Storia dei papi del Novecento/Paolo VI

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Sospeso tra conservazione e innovazione, il papato di Paolo VI (Giovanni Battista Montini; Concesio, Brescia, 26 settembre 1897 – Castel Gandolfo, 6 agosto 1978) affrontò temi decisivi per la Chiesa nella seconda metà del Novecento. Anzitutto portò a termine il concilio e il processo di "aggiornamento" della Chiesa. Pontefice "viaggiatore", visitò tutti e cinque i continenti e intervenne con un discorso al Palazzo di Vetro. Fu anche molto sensibile all'aspetto del dialogo interreligioso (si pensi all'incontro con il patriarca di Costantinopoli Atenagora) e prese posizione in merito alla contraccezione nell'enciclica Humanae Vitae.

Le origini[modifica]

Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, un piccolo borgo della provincia di Brescia, nella casa dove la famiglia, di estrazione borghese, trascorreva i periodi estivi. Il padre, Giorgio Montini, dirigeva un quotidiano di ispirazione cattolica, Il Cittadino di Brescia, ed era stato deputato del Partito Popolare.[1] Giovanni Battista aveva due fratelli, Ludovico e Francesco, nati rispettivamente nel 1896 e nel 1900. Ludovico divenne avvocato, per poi intraprendere una lunga carriera politica nelle file della Democrazia Cristiana, divenendo prima deputato e poi senatore.

All'età di 6 anni venne iscritto in un collegio bresciano, ma solo come studente esterno, poiché di salute malferma. Montini frequenterà quest'istituto fino al diploma di maturità, conseguito nell'anno 1916. L'iter spirituale cominciò nel 1907, quando, insieme alla famiglia, venne ricevuto in udienza privata da Pio X.

Ricevuta l'ordinazione sacerdotale, il 29 maggio del 1920, nei cinque anni successivi iniziò un proficuo cursus honorum, lavorando nella segreteria di Stato vaticana, e conseguendo tre diverse lauree (filosofia, diritto civile e diritto canonico).

Fino al 1954 fu un fedele collaboratore di Pio XI prima e di Pio XII poi, specialmente nel periodo della seconda guerra mondiale, durante la quale svolse innumerevoli compiti nel Servizio Informativo Vaticano (quella che è oggi nota come Sala Stampa Vaticana).

Nel 1954, alla morte del cardinale Schuster, gli venne assegnata la diocesi di Milano, e divenne così arcivescovo, ma non cardinale, poiché le direttive di Pio XII, la cui interpretazione è sempre stata oggetto di discussione, vollero così. Zizola a tale proposito parla di pressioni da parte di ambienti della Curia,[1] mentre Menozzi riconduce la scelta di papa Pacelli a riserve dovute all'impegno di Montini nell'Azione Cattolica.[2]

La berretta cardinalizia arrivò poi con Giovanni XXIII, con il quale coltivava un intenso rapporto d'amicizia già dal 1925. Montini, da cardinale, fu attivo negli atti preparatori del concilio Vaticano II, che porterà a termine dopo la morte di Roncalli.[1]

L'elezione[modifica]

Stemma di Paolo VI

Il conclave per scegliere il successore di Giovanni XXIII fu decisamente rapido: aperto il 19 giugno 1963, si chiuse il 21 con l'elezione di Paolo VI, dopo soli cinque scrutini. Secondo le ricostruzioni, l'arcivescovo di Milano raccolse voti dai porporati europei, e in particolare francesi e tedeschi, che si erano spesi durante il concilio per l'aggiornamento ecclesiologico. D'altra parte Montini aveva guadagnato le simpatie dell'ala progressita del sacro collegio, che voleva scongiurare un possibile rinvio sine die del concilio.[3]

Il pontificato[modifica]

Paolo VI nel 1963

Paolo VI fu subito impegnato a portare a conclusione il concilio. Il Santo Padre era riservato, forse schivo, ma certamente dotato di una profonda intelligenza e conoscenza. Altra sua straordinaria dote fu quella di conciliatore, una dote che si rivelò quanto mai utile in un periodo difficile per la Chiesa, per l'Italia e il mondo intero.

Erano gli anni della guerra fredda, delle superpotenze, ma anche delle Brigate Rosse, degli attentati e delle stragi, gli anni di piombo che tanto hanno segnato le menti delle genti.

La tiara di Paolo VI, oggi conservata nella teca della basilica di Washington

Fu un papa innovatore: fattosi incoronare con il triregno, vi rinunciò un anno dopo. Con straordinaria generosità decise di "mettere all'asta" il dono fattogli dall'arcivescovado di Milano, per aiutare le popolazioni del Terzo Mondo. Fu acquistata dall'arcivescovo di New York, ed è ora conservata nella basilica dell'Immacolata Concezione di Washington D.C., la capitale degli Stati Uniti d'America.

Eliminò anche altri segni che rendevano il papato una monarchia, come le guardie nobili e i corpi armati pontifici.[4] Rivoluziò anche la modalità di svolgimento del conclave, abolendo il diritto di voto per i cardinali ultraottantenni[5] e alzando il numero massimo degli elettori a 120.[6]

Fu anche un pontefice viaggiatore, l'unico in duemila anni di storia del papato a visitare tutti i continenti. Prese l'aereo, si recò in Australia, nell'America meridionale, in Africa e in Asia, ma non senza rischi. Nel 1969 infatti, durante la visita apostolica nelle Filippine, uno squilibrato tentò di assassinarlo con un pugnale, che fu fortunatamente deviato dalla mano del cardinale Paul Marcinkus.

Fu inoltre il primo pontefice a parlare nel Palazzo di Vetro, sede dell'ONU,[7] e raccolse straordinari consensi durante la sua visita a Gerusalemme. Incontrò anche Atenagora, patriarca della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, stabilendo così la ripresa del dialogo interreligioso tra le due "correnti" cristiane, separatesi quattordici secoli addietro.

La fine del concilio e gli anni della contestazione[modifica]

Davanti a una realtà sociale che tendeva sempre più a separarsi dalla spiritualità, che andava progressivamente secolarizzandosi, e di fronte a un difficile rapporto Chiesa-mondo, Paolo VI seppe sempre mostrare con coerenza quali sono le vie della fede e dell'umanità attraverso le quali è possibile avviare una solidale collaborazione verso il bene comune. Non fu facile mantenere l'unità della Chiesa cattolica, mentre da una parte gli ultratradizionalisti lo accusavano di aperture eccessive, se non addirittura di modernismo, e dall'altra parte i settori ecclesiastici più vicini alle idee socialiste lo accusavano d'immobilismo.

Portò a compimento il concilio Vaticano II con grande capacità di mediazione, garantendo la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici ed aprendo fortemente verso i temi del Terzo mondo e della pace. Da una parte appoggiò l'"aggiornamento" e la modernizzazione della Chiesa, ma dall'altra, come tenne a sottolineare il 29 giugno 1978, in un bilancio a pochi giorni della morte, la sua azione pontificale aveva tenuto quali punti fermi la "tutela della fede" e la "difesa della vita umana".[8]

Particolarmente significativo fu il suo primo viaggio, in Terrasanta, dal 4 al 6 gennaio 1964. Per la prima volta un pontefice viaggiava in aereo, e tornava nei luoghi della vita di Cristo. Durante il viaggio indossò la Croce pettorale di san Gregorio Magno, conservata nel duomo di Monza. In occasione di questa visita abbracciò il patriarca ortodosso Atenagora I. Il rapporto tra i due portò a un riavvicinamento tra le due chiese scismatiche, suggellato con la Dichiarazione comune cattolico-ortodossa del 1965.

Il 27 marzo 1965, Paolo VI in presenza di monsignor Angelo Dell'Acqua lesse il contenuto di una busta sigillata, che in seguito rinviò all'Archivio del Sant'Uffizio con la decisione di non pubblicarne il contenuto. In questa lettera era scritto il terzo segreto di Fatima.

Durante tutto il suo pontificato, la tensione tra il primato papale e la collegialità episcopale rimase fonte di dissenso. Il 14 settembre 1965, anche per effetto dei risultati conciliari, Paolo VI annunciò la convocazione del Sinodo dei Vescovi, escludendo però dall'ambito di questo nuovo organismo la trattazione di quei problemi riservati al papa, dei quali apprestò una ridefinizione.

Concluso il concilio l'8 dicembre 1965, la Chiesa cattolica si trovò in un periodo storico e culturale di forte antagonismo, nel quale i difensori di un cattolicesimo tradizionalista attaccavano gli innovatori, accusandoli di diffondere ideologie marxiste, laiciste e anticlericali. La stessa società civile era attraversata da forti scontri e contrasti politici e sociali, che sfoceranno nel Sessantotto in quasi tutto il mondo occidentale. Celebre la frase di Paolo VI del 1967: "Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta".

"Anello del Concilio", 6 dicembre 1965: Paolo VI offre un anello aureo semplice ai Padri conciliari: Cristo, Pietro e Paolo sotto la Croce

Nel 1966, Paolo VI abolì, dopo quattro secoli, e non senza contestazioni da parte dei porporati più conservatori, l'indice dei libri proibiti. A Natale celebrò la messa in una Firenze ferita dall'alluvione del 4 novembre, definendo il Crocifisso di Cimabue «la vittima più illustre». Nel 1967 annunciò l'istituzione della Giornata mondiale della pace, che si celebrò la prima volta il 1º gennaio 1968.

Il tema del celibato sacerdotale, sottratto al dibattito della quarta sessione del concilio, divenne oggetto di una sua specifica enciclica, la Sacerdotalis Caelibatus del 24 giugno 1967, nella quale papa Montini riconfermò quanto decretato in merito dal concilio di Trento.

Molto più complesse furono le questioni del controllo delle nascite e della contraccezione, trattate nella Humanae Vitae del 25 luglio 1968, la sua ultima enciclica.

Il dibattito lacerante che si innestò nella società civile su queste posizioni, in un'epoca in cui il cattolicesimo vedeva sorgere fra i fedeli dei distinguo di laicismo, ha appannato la sua autorevolezza nei rapporti con il mondo laico. In tale frangente si guadagnò il nomignolo di Paolo Mesto. Tuttavia Paolo VI non mancò di smentire quelle posizioni che volevano attribuire al suo operato un tono dubbioso, amletico o malinconico, asserendo che:

« è contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell'incertezza circa la dottrina della fede »

La notte di Natale del 1968 Paolo VI si recò a Taranto e celebrò la messa di mezzanotte nelle acciaierie dell'Italsider: fu la prima volta che la messa di Natale venne celebrata in un impianto industriale. Con questo gesto il pontefice volle rilanciare l'amicizia tra Chiesa e mondo del lavoro in tempi difficili.

1968: l'enciclica Humanae Vitae[modifica]

Una delle questioni più rilevanti, per la quale papa Montini stesso dichiarò di non aver mai sentito così pesanti gli oneri del suo alto ufficio, fu quella della contraccezione, con la quale si precludeva alla vita coniugale la finalità della procreazione.

Il pontefice non poté mettere in disparte il problema, e per la sua gravità destinò al proprio personale giudizio lo studio di tutte le implicazioni morali legate a tale argomento. Per avere un quadro completo decise di avvalersi dell'ausilio di una commissione di studio istituita in precedenza da Giovanni XXIII, che egli ampliò.

La decisione sul da farsi era molto onerosa, soprattutto perché alcuni misero in dubbio la competenza della Chiesa su temi non strettamente legati alla dottrina religiosa. Tuttavia il papa ribatté a queste critiche che il Magistero ha facoltà d'intervento, oltre che sulla legge morale evangelica, anche su quella naturale: quindi la Chiesa doveva necessariamente prendere una posizione in merito.

Buona parte della commissione di studio si mostrò a favore della "pillola cattolica" (come venne soprannominata), ma una parte di essa non condivise questa scelta, ritenendo che l'utilizzo degli anticoncezionali violasse la legge morale poiché, attraverso il loro impiego, la coppia scindeva la dimensione unitiva da quella procreativa. Paolo VI appoggiò questa posizione e, riconfermando quanto aveva già dichiarato Pio XI nell'enciclica Casti Connubii, decretò illecito per gli sposi cattolici l'utilizzo degli anticoncezionali di natura chimica o artificiale:

« Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. [...] In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell'uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. »
(Paolo VI, Humanae vitae 11-14)

Ma nella stessa, nel paragrafo Paternità responsabile, si dice:

« In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all'ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete. »
(Humane vitae 10)

Questa decisione di papa Montini ricevette molte critiche. Tuttavia Paolo VI non ritrattò mai il contenuto dell'enciclica, motivando in questi termini a Jean Guitton le proprie ragioni:

« Noi portiamo il peso dell'umanità presente e futura. Bisogna pur comprendere che, se l'uomo accetta di dissociare nell'amore il piacere dalla procreazione (e certamente oggi lo si può dissociare facilmente), se dunque si può prendere a parte il piacere, come si prende una tazza di caffè, se la donna sistemando un apparecchio o prendendo "una medicina" diventa per l'uomo un oggetto, uno strumento, al di fuori della spontaneità, delle tenerezze e delle delicatezze dell'amore, allora non si comprende perché questo modo di procedere (consentito nel matrimonio) sia proibito fuori dal matrimonio. La Chiesa di Cristo, che noi rappresentiamo su questa terra, se cessasse di subordinare il piacere all'amore e l'amore alla procreazione, favorirebbe una snaturazione erotica dell'umanità, che avrebbe per legge soltanto il piacere. »
(J. Guitton, Paolo VI segreto, Milano 2002)

Il «papa pellegrino»[modifica]

Stati visitati da Paolo VI

Paolo VI fu il primo papa a viaggiare in aereo: volò per raggiungere terre lontanissime, come nessuno dei suoi predecessori aveva ancora fatto: è stato il primo papa a visitare tutti i cinque continenti. Questi i paesi esteri visitati durante il pontificato:

  • 4 - 6 gennaio 1964: pellegrinaggio in Terrasanta
  • 2 - 5 dicembre 1964: pellegrinaggio in India in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale
  • 4 - 5 ottobre 1965: visita alle Nazioni Unite di New York
  • 13 maggio 1967: pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Fatima
  • 25 - 26 luglio 1967: viaggio apostolico a Istanbul, Efeso e Smirne. In questa occasione avvenne lo storico incontro con il patriarca Atenagora I
  • 21 - 25 agosto 1968: viaggio apostolico a Bogotá
  • 10 giugno 1969: visita a Ginevra in occasione del 50º anniversario dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro
  • 31 luglio - 2 agosto 1969: pellegrinaggio in Uganda
  • 25 novembre - 5 dicembre 1970: pellegrinaggio in Asia Orientale, Oceania e Australia

Durante il viaggio in Estremo Oriente, il pontefice fu bersaglio nelle Filippine di un attentato da parte di uno squilibrato munito di pugnale, dal quale uscì indenne: Paul Marcinkus, incaricato di organizzare i viaggi, deviò il pugnale con cui un uomo aveva tentato di colpirlo. Nella Cattedrale di Manila è conservata la Croce Astile (opera dello scultore Felice Mina) dono di Sua Santità in segno di riconoscimento.

Anni settanta[modifica]

Paolo VI nel 1977

Il 16 settembre 1972 Paolo VI fece una breve visita pastorale a Venezia durante la quale incontrò l'allora patriarca Albino Luciani e celebrò la messa in piazza San Marco; al termine della celebrazione papa Montini si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e successivamente la mise sulle spalle del patriarca Luciani davanti alla piazza, facendolo imbarazzare visibilmente. Il gesto del pontefice, inteso da molti come "profetico", non fu ripreso dalle telecamere, che avevano già chiuso il collegamento, ma fu documentato da numerose fotografie.

Il 24 dicembre 1974 Paolo VI inaugurò l'Anno Santo del 1975. Durante la cerimonia di apertura della Porta Santa, in diretta televisiva con la regia di Franco Zeffirelli, pesanti calcinacci si staccarono e caddero davanti al papa senza urtarlo.

Durante il sequestro di Aldo Moro, il 16 aprile 1978 Paolo VI implorò personalmente e pubblicamente, con una lettera[9] diffusa su tutti i quotidiani nazionali il 21 aprile, la liberazione "senza condizioni" dello statista e caro amico Aldo Moro, rapito dagli "uomini delle Brigate Rosse" alcune settimane prima. A nulla valsero le sue parole: il cadavere di Moro fu ritrovato il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una Renault color amaranto, in via Caetani a Roma, a pochi metri dalle sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano.

La salma di Moro fu portata dalla famiglia a Torrita Tiberina per un funerale riservatissimo; ma il 13 maggio, nella basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza di tutte le autorità politiche, si celebrò un rito funebre in suffragio dell'onorevole, al quale prese parte anche il pontefice. Ci fu chi eccepì, soprattutto nella Curia, che non rientra nella tradizione che un papa partecipasse a una messa esequiale, soprattutto se di un uomo politico (si cita, a proposito, il caso di Alessandro VI che non partecipò nemmeno ai funerali del figlio Giovanni), ma Paolo VI non mostrò interesse verso queste critiche. Il papa, provato dall'evento, recitò un'omelia ritenuta da alcuni una delle più alte nell'omiletica della Chiesa moderna.[10] Questa omelia inizia con un sommesso rimprovero a Dio ma prosegue affidandosi nuovamente alla misericordia del Padre:

« Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il De profundis, il grido, il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui. Signore, ascoltaci! »

La morte[modifica]

Dai funerali di Moro, il suo stato di salute si deteriorò progressivamente e tre mesi dopo, il 6 agosto 1978, alle 21:40, si spense nella residenza di Castel Gandolfo a causa di un edema polmonare.

Lasciò un testamento, scritto il 30 giugno 1965, salvo due successive lievi aggiunte. Fu reso noto all'indomani della morte, l'11 agosto. In esso egli confida le sue paure, la sua esperienza di vita, le sue debolezze, ma anche le proprie gioie per una vita donata al servizio di Cristo e della Chiesa.

« Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara. [...] Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? [...] E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d'amore [...] ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore »
(Paolo VI, Testamento)

Chiese un funerale sobrio, senza riti particolari. Lasciò scritto, infatti, circa i suoi funerali:

« siano pii e semplici [...] La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me. »
(Paolo VI, Testamento)

La sua bara fu semplicissima, senza decori, di legno chiaro, deposta a terra sul sagrato di piazza San Pietro; sopra di essa, un Vangelo aperto e sfogliato dal vento. Fu la prima volta che un funerale di un Pontefice si svolse con un rito così sobrio. Sarà lo stesso per i suoi due successori, i quali non mancheranno di richiamarsi a Paolo VI e citarlo come loro guida spirituale nell'esercizio dell'attività pontificale.

Dall'11 maggio 1993, per volere di Giovanni Paolo II, il vicario del pontefice per la diocesi di Roma, il cardinale Camillo Ruini, ha aperto la fase diocesana per la raccolta delle testimonianze e delle prove di miracolo per la beatificazione di Paolo VI, al quale è riconosciuto l'appellativo di Servo di Dio. Il 10 maggio 2014 papa Francesco ne ha annunciato la beatificazione,[11] avvenuta il successivo 19 ottobre alla presenza del pontefice emerito Benedetto XVI.[12] Il 14 ottobre 2018 è stato infine canonizzato.[13]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 1,2 G. Zizola, I papi del XX secolo, Roma 1995, p. 67.
  2. D. Menozzi, I papi del '900, Firenze 2000, p. 72.
  3. D. Menozzi, I papi del '900, Firenze 2000, p. 71.
  4. G. Zizola, I papi del XX secolo, Roma 2000, pp. 68-69.
  5. Cfr. motu proprio Ingravescentem aetatem (21 novembre 1970).
  6. Cfr. costituzione Romano Pontifici eligendo (1 ottobre 1975).
  7. D. Menozzi, I papi del '900, Firenze 2000, p. 85.
  8. G.M. Vian, Paolo VI, in Enciclopedia dei Papi (2010).
  9. Testo della lettera.
  10. M. Gotor, 9 maggio 1978: lo schiaffo a Paolo VI. Storia e fallimento della mediazione vaticana per la liberazione, in: Cristiani d'Italia, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2011.
  11. Promulgazione di Decreti della Congregazione delle Cause dei Santi, 10.05.2014, in Sala stampa della Santa Sede.
  12. Francesco proclama Beato Paolo VI, in Corriere della Sera, 19.10.2014.
  13. Romero e Paolo VI sono santi. Il Papa ha pronunciato formula di canonizzazione, in ANSA, 14.10.2018.