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Storia della filosofia/Medioplatonismo e neopitagorismo

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Indice del libro

Medioplatonismo

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Gli studiosi parlano di medioplatonismo per caratterizzare l'interpretazione data alla filosofia di Platone durante i primi secoli dell'età imperiale. Il prefisso medio- cela un pregiudizio nei confronti dei pensatori di quest'epoca, considerata una semplice età di transizione tra il platonismo scettico di epoca ellenistica e il neoplatonismo, sviluppatosi a partire dal III secolo. Solo negli ultimi decenni gli storici della filosofia hanno iniziato a rivalutare la filosofia di età imperiale, arrivando a cogliere l'originalità e la specificità proprie dei pensatori medioplatonici.

Durante l'epoca ellenistica, l'Accademia aveva opposto alla gnoseologia stoica un pensiero di stampo scettico, ritenendo impossibile per l'uomo una definizione esaustiva del criterio di verità. Le opere di Antioco di Ascalona rovesciarono questa posizione. Nel tentativo di dimostrare che lo scetticismo non era altro che una scorretta interpretazione del pensiero di Platone, diede una interpretazione della filosofia del maestro di orientamento marcatamente dogmatico, che avrebbe influenzato lo sviluppo della sua scuola per tutte le epoche successive. Con la chiusura dell'Accademia, voluta da Silla dopo la conquista di Atene nell'86 a.C., il principale centro di elaborazione del pensiero platonico divenne Alessandria, in Egitto. Qui operarono i primi filosofi propriamente medioplatonici, tra cui Eudoro d'Alessandria ed Ammonio, il maestro di Plutarco: soprattutto Eudoro, ritenuto dai moderni studiosi anche l'autore di alcuni trattati pseudo-pitagorici, introdusse nella sua filosofia numerosi elementi tratti dal pitagorismo e dal neopitagorismo, soprattutto per quanto riguarda la sua concezione del cosmo metafisico.

Aspetti salienti del medioplatonismo

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Il medioplatonismo è una categoria storiografica, e non una corrente di pensiero formata da esponenti che esplicitamente riconoscevano la loro differenza rispetto al passato. Non bisogna dunque mai dimenticare che tutti i filosofi medioplatonici si definivano in realtà platonici se non addirittura accademici, come fa Plutarco. Per i platonici di quest'epoca la filosofia fu pensata - in linea con le correnti che prendevano piede anche nelle altre scuole - come interpretazione del pensiero del capostipite. Lo strumento di indagine filosofico per eccellenza divenne dunque il commentario delle opere del maestro, a cui furono affiancati, per esigenze scolastiche, manuali (Apuleio scrisse un "De Platone et eius dogmate", Galeno un "De placitis Hippocratis et Platonis", Alcinoo un "Didaskalikòn") che esponevano sinteticamente il sistema platonico. Tra i medioplatonici fu molto forte una corrente sincretistica, che tendeva a mettere in evidenza la base comune delle maggiori scuole filosofiche greche, e soprattutto con il pensiero di Aristotele: contro questa corrente, tutto sommato dominante, venne aperta una violenta polemica da parte di un gruppo di antiaristotelici il cui più importante fu Attico, uno dei commentatori letti da Plotino nelle sue lezioni.

Una delle convinzioni di base dell'intera filosofia di epoca imperiale, dovuta alla grande influenza esercitata dallo Stoicismo fin dal periodo ellenismo|ellenistico, fu infatti quella che i grandi pensatori del passato (Platone, Aristotele, Crisippo o Zenone di Cizio per gli Stoici) avessero lasciato ai posteri delle filosofie che indagavano ogni aspetto della realtà per edificare un complesso di dottrine e precetti riguardanti l'intero campo della conoscenza umana. La costruzione di questo sistema fu in realtà un'operazione compiuta soprattutto dai commentatori. Prendendo come punto di partenza le allusioni alla realtà sovrasensibile che trovavano nei dialoghi, spesso alternative se non contraddittorie tra di loro, si cercò di plasmare un quadro coerente dell'universo, partendo dal presupposto di una divisione marcata tra mondo materiale, sede dell'uomo e mondo immateriale, sede del divino.

La realtà metafisica

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Per fare questo fu necessario per i platonici rivolgersi ad altre tradizioni di pensiero, come per esempio il pitagorismo: sulla base di elementi pitagorici rinvenibili già in alcuni dialoghi, come per esempio il Filebo o il Timeo, l'intero cosmo fu pensato come derivato da una coppia di principi divini, il primo unitario, chiamato monade, il secondo duplice, chiamato diade, al di sopra dei quali, successivamente, alcuni filosofi, come Numenio di Apamea posero un ulteriore dio, che identificarono con l'intelletto divino di Aristotele. L'interazione tra i due principi avrebbe creato prima di tutto l'Anima del mondo, che, infondendo la vita nella materia inerte (pensata in maniera abbastanza ambigua come un principio indipendente), produceva il mondo sensibile. Questa dottrina era utilizzata per interpretare il racconto cosmogonico del Timeo, che proprio a causa del suo interesse per la cosmologia e per il mondo spirituale venne ritenuto dai medioplatonici il più importante dei Dialoghi.

L'assimilazione a Dio

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Sulla base di un passo del Teeteto (172b), i medioplatonici identificano in generale il fine dell'uomo nella "assimilazione a dio" (homoiôsis theô). La natura umana è pensata come intermedia tra il mondo delle bestie e quello degli dei. Già la dottrina dell'anima tripartita, proposta da Platone nel Fedro, nella Repubblica e nello stesso Timeo riconosceva all'uomo una parte divina, appunto l'anima razionale (logistikon), che, qualora avesse prevalso sulle facoltà irrazionali, avrebbe condotto l'uomo alla contemplazione del cosmo delle forme. Dato che le idee platoniche erano ritenute dalla maggior parte dei medioplatonici i contenuti di pensiero dell'intelletto divino aristotelico, e dunque del dio supremo, l'assimilazione a dio veniva a coincidere con la conoscenza delle idee, e con il bios theôretikos, la vita beata del saggio descritta da Aristotele nel libro X dell'Etica Nicomachea. L'assimilazione consisteva dunque in una "purificazione" morale per ottenere la metriopatheia, il temperato dominio sulle passioni che avrebbe permesso al sapiente di distaccarsi dalla realtà sensibile quanto bastava per potersi dedicare all'attività contemplativa.

Neopitagorismo

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Il neopitagorismo fu un movimento filosofico e religioso, che diede un impulso alla rinascita della filosofia di Pitagora e delle dottrine elaborate dalla scuola pitagorica.

L'area di diffusione del neopitagorismo non è più la Grecia bensì la Magna Grecia di età ellenistica. Le prime manifestazioni di questa nuova corrente filosofica si avvertirono nel III secolo a.C. e presero lo spunto da alcune sentenze attribuite a Pitagora nonché dagli scritti di antichi pitagorici come Archita di Taranto, Timeo di Locri e Ocello Lucano.

Figure importanti del neopitagorismo furono Nicomaco di Gerasa, Numenio di Apamea e soprattutto Apollonio di Tiana.

Il neopitagorismo si diffuse Roma nel I secolo a.C. ed ebbe come cultori Publio Nigidio Figulo (vissuto nel I secolo a.C.), il poeta Publio Virgilio Marone, Nicomaco di Gerasa (prima metà del II secolo) e Moderato di Cadice, che con le sue Lezioni pitagoriche inclinerà il pensiero filosofico verso il Neoplatonismo, infatti all'inizio del III secolo d.C. con Filostrato si esaurisce il neopitagorismo per far posto al Neoplatonismo.

Storia del neopitagorismo

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La volta stuccata della Basilica sotterranea di Porta Maggiore

È definito con questo nome il retaggio culturale successivo alla scomparsa della originale filosofia pitagorica proveniente dalle scuole del VI e del V secolo a.C., attive in Crotone e poi in Atene, Cirene, Tebe, Eraclea, Metaponto, Taranto e in altre città del mondo greco e magnogreco.

Nel tardo ellenismo ed ancor più in ambiente romano andarono sviluppandosi dottrine e movimenti filosofico-religiosi di tipo settario, non integrati nella cultura ufficiale dello stato. Le caratteristiche comuni di questi movimenti sono la soteriologia ed il sincretismo, da cui deriva una scarsa sistematicità delle dottrine, costituite da un pensiero poco logico, un linguaggio spesso artificioso ma non probante e la tendenza alla reinterpretazione di dottrine e filosofie molto differenti fra loro in un'ottica sincretistica ed anagogica. I filosofi appartenenti a tali scuole-sette sono spesso definiti "carismatici": portatori di un sapere di tipo iniziatico ed elitario, che spesso si traduce in potere o magia; sono quindi in grado di compiere presunti atti miracolosi, spesso avendo potere sulle divinità. A queste tendenze filosofiche appartengono il neoplatonismo, lo gnosticismo ed il neopitagorismo.

Il movimento neo-pitagorico si sviluppò nell'ambiente mediterraneo essenzialmente fra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., riflettendo le mode e i movimenti culturali che si svilupparono spontaneamente in epoca ellenistica e tardo imperiale romana.

Le differenze fra l'antico e il neopitagorismo giustificavano quest'ultimo soprattutto come retaggio delle conseguenze orfico-misteriche attribuite soprattutto all'"uomo" Pitagora, definito "mago" grazie alla derivazione culturale che si voleva far discendere dalle più profonde esperienze sacerdotali egizie, caldee, babilonesi, cabalistiche, ed altro.

Da qui una serie di false attribuzioni di lettere, sentenze personali di Pitagora, miracoli, voci, epifanie, guarigioni e simili.

Il primo esponente neopitagorico, del I secolo a.C., fu tale Nigidio Figulo, conosciuto da Cicerone. Nigidio Figulo era astrologo, mago, esoterista, secondo l'uso del tempo. Tale rimase il carattere del neopitagorismo sino a quando (appunto alla fine del III secolo d.C.) confluì nel Neoplatonismo, conservandone i descritti caratteri che lo rendevano più vicino ai culti misterici che all'antica tradizione di religiosità scientifica propria delle scuole pitagoriche del V secolo a.C., ad esempio quelle di Filolao e Archita.

I nomi più noti del neopitagorismo, non sempre ben raccolti nelle collezioni di frammenti, furono, oltre al descritto Nigidio, specialmente Apollonio di Tiana, Anassilao di Larissa, Nicomaco di Gerasa, Numenio di Apamea (I secolo d.C.), Ocello Lucano e, proprio in virtù delle sue profonde radici misteriche, anche Ermete Trismegisto.

Questo movimento culturale confluì poi, successivamente a Plotino, nel neoplatonismo entro il quale si confuse, conservandone il carattere misterico, ma acquistandone anche uno morale, educativo, che lo accostò poi al cristianesimo, ma che nulla ha a che fare con l'antica scuola presocratica, sia crotoniate che successiva alla diaspora.

Importante l'apporto, per la conoscenza generica del tempo, della scuola neoplatonica di Giamblico, che raccolse i "Versi aurei".

Leonardo da Vinci testimonia dell'esistenza, durante il Rinascimento, di pitagorici (definiti tali, non "neopitagorici") nella novella Bella risposta di un pitagorico[1].

Frammenti di Aezio sono contenuti nelle raccolte del Diels e dello Zeller[2], i quali informano di rapporti fra Talete e Pitagora con i suoi allievi. Anche attraverso la Sapienza di Talete, che apprese l'antica scienza d'Egitto e di Babilonia (astronomia, matematica e geometria), la Scuola pitagorica ha conservato ben visibile il suo carattere "presocratico", ovvero scientifico[3].

Importante, dopo la scoperta del numero ionico e quella (nel quinto secolo a.C.) del valore teologico attribuito alla “decade”, l'insieme delle prime dieci lettere greche numeriche dalle quali si potevano comporre tutte le altre, sino al numero infinito.

La differenza sostanziale fra il neopitagorismo (ed anche il neoplatonismo) e le antiche scuole pitagoriche verteva soprattutto sul concetto di verità, che per i primi succedeva alla "rivelazione" delle leggi di Dio agli uomini, mentre per i secondi all'"emanazione" di tutto il contenuto fisico naturale, che era sacralizzato e doveva essere, invece, ricercato e appreso attraverso lo strumento del numero, della figura geometrica, della logica dialettica, di una morale diversamente intesa.

Il neopitagorismo è in definitiva una setta basata sulla divinizzazione e sul culto di Pitagora (come dimostrano le numerose biografe romanzate scritte dagli stessi neopitagorici), tendente anche a conciliare la filosofica greca coi culti orientali. I neopitagorici infatti specularono sulle dottrine del filosofo di Crotone, in particolare sull'aritmogeometria, fino a giungere ad una vera e propria aritmosofia, considerata sapienza di ordine superiore ricavata da un'analisi metafisica dei primi numeri interi (Uno=Unità=Monade, Due=Duplicità=Diade, Tre=Triplicità=Triade): nelle entità matematiche risiedono le verità ultime dell'universo e dell'essere ed i modi di descrivere essi.

Sotto il profilo etico le dottrine neopitagoriche sono fortemente orientate al misticismo; esse enfatizzano i temi della reincarnazione dell'anima (metempsicosi) come conseguenza di una colpa. L'ascesi e la magia sono necessarie per raggiungere la purificazione dello spirito capace di sottrarre l'anima al ciclo naturale di reincarnazioni.

  1. Leonardo da Vinci, Prose, a cura di Luigi Negri, Unione tipografico-editrice torinese, 1928. (Google libri)
  2. Diels H. "Doxographi graeci". Leipzig, 1897.
  3. La migliore raccolta completa di frammenti pitagorici tradotti dal greco in lingua italiana è stata realizzata da Maria Timpanaro Cardini nell'opera in tre volumi '“Pitagorici”' – testimonianze e frammenti” Firenze, La Nuova Italia, 1964.