Geometrie non euclidee/Il problema del V postulato e la sua storia

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Indice del libro

Il libro I degli Elementi di Euclide contiene una serie di principi su cui viene fondata la sua intera geometria, divisi in definizioni, assiomi e postulati. Il postulato è una qualsiasi affermazione non dimostrata e non evidente presa per vera in modo da fondare una dimostrazione altrimenti incongruente. I cinque postulati euclidei sono:

  1. Si può condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto.
  2. Si può prolungare illimitatamente una retta finita in linea retta.
  3. Si può descrivere un cerchio con qualsiasi centro e qualsiasi distanza (raggio).
  4. Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.
  5. Se, in un piano, una retta, intersecando due altre rette, forma con esse, da una medesima parte, angoli interni la cui somma è minore di due angoli retti, allora queste due rette, se indefinitamente prolungate, finiscono con l'incontrarsi dalla parte detta. Se la somma è uguale a 180 gradi, si hanno allora due rette parallele.

In epoca moderna questi cinque postulati furono peraltro ritenuti insufficienti a fondare in maniera logicamente inattaccabile la geometria, tanto che David Hilbert nei suoi Fondamenti della geometria (1899), una sorta di rifondazione della geometria euclidea, ne adottò 23.

Si può notare immediatamente come il quinto postulato risulti molto diverso dagli altri: in primo luogo per la forma ipotetica (se… allora) che è tipica dei teoremi; in secondo luogo esso non risulta evidente alla ragione e, nei casi limite, non abbiamo alcuna possibilità di verificare sperimentalmente gli effetti della condizione posta in quanto essi hanno luogo in una regione di piano esterna a quella finita, cui abbiamo fisicamente accesso. Ciò è tanto vero che in un eventuale piano finito la proposizione risulta falsa.

Lo stesso Euclide si accorse della particolarità di questo postulato, tanto che evita di usarlo, anche laddove sarebbe stato possibile, fino al teorema 29 che dice che due rette parallele tagliate da una trasversale formano due quartetti di angoli a due a due uguali o supplementari (gli alterni, i corrispondenti e i coniugati), da cui si dimostra che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180 gradi e quindi anche il teorema di Pitagora.

Dopo la morte di Euclide non passò certo inosservata la particolarità del V postulato. Ritenendo inattaccabile la sua correttezza, si pensò che esso poteva essere ricondotto o all’evidenza o a una dimostrazione mediante una riscrittura del postulato.

Posidonio cercò di ovviare al V postulato scrivendo che:

« Due rette parallele sono due rette che giacendo sullo stesso piano e venendo prolungate indefinitamente, mantengono sempre la stessa distanza tra loro. »

Ciò però non è logicamente identico al V postulato.

Proclo invece affermò che:

« La distanza tra due rette parallele rimane costante. »

Ma non è possibile dimostrare che due rette parallele sono equidistanti: infatti, disegnando un insieme di punti equidistanti da una retta, non si può concludere che esso sia una linea retta – che è un termine primitivo, intuibile ma non propriamente definibile e, in quanto tale, inutilizzabile nelle dimostrazioni.

In epoca moderna i primi a interessarsi della questione, cercando di trovare nuove solide basi per la geometria così come Euclide l’aveva immaginata furono gli inglesi John Wallis e John Playfair, che sostituirono il postulato rispettivamente con:

« Dato un triangolo è possibile costruirne uno simile. »

e

« Data una retta ed un punto non appartenente ad essa, esiste ed è unica una retta passante per il punto e parallela alla retta data. »

Che è peraltro la più famosa enunciazione del postulato. Tutti questi asserti sono equivalenti al V postulato e perciò come esso indimostrabili e non evidenti.

Su questa scia volta a riconfermare i risultati si inserisce anche Girolamo Saccheri, che cerca di dimostrare il V postulato non dimostrando proposizioni simili, ma per assurdo, ovvero creando una geometria che non si basi su di esso al fine di evidenziarne delle eventuali contraddizioni interne. Su questa intuizione si baseranno i matematici successivi per elaborare le loro geometrie non euclidee. Egli partì nei suoi ragionamenti dal cosiddetto "quadrilatero di Saccheri":

In questa figura, che è un quadrilatero isoscele, i due angoli superiori saranno conformi a tre possibili scenari:

  1. La loro somma è pari a due angoli retti
  2. La loro somma è inferiore a due angoli retti
  3. La loro somma è superiore a due angoli retti.

Riscontrando delle assurdità nelle geometrie basate sull’ipotesi 2 e 3 si sarebbe per assurdo dimostrato il quinto postulato.

Saccheri ritenne di essere riuscito in questa opera tanto da pubblicare i suoi risultati nel trattato Euclide ab omni naevo vindicatus (Euclide riscattato da ogni neo). In verità, egli non giunse ad alcun assurdo, ma semplicemente a risultati diversi da quelli previsti dalla geometria euclidea, che ritenne inaccettabili in quanto contrari alla nostra percezione.

L’idea di una geometria puramente teorica e liberata da ogni legame con l’esperienza non verrà mai formulata fino al XIX secolo.