Abulafia e i segreti della Torah/Parabola della Perla 12

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Indice del libro
La Cabala Estatica di Abramo Abulafia

LA PARABOLA DELLA PERLA E SUE INTERPRETAZIONI[modifica]

A differenza dell'esoterismo, assimiblabile a un nucleo di verità collocato in un cerchio interno più nascosto, l'exoterismo corrisponde alla sua manifestazione profana rappresentata da quello esterno

Cos'è la Perla?[modifica]

Le religioni storiche sono iniziate con il presupposto che l'evento religioso fondamentale, la rivelazione, abbia avuto luogo proprio al loro inizio. La rivelazione istituzionale è concepita come bisognosa di interpretazione, chiarimento ed eventualmente anche di espansione, ma non è quasi mai concepita come sostituibile o come già trascesa. Ciò è più evidente nell'approccio (exoterico?) di Maimonide, dove Mosè è concepito come la figura perfetta e la Torah è di conseguenza concepita come immutabile. I suoi significati esoterici potrebbero effettivamente essere persi o offuscati dalle tribolazioni dell'esilio, ma possono comunque essere ripristinati, sebbene non scambiati, come affermavano i musulmani, o integrati, come facevano i cristiani.[1]

Con Abulafia, invece, sembra che la situazione sia in qualche modo diversa. Assumendo una religione universale ideale, forse utopica, basata su atti di intellezione, in buoni termini maimonidei, la Torah come rivelazione specifica agli israeliti e agli ebrei, formulata in un linguaggio specifico, è, per sua natura, limitata. A mio parere, nel suo progetto cabalistico, Abulafia ha voluto dimostrare non la verità dell'ebraismo tradizionale come era inteso dai rabbini, specialmente quelli contemporanei, ma la verità del proprio messaggio speciale e divergente che si adoperava per una comprensione universale dell'ebraismo come un tipo di religione naturale, intellettuale e quindi universale.

Questa, secondo me, era la religione di cui voleva discutere con il papa.[2] La critica al cristianesimo si accompagna quindi a una dislocazione di un tipo di filiazione fortemente generazionale nell'ebraismo tradizionalmente inteso dall'ebraismo rabbinico come unico principio per definire l'identità ebraica. Non è l'ebraismo storico che prevarrà in futuro, ipotizza Abulafia ma, semmai, una nuova versione esoterica, spirituale, che è drammaticamente influenzata dalla filosofia greca e gravita attorno alla rivelazione del nome divino, che può trascendere le religioni storiche esistenti. L'ebraismo rabbinico come convenzionalmente inteso, proprio come le forme tradizionali del cristianesimo e dell'islam, non sarà integrato in questa religione universale utopica, ma ne sarà trasceso, sia nell'esperienza dell'individuo nel presente attraverso il suo seguire la tecnica di Abulafia sia attraverso la specie umana collettiva unificata nel suo insieme in futuro, se accettiamo la veridicità della narrativa storico-nazionale nel suo pensiero.

La vecchia-nuova religione, come la perla, non emerge in un momento storico specifico nel futuro, ma è coesistente con la realtà e può entrare nella storia in un momento stabilito. Gli ebrei etnici hanno infatti più di altri la propensione ad accettare questa intrusione spirituale nella storia, in quanto sono concepiti come dotati di una qualche forma di preparazione linguistica e quindi intellettuale, ma né nel passato né nel presente hanno effettivamente posseduto la perla, che è l'unico patrimonio dei "veri" ebrei, dei profeti e dei mistici. Questo è il motivo per cui Abulafia è così critico nei confronti delle masse ebraiche e dei rabbini, specialmente quelli della sua generazione, come abbiamo visto in alcuni casi sopra.[3] Gli ebrei hanno il potenziale per ricevere la Torah ideale, ma non l'hanno ancora ricevuta nonostante il fatto che abbiano i tre gradi: una Torah, una lingua e una scrittura.

Inoltre, l'assenza della perla nel presente (cioè nell'esilio), in base al secondo racconto relativo alla parabola, riflette lo status degli aspetti più concreti e pratici dell'ebraismo rabbinico: l'adempimento dei comandamenti, un requisito cruciale nella vita religiosa ebraica in generale. Sembra, quindi, abbastanza ovvio che, sebbene i comandamenti siano descritti come strettamente necessari per il benessere della società e come aventi uno scopo politico, questo non è necessariamente il caso della religione utopica basata sulla priorità dei processi noetici.[4] In in altre parole, i comandamenti non sono identificati con la perla, ma, forse, con le interpretazioni esoteriche che un cabalista come Abulafia può offrire.

Ci si può chiedere: che cos'è la perla, dopotutto?[5] La mia ipotesi è che così come l'ebraico, nel pensiero di Abulafia, non è la lingua ebraica specifica nelle sue manifestazioni storiche, ma i principi di base che governano tutte le lingue, come le consonanti basilari e il principio della combinazione delle lettere,[6] parimenti, la religione o Torah non è una manifestazione specifica nella storia, ma un principio più astratto o generale, sulla scia della "religione universale" menzionata nei precedenti capitoli. Infatti, in molti passaggi, Abulafia si riferisce al nome ʾHWY come al nome nascosto di Dio, occultato o forse sconosciuto persino a Mosè. Quelle consonanti sono anche concepite come mezze vocali e sono descritte in molti testi di Abulafia, e prima di lui nei libri di grammatica ebraica, come lettere nascoste, poiché non si pronunciano nemmeno quando sono scritte con l'ortografia regolare delle parole.

Queste quattro lettere sono intese nel nostro contesto come le lettere dell'occultazione: otiyyot ha-haʿalamah oppure otiyyot ha-seter.[7] Questo nome è inteso anche per essere accennato nelle consonanti dei due nomi divini YHWH e ʾeHeYeH,[8] che sono intesi a nascondere la vera natura del nome divino supremo, un caso piuttosto interessante di esoterismo. La particolare natura acustica di queste semiconsonanti va vista, a mio parere, come la ragione del loro speciale status, molto più che del loro valore numerico o della loro forma scritta. Abulafia sembra immaginare una forma di vibrazione specifica di quelle quattro lettere.[9]

Ciò che è importante è il fatto che questo nome divino specifico svolge un ruolo particolarmente importante in Or ha-Šekhel.[10] L'assunto di fondo è che proprio come Dio rivelò un nuovo nome, ʾeHeYeH, a Mosè nel contesto della sua missione redentrice, così anche al Messia, che in questo caso è molto probabilmente lo stesso Abulafia, verrà insegnato un nuovo nome. In un certo senso, questo nome è la parte più raffinata della lingua, costituita da una parola interamente composta di vocali, la cosa più vicina possibile a una sublimazione del processo linguistico. In un passaggio, Abulafia afferma che il nome che si trova con il Messia produce "naturalmente" la parola.[11] In ogni caso, la tecnica mistica che si trova in Or ha-Šekhel si basa sulla combinazione delle lettere dell'alfabeto ebraico con le lettere del Tetragramma, presente in diverse tavole che illustrano la tecnica, presumibilmente una qualche forma di elevazione delle lettere ordinarie dalla loro congiunzione con le semivocali che sono componenti del Tetragramma, nonché pronunciandole tutte insieme.[12]

Questa combinazione di consonanti regolari con le lettere del Tetragramma si verifica anche in altri casi nella Cabala estatica. In un'interessante discussione in Or ha-Šekhel, Abulafia sottolinea che le lettere del nome divino furono aggiunte ai nomi degli antenati e a Saray,[13] e inventa nomi teoforici per i suoi studenti.[14] Ancor di più, questa pratica fu adottata anche da Rabbi Nathan, che allude al suo nome inserendolo tra le lettere del Tetragramma,YNHTWNH, oltre che tra le lettere di ŠD (Šed, demone), NŠTDN.[15] La fusione intellettuale dell'umano e del divino è dunque rappresentata da una fusione linguistica. In ogni caso Abulafia concepisce la conoscenza del nome divino come il tempo della libertà e della redenzione,[16] e in una discussione interessante afferma che una persona che si sforza di raggiungere la profezia è chiamata con una serie di nomi divini, tra cui il Tetragramma, Elohim, Adonai Elohim, l'angelo di Elohim, ecc.[17] Da tale contesto, sembra che questi diversi nomi siano collegati alla menzione da parte di Abulafia dei diversi gradi di progresso nella profezia.

In un certo senso, è possibile che le quattro lettere concepite come un tetragramma siano il primo tipo di rivelazione che precede quella universale, che è composta dai ventidue suoni ideali, e poi vengano gli allofoni, assumendo una qualche forma di crescita del materiale linguistico che diventa linguaggio attraverso la combinazione di lettere in una maniera che ricorda il triangolo del materiale linguistico di Joseph Gikatilla nella Torah. Il passaggio da queste vocali alle consonanti degli altri nomi divini e quindi alle parole regolari, è forse un'espansione della parola che riflette una visione dello sviluppo della parola negli esseri umani, dai bambini agli adulti maturi?

A suo avviso, la perla, che è il simbolo della pura religione nella versione speciale di Abulafia della famosa parabola dei tre anelli, non si trovava in Israele ai suoi tempi.[18] Ne consegue che Abulafia non considerò la missione di Mosè – il legislatore concepito dai circoli rabbinici e da Maimonide come promulgatore della Torah perfetta e definitiva – come del tutto riuscita, o almeno non definitiva. C'è spazio per una forma di religione più avanzata, un ebraismo superiore.[19] Per questo Abulafia immaginava di poter portare una nuova rivelazione religiosa. Descrive il nome divino non ancora rivelato come la forma più pura del linguaggio, dal punto di vista linguistico; il supremo riferimento a Dio in un quadro religioso è il nome reale e sconosciuto di Dio.

Infatti, nel suo commentario al suo libro profetico, Sefer ha-Hafṭarah, scritto intorno al 1282, troviamo un passaggio importante per chiarire l'approccio di Abulafia. L'oratore in prima persona nel passaggio seguente è Dio, o l'Intelletto Agente — che rivela ad Abulafia

« "Una Nuova Torah[20] innovo oggigiorno tra la santa nazione; è il mio popolo Israele, [che è] il Mio Nome sublime che è come una Nuova Torah. E non è stato spiegato alla Mia nazione dal giorno in cui ho nascosto loro il Mio volto. E sebbene sia un nome nascosto, è spiegato".[21] E poi Egli gli comandò[22] di non nascondere più il Suo nome a coloro che lo interrogano in verità, e Egli glielo rivelò secondo la sua santità, le sue corone e le sue parti e i suoi sistemi e le sue forme. Ed Egli gli annunziò la pronuncia, e ne ha mostrato gli usi e anche gli influssi della vita in lui, ad ogni spirito.[23] »

Il cabalista non è quindi restio nel rivendicare un ultimo tipo di rivelazione. Va detto che nello stesso libro Abulafia lo descrive anche come Sefer ha-Beśorah, che è l'equivalente ebraico di Evangelion,[24] e nel suo commento al Sefer ha-Hafṭarah, Abulafia si aspetta che il suo libro venga letto nelle sinagoghe dopo la lettura della Torah, come le porzioni dei libri dei profeti biblici.[25]

Abulafia vuol significare che fino alla rivelazione avvenuta intorno al 1280, il nome nascosto di Dio – ’HWY – era immaginato sconosciuto dal pubblico, sebbene egli stesso lo conoscesse, e da allora gli è stato permesso di rivelarlo ed è arrivato a costituire un nuovo tipo di messaggio canonico. Questo fa sicuramente parte delle esperienze in alcuni mesi del 1279/80, anno corrispondente all'anno ebraico 5040, che costituì una svolta nell'attività di Abulafia, come vedremo nell'Appendice D.

Vorrei tentare di analizzare il pubblico a cui è destinata la rivelazione. Nei secoli precedenti il nome nascosto era sconosciuto alla nazione, ma ora Abulafia è stato inviato a rivelarlo, ma solo a chi veramente lo interroga; non è stato mandato a rivelarlo a tutti i membri della nazione ebraica. Questa distinzione mi sembra abbastanza significativa: lascia la maggior parte del popolo ebraico al di là della cornice della nuova rivelazione, e questo nuovo pubblico che egli immagina concretamente era composto esclusivamente dal suo piccolo gruppo di studenti.

Se questa distinzione tra ricercatori ed ebrei regolari è accettata, abbiamo qui una drastica riduzione della nazione da un numero che normalmente include le masse e i rabbini e altri cabalisti come parte di un'unità organica, a un'élite molto piccola. Ciò significa che la Cabala di Abulafia, concepita come la quintessenza del vero ebraismo, avrebbe dovuto sostituire il normale tipo di religione rabbinica per diffondere invece una pratica destinata solo a poche persone. Per dirla in altri termini, gli ideali della sua Cabala appartengono alla modalità assiale, mentre la Cabala rabbinica e quella teosofico-teurgica appartengono più a quella preassiale.

In un certo senso, la natura nascosta del nome ricorda la condizione nascosta della perla nella fossa, secondo la parabola che fu scritta proprio in questo periodo. Questo nome divino sconosciuto, che è probabilmente la nuova Torah, non è necessariamente un'informazione nuova di zecca, ma piuttosto un mezzo per sondare la profondità del testo biblico ricorrendo alle tecniche cabalistiche avanzate da Abulafia. Queste tecniche consistono nello scoprire il nome divino segreto, ancora non rivelato, combinando le consonanti di altri due nomi divini. Si presume che questi due strati coesistano nella Bibbia, ma sono destinati a un pubblico abbastanza diverso: il senso esoterico è inteso esclusivamente per l'élite e il senso semplice per le masse.

L'accesso allo strato esoterico equivale, secondo Abulafia, a una forma di redenzione, che nei suoi termini significa una salvezza personale e intellettuale. Va detto che la rivelazione di un nuovo nome divino a una figura messianica come Abulafia ricorda la rivelazione del nome ʾeHeYeH a Mosè, descritto come precedentemente sconosciuto in Esodo 3:14.[26] Implicitamente, questa rivelazione del nome sconosciuto costituisce una forma più alta, se non suprema, di rivelazione nel modo di pensare di Abulafia e lo colloca plausibilmente nella sua autorappresentazione come il sigillo di tutti i profeti.

In breve, tra i principali contenuti della Cabala di Abulafia che hanno contribuito alle prime forme di questa letteratura, ci sono tecniche esegetiche e nomi divini concepiti come rappresentanti degli strati segreti della Torah, della Nuova Torah e della nuova rivelazione da un lato e come mezzo di redenzione dall'altro. La coesistenza del senso normale e chiaro della Torah inteso come mantenimento della vita sociale normale e il senso esoterico che ha, per pochi, una dimensione salvifica nel presente, sebbene sia in definitiva concepita come una questione per il futuro, è una situazione che chiamerei sincronia.[27] Questa sincronia ospita contemporaneamente due approcci divergenti, che si riflettono nei termini nascosti e rivelati. In altre parole, i due registri abbastanza diversi non sono esclusivi, anche se per questo cabalista l'attuale esperienza, relativa alla dimensione salvifica, è molto più importante.

Questo mi sembra il caso quando Abulafia descrive lo stato futuro delle cose. In un certo senso, questa è un'affermazione autoreferenziale, poiché si tratta della rivelazione del nome divino:

« In futuro [...] tutte e tre le [nazioni][28] conosceranno Dio per nome, siccome è detto: "Poiché allora rivolgerò al popolo una lingua pura affinché tutti possano invocare il nome del Signore".[29] La grande saggezza del redentore[30] sarà la causa di questa conoscenza. Di lui fu detto:[31] "Ecco, il mio servo agirà con prudenza, sarà esaltato ed eccellente, e sarà altissimo". Nella tradizione [qabbalah] si diceva: "Egli sarà più esaltato di Mosè, più esaltato di Abramo, e più alto degli angeli ministri, più grande di qualsiasi uomo.[32] »

Il presupposto è che tutte le religioni o nazioni conosceranno il nome divino, fatto che minimizza la centralità del popolo ebraico nello scenario escatologico. Il presupposto che il Messia abbia uno status superiore a quello di Mosè ha anche a che fare con un altro argomento importante: l'enorme divario tra il punto di vista di Abulafia secondo cui la Torah possiede essenzialmente uno strato esoterico fondamentale che a volte viene persino immaginato come contraddittorio del buon senso da un lato, e quello sposato dai suoi contemporanei rabbinici che trattava di leggi e parabole dall'altro. Questa ipotesi lo portò alla conclusione che la Torah nella sua purezza non si trova ancora nelle mani del popolo d'Israele, ma sarà rivelata nella sua interezza solo durante l'era messianica; fino ad allora, potrebbe essere solo per le poche élite del presente a cui lo ha rivelato.

Nella parabola di Abulafia si indica che la perla unica, che simboleggia la vera religione, non è da identificare con nessuna delle religioni storiche attuali. Infatti, sebbene la nazione d'Israele abbia una priorità naturale per riceverla, in quanto Israele è il "figlio" di Dio, non l'ha ancora ricevuta, poiché il figlio ha fatto arrabbiare il padre ed è descritto come privo di conoscenza.[33] Direi che proprio come l'intelletto potenziale ha la propensione a ricevere l'intelletto realizzato ma è ancora immerso nella materia, nel desiderio o nell'immaginazione, in linea di principio, gli ebrei sono più capaci di ricevere la nuova Torah o la conoscenza del nome divino rispetto ai servitori. Questa affermazione presumibilmente punta allegoricamente alle altre religioni storiche secondo la narrativa storica e alle capacità umane inferiori secondo quella transstorica. A mio avviso, queste capacità inferiori includono anche la facoltà immaginativa. Va menzionato che la forma plurale di perla, margaliyyot, possiede in alcune occasioni un significato esoterico negli scritti di Abulafia.[34] Questo significato esoterico rafforza la possibilità che Abulafia si riferisca a una religione esoterica nella parabola.

Questa enfasi sulla redenzione intellettuale significa che il tipo di eschaton che descrive non è specificamente una questione di futuro remoto o immediato, che dipende da una figura storica di redenzione, ma è piuttosto un processo psicologico che può essere raggiunto da pochi individui anche nel presente, da solo o in un circolo ristretto. L'assunzione di un intelletto "nascosto" mostra che il potenziale per la redenzione presente si trova già nel passato in un modo che ricorda la teoria specifica di Averroè dell'adesione all'intelletto separato e l'identità di base dell'intelletto materiale e attivo. Non si tratta di un evento che deve avvenire solo nel futuro escatologico, ma anche nel presente ideale. Questa lettura più spirituale della filosofia differisce dall'enfasi straussiana sul focus sociale esoterico, sebbene nel caso della religione estatica di Abulafia si trovino insieme.[35]

In ogni caso, l'enfasi posta nei recenti studi su Abulafia riguardo al ruolo dell'immaginazione come presunto fattore positivo nella gnoseologia di questo cabalista e come facoltà umana da "integrare" in una forma superiore di esistenza o esperienza è, a mio avviso, piuttosto problematico, soprattutto se si intraprende una seria lettura delle pagine del suo Or ha-Šekhel,[36] come anche di alcuni suoi altri libri.[37] L'ipotesi di questi studiosi è condizionata da una supposizione implicita sul mantenimento di una certa forma di identità delle varie nazioni nella narrazione storica dell’eschaton o delle capacità spirituali umane inferiori nel tipo più alto di esperienza utopica secondo la narrazione transstorica. La mia ipotesi è che agli occhi di Abulafia, e secondo la terza narrazione, l'esperienza più alta sia quella dell'universalizzazione, che significa anche semplificazione spirituale, e della spersonalizzazione, che cancella le differenze; questo, direi, è anche ciò che è all'opera nella seconda narrazione.

Quando si tratta della più alta esperienza religiosa, faremmo meglio a parlare della disintegrazione della complessa personalità umana, composta com'è di facoltà superiori e inferiori, attraverso ciò che egli chiama "sciogliere i nodi"[38] in molte delle sue discussioni. Questi nodi rappresentano gli attaccamenti dell'anima o dell'intelletto[39] al mondo materiale o alla facoltà di immaginazione; lo scioglimento di questi vincoli porta l'aggregato umano a essere ridotto alla sola facoltà intellettuale, un processo che mi propongo di chiamare "semplificazione intellettuale".

La facoltà intellettuale umana è considerata capace di aderire a Dio, un'entità descritta in molti casi negli scritti di Abulafia come "semplice", pašuṭ, in un modo in cui l'impatto di molte altre fonti medievali, tra cui Maimonide,[40] Avicenna e forse si può includere anche Averroè.[41] Infatti, in una dichiarazione enigmatica, Abulafia dichiara che c'è un grande segreto che non può rivelare alla carne e al sangue, e che questo segreto ha a che fare con le cause divine: "Il più semplice tra loro è anche composto di tutti, e il più composto di loro è il più semplice".[42]

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Il Nome di Dio nell'Ebraismo, Rivelazione e Cabala e Serie maimonidea.
  1. Petr D. Uspenskij, Un nuovo modello dell'universo, p. 40, Roma, Mediterranee, 1991.
  2. Cfr. Idel, "Abraham Abulafia and the Pope".
  3. 360 Si veda anche il precedente libro di Abulafia, Mafteaḥ ha-Raʿayon, 23–24, 45; Idel, "On the Secrets of the Torah in Abraham Abulafia", 423–24; Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 74–75, e 184, nota 203.
  4. Confronta con l'atteggiamento molto più positivo nei confronti dei comandamenti nei primi scritti di Gikatilla, discusso in Hartley Lachter, "Kabbalah, Philosophy and the Jewish–Christian Debate: Reconsidering the Early Works of Joseph Gikatilla", JJTP 16 (2008): 1–58.
  5. Per il ricorso alla perla in una parabola simile, cfr. Pines, "The Jewish Christians of the Early Centuries of Christianity according to a New Source", 273–74 nota 139; Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 57, nota 20; e Shagrir, "The Parable of the Three Rings", 167–68, e ora nel suo libro (He) The Parable of the Three Rings, 13–23. Si veda anche Roberto Celada Ballanti, La parabola dei tre anelli. Migrazioni e metamorfosi di un racconto tra Oriente e Occidente (Roma: Storia e letteratura, 2017).
  6. Cfr. Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 22–24.
  7. Cfr. Scholem, The Kabbalah of Sefer ha-Temunah, 175–76; i testi abulafiani presenti Ḥotam ha-Hafṭarah; Maṣref la-Šekhel, 117; e la discussione nel tarttato senza titolo in Ms. Firenze, Laurenziana, Plut. II, 48, fol. 70a.
  8. Cfr. Idel, The Mystical Experience, 140–41, e Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 513, nota 270; 522, nota 327. Cfr. anche Wolfson, "Kenotic Overflow and Temporal Transcendence", 180.
  9. Cfr. Guy L. Beck, Sonic Theology: Hinduism and Sacred Sound (Delhi: Motilal Banarsidass Publ., 1995); André Padoux, Vac: The Concept of the Word in Selected Hindu Tantras, trad. (EN) Jacques Gontier (Albany, NY: SUNY Press, 1990); Mark S. G. Dyczkowski, The Doctrine of Vibration: An Analysis of the Doctrines and Practices of Kashmir Shaivism (Albany, NY: SUNY Press, 1987).
  10. Cfr. Or ha-Šekhel, 47, 48, 70, 77, e 85. Cfr. anche Oṣar ʿEden Ganuz, 3:9, 346–47, dove queste quattro lettere sono descritte come elementi di "tutto il discorso", presumibilmente una parallelo col concetto del discorso universale discusso precedentemente che riflette una frase proveniente da Sefer Yeṣirah, 2:8.
  11. Sefer ha-Melammed, 6–7. Le versioni di questo trattato sono a volte problematiche.
  12. Or ha-Śekhel, 92–93.
  13. Or ha-Śekhel, 111.
  14. Per i riferimenti di Abulafia ai suoi cinque studenti messinesi, tra cui Rabbi Nathan e Rabbi Abraham, usando nomi teoforici, cfr. Idel, Kabbalah in Italy, 81–84; cfr. Iš Adam in Maṣref ha-Šekhel, 46.
  15. Cfr. Idel, Le Porte della Giustizia, 47–48.
  16. Or ha-Šekhel, 110.
  17. Mafteaḥ ha-Šemot, 163.
  18. Cfr. Idel, The Mystical Experience, 140. Questa interpretazione viene accettata da Hames, Like Angels on Jacob’s Ladder, 69.
  19. Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 50–51. Si vedano anche i paragoni di Mosè a Rabbi Simon bar Yochai nei seguenti studi recenti: Wolfson, Through a Speculum That Shines, 391; Elliot R. Wolfson "‘Sage Is Preferable to Prophet’: Revisioning Midrashic Imagination", in Scriptural Exegesis—The Shapes of Culture and the Religious Imagination: Essays in Honour of Michael Fishbane, curr. Deborah A. Green e Laura S. Lieber (Oxford: Oxford University Press, 2009): 186–210; Melila Hellner-Eshed, A River Flows from Eden:The Language of Mystical Experience in the Zohar, trad. (EN) Nathan Wolski (Palo Alto: Stanford University Press, 2009), 34–36; e Boaz Huss, "‘A Sage Is Preferable Than a Prophet’: Rabbi Simon Bar Yochai and Moses in the Zohar" (He), Kabbalah 4 (1999): 103–39.
  20. Per il concetto di Nuova Torah in Abulafia, cfr. Moshe Idel, "Torah Ḥadashah—Messiah and the New Torah in Jewish Mysticism and Modern Scholarship", Kabbalah 21 (2010): 70–78.
  21. Vale a dire, rivelato.
  22. Ovvero, ad Abulafia, che parla di sé in terza persona quando interpreta il senso delle rivelazioni ricevute.
  23. Peruš Sefer ha-Hafṭarah, Ms. Roma, Angelica 38, fol. 37a,stampato in Maṣref ha-Šekhel, 113.
  24. Cfr. Idel, Messianic Mystics, 108.
  25. Si veda il suo Commentario a Sefer ha-Hafṭarah, in Maṣref ha-Šekhel, 107:
    הנ הוהצ רזיא לזבה הספר לה שיבע עםיי' בשמו לק דשו ולקרא ספ ר ז הכבל שב תעפם אח תחאר קריא תתו הרה בכלל קריא
  26. — DIO disse a Mosè: «IO SONO COLUI CHE SONO». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "L'IO SONO mi ha mandato da voi"» — Cfr. anche Idel, The Mystical Experience, 140.
  27. Cfr. Idel, "Abraham Abulafia: A Kabbalist ‘Son of God’", 62–64. La mia ipotesi sulla sincronia in Abulafia difficilmente si adatta a una visione paragonabile alla teoria di gioachimita secondo cui ci sono tre fasi distinte nello sviluppo della storia, l'ultima è la più spirituale e legata allo Spirito Santo. Né i suoi scritti mostrano un interesse per l'ideale di povertà che è così evidente tra i fraticelli.
  28. Cioè, le tre religioni monoteiste. Nota bene: le tre nazioni sono intese come un'unica unità concettuale e il Messia trascende implicitamente la rivelazione mosaica.
  29. Zefania 3:9. Questo è un importante testo basilare per la teoria di Abulafia. Cfr. anche il suo Sefer Šomer Miṣwah, 40.
  30. חכמת הגואל. Su questa frase, che ricorre molti anni prima, sebbene in un senso diverso, nel commentario di Abulafia al Sefer ha-Yašar, si veda l'analisi dettagliata in Idel, Messianic Mystics, 298–301.
  31. Isaia 52:13.
  32. Mafteaḥ ha-Šemot, Ms. New York, JTS 843, fol. 68b, cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 81–82:
  33. Cfr. Idel, Language, Torah, and Hermeneutics, 75.
  34. Cfr. Abulafia, Geṭ ha-Šemot, 40; Abulafia, Ḥayyei ha-Nefeš, 128; ed il suo Trattato Senza Titolo, Ms. Firenze, Laurenziana, Plut. II. 48, fol. 81a.
  35. Per la consapevolezza della possibilità di sfruttare le potenzialità spirituali delle teorie greche di cognizione, si vedano: lo studio pionieristico di Merlan, Monopsychism, Mysticism, Metaconsciousness; Pierre Hadot, Qu’est-ce que la philosophie antique? (Parigi: Gallimard, 1995); Pierre Hadot, Exercices spirituels et philosophie antique (Parigi: Institut d’études augustiniennes, 1993); Pierre Hadot, "Exercices spirituels", Annuaire de la Ve section de l’École pratique des hautes études 84 (1974): 25–70; Richard T. Wallis, "Nous as Experience", in The Significance of Neoplatonism, cur. R. Baine Harris (Norkfold: SUNY Press, 1976): 122 e 143, nota 1; e Terry Lovat e Inna Semetsky, "Practical Mysticism and Deleuze’s Ontology of the Virtual", Cosmos and History: The Journal of Natural and Social Philosophy 5, no. 2 (2009): 237. Per un approccio simileapplicato a Maimonide, che in una certa misura viene considerato un mistico, cfr. Georges Vajda, Introduction à la pensée juive du moyen age (Parigi: Vrin, 1947), 143–44; Blumenthal, Philosophic Mysticism; Stern, The Matter and Form of Maimonides’ Guide; Joseph B. Sermoneta, "Rabbi Judah and Immanuel of Rome"; Faur, Homo Mysticus; Lorberbaum, Dazzled by Beauty, 15–55, spec. 32–33 (in (FR), "Mystique mythique et mystique rationelle"). Cfr. anche Bernd Raditke, "How Can Man Reach Mystical Union? Ibn Ṭufayl and the Divine Spark", in The World of Ibn Ṭufayl, 165–94.
  36. Cfr. Abraham Abulafia, 80–85. Si vedano anche, Faur, Homo Mysticus, 11, e Stern, The Matter and Form of Maimonides’ Guide.
  37. Si vedano i testi discussi da Idel, The Mystical Experience, 99–100.
  38. Cfr. Idel, The Mystical Experience, 134–37.
  39. Per l'interpretazione che l'anima in effetti è la facoltà intellettuale, cfr. Or ha-Šekhel, 121.
  40. Guida 1:60, Pines, 1:146–47.
  41. Cfr. Barry S. Kogan, Averroes and the Metaphysics of Causation (Albany, NY: SUNY Press, 1985), 238–40.
  42. 402 Si veda il testo di Abulafia trovato anonimo in Ms. Sasoon 290, 235–36. Cfr. anche Wolfson, "Kenotic Overflow and Temporal Transcendence", 170, nota 150.