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Storia della letteratura italiana/Torquato Tasso

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Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana

Torquato Tasso visse nella propria esperienza personale le contraddizioni e il disagio per la crisi che stava attraversando l'Italia nella seconda metà del Cinquecento. Con la sua opera maggiore, la Gerusalemme liberata, cerca di porsi come modello del perfetto poeta cristiano, attento a seguire rigidamente sia la morale controriformista sia i precetti della poetica astistotelica. In questo prende le distanze da Ludovico Ariosto e dal suo Orlando furioso, che rimane comunque un punto di riferimento per la sua opera.

La giovinezza e la formazione

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Torquato Tasso ritratto da Jacopo dal Ponte (XVI secolo)

Torquato Tasso nasce a Sorrento l'11 marzo 1544, secondogenito di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia ma di antica nobiltà bergamasca, al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino,[1] e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana.[2] La primogenita Cornelia era nata nel 1537.

All'età di sei anni Torquato è in Sicilia, quindi dalla fine del 1550 è con la famiglia a Napoli, dove riceve una solida educazione cattolica. A dieci anni segue il padre a Roma, mentre la madre è costretta a rimanere a Napoli perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote».[3] Nella città pontificia Bernardo educa privatamente il figlio, ed entrambi subiscono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vengono a sapere della morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.[1] La situazione politica subisce però a Roma uno sviluppo che preoccupa Bernardo: scoppia un dissidio tra Filippo II e Paolo IV, e gli spagnoli sembrano sul punto di attaccare l'Urbe. Manda allora Torquato a Bergamo presso alcuni parenti e si rifugia alla corte urbinate di Guidobaldo II della Rovere. Il figlio lo raggiunge pochi mesi dopo.[4]

Bernardo si sposta intanto a Venezia, capitale dell'editoria, per seguire la pubblicazione del suo Amadigi, un poema che riprende la materia del ciclo carolingio. Nella laguna arriva anche il figlio. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata (il Gierusalemme, primo tentativo di quello che sarà la Gerusalemme liberata) e al Rinaldo.[5] Nel novembre 1560 Torquato si iscrive per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio di Padova. Tuttavia non ama la giurisprudenza, così, dopo il primo anno ottiene il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le sue dissertazioni teoriche - prime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica - e lo avvicina allo studio della Poetica aristotelica.

In quest'epoca Tasso vive anche il primo innamoramento. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, dove Torquato conosce Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi.[6] Tasso le dedica rime petrarcheggianti, ma le sue speranze sono presto deluse, poiché nel febbraio 1562 scopre che la ragazza è promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli.[7]

Intanto, l'entourage comincia ad accorgersi del talento del giovane, e nel 1561 e 1562 gli sono commissionate delle poesie per funerali. Più notevoli sono gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco,[1] incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, è stampato a Venezia nel 1562 e contribuisce a diffondere la fama dell'autore.[8]

Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i corsi universitari a Padova.[9] Tasso prosegue poi gli studi all'Università di Bologna, finché, nel gennaio 1564, è accusato di essere l'autore di un testo satirico contro alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di studio, ritorna a Padova, dove beneficia dell'ospitalità di Scipione Gonzaga.

In casa del principe Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità. Tasso vi entra assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara. I due canzonieri amorosi confluiranno in parte tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese.[10]

Alla corte di Ferrara

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Nell'ottobre 1565 giunge a Ferrara, al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca Alfonso II, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi sono il periodo più felice della vita di Tasso, che viene apprezzato per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana. Il cardinale gli lascia la possibilità di attendere solamente alla poesia, e Tasso può continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorrono con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora.[11] La ricchezza culturale della corte estense costituisce per lui un importante stimolo: conosce Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali. In questo periodo riprende il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo.

Nel 1568 dà alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M.G.B. Pigna, dove emerge la sua concezione platonica e stilnovistica dell'amore, con alcune note però peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti saranno poi ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più tardi.[12] Compone anche i quattro Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico.

Nell'ottobre 1570 parte per la Francia al seguito del cardinale. Il soggiorno dura sei mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, trascorre questo periodo sostanzialmente nell'ombra. Di ritorno a Ferrara nell'aprile 1571 decide di lasciare il seguito del cardinale. Crede di avere miglior fortuna presso Ippolito II, che raggiunge a Roma. Deluso anche da questi, Tasso risale la penisola per entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II.[13]

Continua a lavorare al suo capolavoro, ma si dà anche al teatro e scrive l'Aminta, favola pastorale che rientra nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ha un grande successo. Nello stesso 1573 Tasso comincia a scrivere una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la abbandona all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo.[14]

L'impegno principale rimane comunque il poema epico, ancora senza titolo. Nel novembre 1574 l'opera era quasi completa, ma si deve aspettare fino al 6 aprile 1575 per avere l'annuncio del suo completamento, dato in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano.[15] Per Tasso però un periodo di nevrosi, terrorizzato di avere composto un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Tasso sottopone il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romani, dei quali tuttavia respinge bruscamente alcune osservazioni.

Nel 1576 scrive Allegoria, con cui rivisita tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non basta: gli scrupoli di carattere religioso assumono la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia si sottopone spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di assoluzione.[16]

Tasso si è stancato anche di Alfonso e sogna di andare a Firenze, alla corte medicea. A far precipitare il rapporto con il duca e la corte sono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusa presso l'Inquisizione ferrarese, attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cerca allora di far desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non riescono a far cambiare idea al poeta, che si presenta altre due volte davanti all'inquisitore.[17] Siccome vuole recarsi a deporre presso il Tribunale romano, per timore che questo mettesse a rischio i rapporti tra gli Este e la Chiesa, Alfonso mette il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli scaglia contro un coltello. Rimarrà nella prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo libera e lo accoglie presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimane pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di san Francesco.[18]

Il Castello Estense

Il poeta supplica allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sistemino a Roma, e nel contempo si lamenta con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrova nuovamente nella prigione del Castello. Tenta quindi un'altra via e chiede invano perdono al suo signore.[19] Alla fine decide di optare per la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si traveste da contadino e fugge nei campi. Raggiunge la sorella a Sorrento, annunciandole dapprima la propria morte per poi svelarle la sua vera identità, solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata della donna.[20]

A Sorrento rimane parecchi mesi, fino all'aprile 1578, quando ritorna a Ferrara. Dopo tre mesi è di nuovo in fuga: Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica manda ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che restano criptici.[21] Intanto continua a vagare. A Torino riceve l'ospitalità del marchese Filippo d'Este e gode di una certa tranquillità che gli permette di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[22]

In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie, Tasso si adopera per il rientro a Ferrara, tornandovi tra il 21 e il 22 febbraio. I fatti precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[23] Il duca Alfonso II rinchiude quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, dove rimane per sette anni. Qui, alle manie di persecuzione, si aggiungono tendenze autopunitive.

Eugène Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna

I primi anni di reclusione non gli impediscono di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie, simbolo di una ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Compone: A Lucrezia e Leonora e Ad Alfonso, nuova supplica al duca che, rimasta inascoltata, diventerà un inno Alla Pietà nell'omonima canzone. Le condizioni mutano con gli anni: a partire dal 1580 gli è permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite, mentre dal 1583 può lasciare Sant'Anna più volte alla settimana.[24]

Sempre durante la prigionia sono pubblicate, senza il suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo di Gerusalemme liberata è scelto dal curatore di queste ultime versioni, Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ha grande successo. Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentano delle imperfezioni, diventa necessario approntare la versione migliore possibile. Così, seppur riluttante, Tasso dà il proprio consenso a Febo Bonnà, che pubblica la Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara.[25]

All'amarezza per le pubblicazioni segue ben presto quella che gli è causata dalla polemica con la neonata Accademia della Crusca. La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Tasso viene esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami aristotelici, mentre Ariosto viene duramente condannato a causa della leggerezza, dell'invenzione spicciola e dell'eccessiva dispersione che si possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[26] La polemica tra ariosteschi e tasseschi proseguirà a lungo, fino al secolo successivo.

Durante la reclusione Tasso scrive principalmente discorsi e dialoghi: fra i primi abbiamo quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583), Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), a cui si deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[27] Queste opere sviluppano tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche.

Gli ultimi anni

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Il 13 luglio 1586 finisce la prigionia: affidato a Vincenzo Gonzaga,[28] non tornerà più a Ferrara. A Mantova Tasso ritrova qualche barlume di tranquillità; riprende in mano il Galealto re di Norvegia e lo trasforma nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto va a Bergamo, ritrovando amici e parenti, dà alle stampe la tragedia, e l'opera esce con una dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[29]

Nell'autunno 1587, dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso va a Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara, tenta in ogni modo di farlo tornare indietro, senza successo. Si sposta quindi a Roma, dove rimane dall'autunno 1587 alla primavera successiva. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Tuttavia, in preda al bisogno materiale, scrive versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché.[30]

Ai primi di aprile del 1588 Tasso si sposta a Napoli fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, preferisce accettare l'ospitalità di un convento di frati olivetani. Il clima amichevole con cui è accolto riesce a risollevare per un breve periodo il suo infelice animo. Per ringraziare i monaci scrive il poemetto, rimasto incompiuto, Monte Oliveto.[31] Anche questo periodo napoletano si rivela però problematico, a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si aggiungono anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme liberata. A dicembre è di nuovo a Roma, dove viene ospitato da Scipione Gonzaga. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non viene meno la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi scritto il commento, Tasso compone anche un poema pastorale che riprende, anche se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera sarà postuma (1608).[32]

Gli ultimi anni di Tasso non conoscono pace: tornato a Napoli, le sofferenze psichiche si acuiscono nuovamente, e il poeta è costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli. A febbraio ritorna presso Scipione Gonzaga, ma preme per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accetta quindi con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiungono anche relative soddisfazioni economiche, sempre comunque in cambio di versi encomiastici.

Ritornato sul Mincio nel marzo 1591, accolto con tutti gli onori, può dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in particolare alla revisione del capolavoro. Raccoglie inoltre le Rime in quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A questo va aggiunta La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, che però si interruppe dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666.[33] Poco dopo ridiscende la penisola, raggiungendo prima Roma e poi Napoli,[34]dove rimane tra febbraio e aprile 1592. Completa la Gerusalemme conquistata, e mette mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[35]

Gli ultimi tre anni di vita risiede prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo fa tornare nella città, dove riceve un'accoglienza migliore rispetto al passato. La produzione letteraria è ormai consacrata agli argomenti sacri: compone i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedica, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.[36] Tasso ha intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vede la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata.

Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio. La salute tuttavia si aggrava nuovamente. Ritorna a Napoli, dove conclude in proprio favore la questione legata all'eredità materna, e rimane dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Alla fine dell'anno ritorna a Roma. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rende ormai impossibile scrivere, si fa forte il desiderio della «fuga dal mondo».[37] Il 1º aprile entra al monastero di Sant'Onofrio, sul Gianicolo. Il 25 aprile, all'«undecima ora»[38], Torquato Tasso muore all'età di 51 anni.

Come si è visto, all'età di diciotto anni Tasso sceglie di orientarsi verso il romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblica il Rinaldo, in dodici canti (circa 8000 versi), che narra la giovinezza del paladino di Carlo Magno, cugino di Orlando. I modelli di riferimento sono dichiarati dal poeta fin dalla prefazione, e comprendono sia gli "antichi" (Omero e Virgilio) sia i "moderni" (Ariosto). A differenza del Furioso, il Rinaldo però si concentra su un unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Manca inoltre l'ironia giocosa che caratterizzava il poema di Ariosto. In generale, si tratta di un'opera giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo.[39]

Torquato Tasso compone un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime sono pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581 escono Rime e prose. Tasso lavora fino al 1593 a un riordino complessivo dei testi, distinguendo le rime amorose (Prima parte delle Rime, 1591) e le rime encomiastiche (Seconda parte delle Rime, 1593). Prevede poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose, e una quarta di rime per musica, ma questi due volumi sono destinati a rimanere un progetto.[39]

Nelle rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento. Contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa.

Più solenni e classicheggianti le rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e a Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro, intessuta di elementi autobiografici.

Le Rime religiose sono caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che sono state scritte negli ultimi anni di vita del poeta. Rispecchiano il gusto delle civiltà controriformistica per il lusso e l'ornamento, ma più che da sentimenti religiosi sono ispirati dalle esperienze autobiografiche dell'autore.[40]

Le opere drammatiche

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Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi

L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel 1580 circa. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. È stata rappresentata per la prima volta nei giardini dell'isoletta di Belvedere nel 1573.

Trama

Il pastore Aminta è innamorato, senza essere ricambiato, della ninfa Silvia, che dedica il suo tempo alla caccia. Su suggerimento di Dafne, un'amica di Silvia, Aminta cerca di incontrare la ninfa a una fonte dove è solita bagnarsi. Qui la salva da un satiro, che vorrebbe farle violenza. Silvia tuttavia dimostra gratitudine, ma anzi fugge nel bosco. Tra i rami viene in seguito ritrovato un velo sporco di sangue, e si pensa che la ninfa sia stata sbranata dai lupi. Aminta, disperato, si getta da un dirupo. Silvia tuttavia è ancora viva e quando scopre del gesto di Aminta viene travolta dal sentimento di amore che stava nascendo nel suo cuore. Corre a piangere sul corpo del giovane pastore, ma scopre che non è morto: un cespuglio ha attutito la caduta. Il pianto di Silvia risveglia Aminta e i due, riconciliati, possono ora sposarsi.

Il gioco convenzionale della morte degli amanti sfiora la tragedia, ma questa viene allontana dal lieto fine. Le vicende principali su cui si basa questa esile trama non avvengono sulla scena, ma vengono di volta in volta raccontati dai personaggi, in un susseguirsi di colpi di scena e di sorprese.

Il mondo dei pastori diventa uno specchio del mondo cortigiano e della sua vita elegante, dando così vita a un modello destinato a durare fino a tutto il Settecento. Due sono le direzioni in cui si muove il poeta: la vita semplice dei pastori, che rappresenta un'evasione dalla via mondana, e gli elementi edonistici tipici della corte. La spontaneità della vita agreste si unisce alle raffinatezze letterarie tipiche della realtà cortigiana. Gli spettatori guardano con compiacenza gli amori dei due innocenti protagonisti, e i cori che chiudono ciascun atto invitano il pubblico a immedesimarsi con i personaggi sulla scena. Lo stile e semplice ma allo stesso tempo manierato. I dialoghi e le effusioni amorose scorrono rapidamente, ma sono comunque ricche di artifici, richiami interni e giochi concettosi.[41]

Re Torrismondo

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Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso incomincia una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interrompe alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprende e la completa a Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna, cambiando però il nome del protagonista e il titolo, diventato Re Torrismondo. L'ambientazione è nordica, e sono frequenti le immagini di distese boschive. Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, e in particolare è influenzato dalla lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno.

L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza.

Trama

Torrismondo è intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, e la situazione culminerà nel suicidio dei due.

Il Re Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane, la meditatio mortis e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché impossibilitato ad agire, a modificare il corso degli eventi ormai già predisposti.

Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in merito all'opera: Solerti e D'Ovidio si sono mostrati ostili verso il Torrismondo,[42] e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia ha dedicato una monografia.[43] Ancora più duro il giudizio di Eugenio Donadoni, che arriva a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un poeta»,[44] e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno dell'ingegno tassesco.[45] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e rivaleggiava con le migliori del tempo».[46]

La Gerusalemme liberata

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La Gerusalemme liberata è il capolavoro di Tasso. Già nel 1559, durante un soggiorno a Venezia, il poeta quindicenne aveva iniziato a scrivere un poema sulla prima crociata, noto come il Gierusalemme, di cui scriverà 116 ottave tra il 1559 e il 1561. Ben presto però aveva abbandonato l'impresa, che si era rivelata superiore alle sue forze. Vi ritornerà dopo l'arrivo a Ferrara, lavorandovi tra il 1565 e il 1566. In questa fase il poema aveva come titolo provvisorio Gottifredo, dal nome del protagonista Goffredo di Buglione. Il lavoro si interrompe di nuovo per poi essere ripreso nel 1570. Nell'aprile del 1575 l'opera e conclusa e può essere lettera alla presenza del duca Alfonso.

La vicenda editoriale del poema si presenta da subito complessa. Mentre Tasso è rinchiuso a Sant'Anna alcune copie manoscritte iniziano a circolare e nel 1580 esce un'edizione non autorizzata, intitolata Gottifredo, che contiene solo i primi quattordici canti. Tasso è quindi costretto a dare alle stampe la versione definitiva, che viene pubblicata nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. Una seconda edizione vede la luce nel 1585, con alcuni tagli e censure voluti dall'autore e dal curatore, Scipione Gonzaga. Quest'ultimo testo ha conosciuto da subito particolare fortuna, tanto da essere più volte ristampato. Le edizioni critiche moderne, tuttavia, riproducono l'edizione del 1581.[47]

Argomento e struttura

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La Gerusalemme liberata si compone di 20 canti. Tasso segue scrupolosamente i modelli dell'epica classica, cercando di evitare la tendenza, tipica dei poemi cavallereschi, di espandere in maniera illimitata la storia. Tuttavia, per evitare di scadere nella monotonia, dà alla narrazione una piega drammatica, riprendendo l'organizzazione della tragedia prevista da Aristotele in introduzione, perturbazione, rivolgimento e fine.[48]

Trama

Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso fu cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme.

La poetica: Discorsi dell'arte poetica

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Attorno alla metà degli Anni Sessanta scrive i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.

Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della favola».[49]

Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione cristiana.[50] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il sublime e il mediocre a seconda dei casi.

L'intero racconto della Gerusalemme liberata è fondato sull'opposizione tra bene e male, Cielo e Terra, che trova corrispondenze a vari livelli:[51]

  • sul piano ultraterreno, Dio è opposto a Satana;
  • sul piano storico, i cristiani sono opposti ai musulmani;
  • sul piano interiore, le capacità razionali sono opposte alle passioni terrene.

D'altra parte bisogna ricordare che Tasso visse in un periodo storico di crisi, in cui stava tramontando la civiltà rinascimentale per lasciare spazio a una nuova. In questo senso, l'autore della Gerusalemme liberata ha avvertito in modo più acuto il senso di disagio dovuto alla crisi. Questo però si accompagna sempre a una cieca fiducia nelle capacità conoscitive della letteratura.[52]

Stile e tecniche narrative

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Nello scrivere il suo poema Tasso si proponeva di seguire fedelmente i princìpi aristotelici e di fornire allo stesso tempo un'opera che venisse incontro ai gusti del pubblico. Anzitutto, diversamente da Ariosto, sceglie di limitare la libertà di azione del narratore nella storia. Il poema è organizzato in modo che gli eventi siano da sé evidenti, che si presentino da soli al lettore, senza che sia necessario un intervento del narratore. Per la scansione temporale del racconto diventano invece fondamentali l'alternarsi del giorno e della notte. Il narratore tuttavia non è completamente assente dalla narrazione. Agisce piuttosto sottotraccia, partecipa agli eventi da spettatore, conduce il lettore nelle pieghe della psicologia dei personaggi e suggerisce i sentimenti e l'intonazione.[53]

Per tenere viva l'attenzione del lettore, Tasso procede inoltre con una progressiva messa a fuoco degli eventi narrati. Dapprima fornisce al lettore solo alcuni elementi sfocati, concentrandosi però sulla connotazione emotiva dei personaggi. In un secondo momento illumina le origini di questi sentimenti attraverso racconti retrospettivi. Altra tecnica molto utilizzata è quella che Tasso stesso chiama evidenza, che consiste nel descrivere un oggetto con una tale forza da coinvolgere il lettore e farlo sentire parte della narrazione.[54]

Per quanto riguarda la lingua, Tasso si propone di utilizzare uno stile magnifico, lontano dalla lingua cristallina usata da Ariosto. Ricorre per lo più a un lessico alto, ricercato e raffinato, ricco di arcaismi e latinismi. Innovativo è invece il suo uso della sintassi, dove modifica l'ordine degli elementi del discorso attraverso inversioni e dislocazioni. Tasso dimostra così di avere principalmente due maestri di stile: da un lato Virgilio e dall'altro monsignor Della Casa, di cui aveva studiato e ammirato l'opera.[55]

La Gerusalemme conquistata

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La pubblicazione della Gerusalemme liberata apre un periodo di particolare sofferenza per Tasso, perennemente insoddisfatto per il risultato del suo lavoro e preoccupato che non sia adeguato al clima religioso diffuso con la Controriforma. Inizia così una travagliata fase di revisione, che si conclude nel 1593 con la pubblicazione, a Roma, della Gerusalemme conquistata. Oltre al titolo, viene modificata anche la struttura del poema (da 20 si passa a 24 canti, come nei poemi omerici) e il testo viene conformato rigidamente ai princìpi aristotelici, tanto che alcuni episodi vengono completamente espunti per non mettere a rischio l'unità del poema. Anche il tono diventa più solenne, scompaiono le sfumature e i toni musicali, mentre è dominante il moralismo controriformista.

Tasso, soddisfatto del suo lavoro, pensava di aver raggiunto un perfetto equilibrio tra poesia e teoria poetica. In realtà la Gerusalemme conquistata, nella sua estrema coerenza interna, risulta un'opera arida; proprio per questo la sua fortuna è stata scarsissima, e la Gerusalemme liberata ha continuato a circolare.[56]

Le ultime opere

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Nell'ultima fase della sua vita Tasso ha scritto opere dedicate per la maggior parte ai personaggi che lo hanno ospitato e offerto protezione. Un esempio è Il Monte Oliveto, scritto nel 1588 per i frati olivetani del convento di Napoli che lo ospitarono. Il poeta esalta la solitudine monastica, che garantisce una vita ordinata.

Più ambiziose sono le Le sette giornate del mondo creato. È un poema in endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica, come per esempio Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo (entrambi del 1593). Il poema è pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido riflesso.[57]

  1. 1,0 1,1 1,2 Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato Tasso - L'uomo, in Letteratura italiana - Guida storica: Dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli Editore, 2009 [2000], p. 175, ISBN 88-08-19732-8.
  2. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 40.
  3. Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, pp. 13-14.
  4. Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, pp. 14-16.
  5. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. I, Torino, 1895, pp. 51-52.
  6. Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997, vol.3, pag.96
  7. Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, pp. 21-22.
  8. Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, p. 20.
  9. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 68.
  10. W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari 1981, p. 10
  11. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 72-73.
  12. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 82.
  13. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 89.
  14. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 99-100.
  15. Lettere, cit., I, p. 61
  16. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996, vol. 2/A, p. 367
  17. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. II, Torino, 1895, pp. 118-119.
  18. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. II, Torino, 1895, p. 124.
  19. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 176.
  20. G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, 1724, vol. I, p. XXVIII
  21. M. Vattasso, cit., p. 8
  22. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 181.
  23. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. II, Torino, 1895, p. 143.
  24. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, vol. I, Torino, 1895, pp. 313-314.
  25. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 118-119.
  26. M. L. Doglio, cit., pp. 41 e ss.
  27. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 216.
  28. L. Chiappini, cit, p. 303
  29. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 247-248.
  30. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 266-267.
  31. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 270-273.
  32. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 275.
  33. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 278-279.
  34. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 281.
  35. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, pp. 282-283.
  36. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 284.
  37. Lettere, cit., V, p. 200
  38. Lettera di Maurizio Cataneo a Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II, p. 363
  39. 39,0 39,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Ariosto e Tasso, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 106.
  40. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Ariosto e Tasso, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 107.
  41. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 379-382.
  42. A. Solerti, cit, I, p. 556; F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, 1879, pp. 300-392
  43. U. Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento, Teramo, 1916
  44. E. Donadoni, cit., vol. II, pp. 91-92
  45. G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit., pp. LXXXIV
  46. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935, p. 253.
  47. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Ariosto e Tasso, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 108.
  48. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, p. 14.
  49. T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (a cura di C. Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875
  50. Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15
  51. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, p. 15.
  52. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, p. 5.
  53. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, pp. 21-22.
  54. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, p. 23.
  55. Introduzione a Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di Franco Tomasi, Milano, BUR, 2009, p. 24.
  56. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Ariosto e Tasso, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 119.
  57. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 394.