La filosofia greca/La causa prima

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Ogni causa è l’effetto di una causa precedente. Ma questo fino a che punto? Come ho precedentemente affermato, il principio supremo dell’Unità implicito in tutta la speculazione greca impedisce di pensare a un concetto come quello di una ipotetica catena infinita di cause. Su ciò Aristotele è categorico, coerentemente alla sua stessa appartenenza culturale. Non occorre aggiungere altro per capire che, se ogni movimento ha una causa esterna, cioè un MOTORE (o causa efficiente) che lo determina, la catena delle cause deve giungere prima o poi a un motore che non abbia più qualcosa di esterno che lo muove, a una causa prima origine di ogni movimento. Un motore immobile. Forzando un po’ la mano, Aristotele afferma che ogni processo, o mutamento, di natura limitata, come quello degli esseri viventi, ha come causa efficiente che l’ha generato un motore immobile, una causa prima che è esterna ad esso: ogni genitore è il motore immobile dei suoi figli.

Esistono tuttavia anche movimenti che non sono limitati, la cui durata è eterna: il moto circolare degli astri, appunto. Per quanto facilmente confutabile (con una attenta osservazione astronomica), il moto circolare dei pianeti fu una sorta di dogma, nello stesso tempo mitico e matematico, dell’antichità. Ad esso aderirono tutti i pensatori, da Pitagora a Platone, arrivando ad attribuire alla figura del cerchio un valore “sacro”, il simbolo della perfezione divina. Con un ragionamento… “circolare”, si sosteneva che, siccome i pianeti sono figure delle divinità, il loro movimento esprime necessariamente la perfezione suprema e la figura geometrica che se ne ricava ne costituisce l’essenza. Aristotele si assunse il compito estremo di dedurre dal suo sistema la causa di tale movimento.

Procediamo con ordine. Il moto eterno e immutabile degli astri deve avere una causa esterna, un motore immobile altrettanto eterno e immutabile. Poiché ogni causa efficiente muove gli enti per contatto (posso lanciare una pietra solo se l’afferro), il motore dell’universo sarà necessariamente a contatto con esso, inglobandolo in sé. Altre cause, il cosmo non ne ha (per i greci non è concepibile il principio della creazione, o dell’infinità di un universo nel quale il sistema solare è solo una parte): il primo motore è quindi immobile. Come può un ente di tal genere mettere in moto il sistema celeste? Una prima ragione risiede nella sua natura specifica: la causa prima assoluta non può essere un corpo; non ha parti, non ha estensione, è immateriale. È perfezione assoluta, declinando, con un processo deduttivo puramente formale, l’antico concetto metafisico dell’Essere. Ma così il principio di evidenza esce dall’ambito dell’esperienza e torna ad essere pura speculazione: la Metafisica aristotelica è una metafisica a tutti gli effetti. La seconda ragione è un “corollario” della prima: l’eterna perfezione del Motore Immobile ribalta la sua posizione nella catena logica delle cause, poiché la perfezione è il fine ultimo delle cose, causa finale. Gli astri dunque ruotano per raggiungere la perfezione immobile del Motore primo, mossi da un fine e non da un principio. Poiché tale stato è irraggiungibile, i cieli devono dunque “accontentarsi” della forma più simile alla perfezione: il moto circolare.

Il “salto” dalla Fisica alla Metafisica è compiuto. Da filosofo, Aristotele non si ferma alla mera constatazione che “più di così non possiamo sapere”. La logica può non solo giovare alla rappresentazione della Natura, come nella complessa dottrina delle cause, ma fornire una specie di “terzo occhio” per spingersi oltre a ciò che, dantescamente, si "squaderna" ai nostri sensi. Ciò che non è visibile può essere comprensibile, o, aristotelicamente, intelligibile. La differenza tra l’atteggiamento di Aristotele e quello dei fisici contemporanei è sottile ma essenziale: nella fisica quantistica c’è modo di comprendere l’invisibile, l’infinitamente piccolo, l’infinitamente lontano nel tempo, fino al Big Bang; ma al di là di questo punto estremo entreremmo nella speculazione pura, nella metafisica, appunto, e ciò, al nostro tempo, non è più concesso. Sciolto dal rigore linguistico-deduttivo del sillogismo, la definizione di Motore Immobile può arricchirsi di elementi di significato (semantici) più profondi. Il desiderio di perfezione insito nei Cieli non può non ricordare la dottrina platonica dell’amore, quel rapimento (mania) che solleva l’amante verso il mondo delle idee mettendo ali alla sua anima. Il desiderio di perfezione è amore per ciò che è perfetto; il Motore Immobile diventa così oggetto d’amore (greco: hos eròmenon) del Cosmo. Perfetto, immateriale ed eterno, esso è ATTO PURO in quanto causa finale di un eterno movimento. Pertanto, la causa prima non può, deduttivamente, che essere un PRINCIPIO DIVINO. In quanto perfezione assoluta, la sua attività non è svilita dalla materia (non è un Creatore), ma è puro pensiero; e tale pensiero non può che essere pensiero di perfezione, cioè pensiero di pensiero (greco: nòesis noèseos).


«Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige,

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle

(Dante Alighieri, Divina Commedia Paradiso, canto XXXIII)