartecipazione il suo doppietto elettronico per formare un legame con l'atomo di idrogeno H<math>^{+}</math>.
# Nel legame covalente doppio vengono condivise due coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas ossigeno (O2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 6 elettroni di valenza (gruppo 16): per raggiungere l’ottetto (raggiungendo la stessa configurazione elettronica del gas nobile neon) sono necessari a ciascun atomo due elettroni; si formano pertanto due coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi, ossia un legame covalente doppio. La figura 8.6 [figura 8.6 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di ossigeno. In questo caso, il legame doppio può essere rappresentato da due trattini tra i simboli degli atomi: O=O.
# Nel legame covalente triplo vengono invece condivise tre coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas azoto (N2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 5 elettroni di valenza (gruppo 15): la formazione di tre coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi permette a entrambi di raggiungere l’ottetto e quindi la stabilità. La figura 8.7 [figura 8.7 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di azoto. In questo caso, il legame triplo può essere rappresentato da tre trattini tra i simboli degli atomi: N≡N.


I legami doppi e tripli possono essere complessivamente indicati anche come legami covalenti multipli.
Generalmente gli atomi donatori hanno caratteristiche di [[w:base di Lewis|base di Lewis]] mentre gli accettori hanno caratteristiche di [[w:acido di Lewis|acido di Lewis]], in questi termini la formazione di un legame dativo può essere vista come una reazione acido-base; se prendiamo l'esempio di sopra si può vedere la reazione di formazione dello ione ammonio come NH<math>_{3}</math> + H<math>^{+}</math> <math>\leftrightarrows</math> [NH<math>_{4}</math>]<math>^{+}</math> in cui l'[[w:ammoniaca|ammoniaca]] è la base di Lewis, il protone è l'acido di Lewis e lo ione ammonio è l'[[w:addotto|addotto]].


L’energia e la lunghezza dei legami dipende ovviamente dal tipo di atomi coinvolti, in generale, si può comunque osservare che, passando dal legame semplice a quello doppio e da questo a quello triplo, la lunghezza di legame diminuisce (i nuclei atomici sono pertanto più vicini), mentre l’energia aumenta (è pertanto necessario fornire un quantitativo maggiore di energia per spezzare il legame). Nella seguente tabella, sono indicati i differenti valori di lunghezza ed energia per i legami semplici, doppi e tripli tra atomi di carbonio:
Una branca della chimica in cui i legami dativi rivestono una grande importanza è la chimica dei composti di coordinazione, oltre che quella organometallica.
{| class="wikitable"
|Legame
|Esempio
|Lunghezza (pm)
|Energia (kJ/mol)
|-
|Semplice  (C-C)
|Etano: H3C-CH3
|154
|348
|-
|Doppio (C=C)
|Etilene: H2C=CH2
|134
|614
|-
|Triplo  (C≡C)
|Acetilene: HC≡CH
|120
|839
|}

=== Il legame covalente dativo ===
Un particolare tipo di legame covalente, presente in numerosi composti chimici, prevede che la coppia di elettroni di legame sia fornita da uno solo dei due atomi: è il legame covalente dativo. L’atomo che dona i due elettroni che ha già completato l’ottetto, mediante la formazione di legami con altri atomi, e che dispone di uno o più doppietti elettronici (coppie di elettroni) non condivisi (per indicarli si può utilizzare anche il termine “coppie solitarie”) prende il nome di datore, mentre quello che li riceve viene definito accettore. Il legame dativo una volta che si instaura è indistinguibile da un normale legame covalente e, per convenzione, viene indicato con una freccia (🠂) che va dall’atomo datore verso quello accettore.

Prendendo, ad esempio, in considerazione il cloro, che appartiene al gruppo 17, si può osservare che sono presenti tre coppie solitarie, utilizzabili per la formazione di altrettanti legami covalenti dativi: nell’acido cloroso (HClO2), nell’acido clorico (HClO3) e nell’acido perclorico (HClO4), sono infatti presenti rispettivamente uno, due e tre legami dativi tra il cloro e l’ossigeno, come illustrato in figura 8.9 [figura 8.9 - gli ossoacidi del Cl con messa in evidenza dei legami dativi].

=== L’elettronegatività e i legami covalenti puri e polarizzati ===
Un parametro di fondamentale importanza per determinare le caratteristiche di un legame chimico è l’elettronegatività, che, come già studiato nel modulo 7, è una proprietà che dà un’indicazione della tendenza con cui un atomo attrae gli elettroni di legame, misurata mediante una scala arbitraria proposta dal fisico e chimico americano Linus Pauling. In linea generale e tralasciando i gas nobili, l’elettronegatività aumenta spostandosi da sinistra verso destra lungo un periodo, mentre diminuisce scendendo lungo un gruppo: l’elemento più elettronegativo è infatti il fluoro.

Nel determinare le caratteristiche di un legame chimico è necessario fare riferimento alla differenza di elettronegatività fra gli atomi coinvolti: se tale differenza è minima, gli elettroni coinvolti nel legame risultano distribuiti in modo perfettamente uniforme attorno ai due nuclei atomici; al contrario, se tale differenza è significativa, la distribuzione degli elettroni coinvolti nel legame non è omogenea e gli elettroni sono attratti con maggior forza dal nucleo dell’atomo più elettronegativo. Più nel dettaglio, si possono distinguere i tre seguenti casi:

# Se la differenza di elettronegatività è inferiore a 0,4, si ha un legame covalente puro (anche detto omopolare o apolare), in cui gli elettroni di legame sono condivisi in modo perfettamente equilibrato. Ciò si verifica quando il legame si instaura tra due atomi delle stesso elemento, come nelle molecole di idrogeno (H2), cloro (Cl2), ossigeno (O2) e azoto (N2), precedentemente analizzate, o nelle molecole organiche in cui è normalmente presente il legame tra atomi di carbonio, C-C (ad esempio nell’etano: H3C-CH3), oppure quando il legame si instaura tra due elementi diversi che hanno però valori di elettronegatività simili, come ad esempio, tra l’idrogeno (elettronegatività = 2,20) e il fosforo (elettronegatività = 2,19), nel gas fosfina (PH3).
# Se la differenza di elettronegatività è compresa tra 0,4 e 1,9 (alcuni autori pongono il limite a 1,7), si ha un legame covalente polarizzato (anche detto eteropolare o polare), in cui gli elettroni di legame sono distribuiti in maniera non simmetrica, essendo attratti maggiormente dall’atomo con il più elevato valore di elettronegatività. Poiché gli elettroni sono particelle cariche negativamente, questa loro distribuzione asimmetrica fa sì che l’atomo più elettronegativo manifesti una parziale carica negativa (indicata con il simbolo δ−, “delta meno”), comunque inferiore al valore della carica dell’elettrone stesso (carica elettrica elementare), mentre l’atomo meno elettronegativo manifesti una parziale carica positiva (indicata con il simbolo δ+, “delta più”), anche in questo caso comunque inferiore al valore assoluto della carica dell’elettrone: si genera in questo modo un dipolo elettrico. Un esempio di legame covalente polarizzato è quello tra idrogeno (elettronegatività = 2,20) e cloro (elettronegatività = 2,16), nella molecola dell’acido cloridrico (HCl), rappresentata nella figura 8.9 [figura 8.9 - molecola di HCl in cui si mette in evidenza la polarità del legame]. Un’altra importante molecola in cui sono presenti legami covalenti polarizzati è l’acqua (H2O): l’atomo di ossigeno (elettronegatività = 3,44) presenta una parziale carica negativa (δ−), mentre gli atomi di idrogeno (elettronegatività = 2,20) presentano entrambi una parziale carica positiva (δ+), come mostrato in figura 8.10 [figura 8.10 - molecola H2O in cui si mette in evidenza la polarità del legame].
# Se la differenza di elettronegatività è maggiore di 1,9, si ha un legame ionico, di cui tratteremo nel paragrafo 8.3.

{| class="wikitable"
|Differenza di elettronegatività (ΔꞳ)
|0 ≤ ΔꞳ < 4
|4 ≤ ΔꞳ < 1,9
|ΔꞳ ≥ 1,9
|-
|Tipo di legame
|Legame covalente puro
|Legame covalente polarizzato
|Legame ionico
|}

=== Le sostanze covalenti ===
Sono definite sostanze covalenti quelle in cui sono presenti esclusivamente legami covalenti. In alcuni casi queste sostanze sono formate da molecole semplici, derivanti dall’unione di un limitato numero di atomi tutti legati covalentemente tra loro, come nel caso di tutte le molecole precedentemente citate, in altri casi sono formate da molecole complesse costituite da decine, centinaia o migliaia di atomi uniti covalentemente tra loro, come si osserva spesso nelle molecole organiche e biologiche.

Esistono inoltre solidi covalenti che, anziché essere formati da molecole semplici o complesse, sono formati da un numero molto elevato e variabile di atomi legati covalentemente tra loro che danno origine, nello spazio, a strutture geometriche regolari: ne è un classico esempio il diamante, una particolare forma del carbonio in cui ogni atomo è legato covalentemente ad altri quattro, dando origine ad un reticolo tridimensionale virtualmente infinito, come mostrato in figura 8.11 [figura 8.11 - struttura del diamante].

Le sostanze covalenti generalmente hanno una conducibilità termica piuttosto bassa e non sono nemmeno buoni conduttori di corrente elettrica né allo stato solido (a differenza dei metalli), né allo stato liquido (a differenza dei composti ionici), poiché le molecole sono complessivamente neutre e gli elettroni coinvolti nei legami covalenti non sono liberi di muoversi, ma sono localizzati tra i nuclei degli atomi che li condividono.

== Il legame ionico ==
Come introdotto nel paragrafo precedente, quando la differenza di elettronegatività fra due atomi è superiore a 1,9 si instaura una differente tipologia di legame: il legame ionico. Questo si basa sul trasferimento di elettroni tra atomi, che porta quindi alla formazione di ioni di carica opposta, tra i quali si instaura un’interazione elettrostatica di tipo attrattivo. Il legame ionico può dunque essere definito come l’insieme delle interazioni elettrostatiche che tengono assieme ioni di carica opposta, generatisi in seguito al trasferimento di elettroni fra atomi di elementi differenti.

=== Gli ioni e l’instaurarsi del legame ionico ===
Nel modulo 6, gli ioni sono stati definiti come atomi (o molecole) elettricamente carichi. Poiché soltanto gli elettroni (particelle subatomiche aventi carica elettrica elementare negativa, −1) possono essere scambiati (acquisiti o ceduti), uno è ione negativo quando possiede almeno un elettrone in eccesso, al contrario uno ione è positivo quando è deficitario di almeno un elettrone. Gli ioni sono rappresentati mediante il simbolo dell’elemento chimico (o la formula della molecola), con l’indicazione, in alto (apice) a destra del tipo e del quantitativo di cariche elettriche possedute, mediante i simboli matematici − o +, ad esempio lo ione alluminio, che è dotato di tre cariche elettriche positive, si rappresenta come Al3+, mentre lo ione solfuro, che è dotato di due cariche elettriche negative, si rappresenta come S2−. Gli ioni negativi, come ad esempio lo ione solfuro ( S2−) o lo ione cloruro (Cl−), sono anche detti anioni; gli ioni positivi, come ad esempio lo ione alluminio (Al3+) o lo ione sodio (Na+), sono invece detti cationi.  

Quando si forma il legame ionico, l’elettrone (o gli elettroni) passano dall’atomo dell’elemento meno elettronegativo, che diventa pertanto un catione, a quello più elettronegativo, che diventa pertanto un anione.

Il comune sale da cucina, chiamato più propriamente dai chimici cloruro di sodio, è formato da ioni sodio e cloruro tenuti assieme da legami ionici. Al cloro (elettronegatività = 3,16) manca un solo elettrone per completare l’ottetto (si trova infatti nel gruppo 17 e ha pertanto sette elettroni di valenza), mentre il sodio (elettronegatività = 0,93), che si trova nel gruppo 1, possiede un solo elettrone nel livello elettronico più esterno, pertanto il sodio cede questo suo unico elettrone di valenza al cloro: in questo modo il sodio diventa lo ione positivo (catione) Na+ e raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo precede nella Tavola periodica, il neon, mentre il cloro diventa lo ione negativo (anione) Cl− e raggiunge raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo segue nella Tavola periodica, l’argon. Fra gli ioni di carica opposta che si sono così formati si instaura una reciproca attrazione elettrostatica, che è alla base del legame ionico. Nella figura 8.12 [figura 8.12 - formazione del cloruro di sodio] è mostrata la formazione del cloruro di sodio, in seguito allo scambio di elettroni prima descritto.

=== I composti ionici ===
L’interazione elettrostatica tra gli ioni non è localizzata e direzionale, come nel caso del legame covalente, ma si esercita in tutte le direzioni dello spazio, questo fa sì che ogni ione si circondi di più ioni di carica elettrica opposta: ogni anione si circonda di più cationi e contemporaneamente ogni catione si circonda di più anioni, dando in questo modo origine a una struttura tridimensionale altamente ordinata detta reticolo cristallino, che caratterizza i composti ionici.

Riprendendo l’esempio del cloruro di sodio, ogni ione sodio, Na+, è circondato da sei ioni cloruro, Cl−, e, a sua volta, ogni ione Cl− è circondato da sei ioni Na+. In pratica, ogni ione di una determinata carica si trova idealmente al centro di un cubo circondato dagli ioni di carica opposta, con cui interagisce direttamente, che si trovano al centro di ciascuna delle sei facce del cubo, come mostrato in figura 8.13 [figura 8.13 - reticolo cristallino del cloruro di sodio].

Tutti i composti ionici sono caratterizzati da un reticolo cristallino, ma la sua struttura geometrica non è necessariamente sempre la stessa: il numero e la disposizione spaziale degli ioni che costituiscono il reticolo cristallino dipende dalle loro caratteristiche chimiche, come, ad esempio, le loro dimensioni e la loro carica.

I composti ionici, a differenza di quelli covalenti, non sono costituiti da molecole ben definite che interagiscono tra loro, ma da un insieme di ioni di cariche opposte distribuiti in modo ordinato nello spazio, in una struttura geometrica che, almeno virtualmente, potrebbe svilupparsi illimitatamente. Ne deriva che la formula dei composti ionici non indica la composizione di una molecola, ma il rapporto di combinazione minimo tra gli ioni di segno opposto, in modo tale che il composto risulti nel complesso elettricamente neutro.

I composti ionici hanno un'elevata conducibilità termica e sono buoni conduttori di corrente elettrica allo stato liquido, ma non a quello solido; poiché, inoltre, i composti ionici si disgregano quando sciolti acqua, liberando gli ioni da cui sono costituiti, risultano buoni conduttori di corrente anche in soluzione acquosa.

=== Legami e composti ionici e covalenti a confronto ===
È importante osservare, in aggiunta a quanto già scritto precedentemente, che, consultando la Tavola periodica, è possibile prevedere, con una certa facilità, il tipo di legame che si potrà formare tra gli atomi dei diversi elementi, in particolare

* gli atomi dei non metalli formano tra loro legami covalenti;
* quando gli atomi di non metallo sono uguali (o con differenze di elettronegatività minime), si forma un legame covalente puro;
* quando invece gli atomi di non metallo sono diversi e hanno valori di elettronegatività abbastanza differenti, si forma un legame covalente polare;
* i metalli e i non metalli normalmente formano tra loro legami ionici.

La differente natura dei legami ionico e covalente comporta inoltre significative differenze nelle  proprietà sia microscopiche sia macroscopiche dei rispettivi composti, come riepilogato nella seguente tabella:
{| class="wikitable"
|
|Sostanze covalenti
|Composti ionici
|-
|Elementi coinvolti
|Non metalli
|Metalli e non metalli
|-
|Struttura
|Molecole
|Reticolo cristallino
|-
|Solubilità in acqua
|Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici
|Elevata
|-
|Conducibilità elettrica
|Assente
|Elevata allo stato liquido o in soluzione acquosa

Assente allo stato solido
|-
|Conducibilità termica
|Bassa
|Elevata
|-
|Stato di aggregazione
|Variabile (alcune sono solide, altre liquide, altre aeriformi)
|Solido
|-
|Temperatura di fusione
|Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici
|Elevata
|-
|Temperatura di ebollizione
|Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici
|Elevata
|}

== Il legame metallico ==
I metalli, come si può facilmente constatare analizzando la Tavola periodica, comprendo il  maggior numero degli elementi chimici (circa il 75 %). Nel modulo 7, sono state descritte le più importanti caratteristiche e proprietà dei metalli, che in sintesi sono:

* l’essere tutti solidi a temperatura ambiente (con l’eccezione del mercurio);
* la tipica lucentezza;
* la buona conducibilità sia termica, sia elettrica;
* l’elevata flessibilità e lavorabilità (in particolare la duttilità e la malleabilità).

Le caratteristiche dei metalli dipendono dal peculiare legame chimico che li caratterizza e che è differente sia da quello covalente, infatti non comporta la condivisione degli elettroni, che devono invece essere liberi di muoversi, per giustificarne la buona conducibilità termica, sia da quello ionico, infatti non coinvolge atomi di elementi differenti che si scambiano elettroni, ma atomi tutti dello stesso tipo.

In prima approssimazione, il legame metallico può essere descritto mediante il  "modello a nube elettronica" proposto dal fisico tedesco Paul Drude, nel 1900, integrato con le scoperte successive sulla struttura degli atomi e della materia. Quando interagiscono fra loro per dare origine a un corpo metallico, gli atomi di un metallo perdono i propri elettroni di valenza, diventando pertanto ioni positivi (cationi metallici) e si “impacchettano” nel miglior modo possibile, in modo da dare origine a strutture geometriche ben definite e ordinate (un reticolo di cationi); a loro volta gli elettroni di valenza che non appartengono più ai singoli atomi, ma sono liberi di muoversi tra i vari cationi (si parla di elettroni delocalizzati), costituiscono una sorta di “mare” di cariche negative che funge da collante e tiene saldamente uniti i cationi. In sintesi, un solido metallico è costituito da un reticolo di cationi immersi in un mare di elettroni, che li mantiene aggregati. La struttura precedentemente descritta è rappresentata nella figura 8.17 [figura 8.17 - legame metallico].

Il legame metallico può giustificare le proprietà che caratterizzano i metalli:

* La lucentezza dipende dall’interazione tra la luce che colpisce la superficie di un metallo e il mare di elettroni mobili, che a loro volta generano luce della stessa lunghezza d’onda.
* La conducibilità termica ed elettrica dipendono dalla mobilità degli elettroni di valenza; ciò differenzia i metalli dai composti ionici che possono condurre corrente solo quando si trovano allo stato liquido o in soluzione acquosa, perché gli ioni, non più organizzati nel reticolo cristallino, sono liberi di muoversi e trasportare cariche elettriche.
* La flessibilità e la lavorabilità dei metalli dipende dal fatto che una deformazione del reticolo cationico non genera forze repulsive, in quanto ogni singolo catione si trova sempre immerso nel mare elettronico che ne controbilancia la carica; anche in questo caso i metalli si differenziano dai composti ionici che invece sono fragili e si rompono facilmente se si tenta di deformarli, in quanto lo slittamento di uno strato di ioni fa sì che cariche dello stesso segno si vengano a trovare più vicine, respingendosi e così provocando la rottura del cristallo, come mostrato in figura 8.18 [figura 8.18 - rottura del solido cristallino per deformazione].

Si ricorda, infine, che il legame metallico caratterizza non soltanto i metalli puri ma anche le leghe come l’acciaio, il bronzo, l’ottone, ecc.

= I legami intermolecolari =
Con il termine generico di legami intermolecolari (o secondari) si indicano differenti tipologie di interazioni di natura elettrostatica che si stabiliscono fra le molecole (siano esse neutre o ioniche) e non fra i singoli atomi, come nel caso dei legami precedentemente descritti, che per contrapposizione sono talvolta definiti intramolecolari (o primari o interatomici). Queste interazioni, che sono fondamentali per comprendere gli stati di aggregazione della materia, sono generalmente più deboli (hanno cioè una minor energia di legame) di quelle intramolecolari, hanno un breve raggio d’azione e diminuiscono rapidamente di intensità all’aumentare della distanza tra le molecole.

Si possono individuare diverse tipologie di legami intermolecolari, che sono strettamente legati alla maggiore o minore polarità dello molecole coinvolte, fra cui:

# Il legame ione-dipolo si instaura fra molecole polari e ioni e che giustifica la solubilità solitamente elevata delle sostanze saline nei liquidi polari. Un classico esempio è dato dalla dissoluzione del sale da cucina (il cloruro di sodio) in acqua: le numerose molecole dipolari di acqua esercitano un’intensa attrazione sugli ioni sodio Na+ e cloro Cl−, di conseguenza il reticolo cristallino si disgrega e gli ioni si ritrovano in soluzione circondati da molecole di acqua (si parla propriamente di ioni idratati), come mostrato figura 8.19 [figura 8.19 - dissoluzione dell’NaCl in acqua].


I legami dativi consentono inoltre, in molti casi, di ottenere effetti particolari, come ad esempio la catalisi per trasferimento di fase utilizzando eteri corona.


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Versione delle 18:05, 8 dic 2020


I legami chimici

La formazione dei legami chimici

L’enorme varietà di sostanze chimiche che formano non solo il mondo in cui viviamo, ma l’intero Universo, deriva dalla combinazione degli atomi che costituiscono gli elementi classificati nella Tavola periodica.

Mentre i gas nobili esistono come atomi isolati, gli atomi di tutti gli altri elementi tendono a combinarsi, sia con atomi dello stesso tipo (sostanze elementari), sia con atomi di elementi differenti (composti), mediante la formazione di legami chimici, ossia interazioni di natura elettrica in cui sono coinvolti gli elettroni più esterni che possono essere scambiati o messi in condivisione. La formazione dei legami chimici è un processo complesso, che per essere studiato a pieno, richiederebbe conoscenze più approfondite della struttura atomica e della meccanica quantistica, ma che è in ogni caso fondamentale comprendere almeno nelle sue linee essenziali, in quanto le trasformazioni chimiche comportano normalmente la rottura e la formazione di legami chimici.

Per quanto il numero di possibili combinazioni fra gli atomi sia virtualmente infinito, non sempre è possibile che si instaurino legami fra essi: condizione essenziale è che l’energia potenziale dell’associazione atomica che si viene a formare sia minore di quella dei singoli atomi separati. Il composto che si ottiene, in seguito all’instaurarsi di legami chimici, ha pertanto una maggior stabilità rispetto ai singoli atomi che lo costituiscono, proprio perché il suo contenuto energetico è minore rispetto a quello degli atomi separati. Con il termine energia di legame si indica la quantità di energia che deve essere fornita per rompere un legame chimico. La distanza tra i nuclei dei due atomi coinvolti in un legame chimico è invece definita lunghezza di legame.

Gli elettroni di legame

Come precedentemente osservato, alle interazioni tra atomi, ossia alla formazione dei legami chimici, prendono normalmente parte solo gli elettroni più esterni che pertanto vengono chiamati elettroni di legame o elettroni di valenza, in quanto il livello energetico più esterno di un atomo, dove sono localizzati tali elettroni, è definito strato di valenza. Il numero di elettroni di valenza può essere agevolmente determinato facendo riferimento alla Tavola periodica rappresentata in figura 8.1 [figura 8.1 - tavola periodica con l’indicazione sia IUPAC sia tradizionale dei gruppi preferibilmente che metta in evidenza i gruppi 1-2 e 13-18], in particolare:

  • i metalli alcalini (gruppo 1) e alcalino-terrosi (gruppo 2) hanno rispettivamente uno o due elettroni di legame;
  • gli elementi dei gruppi dal 13 al 18 hanno un numero di elettroni di legame pari al numero del gruppo diminuito di dieci (tre elettroni per gli elementi del gruppo 13, quattro elettroni per gli elementi del gruppo 14 e così via), con l’eccezione dell’elio che pur appartenendo al gruppo 18 ha in totale solo due elettroni.

Per quanto riguarda gli elementi appartenenti ai gruppi dal 3 al 12 (metalli di transizione) la determinazione degli elettroni di valenza è più complessa, a causa della loro peculiare struttura atomica, e non è possibile enunciare regole semplici per stabilire quanti siano tali elettroni.

Facendo riferimento alla classificazione tradizionale dei gruppi, tuttora riportata sulla maggior parte delle Tavole periodiche, e senza considerare i metalli di transizione, è ancora più agevole la determinazione degli elettroni di valenza, poiché il loro quantitativo corrisponde al numero romano con cui viene indicato il gruppo: un elettrone per gli elementi del gruppo I (metalli alcalini), due elettroni per gli elementi del gruppo II (metalli alcalino-terrosi), tre elettroni per gli elementi del gruppo III (boro, alluminio, gallio, ecc.), e così via fino ad arrivare ai gas nobili (gruppo VIII), che hanno tutti 8 elettroni di legame nello strato più esterno (con l’eccezione, già ricordata dell’elio).

I simboli di Lewis e la regola dell’ottetto

Gli elettroni di valenza possono essere facilmente rappresentati mediante pratiche notazioni introdotte dal chimico statunitense Gilber N. Lewis e per questo note come simboli di Lewis, in cui tali elettroni sono indicati come puntini o come coppie di puntini disegnati ai quattro lati del simbolo chimico dell'elemento. Come regola generale, si colloca un puntino su ciascun lato del simbolo chimico (è indifferente il lato da cui partire e l’ordine da seguire) per i primi quattro elettroni di legame, dopodichè si accoppiano i puntini su ciascun lato: l'importante è collocare i primi quattro puntini su ciascun lato, dopodichè accoppiarli. Nella figura 8.2 [figura 8.2 - struttura di Lewis dei primi 18 elementi] sono rappresentate le strutture di Lewis per gli elementi appartenenti ai primi tre periodi. Come è possibile notare, gli elementi appartenenti al medesimo gruppo presentano la stessa stessa struttura di Lewis, in quanto dotati della stessa configurazione elettronica più esterna, ossia la stessa distribuzione degli elettroni di valenza.

Nel 1916, Lewis ha inoltre formulato la cosiddetta regola dell'ottetto, una regola empirica che tenta di spiegare, anche se in modo approssimato, la formazione dei legami chimici tra gli atomi. Secondo tale regola quando un atomo possiede il livello elettronico esterno completo (ossia lo strato di valenza), che in genere è costituito da otto elettroni, esso è in una condizione di particolare stabilità energetica e tende a non formare ulteriori legami. In altre parole, un atomo è particolarmente stabile quando ha otto elettroni nello strato di valenza.

I gas nobili, in natura, risultano sostanzialmente inerti (salvo alcune reazioni particolari che danno origine però origine a composti rari e poco stabili) ed esistono come atomi singoli, proprio in virtù del fatto che presentano un ottetto completo nello strato di valenza: si ricorda sempre la peculiarità dell’elio che risulta stabile con soli due elettroni. Al contrario, tutti gli altri elementi, che non possiedono l’ottetto completo, tendono, a seconda dei casi, a cedere, ad acquistare o a mettere in comune i propri elettroni di legame, al fine di completare il proprio strato di valenza. Ogni elemento pertanto ha la tendenza a raggiungere l’ottetto e ad assumere lo stesso assetto di elettroni del gas nobile ad esso più vicino.

Questa regola empirica, che propone una giustificazione della tendenza degli atomi a legarsi fra loro, mediante la formazione di legami chimici, è normalmente ben rispettata dagli elementi dei primi due gruppi (metalli alcalini e alcalino-terrosi) e da quelli dei gruppi dal 13 al 18 (sono comunque note delle eccezioni), mentre i metalli di transizione, i lantanidi e gli attinidi hanno comportamenti complessi e non sempre riconducibili a tale regola.

In linea generale, si può osservare che gli elementi dei primi gruppi, che si trovano nella parte sinistra della Tavola periodica, sono portati a cedere elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li precede, mentre gli elementi dei gruppi più a destra della Tavola periodica sono portati ad acquistare elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li segue. In alternativa, molti elementi possono condividere i propri elettroni con altri elementi, sempre al fine di raggiungere l’ottetto. Si vuole osservare infine che l’idrogeno (con un solo elettrone), il litio (con tre elettroni) e il berillio (con quattro elettroni) tendono ad assumere la configurazione elettronica dell’elio e raggiungono pertanto la stabilità quando hanno due elettroni, nello strato più esterno.

Il legame covalente

Il legame covalente si basa sulla condivisione degli elettroni: due atomi mettono in comune una o più coppie di elettroni. Il raggiungimento dell’ottetto è possibile poiché gli elettroni condivisi appartengono contemporaneamente a entrambi gli atomi.

Il cloro, ad esempio, è un gas tossico di colore verde-giallastro (il nome di tale elemento deriva proprio dal termine greco χλωρός, chlōros, che significa “verde”) che, in natura, esiste sotto forma di molecole biatomiche: Cl2. Ciascuno dei due atomi di cloro che formano la molecola possiede 7 elettroni di valenza (il cloro appartiene infatti al gruppo 17, quello degli alogeni) e pertanto per raggiungere l’ottetto (corrispondente alla stessa configurazione elettronica del gas nobile più vicino, l’argon) necessitano entrambi di un elettrone: ciò è possibile mediante la formazione un legame covalente in cui ciascun atomo mette in compartecipazione un proprio elettrone. Come mostrato nella figura 8.3 [figura 8.3 - formazione della molecola di cloro utilizzando le strutture di Lewis] quando i due atomi di cloro si legano per formare una molecola si forma una coppia di elettroni condivisa, in modo tale che i due elettroni appartengano contemporaneamente a entrambi gli atomi, che si trovano così ad avere otto elettroni di valenza ciascuno. È possibile indicare la presenza di un legame covalente fra i due atomi, anche senza esplicitare gli elettroni di valenza tramite i simboli di Lewis, utilizzando un trattino che ne unisce i simboli: Cl-Cl.

Il legame covalente può formarsi tra atomi uguali, come nel caso precedentemente analizzato, ma anche tra atomi di elementi differenti. Per esempio, nella molecola del metano (CH4), un gas incolore, inodore e altamente infiammabile, utilizzato per il riscaldamento domestico e come combustibile per le automobili, l’atomo di carbonio mette in condivisione tutti i suoi quattro elettroni con altrettanti atomi di idrogeno, formando quattro distinti legami covalenti. Ciò permette al carbonio di completare l’ottetto e contemporaneamente a ciascun atomo di idrogeno di raggiungere la configurazione elettronica stabile dell’elio. Nella figura 8.4 [figura 8.4 - molecola del metano possibilmente mostrata con Lewis e coi trattini] è rappresentata la molecola del metano.

Legami covalenti semplici, doppi e tripli

In base al numero di coppie di elettroni che vengono condivise tra due atomi per raggiungere l’ottetto si possono distinguere tre tipologie di legami covalenti:

  1. Nel legame covalente semplice (o singolo) viene condivisa una sola coppia di elettroni tra due atomi, come nei casi precedentemente analizzati del cloro molecolare e del metano (in cui sono presenti quattro distinti legami semplici), o nel caso della molecola di idrogeno (H2), in cui ciascun atomo mette in condivisione il suo unico elettrone, al fine di raggiungere la stabilità (rappresentata in questo caso dalla configurazione elettronica dell’elio), come mostrato in figura 8.5 [figura 8.5 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis]; anche in questo caso è possibile rappresentare la struttura della molecola, in forma semplificata, mediante un trattino che unisce i simboli dei due atomi legati: H-H.
  2. Nel legame covalente doppio vengono condivise due coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas ossigeno (O2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 6 elettroni di valenza (gruppo 16): per raggiungere l’ottetto (raggiungendo la stessa configurazione elettronica del gas nobile neon) sono necessari a ciascun atomo due elettroni; si formano pertanto due coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi, ossia un legame covalente doppio. La figura 8.6 [figura 8.6 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di ossigeno. In questo caso, il legame doppio può essere rappresentato da due trattini tra i simboli degli atomi: O=O.
  3. Nel legame covalente triplo vengono invece condivise tre coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas azoto (N2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 5 elettroni di valenza (gruppo 15): la formazione di tre coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi permette a entrambi di raggiungere l’ottetto e quindi la stabilità. La figura 8.7 [figura 8.7 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di azoto. In questo caso, il legame triplo può essere rappresentato da tre trattini tra i simboli degli atomi: N≡N.

I legami doppi e tripli possono essere complessivamente indicati anche come legami covalenti multipli.

L’energia e la lunghezza dei legami dipende ovviamente dal tipo di atomi coinvolti, in generale, si può comunque osservare che, passando dal legame semplice a quello doppio e da questo a quello triplo, la lunghezza di legame diminuisce (i nuclei atomici sono pertanto più vicini), mentre l’energia aumenta (è pertanto necessario fornire un quantitativo maggiore di energia per spezzare il legame). Nella seguente tabella, sono indicati i differenti valori di lunghezza ed energia per i legami semplici, doppi e tripli tra atomi di carbonio:

Legame Esempio Lunghezza (pm) Energia (kJ/mol)
Semplice  (C-C) Etano: H3C-CH3 154 348
Doppio (C=C) Etilene: H2C=CH2 134 614
Triplo  (C≡C) Acetilene: HC≡CH 120 839

Il legame covalente dativo

Un particolare tipo di legame covalente, presente in numerosi composti chimici, prevede che la coppia di elettroni di legame sia fornita da uno solo dei due atomi: è il legame covalente dativo. L’atomo che dona i due elettroni che ha già completato l’ottetto, mediante la formazione di legami con altri atomi, e che dispone di uno o più doppietti elettronici (coppie di elettroni) non condivisi (per indicarli si può utilizzare anche il termine “coppie solitarie”) prende il nome di datore, mentre quello che li riceve viene definito accettore. Il legame dativo una volta che si instaura è indistinguibile da un normale legame covalente e, per convenzione, viene indicato con una freccia (🠂) che va dall’atomo datore verso quello accettore.

Prendendo, ad esempio, in considerazione il cloro, che appartiene al gruppo 17, si può osservare che sono presenti tre coppie solitarie, utilizzabili per la formazione di altrettanti legami covalenti dativi: nell’acido cloroso (HClO2), nell’acido clorico (HClO3) e nell’acido perclorico (HClO4), sono infatti presenti rispettivamente uno, due e tre legami dativi tra il cloro e l’ossigeno, come illustrato in figura 8.9 [figura 8.9 - gli ossoacidi del Cl con messa in evidenza dei legami dativi].

L’elettronegatività e i legami covalenti puri e polarizzati

Un parametro di fondamentale importanza per determinare le caratteristiche di un legame chimico è l’elettronegatività, che, come già studiato nel modulo 7, è una proprietà che dà un’indicazione della tendenza con cui un atomo attrae gli elettroni di legame, misurata mediante una scala arbitraria proposta dal fisico e chimico americano Linus Pauling. In linea generale e tralasciando i gas nobili, l’elettronegatività aumenta spostandosi da sinistra verso destra lungo un periodo, mentre diminuisce scendendo lungo un gruppo: l’elemento più elettronegativo è infatti il fluoro.

Nel determinare le caratteristiche di un legame chimico è necessario fare riferimento alla differenza di elettronegatività fra gli atomi coinvolti: se tale differenza è minima, gli elettroni coinvolti nel legame risultano distribuiti in modo perfettamente uniforme attorno ai due nuclei atomici; al contrario, se tale differenza è significativa, la distribuzione degli elettroni coinvolti nel legame non è omogenea e gli elettroni sono attratti con maggior forza dal nucleo dell’atomo più elettronegativo. Più nel dettaglio, si possono distinguere i tre seguenti casi:

  1. Se la differenza di elettronegatività è inferiore a 0,4, si ha un legame covalente puro (anche detto omopolare o apolare), in cui gli elettroni di legame sono condivisi in modo perfettamente equilibrato. Ciò si verifica quando il legame si instaura tra due atomi delle stesso elemento, come nelle molecole di idrogeno (H2), cloro (Cl2), ossigeno (O2) e azoto (N2), precedentemente analizzate, o nelle molecole organiche in cui è normalmente presente il legame tra atomi di carbonio, C-C (ad esempio nell’etano: H3C-CH3), oppure quando il legame si instaura tra due elementi diversi che hanno però valori di elettronegatività simili, come ad esempio, tra l’idrogeno (elettronegatività = 2,20) e il fosforo (elettronegatività = 2,19), nel gas fosfina (PH3).
  2. Se la differenza di elettronegatività è compresa tra 0,4 e 1,9 (alcuni autori pongono il limite a 1,7), si ha un legame covalente polarizzato (anche detto eteropolare o polare), in cui gli elettroni di legame sono distribuiti in maniera non simmetrica, essendo attratti maggiormente dall’atomo con il più elevato valore di elettronegatività. Poiché gli elettroni sono particelle cariche negativamente, questa loro distribuzione asimmetrica fa sì che l’atomo più elettronegativo manifesti una parziale carica negativa (indicata con il simbolo δ−, “delta meno”), comunque inferiore al valore della carica dell’elettrone stesso (carica elettrica elementare), mentre l’atomo meno elettronegativo manifesti una parziale carica positiva (indicata con il simbolo δ+, “delta più”), anche in questo caso comunque inferiore al valore assoluto della carica dell’elettrone: si genera in questo modo un dipolo elettrico. Un esempio di legame covalente polarizzato è quello tra idrogeno (elettronegatività = 2,20) e cloro (elettronegatività = 2,16), nella molecola dell’acido cloridrico (HCl), rappresentata nella figura 8.9 [figura 8.9 - molecola di HCl in cui si mette in evidenza la polarità del legame]. Un’altra importante molecola in cui sono presenti legami covalenti polarizzati è l’acqua (H2O): l’atomo di ossigeno (elettronegatività = 3,44) presenta una parziale carica negativa (δ−), mentre gli atomi di idrogeno (elettronegatività = 2,20) presentano entrambi una parziale carica positiva (δ+), come mostrato in figura 8.10 [figura 8.10 - molecola H2O in cui si mette in evidenza la polarità del legame].
  3. Se la differenza di elettronegatività è maggiore di 1,9, si ha un legame ionico, di cui tratteremo nel paragrafo 8.3.
Differenza di elettronegatività (ΔꞳ) 0 ≤ ΔꞳ < 4 4 ≤ ΔꞳ < 1,9 ΔꞳ ≥ 1,9
Tipo di legame Legame covalente puro Legame covalente polarizzato Legame ionico

Le sostanze covalenti

Sono definite sostanze covalenti quelle in cui sono presenti esclusivamente legami covalenti. In alcuni casi queste sostanze sono formate da molecole semplici, derivanti dall’unione di un limitato numero di atomi tutti legati covalentemente tra loro, come nel caso di tutte le molecole precedentemente citate, in altri casi sono formate da molecole complesse costituite da decine, centinaia o migliaia di atomi uniti covalentemente tra loro, come si osserva spesso nelle molecole organiche e biologiche.

Esistono inoltre solidi covalenti che, anziché essere formati da molecole semplici o complesse, sono formati da un numero molto elevato e variabile di atomi legati covalentemente tra loro che danno origine, nello spazio, a strutture geometriche regolari: ne è un classico esempio il diamante, una particolare forma del carbonio in cui ogni atomo è legato covalentemente ad altri quattro, dando origine ad un reticolo tridimensionale virtualmente infinito, come mostrato in figura 8.11 [figura 8.11 - struttura del diamante].

Le sostanze covalenti generalmente hanno una conducibilità termica piuttosto bassa e non sono nemmeno buoni conduttori di corrente elettrica né allo stato solido (a differenza dei metalli), né allo stato liquido (a differenza dei composti ionici), poiché le molecole sono complessivamente neutre e gli elettroni coinvolti nei legami covalenti non sono liberi di muoversi, ma sono localizzati tra i nuclei degli atomi che li condividono.

Il legame ionico

Come introdotto nel paragrafo precedente, quando la differenza di elettronegatività fra due atomi è superiore a 1,9 si instaura una differente tipologia di legame: il legame ionico. Questo si basa sul trasferimento di elettroni tra atomi, che porta quindi alla formazione di ioni di carica opposta, tra i quali si instaura un’interazione elettrostatica di tipo attrattivo. Il legame ionico può dunque essere definito come l’insieme delle interazioni elettrostatiche che tengono assieme ioni di carica opposta, generatisi in seguito al trasferimento di elettroni fra atomi di elementi differenti.

Gli ioni e l’instaurarsi del legame ionico

Nel modulo 6, gli ioni sono stati definiti come atomi (o molecole) elettricamente carichi. Poiché soltanto gli elettroni (particelle subatomiche aventi carica elettrica elementare negativa, −1) possono essere scambiati (acquisiti o ceduti), uno è ione negativo quando possiede almeno un elettrone in eccesso, al contrario uno ione è positivo quando è deficitario di almeno un elettrone. Gli ioni sono rappresentati mediante il simbolo dell’elemento chimico (o la formula della molecola), con l’indicazione, in alto (apice) a destra del tipo e del quantitativo di cariche elettriche possedute, mediante i simboli matematici − o +, ad esempio lo ione alluminio, che è dotato di tre cariche elettriche positive, si rappresenta come Al3+, mentre lo ione solfuro, che è dotato di due cariche elettriche negative, si rappresenta come S2−. Gli ioni negativi, come ad esempio lo ione solfuro ( S2−) o lo ione cloruro (Cl−), sono anche detti anioni; gli ioni positivi, come ad esempio lo ione alluminio (Al3+) o lo ione sodio (Na+), sono invece detti cationi.  

Quando si forma il legame ionico, l’elettrone (o gli elettroni) passano dall’atomo dell’elemento meno elettronegativo, che diventa pertanto un catione, a quello più elettronegativo, che diventa pertanto un anione.

Il comune sale da cucina, chiamato più propriamente dai chimici cloruro di sodio, è formato da ioni sodio e cloruro tenuti assieme da legami ionici. Al cloro (elettronegatività = 3,16) manca un solo elettrone per completare l’ottetto (si trova infatti nel gruppo 17 e ha pertanto sette elettroni di valenza), mentre il sodio (elettronegatività = 0,93), che si trova nel gruppo 1, possiede un solo elettrone nel livello elettronico più esterno, pertanto il sodio cede questo suo unico elettrone di valenza al cloro: in questo modo il sodio diventa lo ione positivo (catione) Na+ e raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo precede nella Tavola periodica, il neon, mentre il cloro diventa lo ione negativo (anione) Cl− e raggiunge raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo segue nella Tavola periodica, l’argon. Fra gli ioni di carica opposta che si sono così formati si instaura una reciproca attrazione elettrostatica, che è alla base del legame ionico. Nella figura 8.12 [figura 8.12 - formazione del cloruro di sodio] è mostrata la formazione del cloruro di sodio, in seguito allo scambio di elettroni prima descritto.

I composti ionici

L’interazione elettrostatica tra gli ioni non è localizzata e direzionale, come nel caso del legame covalente, ma si esercita in tutte le direzioni dello spazio, questo fa sì che ogni ione si circondi di più ioni di carica elettrica opposta: ogni anione si circonda di più cationi e contemporaneamente ogni catione si circonda di più anioni, dando in questo modo origine a una struttura tridimensionale altamente ordinata detta reticolo cristallino, che caratterizza i composti ionici.

Riprendendo l’esempio del cloruro di sodio, ogni ione sodio, Na+, è circondato da sei ioni cloruro, Cl−, e, a sua volta, ogni ione Cl− è circondato da sei ioni Na+. In pratica, ogni ione di una determinata carica si trova idealmente al centro di un cubo circondato dagli ioni di carica opposta, con cui interagisce direttamente, che si trovano al centro di ciascuna delle sei facce del cubo, come mostrato in figura 8.13 [figura 8.13 - reticolo cristallino del cloruro di sodio].

Tutti i composti ionici sono caratterizzati da un reticolo cristallino, ma la sua struttura geometrica non è necessariamente sempre la stessa: il numero e la disposizione spaziale degli ioni che costituiscono il reticolo cristallino dipende dalle loro caratteristiche chimiche, come, ad esempio, le loro dimensioni e la loro carica.

I composti ionici, a differenza di quelli covalenti, non sono costituiti da molecole ben definite che interagiscono tra loro, ma da un insieme di ioni di cariche opposte distribuiti in modo ordinato nello spazio, in una struttura geometrica che, almeno virtualmente, potrebbe svilupparsi illimitatamente. Ne deriva che la formula dei composti ionici non indica la composizione di una molecola, ma il rapporto di combinazione minimo tra gli ioni di segno opposto, in modo tale che il composto risulti nel complesso elettricamente neutro.

I composti ionici hanno un'elevata conducibilità termica e sono buoni conduttori di corrente elettrica allo stato liquido, ma non a quello solido; poiché, inoltre, i composti ionici si disgregano quando sciolti acqua, liberando gli ioni da cui sono costituiti, risultano buoni conduttori di corrente anche in soluzione acquosa.

Legami e composti ionici e covalenti a confronto

È importante osservare, in aggiunta a quanto già scritto precedentemente, che, consultando la Tavola periodica, è possibile prevedere, con una certa facilità, il tipo di legame che si potrà formare tra gli atomi dei diversi elementi, in particolare

  • gli atomi dei non metalli formano tra loro legami covalenti;
  • quando gli atomi di non metallo sono uguali (o con differenze di elettronegatività minime), si forma un legame covalente puro;
  • quando invece gli atomi di non metallo sono diversi e hanno valori di elettronegatività abbastanza differenti, si forma un legame covalente polare;
  • i metalli e i non metalli normalmente formano tra loro legami ionici.

La differente natura dei legami ionico e covalente comporta inoltre significative differenze nelle  proprietà sia microscopiche sia macroscopiche dei rispettivi composti, come riepilogato nella seguente tabella:

Sostanze covalenti Composti ionici
Elementi coinvolti Non metalli Metalli e non metalli
Struttura Molecole Reticolo cristallino
Solubilità in acqua Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata
Conducibilità elettrica Assente Elevata allo stato liquido o in soluzione acquosa

Assente allo stato solido

Conducibilità termica Bassa Elevata
Stato di aggregazione Variabile (alcune sono solide, altre liquide, altre aeriformi) Solido
Temperatura di fusione Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata
Temperatura di ebollizione Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata

Il legame metallico

I metalli, come si può facilmente constatare analizzando la Tavola periodica, comprendo il  maggior numero degli elementi chimici (circa il 75 %). Nel modulo 7, sono state descritte le più importanti caratteristiche e proprietà dei metalli, che in sintesi sono:

  • l’essere tutti solidi a temperatura ambiente (con l’eccezione del mercurio);
  • la tipica lucentezza;
  • la buona conducibilità sia termica, sia elettrica;
  • l’elevata flessibilità e lavorabilità (in particolare la duttilità e la malleabilità).

Le caratteristiche dei metalli dipendono dal peculiare legame chimico che li caratterizza e che è differente sia da quello covalente, infatti non comporta la condivisione degli elettroni, che devono invece essere liberi di muoversi, per giustificarne la buona conducibilità termica, sia da quello ionico, infatti non coinvolge atomi di elementi differenti che si scambiano elettroni, ma atomi tutti dello stesso tipo.

In prima approssimazione, il legame metallico può essere descritto mediante il  "modello a nube elettronica" proposto dal fisico tedesco Paul Drude, nel 1900, integrato con le scoperte successive sulla struttura degli atomi e della materia. Quando interagiscono fra loro per dare origine a un corpo metallico, gli atomi di un metallo perdono i propri elettroni di valenza, diventando pertanto ioni positivi (cationi metallici) e si “impacchettano” nel miglior modo possibile, in modo da dare origine a strutture geometriche ben definite e ordinate (un reticolo di cationi); a loro volta gli elettroni di valenza che non appartengono più ai singoli atomi, ma sono liberi di muoversi tra i vari cationi (si parla di elettroni delocalizzati), costituiscono una sorta di “mare” di cariche negative che funge da collante e tiene saldamente uniti i cationi. In sintesi, un solido metallico è costituito da un reticolo di cationi immersi in un mare di elettroni, che li mantiene aggregati. La struttura precedentemente descritta è rappresentata nella figura 8.17 [figura 8.17 - legame metallico].

Il legame metallico può giustificare le proprietà che caratterizzano i metalli:

  • La lucentezza dipende dall’interazione tra la luce che colpisce la superficie di un metallo e il mare di elettroni mobili, che a loro volta generano luce della stessa lunghezza d’onda.
  • La conducibilità termica ed elettrica dipendono dalla mobilità degli elettroni di valenza; ciò differenzia i metalli dai composti ionici che possono condurre corrente solo quando si trovano allo stato liquido o in soluzione acquosa, perché gli ioni, non più organizzati nel reticolo cristallino, sono liberi di muoversi e trasportare cariche elettriche.
  • La flessibilità e la lavorabilità dei metalli dipende dal fatto che una deformazione del reticolo cationico non genera forze repulsive, in quanto ogni singolo catione si trova sempre immerso nel mare elettronico che ne controbilancia la carica; anche in questo caso i metalli si differenziano dai composti ionici che invece sono fragili e si rompono facilmente se si tenta di deformarli, in quanto lo slittamento di uno strato di ioni fa sì che cariche dello stesso segno si vengano a trovare più vicine, respingendosi e così provocando la rottura del cristallo, come mostrato in figura 8.18 [figura 8.18 - rottura del solido cristallino per deformazione].

Si ricorda, infine, che il legame metallico caratterizza non soltanto i metalli puri ma anche le leghe come l’acciaio, il bronzo, l’ottone, ecc.

I legami intermolecolari

Con il termine generico di legami intermolecolari (o secondari) si indicano differenti tipologie di interazioni di natura elettrostatica che si stabiliscono fra le molecole (siano esse neutre o ioniche) e non fra i singoli atomi, come nel caso dei legami precedentemente descritti, che per contrapposizione sono talvolta definiti intramolecolari (o primari o interatomici). Queste interazioni, che sono fondamentali per comprendere gli stati di aggregazione della materia, sono generalmente più deboli (hanno cioè una minor energia di legame) di quelle intramolecolari, hanno un breve raggio d’azione e diminuiscono rapidamente di intensità all’aumentare della distanza tra le molecole.

Si possono individuare diverse tipologie di legami intermolecolari, che sono strettamente legati alla maggiore o minore polarità dello molecole coinvolte, fra cui:

  1. Il legame ione-dipolo si instaura fra molecole polari e ioni e che giustifica la solubilità solitamente elevata delle sostanze saline nei liquidi polari. Un classico esempio è dato dalla dissoluzione del sale da cucina (il cloruro di sodio) in acqua: le numerose molecole dipolari di acqua esercitano un’intensa attrazione sugli ioni sodio Na+ e cloro Cl−, di conseguenza il reticolo cristallino si disgrega e gli ioni si ritrovano in soluzione circondati da molecole di acqua (si parla propriamente di ioni idratati), come mostrato figura 8.19 [figura 8.19 - dissoluzione dell’NaCl in acqua].