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Storia della letteratura italiana/Lo stilnovo

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Indice del libro

La corrente letteraria del dolce stil novo (o più semplicemente stilnovo) si sviluppa a Firenze negli anni ottanta del Duecento. Ne è considerato precursore il bolognese Guido Guinizzelli, ma la sua definizione si deve al fiorentino Guido Cavalcanti, amico di Dante. Tra i molti altri poeti stilnovisti si possono ricordare Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Gianni Alfani. Il più vasto canzoniere stilnovista si deve però a Cino da Pistoia. Lo stilnovo prende le distanze dalla lirica siciliana e propone una nuova poesia d'amore, vista come un modo di comunicare accessibile solo a pochi privilegiati dall'animo nobile, per i quali quella amorosa è un'esperienza assoluta.

Firenze nel Duecento

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Due sono gli aspetti che caratterizzano la storia di Firenze nel XIII secolo: l'affermazione della borghesia come nuova classe sociale dominante e le lotte tra guelfi e ghibellini. Nel 1250 i guelfi conquistano il potere e istituiscono un regime democratico detto "del primo popolo", nel quale i diritti del popolo vengono formalmente tutelati da un capitano del popolo contro le ingerenze dell'aristocrazia. Questa situazione dura un decennio, finché nel 1260 i ghibellini riprendono il potere dopo la battaglia di Montaperti. Si tratta però di un regime destinato a cadere presto: nel 1266, con la sconfitta delle forze imperiali nella battaglia di Benevento, i ghibellini vengono cacciati da Firenze.

Nel 1293 Giano della Bella istituisce gli Ordinamenti di Giustizia, in base ai quali per poter partecipare alla vita politica della città è necessario essere iscritti a un'Arte. I ghibellini sono definitivamente banditi da Firenze, i guelfi prendono il potere ma la città è scissa in due fazioni:

  • il "popolo grasso", noti anche come i neri, composto dagli iscritti alle cosiddette Arti maggiori (Arte dei Giudici e Notai, Arte dei Mercatanti, Arte del Cambio, Arte della Lana, Arte della Seta, Arte dei Medici e Speziali, Arte dei Vaiai e Pellicciai);
  • il "popolo magro", noti anche come i bianchi, composto dagli iscritti alle cosiddette Arti minori (Arte dei Beccai, Arte dei Calzolai, Arte dei Fabbri, Arte dei Maestri di Pietra e Legname, Arte dei Linaioli e Rigattieri, Arte dei Vinattieri, Arte degli Albergatori, Arte degli Oliandoli e Pizzicagnoli, Arte dei Cuoiai e Galigai, Arte dei Corazzai e Spadai, Arte dei Correggiai, Arte dei Legnaioli, Arte dei Chiavaioli, Arte dei Fornai, Arte dei Ciompi, Arte dei Tintori, Arte dei Farsettai, Arte dell'Agnolo).

Sono i neri a controllare la città: sostenuti dal papa Bonifacio VIII e dal francese Carlo di Valois, nel 1302 riescono a ottenere saldamente il governo. Molti bianchi sono processati e condannati a morte o all'esilio, e tra questi c'è anche Dante.

Nel resto della penisola italiana, durante il Duecento molte città italiane iniziano a costituirsi in signorie. La prima è Verona, dove prende il potere la famiglia degli Scaligeri. L'apice della potenza sarà raggiunta però nel Trecento con Cangrande (1311-1329), che svolgerà anche un'importante opera di mecenatismo (tra gli altri, dà ospitalità a Dante dopo l'esilio). A Venezia si consolida l'oligarchia, mentre a Milano, a partire dal 1237, si consuma la contesa tra le famiglie dei Torriani (ghibellini) e dei Visconti (guelfi), che si concluderà nel 1310 con la vittoria di questi ultimi, sostenuti dall'imperatore Enrico VII.

La poetica stilnovista

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Gli autori della nuova corrente intrattenevano tra di loro stretti rapporti personali e artistici. Tuttavia lo stilnovo non si può definire una scuola. È piuttosto un insieme di esperienze poetiche, tra loro diverse, che convergono verso l'obiettivo di dare vita a una nuova poesia d'amore. Per questo prendono le distanze dalla precedente lirica siculo-toscana.[1]

L'iniziatore del stilnovo è considerato Guido Guinizzelli, coetaneo di Guittone d'Arezzo, ma la piena formulazione di questa corrente avviene a Firenze negli anni ottanta del Duecento, a opera di Guido Cavalcanti, Dante e alcuni loro amici. Proprio a Dante si deve il nome di "dolce stil novo". Nel canto XXIV del Purgatorio, quando incontra nel girone dei golosi il poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani, Dante pronuncia una dichiarazione di poetica:

« I' mi son un che quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando. »

A cui Bonagiunta risponde:

« "O frate, issa vegg'io" diss'egli "il nodo
che 'l notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!" »

Bonagiunta riconosce nelle parole di Dante la distanza rispetto alla sua poesia, a quella di Guittone e del siciliano Iacopo da Lentini ("'l notaro"). La novità consiste nel fatto che lo stilnovo ha una concezione precisa degli effetti dell'amore sull'anima dell'innamorato, e si sofferma su alcuni dibattiti morali, come quello relativo al rapporto tra amore e nobiltà.[2]

L'unico tema trattato dagli stilnovisti è quello amoroso, attorno al quale si sviluppa una concezione della nobiltà fondata sul cor gentil, l'animo gentile, l'unico in grado di vivere l'esperienza amorosa e di coltivare l'amor fino (cioè in grado di comprendere e comporre le poesie d'amore). La poesia e l'amore sono i caratteri distintivi di un gruppo ristretto di persone, e la "dolce" lingua consente la comunicazione tra questi pochi privilegiati, che concepiscono l'esperienza amorosa come un valore assoluto, un sentimento d'elezione che porta il poeta a innalzarsi dalla classe sociale di provenienza.[2]

La donna viene idealizzata e smaterializzata: di lei non vengono fornite descrizioni fisiche, mentre è frequente l'immagine della donna-angelo, che con il suo saluto taumaturgico risana l'animo di chi lo riceve. Grande importanza è data infatti alla fenomenologia d'amore. La donna si presenta al poeta attraverso fuggevoli incontri in contesti cittadini. L'evento si situa in una dimensione corale: il poeta non è mai solo, ma si trova con un gruppo di amici che gli offrono il loro sostegno, mentre la donna è in compagnia di altre dame, tra le quali spicca per la sua bellezza.

Il poeta è sconvolto da questi incontri e la poesia registra accuratamente i processi fisici e psicologici che lo colpiscono. Questi, secondo le teorie dell'epoca, sono provocati dal movimento di sostanze spirituali che, dotate di una loro autonomia, agiscono sull'animo umano e possono addirittura lasciare l'individuo a cui appartengono e spostarsi verso un altro, per esempio verso la donna amata. La donna stilnovista, per altro, è sempre irraggiungibile e molto spesso è legata a un altro uomo. L'amore non ha come scopo il soddisfacimento di un desiderio, ma la continua tensione verso qualcosa che non si può raggiungere.[3]

Le opere stilnoviste, dirette a un pubblico ristretto e fondate perlopiù sulle strutture metriche della canzone, del sonetto e della ballata, sono caratterizzate da una sintassi lineare e dal limitato ricorso ad artifici retorici. Viene inoltre usata una lingua cittadina colta, priva di espressioni popolari.

Guido Guinizzelli

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Pagina del Codice Banco Rari con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli

I primi esempi di questa nuova poesia si hanno a Bologna, nelle liriche di Guido Guinizzelli. Poche e incerte sono le notizie sulla sua vita. È nato a Bologna attorno al 1240 e ha avuto una formazione giuridica, filosofica e letteraria. La sua era una famiglia ghibellina schierata con la fazione dei Lambertazzi. Questo sarà la causa dell'esilio che colpirà il poeta e i suoi familiari nel 1274. Guinizzelli morirà due anni più tardi, nel 1276, a Monselice.

L'esordio poetico di Guinizzelli avviene nel solco della lirica di Guittone d'Arezzo. Ben presto però se ne distacca per uno stile nuovo, più dolce e ricco di tensione intellettuale. Nei suoi versi la donna manifesta il suo valore al poeta, illuminandolo e rendendolo immobile. La sua forza benefica si irradia all'esterno attraverso lo sguardo e il saluto: qui Guinizzelli propone la connessione tra le parole saluto e salute, che conoscerà grande fortuna nelle liriche di Dante.[3]

Tra i vertici della sua poesia c'è la canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, quasi un "manifesto" dello stilnovo, in cui è evidente la sua attenzione agli aspetti dottrinali e filosofici. Guinizzelli sostiene la stretta relazione tra Amore e gentilezza, Amore e cor gentil. L'amore autentico è riservato agli spiriti nobili ed elevati, predestinati a ciò non dalla discendenza familiare ma da influssi celesti. Solo i pochi dotati di particolari qualità dell'animo possono infatti raggiungere la gentilezza e l'amore.[4]

Guido Cavalcanti

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Anche su Guido Cavalcanti le notizie biografiche sono poche. Le fonti lo descrivono come una personalità altera e sprezzante del volgo, amico stretto di Dante e suo compagno sia nelle lotte politiche sia nell'esperienza poetica.

Nasce intorno al 1260 a Firenze in una nobile e ricca famiglia guelfa, e sposa la figlia del ghibellino Farinata degli Uberti. Si interessa fin da giovane di filosofia, e in particolare del pensiero di Averroè: per questi suoi studi viene accusato di essere miscredente e ateo. Nel 1293 è escluso da ogni carica pubblica. Partecipa però ai conflitti interni a Firenze, sostenendo i bianchi. In questa scelta ha un peso la sua inimicizia con il capo dei neri, Corso Donati, che secondo alcune testimonianze nel 1292 aveva inviato dei sicari a ucciderlo mentre compiva un pellegrinaggio a Compostela. Coinvolto in episodi violenti, Cavalcanti viene esiliato da Firenze il 24 giugno 1300. Il provvedimento è però revocato poco dopo: tornato in città, vi muore il successivo 29 agosto.[5]

Quella di Cavalcanti è una poesia melodica, dietro alla quale si cela un sapiente uso di tecniche retoriche. Il suo componimento più famoso è la canzone Donna me prega, per ch'eo voglio dire, un testo complesso in cui è possibile riconoscere elementi provenienti dalla filosofia di Averroè. Tema centrale è il modo in cui l'amore agisce sulle facoltà dell'anima umana. La bellezza della donna genera un'immagine intellettuale, la quale ha un'azione dirompente sulle anime sensitive: queste vanno incontro a una radicale scissione, con effetti fisici e psicologici che non possono essere controllati dall'anima razionale, e che vengono analizzati attraverso la poesia.[6]

Cavalcanti parte dall'idea che l'anima sia caratterizzata da una pluralità di facoltà, sulle quali agiscono diverse essenze. Il valore della donna è una forza che sembra provenire da una realtà altra rispetto a quella terrena, e che è in grado di sconvolgere il cuore del poeta. L'amore è così forte da costringerlo a cercare ciò che fa male, manifestandosi quindi come una forza assoluta e distruttiva. Da qui scaturisce la scissione: nelle sue poesie si affacciano svariate figure, fisiche e psichiche allo stesso tempo, che continuano a scindersi e ad aggregarsi. Anche l'immagine della donna si frantuma in immagini diverse, e viene addirittura sostituita da nuove figure incorporee oppure immagini femminili di livello più basso.[7]

Cino da Pistoia

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Cino da Pistoia

Nato nel 1270 e morto nel 1337, Cino da Pistoia è stato legato a Dante da un forte sentimento di amicizia e stima reciproca. Dopo gli studi come giurista a Bologna e forse a Parigi, ha insegnato nelle università di Siena, Perugia e Napoli. Come Dante, inoltre, ha sostenuto il progetto di restaurare l'impero promosso da Arrigo VII.

Cino da Pistoia è l'autore del più vasto canzoniere stilnovista: comprende 165 poesie, a cui si aggiungono varie altre composizioni che però sono di dubbia attribuzione. La maggior parte dei suoi componimenti sono dedicati a una nobildonna, Selvaggia. Influenzato dalle Rime di Dante, segue una poesia illustre ma equilibrata, pacata e priva di sorprese. Per questo motivo è possibile riconoscere in lui un tramite che collega lo stilnovismo a Petrarca.[8]

  1. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 78.
  2. 2,0 2,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 79.
  3. 3,0 3,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 80.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 80-81.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 81.
  6. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 81-82.
  7. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 82.
  8. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 83.

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