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Dante Alighieri è stato il più grande letterato italiano tra Duecento e Trecento. Uomo orgoglioso e consapevole del suo valore poetico, fu un'importante guida politica per i suoi contemporanei, nonché il primo a formulare, nel ''De vulgari eloquentia'', una definizione per il volgare italiano, il che gli valse postumo l'appellativo di padre della lingua italiana.
Nella natia Firenze Dante matura, accanto ai più importanti letterati del suo tempo (come Guido Cavalcanti), la sua formazione poetica. In seguito a queste esperienze aderisce dapprima ai moduli cortesi, quindi arriva a superare la concezione amorosa dello [[../Lo stilnovo|stilnovo]]. Invano cercherà il riconoscimento del suo valore poetico da parte dei suoi concittadini. Importante è anche la sua attività politica, conclusasi con la triste esperienza dell'esilio, durante il quale
== La vita ==
[[File:Bargello - Kapelle Fresko 2a.jpg|thumb|left|Dante Alighieri in un affresco di Giotto conservato al Museo del Bargello di Firenze]]
Dante nasce tra il maggio e il giugno del 1265 a Firenze, figlio di Alighiero di Bellincione e di donna Bella. La sua è una famiglia di parte guelfa appartenente alla piccola nobiltà cittadina (anche se le origini aristocratiche vantate da Dante sono oggi messe in dubbio). Poco si conosce sulle prime fasi della sua vita. Riceve con ogni probabilità un'educazione accurata: nel canto XV dell<nowiki>'</nowiki>''Inferno'' dice di essere stato allievo di [[../Brunetto Latini|Brunetto Latini]]. Inizia presto a comporre poesie e subisce sicuramente l'influsso dei provenzali, dei siciliani, di Guittone, di Guinizzelli e dell'amico Guido Cavalcanti. Nel 1277 il padre lo costringe a sposare Gemma Donati, figlia di una potente e ricca famiglia fiorentina. Ignota è la data del matrimonio, che comunque deve essere avvenuto quando la coppia era poco più che adolescente; dall'unione nasceranno vari figli. Negli stessi anni si colloca, presumibilmente, la storia d'amore con Beatrice, la cui morte nel 1290 getta il poeta nello smarrimento e segna il passaggio dalla produzione stilnovista a una nuova fase in cui la sua poesia si apre all'orizzonte civile e politico. Intanto, nel 1289 Dante partecipa alla battaglia di Campaldino e assiste alla resa del castello di Caprona.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | pp=89-90}}</ref><ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=1 }}</ref>
A partire dal 1295 Dante partecipa alla vita politica della città. Gli ordinamenti di giustizia varati da Giano della Bella nel 1293 impedivano l'accesso alle cariche pubbliche di membri della nobiltà cittadina. Nel 1295 il provvedimento viene modificato, e chiunque ambisca a cariche pubbliche deve essere iscritto a un'arte. Dante entra così nell'Arte dei Medici e degli Speziali: la cosa può sembrare strana, ma diventa comprensibile se si pensa allo stretto nesso che esisteva all'epoca tra filosofia e scienze naturali. Negli anni successivi siede più volte nel Consiglio del Comune. Al 1300 risale la rottura del fronte guelfo in due fazioni. Da un lato i neri, capeggiati da Corso Donati e dalla sua famiglia, sono favorevoli alle politiche di papa Bonifacio VIII e alla trasformazione di Firenze in una signoria. Dall'altra i bianchi, riuniti attorno alla famiglia dei Cerchi, vogliono conservare la libertà della città. Dante parteggia per questi ultimi, svolgendo un ruolo di primo piano nelle vicende accadute a Firenze nel biennio 1300-1301.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=90}}</ref>
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Un momento importante nella vita di Dante coincide con l'elezione di Arrigo VII di Lussemburgo a imperatore nel 1308. Il sovrano intende ripristinare l'autorità imperiale sull'Italia, accendendo nell'animo di molti le speranze di una nuova era di pace e giustizia. Dante probabilmente assiste all'incoronazione dell'imperatore a Milano nel 1310 e scrive varie epistole allo scopo di favorire la sua impresa. Tuttavia queste speranze si spengono con l'improvvisa morte di Arrigo VII nel 1313. Nel 1315 Dante rifiuta l'amnistia giunta da Firenze, giudicando poco dignitose le condizioni imposte: al poeta viene infatti chiesto di dichiararsi colpevole e sottoporsi a pubblica umiliazione.
Il suo esilio prosegue in altre città italiane: è di nuovo a Verona, presso Cangrande della Scala, e poi a Ravenna (forse dal 1318), ospite di Guido Da Polenta. Sono questi gli anni in cui Dante lavora alla ''Commedia'', mentre cresce la sua fama di letterato. Sempre a Ravenna, è invitato dal grammatico Giovanni del Virgilio a raggiungere Bologna, dove avrebbe ricevuto l'incoronazione a poeta. Dante tuttavia rifiuta: continua infatti a sperare di poter tornare a Firenze e di ricevere lì l'ambito riconoscimento. Nel 1320 è ancora una volta a Verona, dove legge la sua ''Quaestio de aqua et terra'', una conferenza in latino su temi cosmologici. Nel 1321 fa parte di un'ambasceria a Venezia, dove si ammala di malaria
== La ''Vita nuova'' ==
{{vedi source|Vita nuova}}
[[File:Henry Holiday - Dante meets Beatrice.jpg|thumb|''Dante incontra Beatrice a Ponte Santa Trinità'' di Henry Holiday. 1883, Walker Art Gallery, Liverpool]]
La ''Vita nuova'', spesso chiamata ''libello'', è una raccolta di rime giovanili accompagnate da un commento e un'interpretazione in prosa, entrambi scritti dall'autore stesso.
Vi si trova l'ideale storia d'amore tra la donna e il poeta, narrata secondo la rielaborazione dantesca dello stilnovo, in cui di primaria importanza sono i temi del saluto, col quale l'amata infonde sentimenti di beatitudine celestiale, della lode e della nobiltà. Dante si distacca invece dallo stilnovo per quanto riguarda il ruolo della ragione nell'esperienza amorosa, asserendo che l'amore regna nell'animo da essa guidato.
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[[File:Dante Gabriel Rossetti - Dante's Dream at the Time of the Death of Beatrice (1856).jpg|thumb|''Il sogno di Dante'' del pittore preraffaelita Dante Gabriel Rossetti. 1856, Tate Britain, Londra]]
La ''Vita nuova'' può infatti essere considerata come un
== Le ''Rime'' ==
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== Il ''De vulgari eloquentia'' ==
[[File:De vulgari eloquentia.tif|thumb|Una copia del 1577 del ''De vulgari eloquentia'']]
Nel ''De vulgari eloquentia'' Dante approfondisce le tematiche linguistiche e letterarie già presenti nel ''Convivio'', di cui è contemporaneo. Originariamente prevedeva quattro libri, ma ci sono giunti solo il primo, completo, e tredici capitoli del secondo, più parte del quattordicesimo. La lingua scelta è il latino, la più diffusa nell'ambiente dotto a cui l'opera è rivolta. Il primo libro è una trattazione sulle origini del linguaggio, a partire dalla frammentazione delle lingue in seguito alla costruzione della torre di Babele (narrata nel libro della ''Genesi''). Dante distingue tre lingue romanze: la lingua d'oc, la lingua d'oïl e la lingua del sì. A queste contrappone la ''gramatica'' latina, ormai rigidamente codificata.
Fin dal primo libro, Dante sofferma la propria attenzione sul volgare italiano, la lingua del sì. Vengono individuati quattordici dialetti, sette dei quali sono a est dell'Appennino e sette a ovest. Nessuno di questi, però, può assurgere al rango di lingua letteraria, adatta all'ideale di poesia alta che aveva attraversato tutta la cultura italiana del Duecento. D'altra parte, la stessa frammentazione politica della penisola impedisce il sorgere di una simile lingua
La nuova lingua letteraria deve nascere dalla rielaborazione artistica del volgare, a opera degli intellettuali di tutte le parti d'Italia. Partendo dalla base latina che accomuna tutti i dialetti italiani, bisogna elaborare una lingua che si possa adattare ai temi più alti, selezionando un lessico prezioso. Per Dante questa lingua ideale deve essere:<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=99 }}</ref><ref name="Baldi8">{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=8 }}</ref>
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* '''cardinale''', perché è il cardine attorno a cui ruotano gli altri dialetti;
* '''aulica''', perché se l'Italia diventasse un regno sarebbe parlata nella reggia (''aula'');
* '''curiale''', perché deve essere una lingua elegante, tale cioè da potere essere
Il secondo libro è dedicato agli argomenti per i quali si deve utilizzare il volgare "tragico", e cioè le armi, l'amore e la virtù. C'è qui un'evoluzione rispetto alla ''Vita nuova'': mentre in precedenza Dante aveva riservato l'uso del volgare solo alle tematiche amorose, ora questo si amplia anche agli argomenti morali e a quelli epici. Inoltre lo stile tragico deve ricorrere al genere della canzone, che aveva conosciuto una tradizione più lunga, dai provenzali agli stilnovisti e al ''Convivio''.<ref name="Baldi8" />
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{{vedi source|De monarchia|la}}
[[File:HenryLux.jpg|thumb|Incoronazione di Arrigo VII di Lussemburgo nel ''Codex Balduini Trevirensis'']]
Il ''De monarchia'' è una riflessione sul potere. Dante individua la necessità di un '''impero universale''' a garanzia della pace e si propone di conciliare i due grandi poteri della sua epoca, l'impero e il papato. Entrambi sono autonomi in quanto derivano da Dio, da cui ricevono la loro dignità. All'impero in particolare spetta il compito di condurre l'uomo alla felicità terrena, mentre il papato dovrà portare l'uomo alla felicità eterna. L'uno e l'altro, però, non si escludono a vicenda, ma sono piuttosto complementari: per raggiungere la salvezza indicata dal papa è prima necessario che gli uomini vivano secondo pace e giustizia, e quindi il papato ha bisogno dell'impero. D'altra parte, poiché il fine del papato è superiore a quello dell'impero, quest'ultimo gli deve riverenza. L'argomentazione, condotta secondo gli schemi tipici della logica medievale, si fonda sulla Bibbia, sull'autorità degli antichi e sull'esperienza comune. In generale, rispetto al ''Convivio'' e al ''De vulgari eloquentia'' mostra maggiore organicità ed è anche l'unica opera dottrinale di Dante a essere compiuta.
La sua composizione è successiva al 1310, quando Dante riversava le sue speranze di rinnovamento politico della penisola italiana nell'azione dell'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. Il poeta aveva salutato l'avvento del sovrano con tre epistole, dedicate una ai reggitori d'Italia, un'altra agli scellerati fiorentini e la terza all'imperatore in persona. Ai primi del Trecento, tuttavia, papato e impero stavano conoscendo una grave crisi che avrebbe stravolto la situazione politica e avrebbe relegato a mera utopia le conclusioni esposte da Dante nel ''De monarchia''. Dal suo sdegnoso rifiuto del caos contemporaneo e dal desiderio di giustizia universale nascerà la complessa struttura della ''Commedia''.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | pp=8-9 }}</ref>
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Nell'epistola a Cangrande della Scala, signore di Verona, Dante si riferisce al suo poema con il titolo di ''Comedìa''. È lo stesso poeta a spiegarne i motivi: l'opera inizia da una situazione spaventosa (l'inferno) e termina in un luogo desiderabile e favorevole (il paradiso). Inoltre è scritto in volgare con uno stile piano e dimesso, più adatto a una commedia che a una tragedia. L'aggettivo ''Divina'' sarà aggiunto solo più tardi da [[../Giovanni Boccaccio|Boccaccio]], e comparirà nel frontespizio dell'edizione curata da Ludovico Dolce nel 1555.
Nella ''Divina Commedia'' è possibile riconoscere la coesistenza di vari generi. Con il suo poema Dante vuole rappresentate la realtà in tutta la sua complessità
Per ideare la struttura della sua grande opera Dante riprende i modelli diffusi nella cultura medievale. Certamente i primi riferimenti sono la Bibbia e il libro VI dell<nowiki>'</nowiki>''Eneide'' di Virgilio, in cui Enea discende agli inferi e riceve delle rivelazioni profetiche dalle ombre dei defunti. Per la ricostruzione dell'aldilà il poeta ha probabilmente usato come fonti alcuni scritti mistici, come la ''Visione di San Paolo'', la ''Navigazione di San Brandano'', il ''Purgatorio di San Patrizio'', il ''Libro delle Tre Scritture'' di Bovesin De La Riva, il ''De Jerusalem coelesti'' e il ''De Babilonia civitate infernali'' (entrambi di Giacomino Veronese). A questi si possono aggiungere il ''Roman de la Rose'' e i due poemi didascalici di Brunetto Latini, il ''Trésor'' e il ''Tesoretto''.<ref>{{cita libro | autore=Dante Alighieri | titolo=La Divina Commedia | editore=Bulgarini | città=Firenze | anno=2001 | curatore1=Mario Zoli | curatore2=Gilda Sbrilli | pp=14-15 }}</ref>
=== Le basi filosofiche e culturali ===
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I fondamenti filosofici della ''Commedia'' derivano invece dalla scolastica, e in particolare dal pensiero di Tommaso d'Aquino, che nella sua ''Summa theologiae'' aveva compiuto una sintesi tra cristianesimo e aristotelismo. Oltre a questo filone che tenta di fondare la fede su basi razionali, sulla scorta di Aristotele, è però riconoscibile anche un afflato mistico ispirato ad Agostino d'Ippona. Il viaggio nell'aldilà non è quindi solo un percorso intellettuale ma uno slancio mistico che porta ad annullarsi in Dio.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=11 }}</ref> Questo percorso è rimarcato dalla successione delle tre guide che Dante ha durante il viaggio. Nell'inferno e nel purgatorio è accompagnato da Virgilio, allegoria della ragione. Questa da sola non può però raggiungere le vette della conoscenza divina e a partire dal paradiso terrestre deve quindi lasciare il posto alla teologia, personificata da Beatrice. Per giungere infine a Dio è però necessario un afflato mistico: ecco quindi san Bernardo, che sostituisce Beatrice negli ultimi due canti del ''Paradiso''.
Sullo sfondo c'è l'incrollabile fede che Dante ha di possedere la verità. Secondo la visione tipicamente medievale del mondo, la conoscenza non è ricerca di sapere, poiché la Rivelazione ha già spiegato tutto. L'uomo non deve cercare nuove conoscenze, ma semplicemente adeguarsi a un bagaglio di nozioni che sono già date. È invece folle chi cerca di investigare, con la sola ragione, i misteri di Dio che sono di per sé inconoscibili. L'universo inoltre è retto da un ordine mirabile, in cui tutto trova la sua giustificazione e il suo fine nella volontà di Dio. Elementi tra di loro contrastanti esistono e hanno un senso proprio perché sono inseriti in questo ordine divino. Allo stesso modo il poema di Dante si pone come un'imitazione del «libro di Dio», cioè il mondo, e può quindi registrare ogni aspetto della realtà, dai più bassi e umili ai più elevati e sublimi.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | pp=11-12 }}</ref>
=== Trama e struttura dell<nowiki>'</nowiki>''Inferno'' ===
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L'inferno, dove si svolge il primo tratto del viaggio, è una voragine a forma di cono rovesciato, creatasi nel momento in cui Dio ha scagliato sulla terra l'angelo ribelle Lucifero. Per accedervi si deve passare attraverso una porta, che si trova nei pressi di Gerusalemme. Le pareti della voragine sono divise in nove cerchi concentrici, nei quali le anime dei dannati scontano la loro pena eterna a seconda delle colpe commesse in vita. Prima di iniziare il percorso, Dante cade nello sconforto e pensa che il viaggio che deve compiere sia contro le leggi divine. Viene però incoraggiato da Virgilio, che gli rivela come la sua missione in realtà sia voluta dallo stesso Dio.
Il confine dell'inferno è segnato dall'Acheronte, un fiume sotterraneo ripreso dalla mitologia greca. Al di qua del fiume, prima dell'inferno vero e proprio, Dante colloca le anime degli ignavi, cioè di coloro che non seppero scegliere né per il bene né per il male. Con essi ci sono anche gli angeli che, al momento della ribellione di Lucifero, non hanno preso parte né per Dio né per il diavolo. Oltre l'Acheronte, nel primo cerchio si trova il
I dannati veri e propri sono divisi secondo uno schema ripreso da Aristotele e dalla sua dottrina sulle tre «male disposizioni» dell'animo: incontinenza, bestialità, malizia. Queste sono poste in progressione, dalla più lieve alla più grave. Bisogna però osservare che Dante utilizza questo schema con una certa libertà. Le prime variazioni riguardano l'aggiunta del
Le anime dell'inferno sono infatti condannate a scontare una pena secondo la '''legge del contrappasso''' (dal latino ''contra patior'', cioè «soffro il contrario»). Questa può agire in quattro modi diversi:<ref>{{cita libro | autore=Dante Alighieri | titolo=La Divina Commedia | editore=Bulgarini | città=Firenze | anno=2001 | curatore1=Mario Zoli | curatore2=Gilda Sbrilli | p=26 }}</ref>
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=== Trama e struttura del ''Paradiso'' ===
[[File:Paradiso Canto 31.jpg|thumb|Dante e Beatrice davanti alla Candida Rosa (''Paradiso'', canto
Nel paradiso si conclude il viaggio di Dante. Nel mondo della ''Commedia'', la terra ha forma sferica e occupa il centro del sistema. Sopra la sfera terrestre si trova la sfera del fuoco, che a sua volta è sovrastata da un sistema di nove sfere celesti. Ciascuna di esse è in movimento, è occupata da un pianeta o da una stella ed è abitata da una diversa schiera di angeli. Tutte queste sfere sono circondate dall'Empireo, che è la sede di Dio e che imprime il movimento a tutti gli altri cieli.
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Alla pluralità dei generi e dei punti di vista corrisponde anche una pluralità linguistica. In particolare, la lingua e lo stile si innalzano mano a mano che Dante viaggia dall'inferno al paradiso. Nella prima cantica abbondano i termini bassi e popolari, mentre nel ''Purgatorio'' vengono preferite parole più auliche e letterarie. Nel ''Paradiso'', infine, il lessico si innalza ulteriormente, e vengono utilizzati anche latinismi e neologismi.
Tuttavia, all'interno di ciascuna cantica il livello linguistico non è mai uniforme. Nell<nowiki>'</nowiki>''Inferno'' per esempio, quando deve narrare una realtà degradata, Dante utilizza toni aspri e parole scurrili. Non rinuncia però a usare termini elevati quando l'argomento lo richiede, come per esempio nel racconto di Francesca (canto V), dove riprende lo stile della poesia cortese. Non mancano poi espressioni tratte dalla quotidianità oppure dal lessico tecnico. In alcuni passi vengono inoltre usati linguaggi astrusi o inventati, dall'apparenza barbarica (si pensi al celebre «Pape Satàn, Pape Satàn aleppe» pronunciato da Pluto nel canto VII).
Il linguaggio si eleva nel ''Purgatorio'', anche se non mancano momenti in cui viene utilizzato un lessico più basso oppure più aulico, a seconda dei casi. L'apparizione di Beatrice è infine accompagnata da frasi in latino. Nel ''Paradiso'', con l'acquisizione di una conoscenza sempre più profonda, anche il linguaggio si innalza ulteriormente. Troviamo quindi latinismi, provenzalismi, francesismi e addirittura neologismi di sua invenzione. Quando però si abbandona a violente invettive si ritorna ai toni aspri già incontrati.
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