Chimica per il liceo/La tavola periodica e i primi modelli atomici: differenze tra le versioni

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[[File:Crookes tube-in use-lateral view-standing cross prPNr°11.jpg|miniatura|265x265px|'''Figura 6.''' Tubo di Crookes.]]
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Nel 1897, il fisico inglese Joseph J. '''[[w:Joseph_John_Thomson|Thomson]]''' (figura 5), dimostrò l'esistenza dell'elettrone, compiendo esperimenti con il '''tubo di Crookes''' (figura 6), un ampolla di vetro contenente un gas rarefatto (grazie al collegamento a una pompa a vuoto) alle cui estremità sono fissate due placche metalliche (o <dfn>elettrodi</dfn>), una, detta ''catodo'', collegata al polo negativo di un generatore elettrico e l’altra, detta ''anodo'', collegata al polo positivo.
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La Tavola periodica e i primi modelli atomici

La Tavola periodica di Mendeleev

Figura 1. Francobollo celebrativo sovietico del 1969 che raffigura Mendeleev, 100 anni dopo la pubblicazione della Tavola periodica.

Nel corso del XIX secolo numerosi chimici si sono interessati alla ricerca di un sistema ordinato e razionale per classificare gli elementi chimici. Grazie a tutte le conoscenze acquisite sulle proprietà e le caratteristiche chimiche e fisiche degli elementi e al fondamentale contributo del chimico italiano Stanislao Cannizzaro nella determinazione delle masse atomiche (all'epoca chiamate pesi atomici), nel 1869 il chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev (nato nel cuore della Siberia nel 1834 e morto a San Pietroburgo nel 1907; figura 1) propose un sistema periodico che non solo classificava razionalmente gli elementi fino ad allora conosciuti, mettendo in evidenza il ripetersi a intervalli regolari di determinate proprietà, ma al contempo permetteva di prevedere le caratteristiche di elementi non ancora scoperti.

Quando Mendeleev propose la sua Tavola periodica erano note le masse atomiche, le caratteristiche e la reattività di 63 elementi (attualmente ne conosciamo 118): egli ordinò orizzontalmente gli elementi conosciuti in base alla loro massa atomica crescente, andando a capo quando giungeva a elementi con caratteristiche simili. Nel sistema periodico elaborato da Mendeleev, ad esempio, la prima "riga" (più correttamente si parla di periodo) comprende un solo elemento: l'idrogeno (H); la seconda "riga" inizia con il litio (Li) e si chiude con il fluoro (F), in quanto il sodio (Na), che ha caratteristiche simili al litio, apre la "riga" successiva. È bene ricordare che i gas nobili, che nelle moderne Tavole periodiche chiudono ogni periodo verranno scoperti solo alla fine del XIX secolo.

In questo sistema gli elementi chimici non erano solo ordinati in base alla propria massa atomica, ma anche raggruppati in gruppi (corrispondenti alle colonne) con caratteristiche chimiche simili, come mostrato in figura 2.

Figura 2. Tavola periodica Mendeleev (versione del 1871).

Come si è detto precedentemente, il sistema periodico elaborato da Mendeleev permise anche di ipotizzare l'esistenza di elementi non ancora scoperti e di prevederne le principali caratteristiche e proprietà. Ad esempio, Mendeleev osservò che sebbene in base alla sua massa atomica il titanio (Ti) avrebbe dovuto seguire il calcio (Ca), le sue caratteristiche differivano significativamente da quelle del boro (B) e dell'alluminio (Al), pertanto lasciò una casella vuota ipotizzando l'esistenza di un elemento ancora sconosciuto, che denominò eka-alluminio. In modo analogo, Mendeleev predisse l'esistenza anche di altri due elementi sconosciuti che denominò provvisoriamente eka-boro e eka-silicio. Non passarono molti anni, prima che l'effettiva esistenza di tali elementi venne confermata: sono rispetti gli elementi noti oggi come gallio (Ga, scoperto nel 1875), scandio (Sc, scoperto nel 1879) e germanio (Ge, scoperto nel 1886).

È giusto ricordare che nello stesso periodo anche il chimico tedesco Julius Lothar Meyer giunse a conclusioni molto simili a quelle di Mendeleev, ma pubblicò la sua versione della Tavola periodica (praticamente identica a quella elaborata dal chimico russo) solo alcuni mesi dopo. Sebbene oggi la Tavola periodica sia esclusivamente associata al nome di Mendeleev, il lavoro di Meyer fornì un avallo significativo e ne facilitò l'accettazione da parte della comunità scientifica internazionale. In riconoscimento di ciò, nel 1882, la prestigiosa associazione scientifica britannica Royal Society attribuì la medaglia Davy, un importante premio rilasciato annualmente agli scienziati che si sono distinti nel settore della chimica, sia a Mendeleev sia Meyer.

La Tavola periodica elaborata da Mendeleev non riusciva tuttavia a spiegare alcune irregolarità nelle masse atomiche, che lo costrinsero, in alcuni casi, a scambiare la posizione di elementi adiacenti per posizionarli correttamente nella colonna di altri elementi con analoghe proprietà chimiche, come, ad esempio, nel caso dello iodio (I) e del tellurio (Te) o del nichel (Ni) e del cobalto (Co). Sarà solo con la scoperta del nucleo atomico, avvenuta nella prima metà del XX secolo, che si comprese che il corretto ordinamento degli elementi chimici dovesse basarsi non tanto sulle loro masse atomiche, quanto piuttosto sui loro numeri atomici (ossia sul numero di protoni presenti nel nucleo), in particolare grazie ai contributi sperimentali del fisico inglese Henry G. J. Moseley.

La natura elettrica della materia, la scoperta dell'elettrone e il modello atomico di Thomson

Figura 3. Pezzi di ambra contenenti insetti fossilizzati, dal Museo-galleria dell'ambra di Vilnius (Lituania).

Tra il VII e il VI secolo a.C., il filosofo greco Talete aveva scoperto che strofinando l'ambra (figura 3) su un panno di lana, questa resina fossile acquisiva la capacità di attirare a sé oggetti leggeri, come frammenti di paglia o capelli. Un effetto analogo ma contrario si può osservare strofinando su un panno di lana una bacchetta di vetro. Quando nel XVI secolo il fisico inglese William Gilbert si dedicò allo studio e alla catalogazione di materiali in grado di comportarsi come l'ambra e il vetro, per indicare le proprietà manifestate da tali materiali coniò il nuovo aggettivo elettrico, proprio ispirandosi al termine greco per indicare l'ambra, ovvero elektron (ἤλεκτρον).

Mediante lo strofinio è possibile caricare elettricamente un corpo, sfrutta l'energia cinetica per strappare cariche ai materiali in oggetto; per convenzione, i materiali che, in seguito a strofinio, presentano un comportamento analogo a quello dell'ambra, come ad esempio la plastica, sono definiti negativi, mentre quelli che si comportano come il vetro sono definiti positivi. Due oggetti che presentano cariche elettriche opposte si attraggono, mentre due oggetti che hanno la stessa carica si respingono, come mostrato in figura 4.

Figura 4. Interazione tra cariche elettriche: (A) se le cariche sono di segno opposto si attraggono; (B) se sono dello stesso segno si respingono.

Nel corso del XVIII e del XIX secolo, numerosi scienziati si dedicarono allo studio delle proprietà elettriche della materia e alle applicazioni tecnologiche dell'elettricità, come, ad esempio, il fisico italiano Alessandro Volta, inventore della prima pila elettrica della storia; il fisico americano Benjamin Franklin che, per spiegare i fenomeni elettrici, ipotizzò l’esistenza di un fluido elettrico costituito da particelle dotate di cariche elettriche opposte; il chimico svedese Jöns Jacob Berzelius che tentò di accordare le osservazioni fisiche sull'elettricità con la teoria atomica della materia, proponendo che ogni atomo possedesse al suo interno entrambi i tipi di carica (positive e negative) e che l'elettrizzazione della materia avvenisse in seguito ad uno scambio di queste cariche. Bisognerà però attendere la fine del XIX per identificare le prime particelle subatomiche dotate di carica elettrica: gli elettroni.

Figura 5. Sir Joseph John Thomson (1856–1940), premio nobel per la Fisica nel 1906.
Figura 6. Tubo di Crookes.

Nel 1897, il fisico inglese Joseph J. Thomson (figura 5), dimostrò l'esistenza dell'elettrone, compiendo esperimenti con il tubo di Crookes (figura 6), un ampolla di vetro contenente un gas rarefatto (grazie al collegamento a una pompa a vuoto) alle cui estremità sono fissate due placche metalliche (o elettrodi), una, detta catodo, collegata al polo negativo di un generatore elettrico e l’altra, detta anodo, collegata al polo positivo.

Esperimento di Thomson.

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