Filosofia presocratica e socratica/Eraclito

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro

Eraclito di Efeso visse a cavallo tra il VI e il V secolo (l'apice della sua attività è verso il 500 a.C.). Di lui si riporta che fosse «di animo sdegnoso e superbo quant'altri mai» (Diogene Laerzio); fu chiamato anche «l'oscuro» poiché scrisse la sua opera in uno stile originale ed ermetico, secondo alcuni proprio perché potesse essere letto solo quelli che potevano farlo, e non fosse sottoposto al «dispregio del volgo» (Diogene). Per questo motivo contrappone la filosofia, che tende alla verità, alla mentalità dell'uomo comune, ritenuta fonte di errore.[1] Al filosofo si contrappongono quindi i «dormienti», i non-filosofi, che vivono in un sogno illusorio, incapaci di cogliere la realtà.

Eraclito porta la ricerca filosofica dei naturalisti ionici su un piano completamente nuovo. I milesi si erano infatti fermati al problema della physis, del principio delle cose e della derivazione della realtà dal principio, notando l'universale dinamismo della realtà, ma non avevano approfondito questo aspetto, non lo avevano portato a livello tematico, cosa che farà invece Eraclito.[2]

Il divenire[modifica]

Eraclito è ricordato come il «filosofo del divenire» perché proprio sul dinamismo del divenire concentrò la sua ricerca. Riteneva che la realtà fosse in continuo movimento: nulla resta immobile ma tutto si muove, cambia, trasmuta senza eccezione (panta rhei, tutto scorre).

In un frammento divenuto ormai celebre afferma che «a chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove», «noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo»:[3] il fiume sembra essere sempre lo stesso, ma in realtà è fatto di acqua sempre diversa; e siccome, mentre ci immergiamo, siamo diventati diversi da quando siamo entrati in acqua, e l'acqua stessa non è più quella in cui ci siamo immersi, Eraclito dice che entriamo e non entriamo nel fiume; e allo stesso modo siamo e non siamo, perché dobbiamo non essere quello che non eravamo prima: le cose non hanno una realtà se non nel divenire delle cose, che è la forma dell'essere.[4]

La dottrina dei contrari[modifica]

Più in particolare, il divenire è caratterizzato dal continuo cambiare delle cose secondo i contrari: «le cose fredde si riscaldano, le cose calde si raffreddano, le cose umide si disseccano, le cose secche di inumidiscono».[5] Il divenire quindi è un continuo conflitto (polemos) di contrari che si scontrano e si avvicendano.

La parte più originale del pensiero eracliteo è però l'unità dei contrari, perché lo scorrere delle cose e l'universale divenire si manifestano come armonia e sintesi dei contrari.[6] Scrive infatti Eraclito: «Ciò che è differente concorda con se medesimo. [...] Solo la malattia rende dolce la salute, [...] non conosceremmo neppure il nome della giustizia se non ci fosse l'offesa»:[7] nel medesimo tempo un opposto non può esistere senza l'altro, esistendo uno in virtù dell'altro. È proprio per questa armonia che gli opposti coincidono: «La via in su e la via in giù sono un'unica e medesima via», «la stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente».[8]

Se quindi la realtà esiste in funzione del divenire, e il divenire è dato dallo scontro degli opposti in superiore armonia, ne consegue che proprio nell'unità degli opposti è il principio che spiega la realtà;[9] e questo consiste nel divino: secondo Eraclito, «il Dio è giorno notte, è inverno estate, è guerra pace»,[10] è l'armonia dei contrari.

Il fuoco e il logos[modifica]

Il pensiero di Eraclito non abbandona tuttavia ancora il piano della ricerca del physis, di un principio fisico nella realtà, che è visto nel fuoco. Egli stesso afferma: «Tutte le cose sono uno scambio di fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose».[11] Il fuoco è l'elemento mobile e distruttore per eccellenza, che incarna meglio l'idea eraclitea della realtà come continua mutazione.[4]

Ma se, come riporta un altro frammento, «il fulmine governa ogni cosa», il fulmine è il fuoco eterno, cioè il «divino» eracliteo che rappresenta l'armonia dei contrari.[12] È un principio a cui Eraclito attribuisce intelligenza, il logos, legge universale che governa la realtà, nel quale la lotta degli opposti diventa razionalità e armonia.

La ricerca della verità sta nel cogliere e intendere il logos comune a tutte le cose: l'importante non è la quantità delle conoscenze, ma il coglimento del principio; biasima quindi i filosofi che lo hanno preceduto, interessati alla ricerca della verità nella molteplicità delle cose e non nel principio razionale che governa il cosmo.

Note[modifica]

  1. Abbagnano, pag. 41
  2. Reale, pagg. 89-90
  3. DK 22 B 12, 49a
  4. 4,0 4,1 Abbagnano, pag. 42
  5. DK 22 B 126
  6. Reale, pag. 92
  7. DK 22 B 80, 111
  8. DK 22 B 60, 88
  9. Reale, pag. 93
  10. DK 22 B 67
  11. DK 22 B 90
  12. DK 22 B 63