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Chimica per il liceo/I legami

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La formazione dei legami chimici

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Figura 1. La molecola dell'acqua (H2O) si forma grazie a legami chimici tra atomi di ossigeno e atomi di idrogeno.

L’enorme varietà di sostanze chimiche che formano non solo il mondo in cui viviamo, ma l’intero Universo, deriva dalla combinazione degli atomi che costituiscono gli elementi classificati nella Tavola periodica.

Figura 2. La formazione di un legame chimico tra due atomi, come ad esempio due atomi di idrogeno (H) che si uniscono per formare una molecola biatomica (H2).

Mentre i gas nobili esistono come atomi isolati, gli atomi di tutti gli altri elementi tendono a combinarsi, sia con atomi dello stesso tipo (sostanze elementari), sia con atomi di elementi differenti (composti), mediante la formazione di legami chimici, ossia interazioni di natura elettrica in cui sono coinvolti gli elettroni più esterni che possono essere scambiati o messi in condivisione; ne è un esempio la molecola d'acqua (H2O) rappresentata in figura 1, che si forma grazie ai legami chimici tra ossigeno (O) e idrogeno (H). La formazione dei legami chimici è un processo complesso che, per essere studiato appieno, richiederebbe conoscenze più approfondite della struttura atomica e della meccanica quantistica, ma che è in ogni caso fondamentale comprendere almeno nelle sue linee essenziali, in quanto le reazioni chimiche comportano normalmente la rottura e la formazione di legami chimici.

Per quanto il numero di possibili combinazioni fra gli atomi sia virtualmente infinito, non sempre è possibile che si instaurino legami fra essi: condizione essenziale è che l’energia potenziale dell’associazione atomica che si viene a formare sia minore di quella dei singoli atomi separati, come mostrato in figura 2.

Il composto che si ottiene, in seguito all'instaurarsi di legami chimici, ha pertanto una maggior stabilità rispetto ai singoli atomi che lo costituiscono, proprio perché il suo contenuto energetico è minore rispetto a quello degli atomi separati. Con il termine energia di legame si indica la quantità di energia che deve essere fornita per rompere un legame chimico. La distanza tra i nuclei dei due atomi coinvolti in un legame chimico è invece definita lunghezza di legame.

Gli elettroni di legame

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Come precedentemente osservato, alla formazione dei legami chimici prendono normalmente parte solo gli elettroni più esterni (una parte o tutti, a seconda dell'elemento) che pertanto vengono chiamati elettroni di legame o elettroni di valenza, in quanto il livello energetico più esterno di un atomo, dove sono localizzati tali elettroni, è definito strato di valenza. Il numero di elettroni di valenza può essere agevolmente determinato facendo riferimento alla Tavola periodica rappresentata in figura 3, in particolare:

Figura 3. La tavola periodica degli elementi.
  • i metalli alcalini (gruppo 1, in arancione) e alcalino-terrosi (gruppo 2, in giallo) hanno rispettivamente uno e due elettroni di legame;
  • gli elementi dei gruppi dal 13 al 18 (in azzurro e viola) hanno un numero di elettroni di legame pari al numero del gruppo diminuito di dieci (tre elettroni per gli elementi del gruppo 13, quattro elettroni per gli elementi del gruppo 14 e così via), con l’eccezione dell’elio che pur appartenendo al gruppo 18 ha in totale solo due elettroni.

Per quanto riguarda gli elementi appartenenti ai gruppi dal 3 al 12 (metalli di transizione, in rosa) la determinazione degli elettroni di valenza è più complessa, a causa della loro peculiare struttura atomica, e non è possibile enunciare regole semplici per stabilire quanti siano tali elettroni.

Facendo riferimento alla classificazione tradizionale dei gruppi, tuttora riportata sulla maggior parte delle Tavole periodiche, e senza considerare i metalli di transizione, è ancora più agevole la determinazione degli elettroni di valenza, poiché il loro quantitativo corrisponde al numero romano che indica il gruppo: un elettrone per gli elementi del gruppo I (metalli alcalini), due elettroni per gli elementi del gruppo II (metalli alcalino-terrosi), tre elettroni per gli elementi del gruppo III (boro, alluminio, gallio, ecc.), e così via fino ad arrivare ai gas nobili (gruppo VIII), che hanno tutti 8 elettroni di legame nello strato più esterno (con l’eccezione, già ricordata dell’elio).

I simboli di Lewis e la regola dell’ottetto

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Figura 4. Strutture di Lewis (elettroni di valenza) degli elementi dei primi tre periodi.

Gli elettroni di valenza possono essere facilmente rappresentati mediante pratiche notazioni introdotte dal chimico statunitense Gilbert N. Lewis e per questo note come simboli di Lewis, in cui tali elettroni sono indicati come puntini o come coppie di puntini disegnati ai quattro lati del simbolo chimico dell'elemento. Come regola generale, si colloca un puntino su ciascun lato del simbolo chimico (è indifferente il lato da cui partire e l’ordine da seguire) per i primi quattro elettroni di legame, dopodiché si accoppiano i puntini su ciascun lato: l'importante è collocare i primi quattro puntini su ciascun lato, dopodiché accoppiarli. Nella figura 4 sono rappresentate le strutture di Lewis per gli elementi appartenenti ai primi tre periodi. Come è possibile notare, gli elementi appartenenti al medesimo gruppo presentano la stessa stessa struttura di Lewis, in quanto dotati della stessa configurazione elettronica più esterna, ossia la stessa distribuzione degli elettroni di valenza.

Nel 1916, Lewis ha inoltre formulato la cosiddetta regola dell'ottetto, una regola empirica che tenta di spiegare, anche se in modo approssimato, la formazione dei legami chimici tra gli atomi. Secondo tale regola quando un atomo possiede il livello elettronico esterno (ossia lo strato di valenza), che in genere è costituito da otto elettroni, completo, esso è in una condizione di particolare stabilità energetica e tende a non formare ulteriori legami. In altre parole, un atomo è particolarmente stabile quando ha otto elettroni nello strato di valenza.

I gas nobili, in natura, risultano sostanzialmente inerti (salvo alcune reazioni particolari che danno origine però origine a composti rari e poco stabili) ed esistono come atomi singoli, proprio in virtù del fatto che presentano un ottetto completo nello strato di valenza (si ricorda sempre la peculiarità dell’elio che risulta stabile con soli due elettroni). Al contrario, tutti gli altri elementi, che non possiedono l’ottetto completo, tendono, a seconda dei casi, a cedere, ad acquistare o a mettere in comune i propri elettroni di legame, al fine di completare il proprio strato di valenza. Ogni elemento pertanto ha la tendenza a raggiungere l’ottetto e ad assumere lo stesso assetto di elettroni del gas nobile ad esso più vicino.

Questa regola empirica, con cui si giustifica la tendenza degli atomi a legarsi fra loro, mediante la formazione di legami chimici, è normalmente ben rispettata dagli elementi dei primi due gruppi (metalli alcalini e alcalino-terrosi) e da quelli dei gruppi dal 13 al 18 (sono comunque note delle eccezioni), mentre i metalli di transizione, i lantanidi e gli attinidi hanno comportamenti complessi e non sempre riconducibili a tale regola.

In linea generale, gli gli atomi degli elementi dei primi gruppi, che si trovano nella parte sinistra della Tavola periodica, tendono a cedere elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li precede, mentre gli atomi degli elementi dei gruppi più a destra della Tavola periodica sono portati ad acquistare elettroni per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile che li segue. In alternativa, gli atomi di molti elementi possono raggiungere l’ottetto condividendo i propri elettroni con atomi uguali o di altri elementi.

Per l’idrogeno (con un solo elettrone), il litio (con tre elettroni) e il berillio (con quattro elettroni) la stabilità viene raggiunta quando assumono la configurazione elettronica dell’elio, quindi quando hanno due elettroni nello strato più esterno.

Il legame covalente

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Il legame covalente si basa sulla condivisione degli elettroni: due atomi mettono in comune una o più coppie di elettroni. Il raggiungimento dell’ottetto è possibile poiché gli elettroni condivisi appartengono contemporaneamente a entrambi gli atomi.

Figura 5. Formazione del legame covalente nella molecola di cloro (Cl2).

Il cloro, un gas tossico di colore verde-giallastro (il nome di tale elemento deriva proprio dal termine greco χλωρός, chlōros, che significa “verde”), in natura esiste sotto forma di molecole biatomiche Cl2. Ciascuno dei due atomi di cloro che formano la molecola possiede 7 elettroni di valenza (il cloro appartiene infatti al gruppo 17, quello degli alogeni) e pertanto per raggiungere l’ottetto (corrispondente alla stessa configurazione elettronica del gas nobile più vicino, l’argon) necessitano entrambi di un elettrone: ciò è possibile mediante la formazione un legame covalente in cui ciascun atomo mette in compartecipazione un proprio elettrone. In figura 5 è mostrata con un'animazione la formazione della molecola biatomica di cloro grazie al legame covalente che si instaura fra due atomi, mediante la condivisione di una coppia di elettroni: si può notare che la coppia di elettroni condivisi, evidenziata in rosso, appartiene contemporaneamente a entrambi gli atomi, che pertanto si trovano ad avere ciascuno otto elettroni di valenza. La presenza di un legame covalente fra i due atomi, senza esplicitare tutti gli elettroni di valenza come nelle strutture di Lewis, viene normalmente indicata utilizzando un trattino che ne unisce i simboli: Cl-Cl. Il trattino rappresenta quindi la coppia di elettroni condivisi.

Il legame covalente può formarsi tra atomi uguali, come nel caso precedentemente analizzato, ma anche tra atomi di elementi differenti. Per esempio, nella molecola del metano (CH4), un gas incolore, inodore e altamente infiammabile, utilizzato per il riscaldamento domestico e come combustibile per le automobili, l’atomo di carbonio mette in condivisione tutti i suoi quattro elettroni con altrettanti atomi di idrogeno, formando quattro distinti legami covalenti. Ciò permette al carbonio di completare l’ottetto e contemporaneamente a ciascun atomo di idrogeno di raggiungere la configurazione elettronica stabile dell’elio. La figura 6 rappresentata la molecola del metano.

Figura 6. Metano (CH4): varie rappresentazioni della sua struttura molecolare.

Legami covalenti semplici, doppi e tripli

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In base al numero di coppie di elettroni che vengono condivise tra due atomi per raggiungere l’ottetto si possono distinguere tre tipologie di legami covalenti.

  1. Nel legame covalente semplice (o singolo) viene condivisa una sola coppia di elettroni tra due atomi, come nei casi precedentemente analizzati del cloro molecolare e del metano (in cui sono presenti quattro distinti legami semplici), o nel caso della molecola di idrogeno (H2), in cui ciascun atomo mette in condivisione il suo unico elettrone, al fine di raggiungere la stabilità (rappresentata in questo caso dalla configurazione elettronica dell’elio), come mostrato in figura 7 (immagine di sinistra). Anche in questo caso è possibile rappresentare la struttura della molecola, in forma semplificata, mediante un trattino che unisce i simboli dei due atomi legati: H-H.
  2. Nel legame covalente doppio vengono condivise due coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas ossigeno (O2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 6 elettroni di valenza (gruppo 16). Per raggiungere l’ottetto (raggiungendo la stessa configurazione elettronica del gas nobile neon) sono necessari a ciascun atomo due elettroni: si formano pertanto due coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi, ossia un legame covalente doppio. La figura 7 (immagine centrale) rappresenta la molecola di ossigeno. In questo caso, il legame doppio può essere rappresentato da due trattini tra i simboli degli atomi: O=O.
  3. Nel legame covalente triplo vengono invece condivise tre coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas azoto (N2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 5 elettroni di valenza (gruppo 15): la formazione di tre coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi permette a entrambi di raggiungere l’ottetto e quindi la stabilità. La figura 7 (immagine di destra) rappresenta la formazione della molecola di azoto. In questo caso, il legame triplo può essere rappresentato da tre trattini tra i simboli degli atomi: N≡N.

I legami doppi e tripli possono essere complessivamente indicati anche come legami covalenti multipli.

Figura 7. Legami covalenti singoli (molecola di idrogeno, H2), doppi (molecola di ossigeno, O2) e tripli (molecola di azoto, N2).

L’energia e la lunghezza dei legami dipende ovviamente dal tipo di atomi coinvolti, in generale, si può comunque osservare che, passando dal legame semplice a quello doppio e da questo a quello triplo, la lunghezza di legame diminuisce (i nuclei atomici sono pertanto più vicini), mentre l’energia aumenta (è pertanto necessario fornire un quantitativo maggiore di energia per spezzare il legame). Nella seguente tabella, sono indicati i differenti valori di lunghezza ed energia per i legami semplici, doppi e tripli tra atomi di carbonio:

Legame Esempio Lunghezza (pm) Energia (kJ/mol)
Semplice  (C-C) Etano: H3C-CH3 154 348
Doppio (C=C) Etilene: H2C=CH2 134 614
Triplo  (C≡C) Acetilene: HC≡CH 120 839

Il legame covalente dativo

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Figura 8. Legame dativo nell'acido perclorico (HClO4): il cloro può donare tre doppietti ad altrettanti atomi di ossigeno.

Un particolare tipo di legame covalente, presente in numerosi composti chimici, prevede che la coppia di elettroni di legame sia fornita da uno solo dei due atomi: è il legame covalente dativo. L’atomo che dona i due elettroni che ha già completato l’ottetto, mediante la formazione di legami con altri atomi, e che dispone di uno o più doppietti elettronici (coppie di elettroni) non condivisi (per indicarli si può utilizzare anche il termine “coppie solitarie” o l'inglese "lone pairs") prende il nome di datore, mentre quello che li riceve viene definito accettore. Il legame dativo una volta che si instaura è indistinguibile da un normale legame covalente e, per convenzione, viene indicato con una freccia (→) che va dall’atomo datore verso quello accettore.

Prendendo, ad esempio, in considerazione il cloro, che appartiene al gruppo 17, si può osservare che sono presenti tre coppie solitarie, utilizzabili per la formazione di altrettanti legami covalenti dativi: nell’acido cloroso (HClO2), nell’acido clorico (HClO3) e nell’acido perclorico (HClO4), sono infatti presenti rispettivamente uno, due e tre legami dativi tra il cloro e l’ossigeno; in figura 8 è mostrata la molecola di acido perclorico in cui sono presenti tre legami dativi.

L’elettronegatività e i legami covalenti puri e polarizzati

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Un parametro di fondamentale importanza per determinare le caratteristiche di un legame chimico è l’elettronegatività (indicata con la lettera greca χ, “chi”). Come già studiato nel capitolo La tavola periodica, si tratta di una proprietà che dà un’indicazione della tendenza con cui un atomo attrae gli elettroni di legame ed è definita mediante una scala arbitraria proposta dal fisico e chimico americano Linus Pauling. In linea generale e tralasciando i gas nobili, come mostrato nella figura 9, l’elettronegatività aumenta spostandosi da sinistra verso destra lungo un periodo, mentre diminuisce scendendo lungo un gruppo: l’elemento più elettronegativo è infatti il fluoro.

Figura 9. Variazione dell'elettronegatività negli elementi della Tavola periodica.

Per determinare le caratteristiche di un legame chimico è necessario fare riferimento alla differenza di elettronegatività fra gli atomi coinvolti: se tale differenza è minima, gli elettroni coinvolti nel legame risultano distribuiti in modo perfettamente uniforme attorno ai due nuclei atomici; al contrario, se tale differenza è significativa, la distribuzione degli elettroni coinvolti nel legame non è omogenea e gli elettroni sono attratti con maggior forza dal nucleo dell’atomo più elettronegativo. Più nel dettaglio, si possono distinguere i tre seguenti casi:

Figura 10. Modello tridimensionale della molecola di butano (gli atomi di C sono rappresentati in grigio, mentre quelli di H in bianco).
  1. Se la differenza di elettronegatività è inferiore a 0,4, si ha un legame covalente puro (anche detto omopolare o apolare), in cui gli elettroni di legame sono condivisi in modo perfettamente equilibrato. Ciò si verifica quando il legame si instaura tra due atomi dello stesso elemento, come nelle molecole di cloro (Cl2), rappresentata in figura 5, idrogeno (H2), ossigeno (O2) e azoto (N2), rappresentate in figura 7 e precedentemente analizzate, o nelle molecole organiche in cui è normalmente presente il legame tra atomi di carbonio, C-C, come ad esempio nel butano (H3C-CH2-CH2-CH3) rappresentato in figura 10, oppure quando il legame si instaura tra due elementi diversi che hanno però valori di elettronegatività simili, come ad esempio, tra l’idrogeno (H, elettronegatività = 2,20) e il fosforo (P, elettronegatività = 2,19), nel gas fosfina (PH3), o tra il carbonio (C, elettronegatività = 2,50) e l'idrogeno (H, elettronegatività = 2,20), nel caso degli idrocarburi (di cui sono esempi il metano, rappresentato in figura 6, e il butano rappresentato in figura 10).
  2. Se la differenza di elettronegatività è compresa tra 0,4 e 1,9 (alcuni autori pongono il limite a 1,7), si ha un legame covalente polarizzato (anche detto eteropolare o polare), in cui gli elettroni di legame sono distribuiti in maniera non simmetrica, essendo attratti maggiormente dall'atomo con il più elevato valore di elettronegatività. Poiché gli elettroni sono particelle cariche negativamente, questa loro distribuzione asimmetrica fa sì che l’atomo più elettronegativo manifesti una parziale carica negativa (indicata con il simbolo δ−, “delta meno”), comunque inferiore al valore della carica dell’elettrone stesso (carica elettrica elementare), mentre l’atomo meno elettronegativo manifesti una parziale carica positiva (indicata con il simbolo δ+, “delta più”), anche in questo caso comunque inferiore al valore assoluto della carica dell’elettrone: si genera in questo modo un dipolo elettrico. Un esempio di legame covalente polarizzato è quello tra idrogeno (elettronegatività = 2,20) e cloro (elettronegatività = 3,16), nella molecola dell’acido cloridrico (HCl), rappresentata in figura 11. Un’altra importante molecola in cui sono presenti legami covalenti polarizzati è l’acqua (H2O): l’atomo di ossigeno (elettronegatività = 3,44) presenta una parziale carica negativa (δ−), mentre gli atomi di idrogeno (elettronegatività = 2,20) presentano entrambi una parziale carica positiva (δ+), come mostrato in figura 12.
    Figura 11. Nell'acido cloridrico il legame covalente è fortemente polarizzato: la molecola è un dipolo.
    Figura 12. Nella molecola d'acqua i legami covalenti tra O e H sono eteropolari.
    3. Se la differenza di elettronegatività è maggiore di 1,9, si ha un legame ionico, che comporta uno scambio di elettroni tra gli atomi coinvolti e di cui tratteremo più dettagliatamente in un successivo paragrafo.

Nella seguente tabella viene ricapitolata la classificazione delle differenti tipologie di legame (covalente puro, covalente polarizzato e ionico), a seconda della differenza di elettronegatività:

Differenza di elettronegatività (Δχ) Tipo di legame
0 ≤ Δχ < 0,4 Legame covalente puro
0,4 ≤ Δχ< 1,9 Legame covalente polarizzato
Δχ ≥ 1,9 Legame ionico

Le sostanze covalenti

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Sono definite sostanze covalenti quelle in cui sono presenti esclusivamente legami covalenti. In alcuni casi queste sostanze sono formate da molecole semplici, derivanti dall'unione di un limitato numero di atomi tutti legati covalentemente tra loro, come nel caso di tutte le molecole precedentemente citate, in altri casi sono formate da molecole complesse costituite da decine, centinaia o migliaia di atomi uniti covalentemente tra loro, come si osserva spesso nelle molecole organiche e biologiche.

Esistono inoltre solidi covalenti che, anziché essere formati da molecole semplici o complesse, sono formati da un numero molto elevato e variabile di atomi legati covalentemente tra loro che danno origine, nello spazio, a strutture geometriche regolari: ne è un classico esempio il diamante, una particolare forma del carbonio in cui ogni atomo è legato covalentemente ad altri quattro, dando origine ad un reticolo tridimensionale virtualmente infinito.

Le sostanze covalenti generalmente hanno una conducibilità termica piuttosto bassa e non sono nemmeno buoni conduttori di corrente elettrica né allo stato solido (a differenza dei metalli), né allo stato liquido (a differenza dei composti ionici), poiché le molecole sono complessivamente neutre e gli elettroni coinvolti nei legami covalenti non sono liberi di muoversi, ma sono localizzati tra i nuclei degli atomi che li condividono.

Nell'immagini seguenti (figura 13) sono rappresentati numerosi esempi di sostanze covalenti:


Molecole polari e apolari

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Nei precedenti paragrafi sono stati introdotti i concetti di legame covalente puro e polarizzato e di dipolo elettrico. Anche le molecole possono essere distinte in molecole polari e molecole apolari. La presenza di legami covalenti polari è condizione necessaria ma non sufficiente da sola a determinare la polarità delle molecole. Questa infatti dipende non solo dalla presenza di legami polarizzati al loro interno, ma anche dalla geometria tridimensionale (argomento che verrà soltanto accennato, in quanto sarà più correttamente e approfonditamente affrontato nel secondo biennio).

Una molecola viene definita polare quando, a causa di una distribuzione complessiva non simmetrica degli elettroni, presenta due distinti poli -uno positivo e uno negativo- e costituisce pertanto un dipolo elettrico. A loro volta, le sostanze che sono costituite da molecole polari sono definite sostanze polari. Un esempio significativo di molecola polare è rappresentato dall'acqua (H2O): come già osservato, il legame tra ossigeno e idrogeno è polarizzato. Inoltre, tale molecola ha la forma di una V, con un angolo di legame di 104,5°. Da ciò deriva una distribuzione asimmetrica della carica elettrica che porta a distinguere due poli, come già mostrato nella Figura 12.

Figura 14. La simmetria della molecola di anidride carbonica (CO2) fa sì che questo composto sia apolare, nonostante che il legame C-O sia polarizzato.

Una molecola viene invece definita apolare quando, a causa di una distribuzione complessiva simmetrica degli elettroni, non presenta due distinti poli. A loro volta, le sostanze che sono costituite da molecole apolari sono definite sostanze apolari. Le sostanze elementari sono tutte apolari, poiché tra atomi uguali, la cui differenza di elettronegatività è nulla, si formano sempre legami covalenti puri. Nel caso dei composti, che per definizione sono costituiti da almeno due elementi differenti, invece, la geometria molecolare gioca un ruolo fondamentale: molecole simmetriche risultano apolari anche se sono presenti legami polarizzati. Ne è un esempio la molecola di anidride carbonica (CO2), più correttamente chiamata diossido di carbonio, in cui, pur essendo presenti due doppi legami polarizzati (la differenza di elettronegatività tra carbonio e ossigeno è pari a 0,9), non si osserva alcuna polarità complessiva, a causa della sua simmetria: gli atomi che formano tale molecola sono allineati e il carbonio si trova in posizione centrale, facendo sì che le polarizzazioni di ciascun legame si annullino, come mostrato in figura 14.

Esistono, infine, molecole complesse formate da un elevato numero di atomi in cui si possono distinguere porzioni polari e porzioni apolari, come ad esempio l'1-pentanolo (CH3-CH2-CH2-CH2-CH2-OH), mostrato in figura 15.

Figura 15. La molecola dell'1-pentanolo (C5H11-OH) presenta una porzione polare in corrispondenza del legame tra O (in rosso) e H (in bianco), mentre il resto della molecola formata da C (in nero) e H è apolare.

Il legame ionico

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Come introdotto nel paragrafo precedente, quando la differenza di elettronegatività fra due atomi è superiore a 1,9 si instaura una differente tipologia di legame: il legame ionico. Questo si basa sul trasferimento di elettroni tra atomi, che porta quindi alla formazione di ioni di carica opposta, tra i quali si instaura un’interazione elettrostatica di tipo attrattivo. Il legame ionico può dunque essere definito come l’insieme delle interazioni elettrostatiche che tengono assieme ioni di carica opposta, generatisi in seguito al trasferimento di elettroni fra atomi di elementi differenti.

Gli ioni e l’instaurarsi del legame ionico

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Figura 16. Sale da cucina.

Nel capitolo Modelli atomici, gli ioni sono stati definiti come atomi (o molecole) elettricamente carichi. Poiché soltanto gli elettroni (particelle subatomiche aventi carica elettrica elementare negativa −1) possono essere scambiati (acquisiti o ceduti), uno ione è negativo quando possiede almeno un elettrone in eccesso, al contrario uno ione è positivo quando è deficitario di almeno un elettrone. Gli ioni sono rappresentati mediante il simbolo dell’elemento chimico (o la formula della molecola), con l’indicazione, in alto (apice) a destra del tipo e del quantitativo di cariche elettriche possedute, mediante i simboli matematici − o +, ad esempio lo ione alluminio, che è dotato di tre cariche elettriche positive, si rappresenta come Al3+, mentre lo ione solfuro, che è dotato di due cariche elettriche negative, si rappresenta come S2−. Gli ioni negativi, come ad esempio lo ione solfuro ( S2−) o lo ione cloruro (Cl), sono anche detti anioni; gli ioni positivi, come ad esempio lo ione alluminio (Al3+) o lo ione sodio (Na+), sono invece detti cationi.  

Quando si forma il legame ionico, l’elettrone (o gli elettroni) passano dall'atomo dell’elemento meno elettronegativo, che diventa pertanto un catione, a quello più elettronegativo, che diventa pertanto un anione.

Figura 17. Il trasferimento di elettroni tra sodio (Na) e fluoro (F) come esempio di formazione del legame ionico.

Il comune sale da cucina (figura 16), chiamato più propriamente dai chimici cloruro di sodio, è formato da ioni sodio (Na+) e cloruro (Cl) tenuti assieme da legami ionici. Al cloro (elettronegatività = 3,16) manca un solo elettrone per completare l’ottetto (si trova infatti nel gruppo 17 e ha pertanto sette elettroni di valenza), mentre il sodio (elettronegatività = 0,93), che si trova nel gruppo 1, possiede un solo elettrone nel livello elettronico più esterno, pertanto quest'ultimo cede il suo unico elettrone di valenza al cloro: in questo modo il sodio diventa lo ione positivo (catione) Na+ e raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo precede nella tavola periodica, il neon, mentre il cloro diventa lo ione negativo (anione) Cl e raggiunge raggiunge la configurazione elettronica stabile del gas nobile che lo segue nella tavola periodica, l’argon.

L'animazione in figura 17 mostrata la formazione del fluoruro di sodio (NaF), un sale simile al precedente, in cui al posto del cloro è presente il fluoro, che appartiene sempre al gruppo 17 (alogeni). Lo scambio di elettroni avviene con la stessa modalità precedentemente descritta. Fra gli ioni di carica opposta che si sono così formati si instaura una reciproca attrazione elettrostatica, che è alla base del legame ionico.

I composti ionici

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Figura 18. Struttura cristallina del cloruro di sodio (NaCl).

L’interazione elettrostatica tra gli ioni non è localizzata e direzionale, come nel caso del legame covalente, ma si esercita in tutte le direzioni dello spazio. Questo fa sì che ogni ione si circondi di più ioni di carica elettrica opposta: ogni anione si circonda di più cationi e contemporaneamente ogni catione si circonda di più anioni, dando in questo modo origine a una struttura tridimensionale altamente ordinata detta reticolo cristallino, che caratterizza i composti ionici.

Riprendendo l’esempio del cloruro di sodio, ogni ione sodio, Na+, è circondato da sei ioni cloruro, Cl, e, a sua volta, ogni ione Cl è circondato da sei ioni Na+. In pratica, ogni ione di una determinata carica si trova idealmente al centro di un cubo circondato dagli ioni di carica opposta, con cui interagisce direttamente, che si trovano al centro di ciascuna delle sei facce del cubo, come mostrato in figura 18.

Tutti i composti ionici sono caratterizzati da un reticolo cristallino, ma la sua struttura geometrica non è necessariamente sempre la stessa: il numero e la disposizione spaziale degli ioni che costituiscono il reticolo cristallino dipende dalle loro caratteristiche chimiche e fisiche, come, ad esempio, le loro dimensioni e la loro carica.

I composti ionici, a differenza di quelli covalenti, non sono costituiti da molecole ben definite ma da un insieme di ioni di cariche opposte distribuiti in modo ordinato nello spazio, in una struttura geometrica che, almeno potenzialmente, potrebbe svilupparsi illimitatamente. Ne deriva che la formula dei composti ionici non indica la composizione di una molecola, ma il rapporto di combinazione minimo tra gli ioni di segno opposto, in modo tale che il composto risulti nel complesso elettricamente neutro.

Ad esempio, nel cloruro di sodio il rapporto tra cationi Na+ e anioni Cl è pari a 1: 1, in quanto ogni carica positiva del sodio è neutralizzata da una carica negativa del cloro. Analogamente nel solfuro di calcio (CaS) il rapporto tra cationi e anioni è sempre 1: 1 in quanto entrambi gli ioni hanno due cariche elettriche ciascuno (Ca2+ e S2−). Prendendo invece in considerazione il cloruro di calcio (CaCl2) il rapporto di combinazione tra i cationi Ca2+ e gli anioni Cl è 1: 2, poiché per neutralizzare le due cariche positive del calcio sono necessari due ioni cloruro, avendo ciascuno una sola carica positiva; nel caso del solfuro di sodio (Na2S) invece il rapporto di combinazione tra i cationi Na+ e gli anioni S2− è 2 : 1, poiché sono necessari due ioni sodio per neutralizzare le due cariche negative dello ione solfuro.

Dall'analisi degli esempi precedenti si può infine osservare che:

- i metalli, che hanno bassi valori di elettronegatività, cedono i propri elettroni di valenza (uno i metalli alcalini, due quelli alcalino-terrosi, ecc.), raggiungendo la configurazione elettronica stabile del gas nobile che li precede;

- i non metalli, che hanno valori di elettronegatività più elevati, acquistano il numero di elettroni necessari a raggiungere la configurazione elettronica stabile del gas nobile che li segue (ad esempio, gli alogeni acquistano un elettrone, mentre gli elementi del gruppo 16 ne acquistano due);

- nella formula di un composto ionico si indica prima il catione, ossia la specie metallica, e dopo l'anione, ossia il non metallo.

Per quanto riguarda le proprietà chimiche e fisiche, i composti ionici hanno un'elevata conducibilità termica e sono buoni conduttori di corrente elettrica allo stato liquido, ma non a quello solido; poiché, inoltre, i composti ionici si disgregano quando sciolti acqua, liberando gli ioni da cui sono costituiti, risultano buoni conduttori di corrente anche in soluzione acquosa.

Legami e composti ionici e covalenti a confronto

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È importante osservare che, consultando la tavola periodica, è possibile prevedere, con una certa facilità, il tipo di legame che si potrà formare tra gli atomi dei diversi elementi, in particolare:

  • gli atomi dei non metalli formano tra loro legami covalenti;
  • quando gli atomi di non metallo sono uguali (o con differenze di elettronegatività minime), si forma un legame covalente puro;
  • quando invece gli atomi di non metallo sono diversi e hanno valori di elettronegatività abbastanza differenti, si forma un legame covalente polare;
  • i metalli e i non metalli normalmente formano tra loro legami ionici.

La differente natura dei legami ionico e covalente comporta inoltre significative differenze nelle  proprietà sia microscopiche sia macroscopiche dei rispettivi composti, come riepilogato nella seguente tabella:

Sostanze covalenti Composti ionici
Elementi coinvolti Non metalli Metalli e non metalli
Struttura Molecole Reticolo cristallino
Solubilità in acqua Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata
Conducibilità elettrica Assente Elevata allo stato liquido o in soluzione acquosa

Assente allo stato solido

Conducibilità termica Bassa Elevata
Stato di aggregazione Variabile (alcune sono solide, altre liquide, altre aeriformi) Solido
Temperatura di fusione Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata
Temperatura di ebollizione Variabile, ma generalmente inferiore rispetto ai composti ionici Elevata

Il legame metallico

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I metalli, come si può facilmente constatare analizzando la Tavola periodica, comprendono il  maggior numero degli elementi chimici (circa il 75%). Nel capitolo La tavola periodica, sono state descritte le più importanti caratteristiche e proprietà dei metalli, che in sintesi sono:

  • l’essere tutti solidi a temperatura ambiente (con l’eccezione del mercurio, Hg);
  • la tipica lucentezza;
  • la buona conducibilità sia termica, sia elettrica;
  • l’elevata flessibilità e lavorabilità (in particolare la duttilità e la malleabilità).

Le caratteristiche dei metalli (figura 19) dipendono dal peculiare legame chimico che li caratterizza e che è differente sia da quello covalente, infatti non comporta la condivisione degli elettroni, che devono invece essere liberi di muoversi, per giustificarne la buona conducibilità termica, sia da quello ionico, infatti non coinvolge atomi di elementi differenti che si scambiano elettroni, ma atomi tutti dello stesso tipo.

In prima approssimazione, il legame metallico può essere descritto mediante il  "modello a nube elettronica" proposto dal fisico tedesco Paul Drude, nel 1900, integrato con le scoperte successive sulla struttura degli atomi e della materia. Quando interagiscono fra loro per dare origine a un corpo metallico, gli atomi di un metallo perdono i propri elettroni di valenza, diventando pertanto ioni positivi (cationi metallici) e si “impacchettano” nel miglior modo possibile, in modo da dare origine a strutture geometriche ben definite e ordinate (un reticolo di cationi); a loro volta gli elettroni di valenza che non appartengono più ai singoli atomi, ma sono liberi di muoversi tra i vari cationi (si parla di elettroni delocalizzati), costituiscono una sorta di “mare” di cariche negative che funge da collante e tiene saldamente uniti i cationi. In sintesi, un solido metallico è costituito da un reticolo di cationi immersi in un mare di elettroni, che li mantiene aggregati. La struttura precedentemente descritta è rappresentata in figura 19.

Figura 20. Il legame metallico, secondo il  "modello a nube elettronica".

Il legame metallico può giustificare le proprietà che caratterizzano i metalli:

  • La lucentezza dipende dall'interazione tra la luce che colpisce la superficie di un metallo e il mare di elettroni mobili, che a loro volta generano luce della stessa lunghezza d’onda.
  • La conducibilità termica ed elettrica dipendono dalla mobilità degli elettroni di valenza; ciò differenzia i metalli dai composti ionici che possono condurre corrente solo quando si trovano allo stato liquido o in soluzione acquosa, perché gli ioni, non più organizzati nel reticolo cristallino, sono liberi di muoversi e trasportare cariche elettriche.
  • La flessibilità e la lavorabilità dei metalli dipende dal fatto che una deformazione del reticolo cationico non genera forze repulsive, in quanto ogni singolo catione si trova sempre immerso nel mare elettronico che ne controbilancia la carica; anche in questo caso i metalli si differenziano dai composti ionici che invece sono fragili e si rompono facilmente se si tenta di deformarli, in quanto lo slittamento di uno strato di ioni fa sì che cariche dello stesso segno si vengano a trovare più vicine, respingendosi e così provocando la rottura del cristallo, come potrebbe accadere nel solido cristallino dell'idrossido di potassio (vedi immagine in galleria qui sotto).

Si ricorda, infine, che il legame metallico caratterizza non soltanto i metalli puri ma anche le leghe come l’acciaio, il bronzo, l’ottone, ecc.

I legami intermolecolari

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Con il termine generico di legami intermolecolari (o secondari) si indicano differenti tipologie di interazioni di natura elettrostatica che si stabiliscono fra le molecole (siano esse neutre o polari) e non fra i singoli atomi, come nel caso dei legami covalente e ionico (che per contrapposizione sono talvolta definiti intramolecolari o primari o interatomici). Queste interazioni, che sono fondamentali per comprendere gli stati di aggregazione della materia, sono generalmente più deboli (hanno cioè una minor energia di legame) di quelle intramolecolari, hanno un breve raggio d’azione e diminuiscono rapidamente di intensità all’aumentare della distanza tra le molecole.

Si possono individuare diverse tipologie di legami intermolecolari, che sono strettamente legati alla maggiore o minore polarità dello molecole coinvolte, fra cui:

  1. Il legame ione-dipolo si instaura fra molecole polari e ioni e giustifica la solubilità solitamente elevata delle sostanze saline nei liquidi polari. Un classico esempio è dato dalla dissoluzione del sale da cucina (il cloruro di sodio) in acqua: le numerose molecole dipolari di acqua esercitano un’intensa attrazione sugli ioni sodio Na+ e cloro Cl, di conseguenza il reticolo cristallino si disgrega e gli ioni si ritrovano in soluzione circondati da molecole di acqua (si parla propriamente di ioni idratati), come mostrato figura 21/a.
  2. Il legame a idrogeno si forma tra l'idrogeno, parzialmente positivo, e un atomo parzialmente negativo di un'altra molecola; è talmente peculiare e importante per la Chimica e la Biologia che merita una trattazione a sé stante.
  3. Il legame dipolo-dipolo si instaura fra molecole polari che si attraggono reciprocamente: le molecole polari generano deboli campi elettrici che possono esercitare la propria attrazione nei confronti di altre molecole polari vicine; in questo modo, le molecole si avvicinano e dispongono i poli opposti l’uno di fronte all'altro, creando dei legami secondari fra loro (figura 21/b). La forza di questa attrazione dipende dal valore delle cariche parziali delle molecole e dalla distanza fra esse, pertanto i legami dipolo-dipolo risultano deboli e trascurabili allo stato aeriforme, ma incrementano la propria intensità al diminuire della temperatura e/o all'aumentare della pressione: in questo modo la coesione tra le molecole aumenta e possono avvenire i passaggi di stato prima a liquido e quindi a solido. Figura 8.20 [figura 8.20 - legame dipolo-dipolo]
  4. Il legame dipolo permanente-dipolo indotto, noto anche come forza di Debye, si instaura fra molecole polari e molecole apolari: la molecola polare è in grado di indurre in quella apolare una temporanea separazione di cariche, generando così un dipolo indotto; in seguito a ciò si genera un’interazione elettrostatica tra tali molecole, come mostrato in figura 21/c.
  5. Il legame dipolo istantaneo-dipolo indotto, noto anche come forza di dispersione di London, si instaura fra molecole apolari: una molecola apolare, a causa del continuo movimento degli elettroni, ha la possibilità di polarizzarsi, sebbene per brevissimi intervalli di tempo, diventando pertanto un dipolo istantaneo; a sua volta, un dipolo istantaneo può indurre una temporanea separazione di cariche nelle molecole apolari con cui viene a contatto, generando così un dipolo indotto; in questo modo si genera un’interazione elettrostatica tra tali molecole, come mostrato in figura. La probabilità che si generino dei dipoli istantanei è direttamente proporzionale al numero di elettroni e quindi alla massa delle molecole (aumentando il numero di protoni, aumenta infatti anche il numero di elettroni), questo spiega, ad esempio, perché mentre il fluoro (F2) e il cloro (Cl2), a temperatura ambiente, sono gas, il bromo (Br2) è liquido e lo iodio (I2) è solido.

I legami elettrostatici tra dipoli permanenti, istantanei e indotti (casi 3, 4 e 5) sono complessivamente noti come forze di van der Waals, in onore del fisico olandese Johannes Diderik van der Waals, che formulò le leggi matematiche fondamentali per descriverne il comportamento.

Il legame a idrogeno

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Il legame a idrogeno (anche detto ponte a idrogeno) è una particolare forma di legame che si instaura tra molecole polari nelle quali un atomo d'idrogeno (H) si viene a trovare tra due atomi entrambi piccoli e molto elettronegativi, essendo legato covalentemente a uno di essi.

Tale legame si instaura quando l'idrogeno è legato ad uno dei i tre elementi più elettronegativi: azoto (N), ossigeno (O) e fluoro (F). Poiché l'atomo di idrogeno ha le dimensioni più piccole e possiede un solo elettrone, quando forma un legame covalente con un atomo ad elevata elettronegatività, si genera un dipolo, in cui l'idrogeno acquista una parziale carica positiva (δ+), generando un intenso campo elettrico, mentre sull'altro atomo si genera una parziale carica negativa (δ-). In queste condizioni si possono instaurare dei legami intermolecolari (o intramolecolari, come nel caso di alcune grandi biomolecole) tra poli opposti, in cui l'idrogeno fa da "ponte".

Per distinguerlo da un legame covalente, il legame a idrogeno viene normalmente rappresentato mediante una linea tratteggiata (---) o dei puntini (···) che uniscono l'idrogeno di una molecola all'atomo fortemente elettronegativo dell'altra molecola.


Il legame a idrogeno influenza in modo significativo le proprietà fisiche (punto di fusione/ebollizione, solubilità, viscosità, ecc.) delle sostanze in cui è presente. Il valore dell'energia di legame determinato sperimentalmente per questo tipo legame è nettamente superiore a quello dei legami dipolo-dipolo. Osservando il grafico in figura 22 è possibile constatare che l'acido fluoridrico (HF) ha una temperatura di ebollizione notevolmente superiore a quella degli altri idracidi degli elementi del 17° gruppo (ossia i composti binari formati dall'idrogeno e da un alogeno): acido cloridrico (HCl), acido bromidrico (HBr) e acido iodidrico (HI). Questo "anomalo" comportamento dell'acido fluoridrico è proprio dovuto alla capacità di questo composto di formare legami a idrogeno, che sono molto più forti dei "semplici" legami dipolo-dipolo formati gli altri idracidi.

Figura 22. Confronto fra le temperature di ebollizione degli idracidi del 17° gruppo (HF, HCl, HBr, HI).

Un analogo comportamento si può osservare anche per i composti binari che l'idrogeno forma con gli elementi del 16° (acqua H2O; acido solfidrico H2S; acido selenidrico H2Se e acido telluridrico H2Te) e del 15° gruppo (ammoniaca, NH3; fosfina, PH3; arsina, AsH3 e stibina, SbH3): l'acqua e l'ammoniaca, che possono formare legami a idrogeno, hanno punti di ebollizione molto maggiori degli analoghi composti dello stesso gruppo; non si osserva invece lo stesso andamento nel caso dei composti binari che l'idrogeno forma con gli elementi del 14° gruppo (metano, CH4; silano, SiH4; germano, GeH4 e stannano, SnH4), nessuno dei quali può formare legami a idrogeno: le loro temperature di ebollizione crescono via via, al aumentare della massa molecolare. Nel grafico in figura 23 è possibile constatare quanto descritto.

Figura 23. Confronto fra le temperature di ebollizione dei composti binari dell'idrogeno con gli elementi dei gruppi 17, 16, 15 e 14.

Le differenze nelle temperature di ebollizione precedentemente descritte dipendono dalla presenza dei legami a idrogeno che per essere spezzati richiedono un'elevata quantità di energia: questo legame è infatti la più intensa forza attrattiva intermolecolare, dopo il legame ione-dipolo. Il legame a idrogeno giustifica inoltre l'anomalo comportamento dell'acqua solida (ghiaccio), la cui densità è inferiore a quella dell'acqua liquida, come meglio descritto nel capitolo Chimica per il liceo/L'acqua.

L'importanza del legame a idrogeno non si limita alla chimica pura: tale legame è infatti molto diffuso anche nelle molecole biologiche, dove spesso si instaura fra porzioni distinte di una stessa macromolecola. Ne è un esempio la molecola del DNA che è costituita da due filamenti avvolti ad elica tenuti assieme da legami a idrogeno fra basi azotate complementari (figura 24); altrettanto importante è il ruolo strutturale del legame a idrogeno nelle proteine, in particolare nella stabilizzazione delle strutture secondarie (α elica e β-foglietti).

Figura 24. Struttura 3D animata della doppia elica del DNA: i due filamenti avvolti l'uno attorno all'altro sono tenuti assieme da legami a idrogeno tra le basi azotate rivolte verso l'interno.

Esercizi: in questa pagina si trovano esercizi su questi argomenti