Utente:Giuli2797/Cromatografia/Introduzione: differenze tra le versioni

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I metodi cromatografici si possono distinguere in due classi: <br>
I metodi cromatografici si possono distinguere in due classi: <br>
*su colonna - la fase stazionaria è solitamente contenuta in una colonna in cui la fase mobile viene fatta passare o per gravità o per applicazione di pressione; <br>
*su colonna - la fase stazionaria è solitamente contenuta in una colonna in cui la fase mobile viene fatta passare o per gravità o per applicazione di pressione; <br>
*planari - la fase stazionaria, costituita da un materiale adsorbente, è supportata su una superficie piana come ad esempio una lastrina di vetro; in questo caso la fase mobile si muove per capillarità risalendo lungo la lastrina.
*planari - la fase stazionaria costituita da un materiale adsorbente viene fatta aderire come strato sottile su un supporto solido generalmente planare come ad esempio una lastrina di vetro. In questo caso la fase mobile non si muove per gravità come nel caso precedente ma risalendo lungo la lastrina per capillarità.


In questo libro ci focalizzeremo sulla cromatografia su colonna.
In questo libro ci focalizzeremo sulla cromatografia su colonna.

Versione delle 17:20, 1 gen 2021

Indice del libro

Cromatografia

La cromatografia è un metodo fisico separativo in cui i componenti da separare sono distribuiti tra due fasi una delle quali è stazionaria, chiamata fase stazionaria, mentre l’altra si muove in una direzione definita e detta fase mobile. Con il termine cromatografia si intende una serie di metodi analitici in grado di separare, identificare e quantificare i diversi componenti presenti in miscele di analiti, talvolta anche molto complesse.

I metodi cromatografici sfruttano gli equilibri di distribuzione delle varie sostanze tra due fasi diverse e immiscibili tra loro: la fase mobile e la fase stazionaria.

Colonna cromatografica in cui si evidenzia la separazione delle sostanze eluite


La cromatografia vede una sua prima applicazione nel 1906 quando il botanico russo Mikhail Semyonovich Tsvet utilizzò questa tecnica per separare i pigmenti naturali contenuti in estratti vegetali.
Egli prelevò delle foglie verdi ed estrasse i pigmenti in esse contenute con etere di petrolio, depose l’estratto in testa ad una colonna di vetro impaccata con carbonato di calcio ed eluì in modo continuo con del solfuro di carbonio. Quello che egli poté osservare è che, procedendo con l’eluizione, i vari pigmenti presenti nella miscela si separavano in bande colorate contenenti clorofilla A e B, carotene e xantofilla che procedevano con diverse velocità verso il fondo della colonna.
Essendo tutte le specie oggetto di analisi colorate non ebbe necessità di utilizzare strumenti per visualizzarle.
La parola cromatografia deriva infatti dal greco χρῶμα (“colore”) e γραφή (“scrittura”), letteralmente “scrittura con il colore”, anche se grazie ai rivelatori che vengono usati attualmente non è più necessario che le sostanze da separare siano colorate.

I metodi cromatografici si possono distinguere in due classi:

  • su colonna - la fase stazionaria è solitamente contenuta in una colonna in cui la fase mobile viene fatta passare o per gravità o per applicazione di pressione;
  • planari - la fase stazionaria costituita da un materiale adsorbente viene fatta aderire come strato sottile su un supporto solido generalmente planare come ad esempio una lastrina di vetro. In questo caso la fase mobile non si muove per gravità come nel caso precedente ma risalendo lungo la lastrina per capillarità.

In questo libro ci focalizzeremo sulla cromatografia su colonna. In un'analisi cromatografica il campione da analizzare viene caricato in testa alla colonna ed eluito con una fase mobile detta eluente; il processo attraverso il quale il campione viene trasportato lungo la colonna dal flusso della fase mobile è detto eluizione.

Fase stazionaria: è il materiale che costituisce il riempimento della colonna ed è la fase con la quale l’analita instaura le interazioni che lo trattengono durante l’eluizione. È solitamente composta da particelle sferiche di piccole dimensioni dell’ordine di pochi micron: questo perché, dal momento che i processi sfruttati da questa tecnica sono processi di interfaccia, è molto utile avere la maggior superficie disponibile per unità di volume per massimizzare l’efficacia del processo.

Fase mobile: è la fase fluida che si muove attraverso il riempimento della colonna e che garantisce la mobilità degli analiti. A seconda del tipo di fase mobile potremo avere a che fare con:

  • cromatografia liquida - LC (Liquid Chromatography);
  • gascromatografia - GC (Gas Chromatography);
  • cromatografia con fluido supercritico - SFC (Supercritical Fluid Chromatography).

La separazione dei componenti di una miscela avviene a seguito delle interazioni chimico-fisiche che si instaurano fra le molecole da separare con la fase mobile e con la fase stazionaria, fasi che sono scelte affinché gli analiti presenti nella miscela da separare si distribuiscano tra le due fasi: i componenti più affini alla fase stazionaria verranno trattenuti maggiormente da questa e si sposteranno più lentamente, mentre i componenti più affini alla fase mobile, trattenuti meno saldamente, si sposteranno più velocemente lungo la colonna.
La separazione dei componenti avviene in virtù del fatto che ogni sostanza ha una distribuzione caratteristica tra le due fasi che è espressa attraverso la coefficiente di distribuzione Kd:

[1]

= 1 → sostanza ugualmente ripartita nelle 2 fasi;

< 1 → sostanza ripartita preferenzialmente nella fase mobile;

> 1 → sostanza ripartita preferenzialmente nella fase stazionaria.

Un altro parametro importante è il fattore di capacità k’ che descrive la migrazione dei soluti lungo la colonna ed è definito come:

con volume fase stazionaria, volume fase mobile

Non è consigliabile avere valori di k’ minori a 1 per evitare che il picco dell’analita si vada a sovrapporre con quello del solvente, ma neanche valori di k’ > a 15-20 per non andare a tempi di ritenzione eccessivamente lunghi a cui corrispondono picchi troppo slargati (vedi capitolo su equazione di Van Deemter).

Tempo morto

k' assume valori diversi a seconda che si tratti di una separazione analitica (1-8) oppure di scopi preparativi (4-12).

A seconda della tecnica cromatografica che si andrà ad utilizzare si dovrà giocare su aspetti differenti per migliorare questo parametro ovvero:

  • temperatura ed impaccamento della colonna nel caso della GC;
  • natura chimica della fase stazionaria e della fase mobile nel caso della LC.

Quando due analiti restituiscono picchi molto vicini tra loro è molto importante conoscere il fattore di selettività α che descrive la capacità di una colonna di separare due analiti. Questa è definita come:

con α sempre maggiore o uguale a 1.

Dove la specie 2 indica quella maggiormente trattenuta mantenendo costanti il volume sia della fase stazionaria che della fase mobile.

Selettività - è la capacità del metodo cromatografico di distinguere due picchi vicini dovuti a due sostante diverse eluite contiguamente [2] presenti all'interno dello stesso campione ed è definito attraverso il coefficiente di selettività α.

con 1 < α < 2 (per α = 1 infatti i picchi sono completamente sovrapposti).

Andando ad osservare un generico cromatogramma si potrà dire che la separazione è selettiva se i picchi saranno ben distinti gli uni dagli altri e non si avrà sovrapposizione tra picchi contigui.

Efficienza - è la capacità del metodo cromatografico di eluire tutte le molecole dello stesso analita contemporaneamente. Andando ad osservare un generico cromatogramma si potrà dire che la separazione è efficiente se i picchi saranno molto stretti.
Affinché la risoluzione sia buona occorre che sia la selettività sia l'efficienza siano buone.
Per migliorare questo parametro si può andare ad intervenire su alcuni parametri sperimentali differenti a seconda che si abbia a che fare con cromatografia liquida o gascromatografia:

  • HPLC (High Performance Liquid Chromatography)- si interviene sulla K di distribuzione lavorando a gradiente di solvente modificando nel corso dell'eluizione le caratteristiche dell'eluente così da andare a modificare la ripartizione dell'analita nelle due fasi;
  • GC - si agisce aumentando la temperatura in modo controllato al fine di favorire la volatilizzazione degli analiti e quindi l'eluizione di sostanze anche molto diverse tra loro.


Cromatogramma

Il cromatogramma è un grafico che riporta l’intensità del segnale dato dall’analita in funzione del tempo di analisi.

Il segnale in uscita dal rivelatore descrive un picco gaussiano: sostanze diverse restituiranno picchi distinti in corrispondenza di tempi diversi, questo perché ogni sostanza avrà una costante di distribuzione differente tra la fase mobile e quella stazionaria per cui verrà eluita in tempi differenti.

Il primo picco che si nota nel cromatogramma è solitamente molto piccolo e in corrispondenza di tempi di ritenzione molto brevi e corrisponde al tempo morto, ovvero il picco relativo all’eluizione del solo solvente. Seguiranno poi una serie di picchi di intensità differenti dati dalle altre sostanze presenti nel campione che verranno eluite con tempi differenti a seconda dell’affinità che queste avranno con la fase stazionaria: le sostanze che avranno minore affinità per la fase stazionaria saranno eluite per prime e, le successive, avendo affinità via via crescente con questa, verranno quindi eluite in tempi più lunghi.
Durante l’eluizione ci saranno particelle di analita rimaste disciolte nella fase stazionaria per tempi più o meno brevi rispetto alla media delle particelle della stessa specie, per cui arriveranno al rivelatore in tempi leggermente diversi: questo perché la distribuzione dell’analita non sarà costante punto a punto all’interno della colonna ma varierà secondo leggi statistiche. Per questo motivo il rivelatore restituirà un segnale sotto forma di picco gaussiano.
Dalla osservazione dei picchi presenti nel cromatogramma, si possono ricavare informazioni differenti:

  • qualitative – si ricavano andando a confrontare i tempi di ritenzione osservati nel cromatogramma con i valori tabulati in modo da poter riconoscere la sostanza in esame;
  • quantitative – date dal numero delle particelle di analita presenti che contribuiscono al segnale, ed è proporzionale all’area sottesa al picco.

La misura dell’area sottesa al picco viene eseguita con metodi di integrazione digitale, tuttavia questo metodo è comunque soggetto ad errore e nello specifico può essere affetto da:

  • rumore di fondo – è il segnale rivelato dal rivelatore non dovuto all'analita.[3] Se la linea di base è soggetta ad un alto rumore di fondo sarà difficile identificare il punto esatto il cui inizia il picco, il rapporto segnale/rumore è infatti elevato;
    Picchi non risolti
  • mancata o non sufficiente risoluzione dei picchi – se nel cromatogramma sono presenti picchi molto vicini o addirittura sovrapposti, è molto difficile - se non impossibile - identificare le due singole aree. In questo caso la soluzione migliore consiste nel migliorare la separazione cromatografica in modo da avere picchi più stretti o comunque meglio risolti;
  • deriva della linea di base – si verifica nel caso in cui la linea di base non sia rettilinea, ma ascendente o discendente, in questo caso bisogna tenerne conto e non fare l’integrazione considerandola orizzontale;
    Picco asimmetrico
  • asimmetria del picco – talvolta il segnale restituito non è una gaussiana perfetta. Questo si verifica nel caso in cui ad esempio la fase mobile venga trattenuta parzialmente dalla fase stazionaria e si abbia uno strascico del segnale: ne consegue quindi che il picco presenti una coda.


I vari picchi presenti nel cromatogramma devono essere il più stretti possibile, questo perché:

  • un picco più stretto è più facilmente distinguibile e risente meno del rumore di fondo;
  • picchi stretti rendono meno probabile l’eventuale sovrapposizione con picchi vicini di sostanze con tempi di ritenzione simili, cosa che renderebbe difficile la corretta lettura del cromatogramma.

Si può quindi affermare che, tanto più stretto sarà il picco, tanto migliore sarà la sensibilità dell’analisi.

Modello a piatti teorici

Si tratta di un modello ormai superato per la descrizione del funzionamento della colonna cromatografica tuttavia ancora in uso per spiegare alcuni concetti importanti come verrà esposto oltre.
Secondo questo modello il sistema cromatografico è rappresentato da una colonna costituita da una serie di strati sottili chiamati piatti teorici che costituiscono l'elemento fondamentale della separazione cromatografica: questi consentono infatti di realizzare un equilibrio reversibile di ripartizione di un componente fra le fasi. Aspetto da tenere a mente è che questi microelementi in cui viene suddivisa la colonna solo puramente immaginari, non esistono quindi fisicamente ma sono solo una semplificazione.
L'analita, una volta raggiunto l'equilibrio su un piatto, si sposta lungo la colonna al piatto successivo poiché trasportato dal flusso della fase mobile. Dal momento che in cromatografia si ha una sequenza continua di stati di equilibrio e non vi è possibilità di realizzare una singola separazione, N (numero dei piatti teorici) ha un significato puramente matematico.
Più elevato è il numero di piatti teorici e migliore è la capacità di separazione della colonna e quindi migliore è la sua efficienza. N è inoltre proporzionale alla lunghezza della colonna.
Si immagini di condurre una separazione cromatografica di una miscela di due sostanze aventi diverso coefficiente di ripartizione con una colonna contenente una fase stazionaria solida granulare e usando come fase mobile un liquido:

  • → identica ripartizione tra le due fasi;
  • → predilige la fase stazionaria.

Si immagini di partire con lo stesso numero di molecole di ogni sostanza e di caricare la miscela il testa alla colonna a un tempo t=0 ed eseguire l'eluizione con una fase mobile adeguata: le due sostanze verranno eliute in tempi diversi perché diverse sono le interazioni che queste hanno con la fase stazionaria (diversi sono infatti i coefficienti di ripartizione).
Partendo da 256 molecole di entrambe le sostanze al primo equilibramento si avranno:

  • per la sostanza A 128 molecole nella fase mobile e 128 nella fase stazionaria;
  • per la sostanza B 64 molecole nella fase mobile e 192 nella fase stazionaria.

Al piatto successivo, terminato il primo equilibramento, arriveranno solo 128 molecole di A e 64 di B, per cui la loro ripartizione nel secondo piatto sarà:

  • per la sostanza A 64 molecole nella fase mobile e 64 nella fase stazionaria;
  • per la sostanza B 16 molecole nella fase mobile e 48 in quella stazionaria.

Il processo separativo prosegue in modo analogo lungo tutta la colonna. Dopo un certo numero di processi di ripartizione si potrà osservare una certa differenza nella migrazione delle due sostanze a vantaggio di A: al ventesimo equilibramento la sostanza A avrà raggiunto il diciottesimo piatto mentre B sarà ancora all'undicesimo.
Prolungando a sufficienza il processo separativo e aumentando di conseguenza il numero di piatti teorici, si ottiene la risoluzione dei due picchi a cui corrisponde l'uscita dalla colonna delle due sostanze in momenti differenti.

Andando a riportare su un grafico il n°piatti teorici VS. n°molecole otteniamo:

Separazione di due sostanze - modello a piatti teorici

L'integrale della curva indica il numero totale di molecole, e il picco relativo alla sostanza A sarà spostato rispetto al picco relativo alla sostanza B.

Il modello spiega in modo efficace la forma gaussiana dei picchi e le differenze nelle velocità di migrazione dei soluti, ma non l'allargamento della banda di eluizione in funzione della natura del solvente utilizzato e della velocità del flusso della fase mobile. Il motivo è che questo modello presuppone che si riesca sempre ad instaurare l'equilibrio tra le due fasi all'interno di ogni singolo piatto teorico: questo però non avviene perché la colonna cromatografica è un sistema dinamico e non di equilibrio. Affinché si possa instaurare l'equilibrio bisognerebbe fermare la fase mobile in corrispondenza di ogni piatto teorico, cosa che non avviene durante il processo di eluizione.
Nonostante questo modello sia ormai superato i concetti di numero dei piatti teorici (N) e di altezza del piatto teorico (HETP - Height Equivalent to Theoretical Plate) sono ancora usati in cromatografia per valutare l'efficienza di un processo cromatografico:


Da questa espressione di evince che per avere l'altezza del piatto teorico minore possibile sarà necessario avere il maggior numero di piatti teorici a parità di lunghezza della colonna. Il numero dei piatti teorici può essere calcolato sperimentalmente come:

con = tempo di ritenzione di un picco
W = larghezza del picco alla sua base

Da questa relazione si ricava che il numero di piatti teorici dipende non solo dal tipo di colonna, ma anche dall'analita considerato, questo perché, a parità di colonna, sostanze diverse avranno diversi tempi di ritenzione e i picchi avranno ampiezze diverse.

Giunti a questo punto risulta necessario introdurre un nuovo concetto fondamentale in cromatografia: la risoluzione.
Si definisce risoluzione un parametro analitico che misura la capacità di una colonna di distinguere due picchi contigui.


Se i due picchi in esame hanno area simile vale l'approssimazione per cui:

La risoluzione risente degli effetti dei fattori di ritenzione e di selettività.
Questo aspetto può essere definito tramite la seguente equazione:

[4]
dove è il fattore di ritenzione della specie che si muove più lentamente ed è definito come
e α è il fattore di selettività.

Da questa formula si vede come la variazione del termine N incide poco sulla risoluzione finale essendo questo un termine in radice quadrata. Allo stesso tempo la risoluzione è direttamente proporzionale a k’: per valori di k’ piccoli (nell'ordine di poche unità) anche una piccola variazione del valore incide largamente, ma per valori di k’ elevati piccole variazioni di k’ non comportano effetti importanti. Il valore la cui modificazione incide maggiormente sulla risoluzione è α, il problema sta nel fatto che è difficile prevedere l’effetto causato da una sua variazione, per questo motivo si tende ad intervenire su questo parametro solo quando non è possibile ottenere un miglioramento significativo modificando k’ e N.
Se si vuole migliorare k' si agisce sulla polarità del solvente: in questo modo tutti i picchi subiscono uno spostamento di uguale entità nella stessa direzione.
Se si va ad intervenire su α ogni picco subirà una variazione della sua posizione relativa che sarà propria e diversa dagli altri. Per modificare α si può agire su diversi fattori, quali ad esempio la temperatura: alzando la temperatura infatti diminuiscono i tempi di ritenzione, i picchi si fanno più stretti e la loro posizione relativa cambia. La temperatura però non può essere alzata eccessivamente o si rischia di vaporizzare il solvente nella colonna creando vuoti e cavità che possono danneggiarla irrimediabilmente. In alternativa si può andare ad intervenire sul solvente aggiungendo tamponi, chelanti e modificatori organici.

L'equazione sopra citata può poi essere riarrangiata per ricavare il numero di piatti teorici necessari per avere la risoluzione desiderata:

[5]

Per avere una separazione ottimale è necessario avere una buona risoluzione la quale dipende da selettività ed efficienza.


Teoria dell'allargamento di banda ed equazione di Van Deemter

Sperimentalmente si può notare che all’aumentare del tempo di ritenzione i picchi tendono ad allargarsi e in particolare che l’allargamento del picco è funzione del tempo che il soluto trascorre in colonna.

Questo fenomeno può essere spiegato attraverso diversi modelli tra cui ad esempio il modello di non equilibrio di Giddings secondo il quale il fenomeno dell’allargamento del picco è causato da fattori fisici e cinetici quali ad esempio la diversa velocità di migrazione delle molecole di analita nella colonna e non da differenze negli equilibri di distribuzione. Possiamo identificare quindi le cause di questo effetto in tre diversi fattori:

File:Difusão de turbilhonamento.png
Percorsi multipli
  • percorsi multipli – quando le particelle di analita attraversano la colonna impaccata di fase stazionaria possono percorrere percorsi differenti a seconda delle vie rimaste libere al suo interno. Ne consegue quindi che dal punto di vista statistico non tutte le particelle percorreranno cammini identici ma, mentre alcune seguiranno percorsi leggermente più brevi, altre seguiranno percorsi più lunghi per cui arriveranno in fondo alla colonna in tempi leggermente differenti. Se le molecole di fase stazionaria sono molto fini questo effetto verrà minimizzato perché dal punto di vista statistico la lunghezza dei vari percorsi che una particella di soluto potrà percorrere saranno molto simili tra loro. Rendendo omogeneo il sistema infatti le deviazioni dal percorso medio saranno minimizzate.
[6]
con = diametro delle particelle della fase stazionaria;
= fattore di impaccamento.
Sebbene per limitare questo effetto sia necessario usare una fase stazionaria con granulometria quanto più fine possibile, bisogna comunque tenere a mente le problematiche connesse a questo tipo di pratica: con il diminuire delle dimensioni delle particelle di fase stazionaria i percorsi che l’analita può percorrere saranno sempre più stretti e questo comporterà un impedimento nella fluizione del campione attraverso la colonna. Tanto più l’analita farà fatica a muoversi nella colonna e tanto più lunghi saranno i tempi di ritenzione: questo effetto va ovviamente evitato in modo tale da prevenire l’allungamento dei tempi di ritenzione con tutte le problematiche connesse che possono portare anche alla vanificazione dell’analisi. È importante tenere a mente che questo effetto non dipende dalla velocità del flusso dell’eluente;
Allargamento di banda - diffusione longitudinale
  • diffusione longitudinale – dal momento che le particelle di analita si trovano in soluzione saranno soggette ad una migrazione spontanea dalle zone in cui la concentrazione di analita è maggiore verso quelle in cui tale concentrazione è minore. Il risultato di questo effetto si verificherà con l’allargamento del picco in uscita dal rivelatore. L’effetto causato dalla diffusione longitudinale si avrà non solo nel senso di scorrimento della fase mobile ma anche in quello opposto. Questo fenomeno è proporzionale al tempo di permanenza in colonna: tanto maggiore è il tempo di ritenzione e tanto maggiore è la diffusione dell’analita nel solvente, a cui consegue un maggiore slargamento del picco.
[7]
con - fattore di ostruzione ed indica la resistenza alla diffusione dovuta all'impaccamento;
- coefficiente di diffusione dell'analita nella fase mobile il quale è una misura quantitativa di quanto velocemente le molecole di analita si muovono attraverso una matrice e dipende dal tipo di analita, dalla temperatura, pressione, tipo di materiale costituente la matrice [8].
Per cercare di limitare questo effetto può essere opportuno aumentare la velocità del flusso così da diminuire il tempo di permanenza in colonna dell’analita e quindi limitare il tempo a disposizione per la diffusione.
Questo fenomeno è più marcato in GC perché un gas rispetto ad un liquido ha un maggiore coefficiente di diffusione, ovvero le molecole di analita si riescono a muovere più velocemente nella fase mobile. Per questo motivo una possibile soluzione è quella di scegliere come eluente un solvente in cui l’analita sia poco mobile;
  • diffusione di non equilibrio – definito anche resistenza al trasferimento di massa è un effetto che si verifica durante il processo cromatografico ed è dovuto al fatto che le molecole di analita si trasferiscono continuamente dalla fase mobile a quella stazionaria e viceversa. Può capitare che la fase mobile, scorrendo continuamente lungo la colonna, allontani l'analita dalla fase stazionaria prima che questo abbia il tempo di raggiungere l'equilibrio di ripartizione tra le due fasi con il conseguente allargamento della banda.
[9]
con = spessore del film della fase stazionaria liquida;
= coefficiente di diffusione del soluto nella fase stazionaria.
Questo effetto sarà direttamente proporzionale alla velocità del flusso dell'eluente: tanto più lentamente avverrà l'eluizione, tanto più tempo avrà l'analita a disposizione per ripartirsi tra le fasi e tanto più si avvicinerà all'equilibrio di ripartizione.
Per minimizzare questo effetto si possono inoltre applicare altre accortezze quali l'utilizzo di una fase stazionaria ricoperta da un film che sia il più sottile possibile e contemporaneamente avere un coefficiente di diffusione dell'analita nelle due fasi quanto più elevato possibile. Una buona soluzione consiste quindi nell'utilizzare come eluente un solvente poco viscoso.
Equazione di Van Deemter

Tutti e tre questi fenomeni diffusivi concorrono nel definire l'altezza del piatto teorico di una colonna ed il loro effetto viene espresso dall'equazione di Van Deemter:

con u = velocità lineare di flusso
A, B e C termini che rappresentano i tre fenomeni diffusivi visti precedentemente, nello specifico:
A = percorsi multipli
B = diffusione longitudinale
C = diffusione di non equilibrio

Dal momento che per avere una buona separazione cromatografica bisogna cercare di ridurre quanto più possibile l'altezza del piatto teorico, si dovrà cercare di rendere minima la somma dei tre fattori A B C. Questo può essere fatto ottimizzando parametri quali: [10]

  • velocità del flusso della fase mobile - si deve giungere ad un compromesso tra la velocità richiesta dai parametri B e C (si ricorda infatti che il termine A è indipendente dalla velocità del flusso);
  • diametro delle particelle della fase stazionaria - bisogna cercare di ottenere la massima area per unità di superficie e quindi ridurre la granulometria della fase stazionaria e il suo impaccamento nel caso di una fase stazionaria solida, lo spessore del film nel caso di fase stazionaria liquida;
  • diametro della colonna - tanto minore è il diametro e tanto minore è l'allargamento di banda che si verifica;
  • temperatura di esercizio - riducendo la temperatura infatti si riesce ad abbassare la velocità di diffusione longitudinale e di conseguenza il coefficiente di diffusione.

Classificazione delle tecniche cromatografiche

Le varie tecniche cromatografiche possono essere distinte in base a diversi fattori:

  • Per forma del letto cromatografico:
    • Cromatografia planare (TLC (Thin Layer Chromatography) o su carta)
    • Cromatografia su colonna (impaccata o capillare)
  • Per stato fisico della fase mobile:
    • Cromatografia liquida (LC)
    • Gascromatografia (GC)
    • Cromatografia a fluido supercritico (SFC)
  • Per meccanismo di separazione:
    • Adsorbimento
    • Ripartizione
    • Scambio ionico
    • Esclusione dimensionale
    • Affinità

Nei capitoli successivi si tratteranno singolarmente tutte queste tipologie di tecniche in modo più approfondito.

Esercizi

1) Eseguendo un’analisi cromatografica su una miscela di composti attraverso l’ausilio di una colonna di 20,0 cm si sono ottenuti i seguenti risultati:

Sostanza Tempo di ritenzione [min] W [min]
A 9,8 1,35
B 8,35 1,17

Si calcoli:
(a) la risoluzione della colonna;
(b) il numero dei piatti teorici per ciascuna sostanza e il numero di piatti teorici medio;
(c) l’altezza del piatto teorico;
(d) la lunghezza della colonna necessaria per avere una risoluzione pari a 1,5.


2) Si considerino I dati seguenti:

Sostanza Tempo di ritenzione [min] W [min]
non rit 2,5 -
A 4,3 0,56
B 8,1 1,01
C 9,6 1,12

Sapendo che il rapporto VS / VM per l’impaccamento è pari a 0,415, calcolare:
(a) il fattore di ritenzione per ogni specie;
(b) il fattore di selettività per le specie B-C;
(c) la costante di distribuzione per ogni specie.


Soluzioni

1) (a)

(b)



(c)

(d)





2) (a)



(b)
(c)




Bibliografia

Chromatography, Concepts and Contrasts, James M.Miller, John Wiley & Sons, 2005
Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015
Illustrated Pocket dictionary of chromatography, P.C. Sadek, Wiley Interscience, 2005

Note

  1. Sadek pag. 56
  2. Sadek pag. 174
  3. Sadek pag. 134
  4. Skoog pag. 878
  5. Skoog pag. 878
  6. Miller pag. 76
  7. Miller pag. 77
  8. Sadek pag. 54
  9. Miller pag. 78
  10. Skoog, pagg 876-877