Storia della letteratura italiana/Umanesimo civile
Alla fine del XIV secolo, con l'Umanesimo si diffonde una nuova considerazione del mondo classico. Le opere antiche non sono più interpretate alla luce del pensiero cristiano, ma cercando di ricostruire il contesto storico in cui sono nate. Componente essenziale di questo lavoro è l'attenta ricerca e trascrizione dei testi antichi, al fine di salvaguardarne l'integrità. Questo porta alla formazione di folte schiere di intellettuali sostenitori di tutto quanto concerne la latinità, caratteristica che, tra l'altro, agevola da parte dei sovrani la ricerca di un comune consenso.
A Firenze in particolare, l'opera di Petrarca e Boccaccio catalizza la fusione tra cultura umanistica e impegno politico, creando un solido legame tra letteratura e società: nasce così l'Umanesimo civile. Rilevante sotto questo aspetto è la figura di Coluccio Salutati, beneficiario dell'eredità morale petrarchesca e sostenitore dell'importanza della vita attiva rispetto a quella contemplativa, nonché strenuo difensore del regime repubblicano.
Umanesimo e Rinascimento: limiti e continuità
[modifica | modifica sorgente]Una questione preliminare da affrontare è il rapporto tra Umanesimo e Rinascimento, tema sul quale gli studiosi sono in disaccordo. Solitamente viene distinta la fase dell'Umanesimo, che coincide con il Quattrocento, dalla fase del Rinascimento, che occupa i primi decenni del Cinquecento fino alla Controriforma. Alla prima fase corrisponde la rinascita dell'interesse verso i classici, che porta agli studia humanitatis e all'imitazione delle opere degli antichi, mentre nel Rinascimento avviene il consolidamento della nuova realtà e il raggiungimento della maturità da parte di arti e letteratura.[1]
Per convenzione viene preso il 1492, anno di morte di Lorenzo il Magnifico, come spartiacque tra i due momenti. La scelta non è casuale: nel passaggio tra i due secoli si verificano avvenimenti che rompono l'equilibrio tra gli Stati della penisola italiana. Mentre gli altri paesi europei raggiungono un assetto statale unitario, che li porta a estendersi oltre i loro confini, nessuno dei cinque maggiori Stati italiani (Roma, Napoli, Firenze, Milano, Venezia) riesce a unificare la penisola, ma anzi ciascuno opera affinché l'unificazione non avvenga a proprie spese. Tra il 1494 e il 1559 l'Italia deve dunque subire le politiche di potere delle altre nazioni, che invadono il suo territorio.[2]
D'altra parte però, come precisa Ferroni,[3]
I centri dell'Umanesimo
[modifica | modifica sorgente]Negli anni seguenti al 1380, l'Italia gode di un rinnovamento economico e sociale: il commercio acquista nuovo vigore, mentre i progressi tecnici favoriscono la crescita della produzione agricola e la diffusione di nuove colture. Si conferma l'ascesa sociale del mercante, che grazie ai notevoli guadagni può investire denaro in possedimenti terrieri, sfruttando massicciamente il lavoro contadino. A loro volta, i soldi ottenuti dalle campagne vengono spesi nelle città, dove i ricchi esibiscono il proprio potere costruendo nuovi e sontuosi palazzi. Addirittura, i mercanti più ricchi finiscono per confondersi con l'aristocrazia feudale, dando vita a una nuova e più ampia aristocrazia. I borghesi cercano sempre più di entrare a far parte delle classi dominanti, e si afferma una nuova virtù, quella dell'uomo che persegue fini terreni e impone il proprio potere in una società rigidamente gerarchica.[4] In seguito, la stessa società conoscerà un radicale riassetto attraverso il sistema delle signorie, che era sorto già a partire dal XIII secolo. Ai vertici di questi Stati (spesso città-stato) si colloca il signore, che reprime le lotte interne tra le fazioni e mantiene la pace.
La cultura raggiunge ora diverse classi sociali. Le università rimangono estranee alle ultime tendenze della cultura umanistica, mentre nell'età delle signorie si affaccia la nuova istituzione dell'accademia (che nel nome contiene un riferimento all'Accademia platonica di Atene), dove si riuniscono i dotti e gli intellettuali per dialogare. Questa mantiene stretti rapporti con la corte, centro culturale per eccellenza. I principi sono spesso cultori della poesia e dell'arte, e riuniscono attorno a sé artisti e letterati, promuovendone l'attività attraverso il mecenatismo. A essi spetta il compito di celebrare il signore, elaborare i valori costitutivi dell'ambiente di corte e intrattenere il pubblico: destinatari delle opere del letterato di quest'epoca saranno infatti i cortigiani. Altri luoghi di produzione della cultura sono infine le botteghe, in particolare quelle artistiche e degli stampatori, e le biblioteche pubbliche che iniziano a diffondersi.[5] Principali centri di irradiazione dell'Umanesimo sono Firenze, il Veneto, Milano, Mantova, Ferrara, Roma e Napoli.
Firenze
[modifica | modifica sorgente]Firenze è la vera e propria culla dell'Umanesimo, che si sviluppa in un periodo storico particolarmente complesso. Dopo il tumulto dei Ciompi del 1378, la città è guidata da un'oligarchia, in cui il potere è in mano a un ristretto numero di grandi famiglie, tra la quali hanno un ruolo preponderante gli Albizzi. Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento Firenze porta avanti una politica espansionistica per il controllo della Toscana, conquistando Arezzo, Pistoia, Volterra e Pisa. Il fallimento della politica di conquista verso la Lombardia finisce però per rafforzare i principali avversari degli Albizzi, i Medici, una ricca famiglia di banchieri. Nel 1433 Cosimo de' Medici, il capo della famiglia, viene esiliato e si rifugia a Padova e a Venezia. L'anno successivo, tuttavia, gli Albizzi sono scacciati in seguito a un rivolgimento politico. Cosimo torna quindi in città e ne diventa di fatto il signore. Da quel momento in poi i Medici conserveranno il potere su Firenze e, in seguito, sul Granducato di Toscana (che governeranno fino al 1737).
Durante tutti questi travagliati decenni la vita culturale fiorentina si mantiene particolare vivace. In città, alla fine del XIV secolo aveva sede il celebre cenacolo che riuniva a casa di Boccaccio intellettuali come Coluccio Salutati (Stignano, Buggiano, 16 febbraio 1332 – Firenze, 4 maggio 1406) in nome dell'amore per i classici e l'esaltazione civile delle lettere. Nella seconda metà del Quattrocento grande importanza avrà la corte di Lorenzo il Magnifico, nipote di Cosimo de' Medici, la cui attività è influenzata dal pensiero di filosofi come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Molto sviluppata è anche la produzione in volgare italiano.[6]
Qui la poesia lirica continua a utilizzare, in varie forme, i modelli del Trecento. Si diffonde inoltre un linguaggio medio, che però non riesce a trovare spazio nella letteratura alta. Le uniche prove di rilievo, da questo punto vista, sono alcune traduzioni dal latino di Leon Battista Alberti (Genova, 14 febbraio 1404 – Roma, 25 aprile 1472), che tenta di trovare nel volgare dei corrispettivi alle forme classiche. In volgare scrive i quattro libri Della famiglia (1433-1441), in cui analizza i principali aspetti e istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la famiglia, l'educazione, la gestione economica del focolare, l'amicizia e in genere i rapporti sociali. Tra i più originali poeti del periodo si ricorda Domenico di Giovanni detto il Burchiello (Firenze, 1404 – Roma, 1449). Barbiere fiorentino, era a capo di un circolo politico anti-mediceo, che si riuniva nella sua bottega; proprio a causa di questa attività sarà poi costretto all'esilio. È autore di una serie di sonetti caudati, di tono burlesco, che avranno grande fortuna per tutto il secolo e che saranno un modello imitato da molti.[7] Altra personalità di spicco è Leonardo Bruni (Arezzo, 1º febbraio 1370 – Firenze, 9 marzo 1444), allievo di Salutati, traduttore dal greco e dal latino, e autore delle Historiae Florentini populi (1415-1444 circa), ricordato anche per le sue teorie sull'importanza della società nella vita umana.
Al nord: Veneto, Milano, Mantova, Ferrara
[modifica | modifica sorgente]In Veneto rimane viva l'influenza di Petrarca, che aveva vissuto a Venezia, Arquà e Padova. L'Umanesimo che vi si sviluppa si caratterizza per gli interessi filologici e antiquari. Lo studio del greco è favorito dai rapporti con l'Oriente bizantino, mentre Guarino Veronese (Verona, 1374 – Ferrara, 4 dicembre 1460) e Vittorino da Feltre (Feltre, 1373 o 1378 – Mantova, 2 febbraio 1446) con le loro lezioni diffonderanno l'interesse per le questioni pedagogiche. A Venezia infine si segnala una grande fioritura artistica (con pittori come Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio) e l'attività dello stampatore ed erudito Aldo Manuzio (Bassiano, tra 1449 e 1452 – Venezia, 6 febbraio 1515), che con la sua bottega favorisce la diffusione dei classici in edizioni curate filologicamente.[6]
L'Umanesimo si diffonde anche a Milano sotto il patrocinio dei Visconti prima e degli Sforza poi. Peculiare è la polemica con l'ambiente fiorentino, il quale a sua volta accuserà di tirannia il governo visconteo (di contro alla florentina libertas). A Milano è inoltre collegata l'università di Pavia, dove tra gli altri insegnano Antonio Beccadelli (Palermo, 1394 – Napoli, 19 gennaio 1471) e Lorenzo Valla (Roma, 1407 – Roma, 1º agosto 1457). Importante è l'attività del poeta cortigiano Francesco Filelfo (Tolentino, 25 luglio 1398 – Firenze, 31 luglio 1481), autore di un poema in latino, la Sforziade. In seguito, Ludovico il Moro chiamerà a Milano artisti del calibro di Bramante e Leonardo da Vinci.[6]
Presso i Gonzaga, a Mantova, opera il già citato Vittorino da Feltre, che apre una scuola alla Ca' Zoiosa. Nella città soggiornano anche Poliziano, che per una festa nuziale scrive la Favola di Orfeo, e il pittore Andrea Mantegna, autore degli affreschi della Camera degli Sposi nel palazzo ducale.[8]
Ferrara è nel Quattrocento il centro di un crocevia che unisce varie città italiane ed europee. Il mecenatismo degli Este richiama nella città poeti da tutta Italia, mentre l'università cittadina è luogo di studi scientifici, astrologici, medici e filosofici, ed è frequentata anche da Niccolò Copernico. Presso la corte fiorisce inoltre la poesia cavalleresca, grazie alle opere di Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto. Da non dimenticare la scuola di pittura ferrarese, che ha come principali rappresentanti Cosmé Tura e Francesco del Cossa.[8]
Roma
[modifica | modifica sorgente]Nella Roma papale vengono portati avanti studi filologici e archeologici, sostenuti in particolare da Niccolò III e Pio II. L'Accademia romana di Giulio Pomponio Leto (Teggiano, 1428 – Roma, 9 giugno 1498) si dedica allo studio dell'antichità latina.[8] Presso la curia romana opera anche Poggio Bracciolini (Terranova in Valdarno 1380 - Firenze 1453), molto legato alla cultura fiorentina, il cui alacre lavoro consente la riscoperta dei testi fondamentali della cultura latina, tra cui varie orazioni di Cicerone, la Institutio oratoria di Quintiliano, il De rerum natura di Lucrezio e molti altri.[9] A quest'epoca risale anche la fondazione della Biblioteca vaticana a opera di Pio II. Tra gli storici più autorevoli si ricorda invece Flavio Biondo (Forlì, 1392 – Roma, 4 giugno 1463), che basa la sua ricostruzione storica su testimonianze concrete e non su motivazioni retoriche o politiche.[10]
Napoli
[modifica | modifica sorgente]L'iniziativa culturale nel regno aragonese è concentrata nella città di Napoli, dove la famiglia reale esercita il proprio mecenatismo. Il potere degli Aragonesi crollerà nel 1495, in seguito all'invasione dei francesi di Carlo VIII. Durante il governo di Alfonso il Magnanimo (1442-1452) e Ferrante (1452-1494) molti umanisti saranno richiamati dall'Accademia del Panormita. Tra i principali autori della lirica volgare si ricordano Jacopo Sannazaro e Benedetto Gareth (Barcellona, 1450 circa – Napoli, 1514), quest'ultimo originario della Catalogna e autore del canzoniere Endimione alla Luna (1506). C'è poi la prosa mista, con tracce dialettali, del Novellino di Tommaso Guardati detto Masuccio Salernitano (Salerno o Sorrento, 1410 circa – Salerno, 1475).
Infine, spicca la personalità di Giovanni Pontano (Cerreto, presso Spoleto, 1429 - Napoli 1503) il quale, lasciata la terra natia per seguire Alfonso il Magnanimo, ha una brillante carriera come politico e scrittore. Tra le sue molte opere, scritte esclusivamente in latino, si ricordano i Carmina (volume che raccoglie tutte le sue poesie), i trattati politici De principe, De fortitude e De prudentia, i dialoghi Charon, Antonius, Asinus.[11]
Umanesimo civile e Umanesimo cortigiano
[modifica | modifica sorgente]Secondo gli umanisti, gli studi letterari non devono arricchire spiritualmente il singolo ma devono formare il cittadino. La realizzazione dell'uomo avviene nella vita civile, rovesciando la scala di valori su cui si era basato il Medioevo: mentre questi elogiavano la castità e la purezza, gli umanisti esaltano la vita familiare e il matrimonio, visti come fondamento della società. Altro aspetto importante a cui si è già accennato è la lode dell'attività economica. Poggio Bracciolini, per esempio, sosteneva che il desiderio di denaro è naturale e le ricchezze guadagnate sono la dimostrazione che Dio approva il lavoro umano. Inoltre, la dignità dell'uomo si esplicita all'interno della vita civile: nessuna creatura è superiore all'uomo, poiché è l'unico capace di produrre opere mirabili ricorrendo alla propria ingegnosità.[12]
Gli ideali appena elencati si riferiscono alla prima fase dell'Umanesimo, che si sviluppa nella Firenze comunale in un contesto borghese. Tuttavia, con la fine della repubblica e l'instaurazione della signoria di Cosimo de' Medici nel 1435, muta anche il quadro in cui operano gli intellettuali. Dall'umanesimo "civile", sorto in un clima in cui la classe dirigente cittadina è economicamente autonoma, si passa all'Umanesimo "cortigiano", che avrà la sua massima espressione nella corte di Lorenzo il Magnifico,[13] di cui si parlerà in un prossimo modulo.
I classici e la filologia
[modifica | modifica sorgente]Con l'affermarsi dell'Umanesimo si diffonde un nuovo antropocentrismo, che propone una visione ottimistica dell'uomo, capace di dominare la realtà e plasmare il proprio destino (homo faber fortunae suae) ricorrendo all'intelligenza e alla sua libera scelta. Questo però non comporta un rifiuto della religione cristiana, che nel Medioevo aveva sostenuto una visione ascetica dell'uomo; al contrario, si mira alla purezza originaria del messaggio cristiano, che secondo gli intellettuali dell'epoca era stato inaridito nei secoli precedenti.[14] Da ciò nasce un sentimento di edonismo (cioè di ricerca del piacere senza sensi di colpa), a cui si unisce la tendenza a tornare alla natura per goderla in se stessa (naturalismo).
Con l'Umanesimo si diffonde un senso di rinascita e di ritorno ai fasti della civiltà classica. Da qui scaturisce una concezione polemica della media aetas, cioè del Medioevo visto come periodo di barbarie. La nuova civiltà si basa sul principio dell'imitazione dei classici, il cui modello deve essere ripreso in ogni campo. Non si tratta però di una riproduzione passiva: il proposito è piuttosto quello di costruire il mondo concreto del presente attraverso l'esempio di chi, in passato, ha saputo giungere a una piena realizzazione di sé. Da tutto questo nasce l'esigenza, sentita già da Boccaccio e Petrarca, di conoscere meglio e più a fondo le opere degli antichi, ampliando il canone delle opere latine e greche trasmesso dai dotti medievali attraverso la ricerca di autori e testi caduti nell'oblio. Gli intellettuali umanisti iniziano quindi a frequentare le biblioteche per recuperare i manoscritti di cui nessuno ricordava l'esistenza. In questo modo vengono riportate alla luce opere di autori come Lucrezio o Quintiliano.[15]
Cambia anche il modo di approcciarsi ai classici. Gli uomini del Quattrocento maturano maggiore coscienza della propria distanza rispetto all'antichità, e per questo tentano di recuperare questa cultura nella sua essenzialità più autentica. Cessa inoltre la reverenza che nel Medioevo veniva tributata ai classici in quanto latori di verità assolute; al contrario, gli intellettuali quattrocenteschi considerano i testi antichi opere di uomini concreti vissuti in un determinato momento storico, il cui significato può essere compreso solo ricostruendo il contesto in cui sono stati scritti. Nascono quindi nuove esigenze: anzitutto la conoscenza del latino classico, diverso da quello utilizzato dai dotti dell'epoca; in secondo luogo, quando si studiano opere classiche, è indispensabile stabilire il testo corretto, emendandolo dalle alterazioni per riportarlo alla sua versione originale. Si sviluppa così la filologia, che rifiuta l'autorità della tradizione ma sceglie di verificare sempre le fonti. In essa è implicita l'idea che la verità non sia data una volte per tutte dall'auctoritas, ma al contrario deve essere indagata anche al di là dei limiti delle attuali conoscenze.
Significativa è la vicenda legata alla "donazione di Costantino", un documento secondo il quale l'imperatore avrebbe lasciato Roma al papa, trasmettendogli quindi anche il potere temporale. Lorenzo Valla invece dimostrerà, nel De falso credita et ementita Constantini donatione (scritto nel 1440 ma pubblicato solo nel 1517), che il documento non può essere stato scritto in età romana ma è un falso medievale.[16] Cultore delle lettere e della lingua latina, Valla scriverà anche altre opere in latino, tra cui il dialogo De vero falsoque bono, in cui rivaluta l'etica epicurea, e gli Elegantiarum latinae linguae libri sex, una trattazione della grammatica latina sul modello ciceroniano.[17]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 45.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 232.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 190.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 188-189.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 49-51.
- ↑ 6,0 6,1 6,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 61.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 199-200.
- ↑ 8,0 8,1 8,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 62.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 205.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 212-213.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 239-242.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 59.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 60.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 54.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 55-56.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalle origini all'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 56-57.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 212+.
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