Dati utili per wargamers/Cannoni controcarri

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro

Cannoni o missili nella lotta controcarro?[modifica]

All'inizio della Seconda guerra mondiale, le armi per combattere i corazzati nemici erano modeste, adeguate del resto ad affrontare i carri armati dell'epoca, poco più che cingolette con una torretta sopra (ad esempio, le numerose 'tankette' della famiglia Vickers, da 3-6 tonnellate). Vi erano alcuni tipi di cannone controcarro, come i pezzi austriaci Bolher da 47mm, adottati nel 1935 anche in Italia. Il calibro dei cannoni in questa prima fase era di circa 37-47 mm e potevano perforare al più, con semplici proiettili AP, 40-50 mm a 500 m di distanza. Essi erano abbastanza efficaci in un mondo in cui lo spessore delle corazze ammontava a meno di 20 mm.

La loro capacità veniva integrata anche dalle artiglierie campali e da quelle da supporto della fanteria, talvolta con esiti migliori. Il cannone da 65mm italiano, per esempio, venne sorprendentemente considerato (malgrado la bassa velocità del proiettile) migliore del pezzo da 47mm, eppure nacque come artiglieria da montagna, scalzata da un pezzo austriaco di preda bellica calibro 75 mm e 'girata' all'appoggio di fuoco per la fanteria. I cannoni per la fanteria propriamente detti erano diversi, anche se simili a quelli da montagna. Persino più leggeri, erano spesso privi di possibilità di someggio, ma venivano trainati interi da pariglie di cavalli (per via della scarsissima motorizzazione degli eserciti dell'epoca). Anche le artiglierie antiaeree erano molto utili come armi controcarro, grazie all'elevata velocità iniziale. Il cannone da 88 mm tedesco ne fu un eccellente esempio fin dalla Guerra di Spagna. Esso non era più potente di altri cannoni A/A pesanti, ma semplicemente era molto mobile e facilmente utilizzabile dalle truppe di campagna.

Infine vi era la fanteria, che aveva varie, semplici armi: le bottiglie molotov, le bombe a mano e i fuciloni. Le bombe a mano più efficaci erano quelle a carica cava, non ancora disponibili all'inizio della guerra, ma i tedeschi avevano le stielgranade, bombe con manico. Quando serviva una carica più potente staccavano il manico a diverse bombe, le legavano attorno ad una ancora con il manico e ottenevano la 'carica potenziata'. Un altro modo era quello di usare direttamente le mine controcarro gettate sotto i cingoli del veicolo in avvicinamento, una cosa quasi suicida se il carro aveva il supporto della fanteria.

I fuciloni costituivano una diversa e migliore possibilità, si trattava di armi da fuoco di grande potenza, in un certo senso 'fucili per elefanti'. Essi apparvero fino dal 1918, e arrivavano in calibro fino al 20 mm dei fucili finlandesi, giapponesi e svizzeri, questi ultimi adottati ed usati per un certo tempo dall'Esercito italiano, soprattutto in Nord-Africa. Erano armi potenti, capaci di perforare anche 30 mm di acciaio a 500 m. Essi erano anche molto pesanti e voluminosi, e caratterizzati da un potentissimo rinculo. I francesi avevano un'arma intermedia, i cannoni da 25 mm semiautomatici, che potrebbero essere definiti sia dei fuciloni 'con il carrello' che dei mini-pezzi d'artiglieria, dato il loro calibro e le caratteristiche d'uso, oltre al fatto che, eccetto i pochi Boys inglesi dati in cambio di alcune armi da 25mm, l'Esercito francese non aveva fuciloni controcarro. I sovietici arrivarono tardi a questo tipo di armi, ma produssero le migliori in termini di caratteristiche generali (i fuciloni controcarro potevano arrivare anche a 70kg di peso). Siccome centinaia di armi erano in dotazione per ciascuna divisione, i tedeschi cominciarono a considerarli quasi 'armi individuali' piuttosto che di squadra, e prevedevano di affrontarne il tiro potente in ogni battaglia, anche con formazioni minuscole dell'Armata Rossa.

Dal momento che i carri armati diventavano sempre più corazzati, e soprattutto, ben utilizzati tatticamente con attacchi in massa, contrastarli divenne sempre più difficile, richiedendo armi più potenti e di lunga gittata. Il guaio era che esse diventavano sempre più pesanti e costose, ed esigevano un equipaggio numeroso e mezzi di locomozione motorizzati di grande potenza. Se i cannoni da 37mm pesavano meno di 500 kg, ben presto le armi da 50-57mm arrivarono a circa 1000 e i cannoni da 75 o più mm a circa 2-3t. I tedeschi riuscirono, con il Pak 40, a produrre un cannone realmente eccellente, capace di perforare 154 mm a 500 m e di restare limitato al peso di circa 1500 kg. L'equivalente inglese 17pdr, anche se sensibilmente più potente pesava quasi 3t. Queste armi erano un po' troppo pesanti per essere agevolmente usate dalla fanteria con i vecchi procedimenti tattici, e così si decise di utilizzare affusti semoventi per migliorarne l'efficienza. Il passo logico era breve, perché già occorrevano mezzi meccanizzati per movimentarle, e sistemate sopra di essi con un affusto speciale queste armi non potevano che beneficiarne. Siccome le esigenze complessive aumentarono, ad un certo punto si progettarono dei cacciacarri specifici, piuttosto che adattamenti di mezzi obsoleti o non protetti. Questi cacciacarri avevano in genere la meccanica dei carri armati, ma cannoni di maggiore potenza. Per accomodarli, gli americani costruirono veicoli leggermente protetti che mantenevano la torretta girevole, ma a cielo aperto. I tedeschi, come anche i sovietici, si rivolsero ad una diversa concezione basata su di una spessa sovrastruttura a casamatta, come nel caso del Jadpanther, praticamente analoga a quella dei cannoni d'assalto. Erano veicoli ben corazzati, ma anche privi del brandeggio a 360 gradi del cannone. Di fatto, la differenza tra i cannoni controcarri e i carri armati si ridusse molto. Gli americani operarono con i semoventi controcarri come gli M10 e -18 in speciali battaglioni controcarro, che sostituivano i reparti di cannoni controcarro piuttosto che integrare i carri armati, eppure i loro veicoli erano davvero molto simili a quest'ultimi (addirittura, in alcuni casi la differenza era solo la torretta). Gli inglesi fecero un passo anche più logico, introducendo il Challenger. Si trattava del Cromwell con scafo allungato e corazza migliorata, con una grande torretta dotata di un cannone da 76 mm 17Pdr. Il veicolo non ebbe successo a causa del peso eccessivo, della torretta troppo alta e della lentezza di brandeggio, ma di fatto era una sorta di carro pesante specializzato nel ruolo cacciacarri. Infine, furono in grado di sistemare il 17Pdr dentro la torretta del carro Sherman, ottenendo il Firefly, praticamente un carro armato medio ben armato contro ogni mezzo nemico. Gli americani e gli inglesi introdussero anche proiettili migliorati come le granate inglesi decalibrate e le americane iperveloci (anche URSS e Germania fecero simili progressi, e in più utilizzarono le granate HEAT). In pratica, poco a poco si arrivò a stabilire che il carro armato, una volta armato a sufficienza, era il miglior sistema controcarro, giusto come i caccia lo erano rispetto ad altri caccia.

In sostanza sembrava che i cannoni controcarro non avessero più un futuro, e questo lasciava aperta una questione importante: nessun esercito poteva contare solo su truppe corazzate sia per costo che per esigenze tattiche, così con che cosa la fanteria sarebbe stata armata in funzione controcarri? I fuciloni erano troppo pesanti e poco potenti, i cannoni d'appoggio della fanteria erano stati rimpiazzati dai mortai, più leggeri ed efficaci ma privi di capacità di tiro diretto (i tedeschi, che avevano cannoni d'appoggio fanteria da 150 mm li rimpiazzarono per quanto poterono con i mortai sovietici da 120 mm). Una soluzione parziale era quella dei lanciarazzi come i Bazooka, che dal 1943 diventarono sinonimo di potenza di fuoco portatile per i fanti. Ma i Bazooka, i Panzerfaust e tutti i loro 'figli' moderni sono armi imprecise oltre 100-200 metri. I cannoni senza rinculo, basati su di un principio del tutto diverso erano un'alternativa che durante la guerra divenne disponibile, e nel dopoguerra ebbero un notevole successo. Con una massa tra i 15 e i 200 kg potevano erogare un grande volume di fuoco, specialmente con granate HEAT controcarro. Un esempio tipico è l'M40, ma anche il più piccolo e quasi altrettanto micidiale SPG-9. Ma nemmeno queste armi erano perfette: pesavano troppo per il singolo fante, avevano una vampa eccessiva che impediva l'uso da ambienti interni e rivelava la posizione del lanciatore, specialmente considerando che il proiettile aveva gittata utile dell'ordine del km e non più. La soluzione, anch'essa abbozzata durante la guerra, aspettò altri 10 anni per cominciare a manifestarsi. Si trattava dei missili controcarro, ovvero proiettili guidati autopropulsi (e quindi non necessitanti di pesanti artiglierie) e muniti di carica cava. Armi come il Sagger e l'SS-11 potevano recapitare una testata HEAT con ragionevole precisione a 3 km di distanza distruggendo ogni carro armato, rimanendo piuttosto leggeri e piccoli anche per l'uso da elicotteri, che erano i nuovi cacciacarri. Nonostante questo, i sovietici continuarono nell'attività di produzione di cannoni controcarro quali gli MT-12 e ancora negli anni '90 producevano il nuovo Sprut da 125 mm, praticamente il cannone del T-72 in versione trainata, su affusto brandeggiabile per 360 gradi. Rumeni, cinesi e jugoslavi avevano anch'essi prodotto molti cannoni controcarro, cosa condivisa in campo occidentale solo dalla Svizzera con alcune armi da 75 mm.

La domanda che ci si può porre è sull'efficacia di queste armi: se sono adeguate perché in Occidente non hanno avuto seguito? E se non lo sono, perché all'Est sono state prodotte per decenni? Le caratteristiche degli MT-12 da 100 mm a canna liscia aiutano a capire almeno parzialmente la risposta. Esse sono armi pesanti 3 t ma capaci di essere trainate fino a 70 kmh e soprattutto di essere messe in posizione in circa 2 minuti e ritirate in altrettanti. La loro cadenza di tiro arriva a 14 colpi al minuto, i proiettili da 15kg sono assai potenti, supersonici, 'fire and forget' ed insensibili alle contrumisure. La gittata utile arriva a 3 km ma in sovrappiù, come artiglierie da campagna, arrivano a 8 km scagliando proiettili HE. L'affusto di per sé ha una robusta scudatura per proteggere i serventi dal tiro di armi leggere e schegge, e la sagoma nondimeno è bassa e sfuggente.

Il loro equivalente era, tra i missili, la categoria rappresentata dall'AT-2 e l'AT-3. Questi impiegavano non meno di 27 secondi per raggiungere 3 km di gittata, e questo rende possibile ad un carro armato preso di mira scappare anche per mezzo km alla ricerca di un rifugio o uscendo dal raggio utile dato dal motore o dalla lunghezza del cavo di guida dei missili. In alternativa, il bersaglio può coprirsi con una cortina fumogena, manovrare per evitare il lento missile in arrivo oppure rispondere al fuoco, tentando di colpire o almeno di 'disturbare' il tiratore, in genere privo di protezione. Nello stesso lasso di tempo un MT-12 poteva esplodere fino a 8 colpi da 15 kg l'uno, supersonici e precisi. Così si ritenne che i cannoni avevano ancora un loro posto nel panorama della guerra moderna, anche se integrati dai missili. Oltretutto, il costo delle munizioni era molto inferiore rispetto alle centinaia di dollari necessari per ciascun missile. Quando questi ultimi diventarono più veloci e precisi, con realizzazioni classe TOW/MILAN le cose hanno cominciato a cambiare, ma per molti ruoli quali l'appoggio di fuoco i cannoni sono una soluzione più economica. Un missile MILAN costava non meno di 4 milioni nel 1990, un TOW ultima produzione arriva a 12.000 dollari e un Javelin a 70.000, pur essendo un'arma a medio raggio (ma dotata di un sensore di autoguida IR). In molti casi, un cannone è più conveniente di un missile e con maggiore gittata di un razzo, e l'unica cosa da stabilire ha riguardato se tale cannone debba essere sistemato su di un mezzo corazzato oppure sia efficace anche come arma trainata. Le dottrine continuano ad evolversi, e ad integrarsi sempre di più con l'aviazione e l'artiglieria campale, mentre i veicoli della fanteria sono armati con cannoni automatici sempre più potenti e precisi. In definitiva, i cannoni controcarri trainati non hanno trovato più ragione di esistere nelle moderne dottrine tattiche, stavolta sostituiti dai missili a lunga gittata e dai mezzi corazzati di vario genere.

I missili controcarri delle prime generazioni possono avere presentato problemi di affidabilità, precisione, costo, ma hanno consentito di disporre di un sistema di lancio molto semplice (basicamente, rampe di lancio sistemabili ovunque) e così in parte annullato il maggiore costo della munizione di per sé. Inoltre, i cannoni riuscivano con difficoltà ad assicurare sia un tiro preciso che potente: l'MT-12 ha una gittata di 3 km ma con munizioni APFDS, mentre con le HEAT non supera i 1,2 km, almeno contro obiettivi in movimento. Questo nega alla radice il vantaggio delle cariche HEAT, ovvero di non perdere potenza con la distanza che invece nelle munizioni perforanti è correlata con la velocità (erosa dall'attrito atmosferico), cosicché a 1 km non vi è molta differenza tra la perforazione di un proiettile esplosivo e quella di un perforante (non considerando come corazze di tipo speciale siano più efficaci contro le HEAT che i colpi decalibrati, vedi corazze Chobbam, stratificate, spaziate, ERA).

Il vantaggio che i missili avevano sui cannoni era quindi correlato a: maggiore leggerezza, minore ingombro, compatibilità con ogni piattaforma inclusi gli elicotteri, ridotto numero di fanti necessari per manovrare il sistema (per esempio, due uomini potevano metter in azione due missili AT-3, tre uomini ne potevano spiegare quattro). Le possibilità di sviluppo futuro erano pure interessanti, come confermato dai missili di seconda e terza generazione. Ma anche i cannoni controcarro, ora installati quasi soltanto nei carri armati si sono evoluti, diventando precisi e letali come mai nessun'altra arma prima, ma essi sono per l'appunto destinati principalmente all'uso da carri armati di 40-60 tonnellate, con i relativi costi e difficoltà logistiche.

Recentemente sono entrati in servizio numerosi tipi di missili guidati sparabili direttamente dalla bocca da fuoco di un carro armato 'normale'. Inizialmente vi erano sistemi come lo Shillelagh, missile supersonico usato da uno speciale cannone-lanciamissili. Esso era di 152 mm di calibro, non essendo lo Shillelagh abbastanza miniaturizzato. Nonostante esso non abbia mai funzionato correttamente, venne prodotto in 88.000 esemplari per il solo US Army. L'affidabilità era solo uno dei problemi, un altro era il costo del sistema di guida del carro e il costo del missile di per sé, oltre 15 volte quello di una granata da 105 mm standard. Questo poteva essere giustificato per colpire un carro armato, non certo un altro obiettivo, ma il numero molto elevato di Shillelagh prodotti comportò un costo equivalente ad oltre 1 milione di proiettili da carro armato. Un altro problema riguardava la bocca da fuoco, dotata di una gittata utile controcarro talmente ridotta causa la bassa velocità iniziale, che era al di sotto di quella minima dello Shillelagh (circa 800 m). La gittata minima, molto consistente (500 m o più) dei primi missili controcarro era un altro problema che i cannoni non avevano. Le generazioni successive di missili controcarro hanno parzialmente rimediato a questo punto, ma mai completamente, tanto che i primi Hellfire avevano una portata minima di 1,5 km. Per questa ragione il BMP-1 ha avuto il cannone a bassa velocità da 73mm, un'arma da appena 110kg che serviva per colmare il 'gap' del missile Sagger, anche perché in Europa i campi di tiro lunghi erano e sono una rarità, spesso sotto i 1000 m. I BMP-2 hanno risolto il problema della gittata minima con i missili AT-5, e il cannone poté così ridursi al 30 mm. ad alta pressione (pesante quanto il 73mm a bassa).

Dopo il sostanziale fallimento dei missili Shillelagh e del corrispettivo francese ACRA da 142 mm -nemmeno entrato in servizio- in Occidente si è preferito migliorare i cannoni per ottenere la massima precisione, mentre in URSS si è rinunciato ad avere sistemi di controllo del tiro così sofisticati e costosi e si è pensato a missili controcarro, stavolta abbastanza piccoli da essere sparati dai cannoni ad alta velocità di carri 'normali'. Gli Israeliani hanno poi seguito questa strada con i missili LAHAT per cannoni da 120 mm. Questi recenti sviluppi hanno costituito un nuovo corso degli eventi, una integrazione strettissima tra missili e cannoni senza quasi compromessi.

A dire il vero, il costo di questi speciali missili non è irrilevante, e per questo i Peruviani hanno aggiornato i loro T-55 con rampe di lancio per i vecchi AT-3 Sagger sistemate ai lati della torretta, riprendendo una vecchia idea degli anni '60, tipica di mezzi come i carri leggeri AMX-13.

In sostanza, i cannoni controcarro sono quasi usciti di scena, sostituiti dai missili della fanteria e dai cannoni dei mezzi corazzati. Nondimeno, sebbene superati i cannoni S.R. e controcarro sono ancora, potenzialmente, efficaci sistemi controcarro nonché economici sistemi di supporto di fuoco, anche se pesanti e meno efficienti dei missili. Questo anche perché i proiettili sono molto meno costosi dei missili: nel caso delle armi contraerei, per esempio, la Bofors stima (pur producendo anche missili) che un SAM costi quanto 25 raffiche di cannone. Se quest'ultimo ha un sistema di controllo del tiro all'altezza, i risultati sono tutt'altro che trascurabili (anche se, eccetto i CIWS navali, è difficile trovare sistemi d'artiglieria realmente moderni: il più delle volte si limitano al tiro di sbarramento, vedi Baghdad nel 1991). Nel caso dei cannoni c.c., la precisione balistica contro un carro è invece tale che, anche con un sistema di controllo del tiro semplice (essenzialmente, bisogna conoscere la distanza di tiro giusta, e non sempre visto che gli ingaggi possono capitare anche entro 'l'alzo di combattimento': per esempio, a tiro teso è possibile sparare, con i cannoni ad alta velocità, fino ad oltre 1 km facendo praticamente sempre centro), è possibile ottenere risultati, con un costo ben inferiore a quello dei missili (vedi il discorso Shillelagh). A tutt'oggi migliaia di cannoni di questo tipo sono utilizzati nel mondo, spesso di costruzione recente o aggiornati, mentre recentemente sono state proposte armi come lo Sprut-S da 125 mm, armato anche di missili AT-11 Sniper controcarro e controelicotteri, nonché con sistemi di visione notturna e computer di tiro digitale.

Cannoni vs corazze: esempi pratici[modifica]

Per capire come i risultati, qualunque tipo d'arma si possa concepire, siano difficili da prevedere nella realtà, basti citare a questo proposito qualche esempio storico, di quelli che sono ben noti nei loro particolari. La cosa è particolarmente interessante perché aiuta a capire quello che succede nei campi di battaglia reali, e che nessun videogioco potrà valutare appieno.

Ecco quello che successe, per esempio, a Battaglia di Bir el Gobi, ovvero Pozzo della Vergine, il 19 novembre 1941. Come il successivo fatto d'arme a Bir Hakeim, altro punto della carta geografica molto vicino al nulla; questo desolato luogo fu teatro di un grande scontro tra mezzi corazzati, e in particolare fu la prima grande battaglia dell'Ariete. Qui gli italiani e gli inglesi si inflissero reciproche perdite, molto pesanti; ma alla fine furono gli inglesi a doversi ritirare perché gli italiani, di pochissimo, ma erano arrivati per primi e occupavano il territorio conteso. In sostanza, Rommel, nella previsione della sua avanzata verso Tobruk, aveva mandato in zona la 132° Divisione corazzata italiana, forte del 132° rgt carri sui battaglioni VII, VIII e IX; sul 32° rgt carri (che all'epoca erano ancora gli inutili L3), su I, II e III btg; sull'VIII rgt Bersaglieri s V, XII e III armid'accompagnamento, e sul 132 rgt (chissà quale confusione..) artiglieria su I e II gruppo da 75/27 mm e la I batteria e sezione B della Milmart, oltre ovviamente ai servizi. Il tutto venne organizzato, dal gen. Balotta (che per la prima volta avrebbe fatto combattere tutte le unità dell'Ariete insieme), erano 14 caposaldi presidiati dai Bersaglieri, con cannoni da 47 e mortai da 81 mm, dietro questi le artiglierie divisionali da 75 (a cui erano giunti da poco 200 proiettili EP, Effetto Pronto, ovvero HEAT). I cannoni della Milmart erano dietro ancora, al centro dello schieramento, e infine c'erano i carri armati. Il morale era ottimo nonostante le piogge abbondanti, che avevano se non altro ridotto il caldo del deserto.

Questa fu un'azione in cui i cannoni riuscirono a fissare un nemico mobile, che non era riuscito a prendere possesso per primo del territorio. Gli inglesi, che con la loro offensiva 'Crusader' per liberare Tobruk attaccarono iniziando proprio da questa parte, ma solo il 18 novembre, portarono all'attacco la 22nd Brigade con circa 150 carri Crusader nuovi di zecca. Mezzi molto apprezzati dagli Italiani, anche se in realtà non molto armati, protetti e, siccome poco affidabili, non così eccellenti nemmeno come mobilità. Nondimeno erano veicoli più avanzati di quelli italiani, ma se si riusciva a bloccarne la mobilità allora perdevano gran parte del valore. Per una battaglia frontale forse sarebbero stati meglio i Matilda e i Valentine, ma erano lenti e non era facile farli arrivare in tempo utile da qualche parte. Ma la 22nd Brigate era solo una parte della 7a Armoured Division (l'altra unità principale era la 7a). Soprattutto, nonostante ben 3 reggimenti carri, aveva solo una sezione controcarri da 40 mm, una batteria con 8 '25 libbre', e una compagnia di fucilieri, nonché una batteria di contraerea leggera.Come si vede, un'unità tutt'altro che equilibrata, un 'quasi tutto carri'. In ogni caso, la battaglia iniziò, dopo qualche scaramuccia, la mattina dopo. Così gli inglesi sapevano della presenza in zona dell'Ariete, ma credevano che si trattasse solo di un piccolo avamposto, con qualche carro e alcuni veicoli. Un primo scontro campale tra i Crusader e gli M della 3a cp., dei quali furono distrutti 3 carri e altri danneggiati sui 14 in tutto, costretti in quest'azione in campo aperto a ripiegare, dopo l'attacco dei mezzi inglesi. Poi, in seguito, altri 4 carri vennero distrutti, sorpresi in movimento mentre tentavano di supportare i bersaglieri, vennero sorpresi e distrutti. Ma i Bersaglieri e gli artiglieri, sparando da buche ad alzo zero, profondamente interrati, erano pressoché invisibili ai carristi inglesi che gli capitarono praticamente sopra senza accorgersene: mitragliere da 20, cannoni da 47 e da 75 colpirono duramente i primi che si fecero sotto, ignari di tutto, i Crusader del 2nd Regiment. Del resto le autoblindo inglesi in avanscoperta erano state più volte costrette a ripiegare e la ricognizione aerea non riuscì parimenti a capire dove fosse l'Ariete di preciso, pensandola km distante dalla posizione di Bir El Gobi. Dopo avere messo in crisi i bersaglieri con l'offensiva, iniziata verso le 10.30 del 19 novembre, i carri inglesi potevano travolgere le postazioni. Non c'erano riusciti fin'allora soprattutto per la sorpresa tattica e ancora di più, per la presenza dei cannoni da 102 della Milmart, che riuscirono a causare gravi danni agli attaccanti. A quel punto vennero lanciati 2 dei 3 battaglioni carri italiani sugli M13 (il terzo per riserva). Non erano più di una sessantina, ma il polverone e il fuoco dei cannoni da terra fecero credere agli inglesi che avessero a che fare con molti più mezzi. Vi furono due ore e mezzo di battaglia, tra esplosioni e folate di ghibli (che era particolarmente efficace nel nascondere la superficie del terreno, facendo il gioco degli artiglieri e bersaglieri), fino a che gli inglesi (almeno uno dei loro carri continuò a muoversi su di un solo cingolo, sparando all'impazzata) si ritirarono.

Alla fine, la carica degli ignari carristi inglesi fu del tutto futile. Non ebbero supporto da parte dell'aviazione; non ne ebbero soprattutto da parte della scarsissima artiglieria e della ancor più scarsa fanteria: la prima sparò per un certo periodo di tempo, la seconda praticamente non si mosse e non occupò le posizioni che i carri cominciavano a far arrendere, tanto che gli italiani poterono ritornare ai loro cannoni e sparare di nuovo contro gli inglesi. La mancanza di proiettili HE a bordo dei mezzi inglesi non aiutava certo a far fuori le posizioni italiane. Alcuni mezzi erano davvero danneggiati, da entrambe le parti: un carro inglese tornò con tutto l'equipaggio della torretta ucciso; ma il pilota portò il veicolo fuori dall'azione con il suo carico di caduti. I cannoni erano per lo più di piccolo calibro e così spesso erano necessari molti colpi per riuscire a mettere KO un carro, anche se se ne potevano perforare le corazze. Alla fine, vennero persi 30 carri dal solo 2° Reggimento con 11 morti, 19 feriti e 20 prigionieri; il 4° aveva perso 8 carri, con 22 prigionieri e 4 morti, non è chiaro il numero dei feriti; il 3° aveva avuto invece 4 carri distrutti o gravemente danneggiati, 6 morti e alcuni feriti. In tutto, quindi, sarebbero stati 42 i carri armati Crusader perduti. La forza del reggimento, a causa di queste perdite, dei carri che riuscirono a rientrare nelle loro linee anche se danneggiati, e di quelli vittime di guasti, praticamente si dimezzò. L'Ariete ebbe 34 carri fuori uso, 5 ufficiali e 11 truppe uccisi, più 50 feriti e 66 dispersi (prigionieri). L'8° Bersaglieri ebbe 9 morti, 18 feriti e 7 prigionieri, il 132° artiglieria solo 6 feriti, un cannone distrutto e 3 veicoli colpiti. Gli italiani dichiararono in tutto 40-50 carri colpiti e un centinaio di prigionieri, gli inglesi dichiararono 45 carri (non bisogna dimenticare che queste cifre sono parziali: per esempio c'erano anche alcuni carri L coinvolti nella battaglia, tanto che diversi vennero distrutti).

In tutto quindi, perdite comparabili anche in termini di numeri, peraltro incredibilmente bassi dato che per ore due grandi unità s'erano scontrate con centinaia di armi sparanti per ogni dove: gli italiani ebbero almeno 25 morti, 74 feriti e 73 prigionieri o dispersi; gli inglesi 21 morti, decine di feriti e 42 prigionieri.

L'azione inglese era stata scollegata soprattutto per la volontà del Gen Gott, che aveva ritenuto di prendere con poco sforzo l'obiettivo non immaginando certo che ci fosse un'intera divisione corazzata al suo interno, disperdendo le unità corazzate disponibili. Inoltre la sua brigata 'tutto-carri' non era certo l'ideale, visto che mancava un'apprezzabile quantità d'artiglieria e di fanteria a sostegno. A questo proposito, gli italiani realizzarono alcune opere difensive, ma in nessun caso pare vi fossero mine. Piuttosto, vennero trovate dagli inglesi strisce di sabbia rimossa e impastata con olio, che servivano da 'trappola' per i carri armati. Quanto alle artiglierie, pare che fossero, da parte italiana, per lo più i pezzi Mod 06, tutt'altro che adatti al ruolo controcari essendo a coda unica e con brandeggio di appena 7 gradi senza spostare l'affusto: la richiesta, non esaudita se non in parte, era per i Mod. 11, con doppia coda divaricabile, e seppur con le stesse prestazioni balistiche, un angolo di tiro di 54 gradi, ben più adatto per la lotta contro bersagli mobili.


Gli Inglesi persero di misura, per alcuni motivi: uno, non credevano che gli italiani portassero là tutta l'Ariete, per cui le loro forze erano sì potenti, ma non così preponderanti da sopraffare una divisione corazzata attestata a difesa; poi c'erano delle piogge molto pesanti che avevano reso la sabbia un pantano: altri carri sarebbero forse stati bloccati, ma non i Crusader, però se questo serviva a ridurne la velocità, allora sarebbe stato un problema per gli inglesi e un vantaggio per i cannonieri italiani. Inoltre, le perdite furono pesanti da entrambe le parti. Gli inglesi vinsero una prima battaglia di movimento in cui 3 carri italiani vennero messi KO. Poi però si scontrarono con uno schieramento di artiglierie di decine di pezzi, certamente con loro grande sorpresa dato che non si aspettavano forze nemiche in zona. Dopo che, tra una perdita e un'altra, stavano avvolgendo lo schieramento delle artiglierie, i carri M entrarono in azione, per un totale di un centinaio di mezzi, e li contrastarono. Ce n'era abbastanza per gettare la spugna e gli inglesi così fecero. Le perdite furono comparabili, e negli scontri in movimento vinsero quasi sempre gli inglesi. Questo può solo far immaginare cosa sarebbe successo se fossero arrivati per primi loro in zona, e gli italiani avessero dovuto attaccare. Ma l'ordine di Rommel arrivò prima dell'offensiva inglese e la 'patta' fu a vantaggio italiano. Le perdite umane, per quanto dolorose, furono sorprendentemente poche dopo ore di battaglia; evidentemente i reparti corazzati garantivano una protezione ben maggiore per i loro soldati, specie se si ricorda il massacro degli artiglieri indiani. Nondimeno, gli artiglieri francesi se la cavarono meglio di tutti e quindi anche qui è una questione molto relativa tra chi e come ingaggia battaglia. Gli Inglesi per esempio non ebbero un appoggio efficace delle loro artiglierie durante la battaglia di Bir El Gobi; gli italiani invece poterono contare sia sui cannoni dell'Ariete, sia su quelli mandati in rinforzo. In particolare sui 3 autocannoni da 102 mm della Milmart di cui sopra, lenti e vulnerabili, ma capaci di eseguire un efficace tiro contraerei con armi vecchie ma potenti; visto che gli artiglieri erano addestrati al tiro contraerei, colpire carri armati, anche se da un km di distanza, era per loro facile e così dichiararono 15 bersagli distrutti durante la battaglia, dimostrandosi certamente i migliori distruttori italiani (circa un terzo di tutte le perdite di corazzati inglesi furono rivendicate da loro).


Un altro esempio, sempre in Africa settentrionale,Bir Hakeim, il 27 maggio 1942. Allora l'Asse era in fase offensiva, e mirava a raggiungere Tobruk, come poi sarebbe accaduto. Ma prima doveva scontrarsi con le difese poste a Bir Hakeim, che è semplicemente un crocevia in mezzo al deserto, denonimato così per la forma del pendio che danno 3 cisterne interrate d'età romana, formanti due piccole alture. Per presidiare questo niente di sabbia vennero inviati i Francesi Liberi e in avanti a loro venne schierata la 3a Brigata indiana. Ma le cose andarono molto diversamente per queste due unità. Il comandante Koenig aveva avuto molto tempo per prepararsi allo scontro: tre mesi. E come il suo omonimo comandante della Base lunare Alfa, la sua posizione ebbe strutture ben interrate e con un minimo di esposizione all'esterno, per cui era difficile da rilevare dall'esterno. A maggior ragione se si considera che al di fuori del perimetro di 16 km, vi erano oltre 300.000 mine, quasi tutte controcarri, sia posate come campi minati a densità normale, che come 'marais', una specie di campo minato 'rarefatto'. 500 genieri ci avevano lavorato sodo (250 erano inglesi), e in tutto posarono presumibilmente ben oltre mille tonnellate di mine. A parte questo c'erano i cannoni, per lo più pezzi da 75 mm adattati al ruolo controcarri, ma anche armi da 47 mm sia francesi che italiane (preda di guerra). 300 fucili mitragliatori, 40 mortai da 81 mm e armi contraeree e d'artiglieria completavano il tutto, disperse in vari caposaldi. Così i 5.500 francesi erano ben armati ed equipaggiati per affrontare l'offensiva di Rommel. Sarebbero stati piegati alcuni giorni dopo, a forza di bombardamenti da parte della Luftwaffe, ma di questo non ci occupiamo qui.

Gli indiani invece, avevano una storia diversa. Originariamente unità di cavalleria montata, poi nel 1940 motorizzati, vennero sbaragliati nell'aprile del '41 dall'offensiva italo-tedesca. I superstiti vennero riuniti in seconda linea, e passò un altro anno prima che vennero mandati a combattere le forze dell'Asse. Nel frattempo la 3a Brigata venne trasformata in un'unità controcarri, unico esempio nelle forze del Commonwealth. Ebbe una dotazione complessiva di ben 24 ottimi obici da 88 mm e 72 cannoni da 40 mm. Già questo però dava l'idea di un problema: che era quello relativo ai pezzi controcarri. Prima che i 57 mm diventassero disponibili in quantità, i cannoni da 40 mm erano l'arma standard sia controcarri che per carri, degli inglesi. Erano armi potenti per il loro calibro, ma troppo ingombranti nel loro affusto trainato (anzi, praticamente intrainabile data la delicatezza), e vennero volentieri usate, ma non sempre, sul pianale di autocarri. Per aiutare le armi controcarri c'era bisogno di un cannone più potente e venne trovato, provvisoriamente, nel pezzo da 88 mm britannico. Questo però sguarnì le unità d'artiglieria che ne risultarono molto indebolite. Solo da El Alamein in poi le cose tornarono al loro posto e l'artiglieria britannica riprese a fare il suo mestiere, che non era certo quello di cacciare i carri in prima linea. Ma con una perforazione di 53 mm contro 40 mm a 900 m e 30 gradi d'inclinazione, il pezzo da 88 era certamente un'arma superiore rispetto al 40 mm (anche per gli effetti.. ben più decisivi sul bersaglio: non era solo un buco ricavato nella corazza, erano colpi devastanti).

I dati sulla perforazione di corazze erano:

  • pezzo da 40 mm, a 30°: 47 mm a 455 m (o 53 mm ad angolo 0) e 37 mm a 910 m. Perforazione carro M13: scafo 728 m, torretta 546 m
  • cannone italiano da 47: 43 mm a 500 m angolo 0 gradi
  • cannone francese da 47/50 mm Mod. 37, a 30°: 57 mm a 100 m, 50 mm a 500 m, 42 mm a 1.000 m
  • Mod.1897, a 30°: 50 mm a 400 m
  • 25 libbre: 55 mm a 910 m, a 30°
  • Mitragliatrice Breda da 8 mm: 11,5 mm a 80 m, 9,5 mm a 250 m, 5 mm a 1.000 m. Perforazione dello scudo pressoché verticale, del 2 libbre/40 mm inglese, spesso 7,9 mm: 250 m (contro i 500-750 di gittata utile dello stesso).


In ogni caso, gli Indiani arrivarono in zona nel pomeriggio del 25 maggio. Non tutti: solo 30 dei 72 cannoni erano riusciti a seguire le avanguardie. Piazzole di tiro vennero approntate per i cannoni ritardatari, ma questi non arrivarono mai. Anche con il rinforzo di 6 cannoni Bofors da 40 mm, automatici (ma avranno avuto i proiettili perforanti?), la Brigata era indebolita e non ebbe il tempo di approntare delle difese adeguate. C'erano delle mine, ma non ci fu il tempo di stenderle sul territorio circostante i cannoni.

Gli Italiani dell'Ariete erano a pieni organici, con oltre 160 carri M13 e 16 (+4 carri comando) semoventi da 75 mm. Quando investirono con la maggior parte delle loro forze gli indiani, questi combatterono ferocemente, ma vennero sopraffatti dalla marea di carri italiani. Questi ultimi avevano a loro volta un problema: i pezzi da 47 mm avevano un'ottima granata HE ma per l'occasione, nonostante i numerosi colpi stivabili a bordo, c'erano solo proiettili perforanti. Per fortuna esistevano i cannoni d'assalto M40 con il pezzo da 75 mm: concepiti come artiglierie divisionali semoventi, in pratica in questo ruolo erano piuttosto deboli e piuttosto vennero usati come cannoni d'assalto e controcarri, in prima linea. Questo anche perché avevano corazze da 50 mm frontali, al nickel-cromo, ben superiori a quelle dei carri armati M, spesso fatte in leghe speciali al silicio-manganese e vulnerabili ad oltre 500 m contro i cannoni da 40 mm per la torretta, 700 m per lo scafo. Invece i cannoni d'assalto erano stati pensati, nonostante il ruolo di artiglieria divisionale, per resistere a questi cannoni. Da notare che mentre i carristi italiani morivano a centinaia nel deserto, con veicoli scadenti e di costruzione autarchica, le tre Littorio italiane avevano ciascuna 14.000 t di corazza fatta con le migliori materie prime disponibili. Ciascuna di queste era più che sufficiente per fornire corazze d'alta qualità a tutti i carri italiani: ma mentre le corazzate passarono la guerra quasi inattive, i carristi dovettero arrangiarsi con i sacchetti di sabbia sistemati alla bell'e meglio sul davanti dei loro carri. Davvero un uso non del tutto razionale di risorse, con le corazzate notevolmente costose e altrettanto inutili per la guerra moderna, che ne avevano beneficiato con precedenza sui carri armati.

Tornando al combattimento, gli italiani attaccarono di mattina presto e dopo 90 minuti travolsero gli Indiani, che tuttavia riuscirono a sganciarsi in parte, e a salvare la maggior parte delle artiglierie da 88 nonché i 6 Bofors. In tutto ebbero 211 morti, di cui 11 ufficiali, e circa 1.000 prigionieri. Gli italiani ebbero una trentina di vittime, 40 feriti e 23 carri KO. Anche se restarono padroni del campo di battaglia, 15 carri erano oramai irrecuperabilmente distrutti, per lo più dai colpi da 88 mm (i cannoni erano noti come '25 libbre', che la dice lunga sull'effetto se comparato ai 40 mm o 'due libbre', dal peso dei proiettili).

Ma il comandante del Reggimento carri dell'Ariete, il t.col. Maretti, andò in perlustrazione nelle prime linee, in motocicletta per rendersi conto della situazione. Incontrò un prigioniero indiano che si stava dirigendo verso le linee italiane senza scorta: il prigioniero lo colpì e lo ferì, lasciando i carri senza comandante. I bersaglieri furono piuttosto lenti rispetto ai carristi e si verificò persino che alcuni indiani ritornarono ai cannoni abbandonati e spararono sui carri italiani, che da soli non potevano controllare il territorio e i prigionieri.

Ma nel frattempo i francesi cominciarono a sparare addosso agli italiani con le artiglierie. Nella 'fog of war' che si generò, senza più comando, prese le redini un ufficiale, Prestipino, che proveniva dalla Guardia di Frontiera e aveva fatto solo qualche mese di addestramento sui carri a Bracciano. Con una sessantina di mezzi andò all'attacco delle postazioni francesi. Si ritrovò il carro armato due volte KO per le mine, e mentre continuava ad attaccare ('testa bassa e avanti' ordinò) prese una cannonata che fermò anche il terzo carro. Stavolta venne ferito anche lui e catturato dai francesi. Altri reparti di carri, più esperti, cercarono una via adatta nei campi minati francesi ma non la trovarono. Se non altro non subirono che minime perdite tenendosi alla larga dalla zona di maggior pericolo.

L'artiglieria italiana nell'occasione (dopo che i semoventi erano stati determinanti nel distruggere le postazioni indiane) non fece molto. I cannonieri francesi sì e uno di questi, di un caposaldo al centro dei combattimenti ebbe accreditati 5 carri e vari altri mezzi. Alla fine dei 60 carri attaccanti 31 (17 per le mine) rimasero sul terreno. I francesi fecero molti prigionieri e dopo che l'Ariete si ritirò, oltre ai carri dovette contare circa 100 perdite tra morti, feriti e prigionieri. Gli indiani avevano combattuto duramente facendo da flangiflutti e slegando l'azione degli italiani, ma alla fine ebbero perdite enormi, anche come caduti. I francesi, invece, ebbero un singolo ferito e un cannone distrutto, contro la decimazione di buona parte dell'Ariete. Questo tanto per dire come gli esiti possano mutare: nella stessa mattina l'Ariete passò da un livello di perdite a suo favore di 7:1 considerando solo i morti, a uno sfavorevole di 100:1 tutto compreso; oltre a perdere 53 carri armati, la maggior parte in maniera irrimediabile.

L'aviazione non fece molto nella circostanza: 4 P-40 mitragliarono gli italiani, ma il maggior risultato che fecero fu colpire la tenda ospedale uccidendo il chirurgo e un infermiere.

Questo tanto per dire come le cose siano difficili da prevedere, e a maggior ragione se c'è un'azione slegata delle varie Armi.


Un altro esempio di come i carri possono cadere vittime dei cannoni controcarri è stato Serafimovich, in Russia, nel tardo luglio del '42. In quell'occasione i Sovietici lanciarono all'attacco numerosi carri armati, ma gli artiglieri italiani del 120° riuscirono a non cedere al panico (che spesso in Spagna si era verificato) e a reagire, sparando granate perforanti, HE ed HEAT contro i corazzati nemici. Questi ultimi erano di due tipi: i carri leggeri, che erano ancora i veloci ma poco protetti BT, e i nuovi T-34, loro discendenti. Alla fine quasi tutti i carri armati vennero messi KO o distrutti, ma le ondulazioni del terreno e l'erba nascondevano spesso i mezzi fino a quando non finivano quasi addosso ai cannoni. I BT si dimostrarono vulnerabili ai pezzi di medio calibro, ma resistenti anche a bruciapelo alle mitragliere da 20 mm. I cannoni usati dagli italiani erano una collezione impressionante (c'era anche un pezzo da 76 sovietico), e i risultati furono molto vari: mitragliere da 20 mm, vecchi cannoni da 75 mm, i nuovi pezzi da 75/34 mm, cannoni sovietici catturati, artiglierie da 100 e 105 mm etc. La battaglia vide confermate molte cose: per esempio gli artiglieri si dimostrarono ben disciplinati e capaci di riconoscere i tipi di carri nemici, dedicando le granate HE a quelli leggeri e quelle perforanti o HEAT (queste ultime appena consegnate, e sparate in circa 200 pezzi) ai carri armati medi. I carristi sovietici dal canto loro dimostrarono una notevole aggressività e coraggio. Spesso arrivavano talmente vicini, che letteralmente schiacciavano i cannoni controcarri italiani passandogli sopra con tutta la loro massa. Ma oltre a non essere numerosi in toto, attaccarono troppo isolati e scoordinati, così che non riuscirono a sfondare: ogni volta un numero tra uno e 4 carri si faceva sotto, e venivano presi sotto tiro da parte di numerosi cannoni schierati a difesa. I T-34 si dimostrarono molto tenaci: per averne ragione bisognò centrarli in punti deboli e non a grande distanza: la protezione frontale era quasi sempre capace di fermare i proiettili o minimizzarne l'effetto. Ma attaccavano senza sostegno dell'artiglieria e dell'aviazione; non avevano fanteria anche perché i bersaglieri sparavano sui fanti appollaiati sopra i mezzi costringendoli a saltare giù dai veicoli e quindi separandoli dai loro carri; e soprattutto non avevano apparentemente radio funzionanti. Avessero potuto coordinare l'attacco, lanciare anche solo una dozzina di mezzi in una sola carica, avrebbero travolto quasi per certo le linee italiane (specialmente vero in certi momenti e settori della battaglia). Anche così distrussero gran parte dei cannoni di alcune delle batterie italiane; ma un attacco isolato era troppo difficile e anche la forza bruta dei T-34 non bastava per resistere alle scariche di cannone che venivano sparate da intere batterie contro un singolo mezzo, trovando prima o poi il punto giusto per perforarne la corazzatura. In sostanza nessun attacco venne sferrato a livello superiore a quello di plotone, quando l'unità minima sarebbe stata con ogni evidenza la compagnia carri.

La descrizione della situazione è questa, in generale: la batteria da 75 mod.97/38 (ovvero i cannoni francesi di preda bellica da 75 mm trasformati in Pak, per lo più con granate HEAT capaci di perforare 75 mm ). Prima azione: 30 granate HEAT e 30 ordinarie, distruggendo 2 carri leggeri BT (o di altro tipo, non è sicuro che fossero per forza di questi modelli) con le HE, ingaggiati da 800 m, e un T-34 messo KO da una HEAT. Poi sono arrivati altri 3 carri, ingaggiati da appena 300 m con 20 HEAT: un T-34 venne messo KO colpito da parecchi colpi, dei quali solo due lo perforarono. Gli altri 2 si ritirarono, ingaggiati vanamente da 600 m con altre 10 granate HEAT. Ritornarono dopo circa mezz'ora, ingaggiati da alcuni colpi e respinti. Dopo poco tempo uno ritornò in azione, apparendo tra l'erba, e venne messo KO da appena 8 metri di distanza, con una delle 10 granate che colpì la torretta e uccise l'equipaggio del veicolo. Il secondo T-34 ritornò all'attacco da solo, e venne colpito da una HEAT delle 8 sparate, oltre che da un colpo perforante dei cannoni da 75/32 mm che si misero ad appoggiare la batteria controcarri. Il secondo giorno di offensiva (31 luglio) questa batteria ingagguò, verso le 13, dei carri T-34 che procedevano ad alta velocità da circa 600 m. Uno venne colpio in pieno e messo KO da una delle 15 granate HEAT, sul lato della torretta. Un altro venne colpito poi da una delle 14 granate HEAT, mentre altri due carri leggeri vennero messi KO da una ventina di HE. In tutto vennero accreditati a questa batteria 6 T-34 e 4 carri leggeri nei due giorni di combattimento. Il gruppo da 75/27 mm era schierato, il 30 luglio, ben più avanti delle altre artiglierie. Venne sorpreso da un gruppo di 4 carri leggeri che schiacciò 3 cannoni di una batteria e 2 di un'altra. Fu un'azione in cui i mezzi sovietici vennero distrutti dai cannoni superstiti, usando granate Mod. 32 senza innesco a mò di semi-perforanti. Ma differentemente dai cannoni da 75 della batteria controcarri, in questo caso i proiettili da 75 non avevano effetto sulla corazza anteriore nemmeno da 10 m: solo sui cingoli o sui lati entro i 100 m potevano essere efficaci, magari esplodendo e 'aprendo la corazza' per circa 20 cm dopo la penetrazione. Dopo due ore circa (alle 16) altri due carri leggeri irruppero nello schieramento d'artiglierie distruggendo altri due pezzi e venendo distrutti dai pochi cannoni superstiti. Dopo che uno di quelli distrutti venne rimesso in sesto durante la notte, i sei cannoni rimasti (quindi in tutto erano dodici, 4 per ciascuna batteria) affrontarono, verso le 13.30, 4 altri carri, che sbucarono da appena 150 m e stavolta c'erano anche 2 T-34. Distrussero ben 4 dei cannoni superstiti, poi proseguirono oltre e incendiarono 6 autocarri e 7 trattori d'artiglieria. I due cannoni rimasti spararono all'impazzata anche da 10 metri, e immobilizzarono ancora una volta i due carri leggeri, nonché uno dei T-34. In tutto vennero persi 10 cannoni contro 9 carri.

Il gruppo da 100 mm tentò l'ingaggio da 700-1000 m ma senza colpi a segno. Quello da 75/32 mm riuscì a perforare alcuni mezzi ma solo entro i 200-300 m, con proiettili perforanti. Non è chiaro quanti vennero colpiti. Un cannone da 105 mm colpì ai cingoli un T-34 immobilizzandolo, ma un secondo colpo a segno sulla parte superiore non ebbe nessun effetto. Le famose mitragliere Breda da 20 mm, con colpi semiperforanti si sono dimostrate poco efficaci contro i carri leggeri, nulle contro i T-34. Due carri leggeri hanno schiacciato altrettante mitragliere da 20 nonostante il tiro effettuato fino a 10 m di distanza.

Alla fine della sola giornata del 30, i sovietici persero 14 carri dei 39 impiegati. La divisione celere italiana aveva perso 13 caduti, 54 feriti, un disperso, ma soprattutto 10 cannoni da 75, 2 mitragliere da 20, 13 autocarri e 7 trattori. Alla battaglia parteciparono anche i tedeschi. In tutto, i combattimenti durarono fino al 14 agosto nell'ansa del Don. Ma Serafimovich, attaccata dagli italo-tedeschi e occupata entro l'inizio di agosto dopo due giorni di contrattacchi sovietici appoggiati da carri armati. In tutto i sovietici persero 47 carri e 2 blindo, e altri 12 gettati nel Don per evitarne la cattura. Gli Italiani eliminarono 31 carri e 2 blindo, in alcuni casi con bottiglie molotov da parte dei bersaglieri ma per lo più con i cannoni delle batterie del 120°.

L'addestramento era stato fatto con dovizia di sforzi per rendere le batterie adatte alla battaglia contro i carri sovietici. Un BT-7 impantanato venne recuperato e sottoposto alla prova contro le sue corazze laterali da 15 mm. I proiettili da 8 mm sparati da una Fiat Mod.35, senza risultati apprezzabili; semiperforanti da 20 mm, che resero possibile la perforazione della torretta e scafo nettamente ma a soli 150 m (in pratica, almeno la parte anteriore era invulnerabile: forse avrebbe avuto la peggio contro proiettili perforanti 'puri', ma non c'erano). Cannone da 47/32 mm, con perforazione netta dello scafo e danni sul lato opposto, sempre da 150 m; proiettili da 75/27 spolettati, senza effetto, e senza spoletta, sfondando lo scafo da 150 m almeno; cannoni da 100/17 mm, da 450 mm, con granate spolettate, perforando torre e scafo; molotov, senza provocare incendi, 6 bombe a mano insieme, spezzando i cingoli e sfondando il tetto dello scafo; 2 bombe legate attorno al cannone, ovalizzandone leggeremente la canna.

Tra i tanti altri fatti d'arme non può mancare Medenine della primavera '43: il 6 marzo Rommel attaccò con oltre 150 carri armati e i panzergranatiere le linee inglesi, ma non si rese conto che gli inglesi avevano schierato un gran numero di cannoni controcarri, per lo più da 57 mm, ma anche vecchi 40 mm (sempre meglio di niente) e soprattutto alcuni dei nuovi e segretissimi pezzi da 76 mm. L'effetto, nonostante che i tedeschi schierassero alcuni Tiger, fu devastante e alla fine della giornata Rommel dovette ammettere la sconfitta: si ritirò lasciando 53 carri e centinaia di morti sul campo di battaglia.

Il problema della perforazione delle corazze: le innumerevoli variabili e soluzioni[modifica]

Ma poi c'è un problema da affrontare, un nodo importante: che si intende per 'perforare una corazza'? Non è facile come sembra.

Poniamo che troviate scritto il dato: perforazione: 100 mm d'acciaio a 1000 m. Ok. Ma questo non spiega tutto. Anzitutto, in che condizioni avviene? Della distanza si sa, ma in concreto, delle condizioni in cui i 100 mm vengono perforati si conosce tutto? Se la corazza è verticale, un monoblocco di acciaio omogeneo è un conto: ma se si tratta di una corazza inclinata e-o laminata, spaziata, o di altri tipi ancora, che magari hanno una resistenza equivalente o una massa equivalente a 100 mm d'acciaio, allora è tutt'altra storia.

L'acciaio di per sé è importante: tanto più è duro, tanto meglio è, ma attenzione perché se cede tende a frantumarsi. In ogni caso, l'acciaio al nichel-cromo è molto meglio di quello al manganese, che in genere, per le sue caratteristiche, è piuttosto usato per i cingoli dei carri armati piuttosto che per le corazze. La durezza delle corazze della II GM arrivava in genere attorno ai 200 Brinnell, oggi si superano agevolmente i 400, per esempio. Le stesse munizioni sono meno efficaci e perforano meno contro i bersagli moderni, insomma.

Poi c'è la struttura: corazza omogenea o corazza laminata non sono affatto la stessa cosa: soprattutto se le corazze laminate sono fatte di tante piastre tutte superficialmente indurite, e magari con caratteristiche meccaniche diverse. Per esempio, i carri inglesi del tipo A10 avevano ottime corazze, eppure erano spesse solo 30 mm. In pratica, c'era una doppia corazzatura, con due piastre ciascuna indurita superficialmente e così lo spessore ha poco a che fare verso la resistenza. Le piastre di corazza sono più facili da 'indurire' superficialmente che in profondità. E sono tanto più facili da indurire se non sono molto spesse. Se anziché 100 mm d'acciaio omogeneo vi sono 2 piastre da 50 mm, non è la stessa cosa (=maggiore resistenza). Naturalmente costa di più, ma se per esempio in quei 100 mm vi sono 5 piastre da 20 mm, la resistenza è decisamente superiore. Proprio la corazzatura superficialmente indurita ha portato a realizzare proiettili chiamati APC, Armoured Piercing, Capped: significa che al corpo del proiettile perforante 'normale' si aggiungeva un cappuccio di materiale relativamente friabile: questo si frantumava all'impatto, ma intanto danneggiava la pelle della corazzatura e consentiva di far passare il nucleo perforante.

Questo effetto era già noto con le corazzate, che di fatto (vedi anche le torrette) hanno anticipato la tecnologia dei carri. Ma per i reparti terrestri le cose sono arrivate solo dopo a quest'evoluzione. Spesso i cannoni da 40 mm inglesi non riuscivano a perforare le corazze da 30 mm dei Panzer III tedeschi: questo perché, nonostante avessero una capacità perforante più che sufficiente in teoria, le corazze indurite causavano la frantumazione delle munizioni disgregandone il nucleo in acciaio o tungsteno, annullando le capacità perforanti. Le lamiere saldate vennero rapidamente trovate come le migliori per realizzare armature ad alta resistenza, mentre meno soddisfazione diedero quelle fuse, che tra l'altro erano più difficili da realizzare per lo scafo (alla fine l'optimum fu: corazza di fusione monoblocco per la torretta e saldata per lo scafo). Solo con la piena comprensione di questo fatto vennero costruiti gli APC. Ma siccome questi erano aerodinamicamente molto meno efficienti, nei tiri a lungo raggio tendevano ad essere meno efficienti e meno precisi degli APC. La soluzione furono i più efficienti APCBC, con una forma più allungata, simile a quella degli originali APC se non migliore.

Ma i proiettili perforanti monoblocco non erano l'optimum per garantire la perforazione delle corazze: c'era la necessità di applicare la maggior pressione possibile nel più piccolo spazio possibile: così vennero ideati vari tipi di munizioni che rivoluzionavano la tecnologia della lotta controcarri. Una fu la munizione APCR, e la simile HVAP: si tratta di una munizione con un nucleo molto pesante in tungsteno, rivestita da un involucro in alluminio: il tutto pesava meno del colpo a pieno calibro in acciaio, per cui a parità di carica (quando non era anche superiore), superava la velocità del tipo precedente, passando per esempio da 6 kg/700 ms a 3 kg/1000 ms. Così il proiettile perforava di più, e aveva una traiettoria più tesa: ma la resistenza aerodinamica era elevata con lo stesso calibro e metà peso, per cui la gittata utile era minore (sia pure con traiettoria tesa). Quando arrivava sul bersaglio l'involucro si fondeva e il nucleo penetrava nell'acciaio. Era meglio usare i proiettili decalibrati, che potevano essere sparati da cannoni di maggior calibro. Inizialmente si usarono cannoni con calibro decrescente, come fecero i tedeschi, ma questo proibiva l'uso di munizioni HE e soprattutto HEAT dato che il calibro dell'HEAT è fondamentale per le capacità di perforazione. Così vennero usati i cannoni normali, ma con i 'sabot' che adattavano il proiettile al cannone, per poi distaccarsi. Così può accadere che un proiettile del genere sia sparato con un'energia enorme. Dai primi proiettili di questo tipo, ideati dagli inglesi, il rapporto calibro-lunghezza della munizione è passato da 3:1 a 10:1, fino ad oltre 20:1 attuali. Facciamo l'esempio: un proiettile da 120 mm con proiettile moderno, a freccia balistica (per via delle alette poste in coda), è sparato da un cannone di questo calibro, che per aumentare ulteriormente la pressione d'esercizio (e quindi la capacità di perforazione) senza un cannone dalla canna molto lunga, ha assunto nuovamente la canna liscia come le artiglierie di 200 anni fa: la stabilità dei proiettili è stata assicurata dalle alette, che imprimono un moto rotatorio di stabilizzazione alla munizione anche senza la rigatura.

Un cannone da 120 mm spara munizioni da 4 kg a circa 1.600 ms, per un totale di diversi MJ di energia: eppure le munizioni moderne tendono ad essere di un calibro paragonabile a 20-30 mm: questo significa concentrare un'energia immane in un punto solo, che nessun proiettile da 20-30 mm potrebbe realizzare (arrivando a circa 200-300 kJ) pesando 100-300 gr con una velocità di circa 1000 ms. Per questo è possibile perforare anche 1 metro d'acciaio. Ma per riuscire nella perforazione è anche possibile sfruttare il principio HEAT, che consente di realizzare proiettili esplosivi (alle volte misti HE-HEAT) relativamente multiruolo, privi della necessità di essere sparati da armi di grande potenza (esistono persino bombe a mano HEAT..), e possono perforare diverse volte il calibro dell'ogiva: da circa 1-1,5 della II GM, a _7-8 volte adesso. Per giunta esistono persino testate in tandem per perforare forti spessori d'acciaio anche senza ogive molto grandi e pesanti (oltre che per affrontare corazze ERA). Il principio è simile ad una lente d'ingrandimento che concentri i raggi del sole, o alla fiamma di una candela (avete notato a che distanza è ancora in grado di bruciare ma solo se sull'asse longitudinale?), per cui praticando una cavità nell'esplosivo, e rinforzandola con un 'liner' di metallo (rame o addirittura uranio), da dissolvere dal 'fuoco' dell'esplosione e rendere un getto di particelle ad altissima energia, che esercitano anche oltre 1.000 t per cm2 di pressione. Un procedimento ancora più micidiale è la formazione, partendo dal suddetto piattello, di una vera e propria munizione perforante, si chiama 'proiettile autoforgiante' e viene sparato dalla carica cava come se fosse un cannone ad altissima velocità: è capace di perforare, pur essendo di materiale malleabile, diversi cm di acciaio e in genere viene usato per munizioni che esplodono sopra il tetto dei carri armati. Esiste poi anche la granata HESH o HEP, che ha un'ogiva a schiacciamento. Molto apprezzata dagli inglesi, trasmette un'onda d'urto che frantuma la faccia interna della corazza, staccando un 'discoide' che si proietta come schegge all'interno a circa 200 ms. I proiettili HE, con spoletta a scoppio ritardato, i semiperforanti o i proiettili HE senza spoletta sono tutti proiettili usati per compiti controcarri. Le granate HE da 88 mm erano più che sufficienti per distruggere i carri armati fino a diversi km di distanza, durante la II GM, e questo nonostante che non vi fossero certo i sistemi di telemetria moderni, con relativi computer e affini per la direzione del tiro.

Ma le corazze, soprattutto quelle frontali dei carri sono una notevole incognita, specie nei tempi moderni.

Torniamo alla piastra da 100 mm. Anche se fosse di tipo omogeneo, se fosse inclinata sarebbe pur sempre un problema per i proiettili perforanti. A 60 gradi lo spessore virtuale raddoppia e così diventa una piastra da 200 mm di spessore. Anche se serve una piastra parimenti maggiore come lunghezza (ovvero, se lo scafo del carro è di 1 m di altezza, che questo sia coperto da una piastra di 20 cm verticale o da una da 10 cm inclinata a 60 gradi non cambia nulla), di fatto le corazze inclinate sono state molto efficaci e apprezzate (dai tempi delle armature medioevali: basti vedere gli elmi, per farsene un'idea). C'é poi un altro discorso, quello sull'angolo limite oltre cui anche un sasso (e persino un proiettile) rimbalza sull'acqua. Molti proiettili perforanti di vecchio tipo ne soffrivano, ma soprattutto ne soffrivano i primi APDS decalibrati: se il pezzo inglese da 76 mm perforava 200 mm con questi, contro 130 con gli APBCB, a 60 gradi il vantaggio si riduceva a circa 70 contro 60 mm, per cui in realtà la riduzione era maggiore di due: anzi, nel caso dell'APDS era di circa 3:1. I proiettili moderni hanno meno problemi e sono più stabili, ma anche loro dovranno pur avere un angolo 'limite'. Inoltre le strutture tridimensionali hanno più assi: se la corazza fosse inclinata di 60 gradi e al contempo, si sparasse da 15 gradi sul lato della piastra, allora l'angolo composito sarebbe maggiore: e un proiettile capace di perforare corazze anche se inclinate di 60 gradi sarebbe respinto. Anche le ogive HEAT hanno problemi: quando esplodono non risentono dell'inclinazione se non nei termini geometrici, ma la spoletta può fallire l'innesco. Anche gli HESH si ritrovano più 'dispersi' da supefici inclinate.

Le corazze inclinate, insomma, possono fare brutti scherzi. Se sono monolitiche, però, sono ancora prevedibili nel loro comportamento. Ma se si tratta di corazze laminate il discorso cambia, come s'é visto. Se poi si tratta di corazze distanziate è ancora peggio. Un modo pratico per annullare le HESH? una corazza a 'doppia pelle' non consente la propagazione dell'onda d'urto fino a dentro il mezzo, in pratica annullandone l'effetto. Una corazza di questo tipo tende poi a negare (soprattutto con le vecchie ogive, ma molto meno con le nuove, che alle volte se ne possono persino avvantaggiare!) la distanza di scoppio ottimale (diversi calibri) alle ogive HEAT, che per questo sono provviste di vistose sonde per la spoletta e-o sono sistemate (nei missili) a metà dell'arma. Per l'RPG-7 con la granata originale, per esempio, spesso si dice che perforasse 320 mm d'acciaio, ma questo non risulta dai test fatti dagli americani sui sistemi catturati: i dati riguardano 220-330 mm con una media di circa 250-260 mm. Già questo fa capire l'aleatorietà delle prestazioni puramente teoriche. In ogni caso questa ogiva, per quanto primitiva, perforava a 60 mm dall'esplosione 150 mm d'acciaio, 100 mm a 90 cm, e ancora a 3,6 m la blindatura di un M113. Le corazze a intercapedine hanno anche la possibilità di dare un certo disturbo alle munizioni perforanti, ma meno che nei tipi esplosivi. Sono comode anche per ridurre i rumori interni e il calore o il freddo che vengono dall'esterno (in genere il secondo non è un problema dentro un mezzo corazzato).

Le corazze composite sono anche più difficili da valutare. I sovietici sono stati dei precursori in questo campo, ma quelle più note sono le 'Chobbam' inglesi. In pratica sono un sandwich di concezione segreta, fatto di piastre ceramiche, kevlar, spazi vuoti etc. tra due muri d'acciaio. Anche se hanno maggior volume a parità di peso, il loro vantaggio è che, a parità di massa, resistono di più alla penetrazione. Per esempio, la nostra piastra da 100 mm d'acciaio a 60 gradi (tipo quella di un T-62) offre 200 mm di LOS (spessore equivalente), di più se è di tipo laminato o spaziato, mentre per la Chobbam arriverebbe, con massa equivalente a 100 m, a 280 mm contro proiettili perforanti. Ma non solo questo: a complicare i calcoli c'è anche il fatto che questa corazza era stata pensata soprattutto contro le HEAT, visto che i proiettili perforanti degli anni '60-70 erano affrontabili con una certa sicurezza dai carri armati britannici (pesanti 55 t, bella forza..). Contro queste il miglioramento non è di 1,4 ma di 2+, quindi sarebbero 400 mm. Le Chobbam più recenti sono state ottimizzate anche per i proiettili perforanti, specie con piastre di ceramica o di uranio impoverito. In tutto si arriva anche a 600-800 mm per la protezione dello scafo, 1000-1500 mm per la torretta!

I carri sovietici hanno avuto uno sviluppo più economico, con piastre d'acciaio alternate a vari tipi di materiali sintetici. Un T-72 per esempio, ha una piastra anteriore tipicamente inclinata di ben 67 gradi, costituita da 80 mm d'acciaio, 2 strati da 50 mm l'uno di un materiale simile al ferodo dei freni, e poi altri 20 mm d'acciaio. Talvolta sono stati aggiunti (per proteggere dai proiettili M111 israeliani da 105 mm, che hanno aumentato la perforazione dei precedenti APDS da 100 a 150 mm, a 60 gradi e a 2 km) strati di 16 mm d'acciaio sopra questa struttura, raggiungendo spessori equivalenti vs perforanti ed HEAT di 400 e 500 mm circa: niente male per un carro da 40 t. Le corazze ERA, sviluppate dagli israeliani su idea tedesca, e copiate dai sovietici, sono capaci di proteggere i carri ma non senza controindicazioni: le ERA K-1 erano indirizzate a bloccare soprattutto le HEAT. Una ERA è un mattoncino con uno strato d'esplosivo senza spoletta, tra due o (spesso) più piastre metalliche, pronte ad essere proiettate via se l'esplosivo è fatto detonare. Potendo disturbare le HEAT (protezione in più sui 200 mm, contro perforanti 50-80 mm), è stato pensato anche a contrastare i proiettili APDSFS. Condizione necessaria e sufficiente sono piastre di maggior spessore e più pesanti: se si riesce a colpire con sufficiente forza un moderno proiettile perforante, che è fatto di materiale durissimo e con un rapporto l/d di oltre 20:1, è facile spezzarlo in almeno due parti. Inoltre maggiori spessori, per quanto rendano le ERA più pesanti, consentono di fornire protezione dai colpi di arma leggera e schegge (rischio di esplosioni premature) e di evitare che le ERA, una volta che esplodono, distruggano anche altre ERA vicine come spesso capita. In ogni caso è pericoloso per la fanteria trovarsi attorno a carri muniti di ERA, rendendo più difficile la cooperazione tra carri e fanti e quindi, indirettamente, più vulnerabili i carri stessi senza opportune tattiche di cooperazione. Le NERA sono simili: corazze reattive senza però cariche esplosive. Tra l'altro hanno il vantaggio di essere capaci di sopportare più colpi invece di esplodere al primo, anche se hanno un rapporto peso-efficacia minore. È facile realizzarle: basta mettere strati alternati di acciaio e gomma, che reagiscono alla penetrazione muovendosi come una ghigliottina. Inoltre sono sicure per la fanteria. Le corazze BDD sovietiche, per i carri meno recenti, sono fatte in questo modo. I tedeschi non hanno adottato le corazze chobbam: a parte quelle ad intercapedine o aggiuntive distanziate (a seconda se si tratta dei Leopard 1 più recenti o di quelli ammodernati tipo l'A5), hanno adottato per i primi Leopard 2 le corazze 'forate'. Sembra un controsenso, ma si tratta di piastre che, con la presenza di fori al loro interno, danno moltissimi problemi pratici ai proiettili perforanti e alle HEAT, deviando la traiettoria d'attacco.

Tutto questo ovviamente non parla se non dell'ingaggio contro bersagli maggiormente corazzati, nel settore frontale. Sui fianchi i carri moderni sono molto meno protetti dei loro coevi della IIGM, almeno facendo la relazione con le corazze frontali. I carri di vecchio tipo erano capaci di resistere da ogni direzione quasi con la stessa forza: quelli moderni no, perché devono concentrare la massa in avanti per fermare armi sempre più letali (a cui si aggiungono munizioni con attacco dall'alto e mine con carica HEAT..). Così un carro capace di reggere a distanza ravvicinata il 120 mm frontalmente, è vulnerabile sui fianchi al 25 mm (con colpi APDS), o quantomeno al 30 mm.

Chiaramente lo spessore delle corazze deve far fronte anche al fatto che i carri moderni non colpiscono più in maniera aleatoria i bersagli, ma quasi con precisione scientifica. Per questo sul campo di battaglia moderno (se per moderno non s'intende l'attuale 'lotta al Terrorismo'..) i mezzi leggeri non trovano posto: nascondersi ed evitare i colpi è diventato difficilissimo, e questo in un raggio di 4 km. Un mezzo come la blindo Centauro potrà sembrare imponente e per la sua categoria lo è: ma quando si leggono i rapporti di guerra, in cui nel '91 i carristi americani trapassavano i T-62 anche da 4 km (nonostante le corazze da 100/60° anteriori, il motore diesel e la corazza posteriore), è chiaro che l'assunto secondo cui un veicolo del genere possa rimpiazzare un carro (di cui costa parimenti) è erroneo, e non casualmente il successo di questo mezo è rimasto piuttosto circoscritto, mentre i programmi d'aggiornamento dei carri armati, anche di vecchio tipo, hanno continuato a fiorire e a prosperare. Un carro M1 può reggere il suo munizionamento a distanza ravvicinata (sulla torretta praticamente a bruciapelo), quello stesso munizionamento trapasserebbe mezzi ben più protetti della blindo in parola anche a 4 km di distanza. Il motore anteriore=protezione qui si dimostra di validità molto limitata, e al più è credibile quando è applicato al Mervaka da 62 t.

L'importanza della manovra, e il senso della 'corazza'[modifica]

Da tutto questo vi è una notevole incertezza. In sostanza, cosa si intende per corazzatura e per 'protezione'. E quest'incertezza è stata accentuata, non certo diminuita, negli scenari moderni di guerra. Ecco un esempio pratico. Come si è detto, i cannoni automatici moderni, con munizioni perforanti decalibrate, possono minacciare i carri moderni se tirano ai fianchi o di spalle. È difficile capire bene questo fatto, come si possa riuscire in sostanza a resistere ad un cannone da 105-120 mm, ma al contempo essere vulnerabili ad armi molto meno potenti, dell'ordine di 8-10:1 di differenza (500+ mm contro 50-80). La risposta non è facile. Ma di fatto la si può ricondurre allo sviluppo estremo della potenza di fuoco dei carri armati. Durante il 1940, i carri armati Matilda II erano capaci di resistere efficacemente a tutti i cannoni controcarri e da carro armato, eppure tutto quello che avevano era un'armatura di 78 mm. Contro cannoni che al più perforavano 50 mm a circa 100-500 m, questo era nondimeno sufficiente. La distanza di fuoco era pure importante: a 1000 m un cannone controcarri da 37-47 mm, calibri tipici dell'epoca, era inefficace contro armature da circa 30 mm, il che significava l'impossibilità di distruggere un carro armato con spessori laterali di questo livello a tale distanza. Insomma, se un carro come il Valentine britannico aveva 65 mm di corazza anteriore e circa 50-60 mm laterale, allora era praticamente invulnerabile. Il KV-1 sovietico, con piastre da 75 mm laterali (come del resto i primi Churchill) era invulnerabile ai carri armati tedeschi. C'erano carri armati che riuscirono a sopravvivere a oltre 70 cannonate. In pratica i tedeschi erano costretti a sparare da breve distanza e sui fianchi con i cannoni più potenti (come quelli da 50 mm), e con munizioni speciali.

Questo dei proiettili era un altro punto interessante. Le munizioni originarie, semplici AP, erano blocchi di acciaio duro di forma fusiforme, niente di più. Con il tempo divennero APC, con cappuccio balistico, che permetteva di evitare due fenomeni. Uno era quello della frantumazione: le corazze superficialmente indurite erano sufficienti per infrangere i colpi in arrivo che pure avrebbero dovuto essere in grado di perforarle. Il 'cappuccio' permetteva di 'bucare' la pelle della corazza, la più dura, facendo passare il nucleo perforante. Inoltre, ben presto c'erano stati progressi con l'adozione di colpi più aerodinamici (chiamati precisamente APBCB), il che evitava il problema del rapido decadimento di velocità (=capacità perforante) grazie alla migliore aerodinamica. I nuclei perforanti erano poi diventati del più costoso tungsteno, capace di perforare più facilmente l'accaio. La scarsità di tungsteno era però tale che i Tedeschi dovettero ricorrere a cannoni di calibro maggiore per utilizzare colpi in acciaio (da qui l'abbandono dei cannoni ad anima conica, che erano una specie di antisignani dei proiettili decalibrati) con sufficiente potere perforante. Poi arrivarono le munizioni HEAT, capaci di perforare 1-2 volte il calibro del colpo ad ogn distana essendo armi esplosive. Le HESH avevano una capacità di colpire con una 'onda d'urto' micidiale attraverso anche spesse corazze monoblocco. Inoltre c'erano i proiettili APDS, che apparvero durante la II GM, soprattutto da parte inglese. Essi consentivano di concentrare l'energia di un cannone su di un calibro piccolo, con una pressione esercitata altissima. I loro epigoni sono diventati micidiali, spesso sono in Uranio impoverito che tra l'altro ha un costo minore del tungsteno, ha una capacità di non perdere la sua forma 'acuminata' e peggio, una capacità piroforica capace di distruggere tutto quello che trova dentro il mezzo colpito. Le traiettorie sono diventate piatte ed estremamente veloci, con oltre 1,5 kms di velocità iniziale, i colpi stessi sono diventati molto stabili nella traiettoria, e i sistemi di controllo del tiro (specie nello stabilire la distanza, necessaria per l'equazione balistica oltre il km di distanza, prima il proiettile si muove tanto veloce da non richiederla) computerizzati micidialmente accurati, con alte percentuali di colpi a segno al primo tentativo, persino con carro in movimento e contro bersaglio in movimento. I sistemi di visione notturna IR consentirono di vedere nella notte, e con le camere termiche anche a grande distanza, passivamente, e anche attraverso cespugli e . 3w2NB, i Churchill vennero usati per primi a Dieppe, ma su circa 40 carri usati non se ne salvò nessuno da trappole e artiglieria. La tattica d'uso faceva la differenza. Come testimoniato dalla rivolta di Napoli, Stalingrado, la rivolta di Budapest, anche i carri più moderni, se isolati (vedi anche Groznj, più di recente), sono vulnerabili anche a mezzi rudimentali. Nel '56, a Budapest, i cecchini colpivano i carristi sovietici esposti sparando dai tetti, costringendoli a stare dentro ai carri, aiutando così i cacciatori di carri armati con le molotov ad incendiarli poi. Persino i carri JS-3, quasi invulnerabili ai carri nemici, finirono per ingombrare con le loro carcasse le strade ungheresi.

Oramai, nel dopoguerra, nemmeno il carro armato più pesante era protetto a 360 gradi, non era semplicemente più fattibile. Un T-34, con corazze inclinate da appena 45 mm, ma inclinato a 40-60 gradi, era una vera 'testuggine' che poteva resistere ai cannoni da 37 mm, che pure potevano perforare spessori anche superiori se questi non erano molto inclinati. L'alternativa era quella di corazze più semplici di costruzione, a scatola, ma di spessore elevato, come sul Tiger: 100 mm frontali, 82 mm laterali e posteriori. Le corazze inclinate hanno uno spessore virtuale maggiore, ma in teoria non cambia niente se si usano 50 mm inclinati a 60 gradi oppure 100 mm a 0 gradi. Almeno in teoria, perché di fatto i carri T-34, con corazze analoghe a quelle di altri carri ma più inclinate, si dimostrarono inizialmente invulnerabili al tiro nemico.

Questo, naturalmente, se si escludono i cannoni da campagna di potenza ben maggiore, e ancora di più le armi antiaeree, con la loro traiettoria precisa e veloce. Per esempio il famoso Flak da 88 mm è diventato presto un'arma a doppio uso con capacità controcarri a lungo raggio. Il Flak da 88 mm è poi diventato l'armamento del Tiger, e ha dimostrato una combinazione capace di distruggere carri nemici a 2 km restando invulnerabile anche a bruciapelo, da qui la fama del carro tedesco. I cannoni da campagna erano, per esempio, quelli da 88 inglesi che rimpiazzarono di fatto il 40 mm come arma principale controcarri. Questo indebolì molto il valore dell'artiglieria britannica fino ad El-Alamein, visto che i cannoni dovevano essere smistati in primissima linea, senza possibilità di quell'impiego organico necessario per le armi d'artiglieria. La situazione si sbloccò solo con l'arrivo dei 57 mm, che erano armi ragionevolmente efficaci e ancora assai leggeri da spostare o trainare.

Il fatto di fondo è che se il Pak 36 tedesco o il 40 mm inglese perforavano corazze da circa 30-40 mm a mezzo km, il 57 mm inglese ne perforava 70 mm a circa 1.000, poi il 76 mm arrivava a 120 mm a 1000 m, anche di più con le munizioni APDS. Il problema diventava ingestibile con i criteri tradizionali. Nemmeno il Tiger II da 65 t, già enorme e pesantissimo, non riusciva a resistere lateralmente ai colpi di armi del genere. Dato che vi sono due lati, entrambi più lunghi della parte frontale, i cannonieri nemici non possono essere che interessati a colpire i lati dei mezzi pesanti. Di fatto, data la potenza delle armi controcarri, che tra HEAT e APDS sono arrivate rapidamente da 30-50 mm a 300 e passa mm, già nei tardi anni '40- inizio anni '50, è stato necessario fare delle scelte. I carri armati come gli Chieftain britannici da oltre 55 t hanno avuto una protezione frontale formidabile, ma lateralmente saranno stati a stento validi quanto i Tiger. I carri Leopard 1 hanno una corazza di 70 o 86 mm a 60 gradi frontalmente sullo scafo, ma solo 35 mm, in parte verticali, il che dà una protezione sufficiente solo contro il fuoco di cannoni da 20 mm, come da specifica, meno di quanto poteva offrire un carro tedesco Panther o Tiger.


L'unica forma di protezione accettabilmente pesante è quella sui fianchi della torretta, che sono piuttosto esposti al tiro durante le azioni di fuoco. Per esempio, i T-54 hanno uno schema di protezione di questo tipo: 100 mm a 60 gradi frontale scafo, 80 mm laterali, torre 200 mm frontale, circa 120 laterale, 80-100 mm posteriore. Quindi la torretta resta più spessa di quella dello scafo. In pratica, nonostante la massa arrivata a circa 60 tonnellate, la protezione di un carro moderno è soprattutto intesa per le azioni frontali. Ma questo significa un livello di protezione di 60 gradi sull'orizzonte, un sesto dell'angolo giro. Questo vale per la torre e lo scafo, che in questo senso sono magari a prova di un cannone nemico tipico, come il 105 o il 125 mm. Lateralmente, la torre sarà protetta su di un settore maggiore dello scafo, ma non di molto. Al dunque, se a questo si sommano le minacce delle armi aria-terra come il submunizionamento d'artiglieria, o le mine controcarri con cariche HEAT, un carro armato diventa un mostro corazzato che riesce a stento a reggere ad alcune minacce ma solo appesantendosi moltissimo, cosa possibile invero dalla meccanica. Un Leopard 2 ha una mobilità superiore ad un Leopard 1 eppure pesa il 50% in più: questo perché ha 1.500 hp anziché 830. Ancora più impressionante il miglioramento generazionale tra Chieftain e Challenger, M60 e M1, T-62 e T-72. Questo rende possibile aggiungere altre corazze aggiuntive, normali o speciali (ERA). Ma nondimeno, è difficile che sia possibile resistere sui fianchi al fuoco di cannoni di calibro superiore al 25 mm sotto il km di distanza. La sopravvivenza contro anche un vecchio cannone da 76-80-90 mm, capaci di perforare anche 200 mm d'acciaio, resta un problema aperto. Inoltre la canna del cannone vero e proprio è sottile e potenzialmente vulnerabile al tiro di armi automatiche pesanti (per esempio, carri KV-1 con il cannone trapassato da semplici pezzi da 37 mm). Questo rende potenzialmente disarmato il carro armato laddove sia colpito da una cannonata, e non c'è modo di proteggere in pratica le canne.

Poi il carro armato, se viene privato della sua mobilità, resta in grave pericolo. Ad El-Alamein, i carri britannici sono stati vittime di molti danni da parte di fanteria controcarri, anche improvvisata: i fanti che sbucano con molotov da buche e rifugi, o con mine controcarri, sono una minaccia anche adesso, da affrontare soprattutto con la cooperazione tra fanti e carristi (da qui la pratica sovietica di portare fanti appollaiati sui carri stessi). I risultati sono stati spesso importanti, anche se nondimeno non sempre riportati correttamente. I folgorini ad El-Alamein si batterono strenuamente, ma il totale dichiarato di 200 carri distrutti era equivalente a tutti i carri inglesi della 7a AD inglese, -che però rimase largamente integra-, mentre non si computano gli artiglieri della Pavia e di altre unità che spararono a zero per giorni per respingere i carri nemici, come racconta A.Bottaro nel suo autobiografico 'Il vento nel Deserto'. Quindi quanti danni furono realmente fatti dai cacciatori di carri? Di sicuro fu fatto il meglio di quello che era possibile con i mezzi a disposizione, ma storicamente è inesatto riportare le azioni di battaglia senza considerare l'importanza dei campi minati nel limitare la mobilità e nelle artiglierie di colpire le forze immobilizzate.

I duelli di carri armati sono spesso usati come 'calcolo teorico' per l'efficienza dei progetti, ma di fatto le cose sono ben diverse. I carri KV-1, se avessero affrontato 'faccia-faccia' i carri tedeschi, nel '41 li avrebbero sterminati in pochi giorni: 1000 e passa metri contro 0 di raggio utile. Ma i tedeschi manovravano sui fianchi, si facevano aiutare dai cannoni da 88 e da artiglieria da campagna, e dagli Stuka. Così anche i KV e T-34 furono sconfitti e sopraffatti ,anche se magari l'unico punto debole erano i cingoli. Al solito, questa componente è vulnerabile anche nei carri moderni. E più i cingoli sono esposti e più si è vulnerabili. Però i Churchill, benché potenzialmente facili da colpire in queste componenti, avevano di converso una grande agilità di movimento fuori strada. Mobilità e velocità sono fondamentali per un carro armato, tanto che AMX e Leopard l'hanno messe praticamente davanti alla stessa protezione balistica come importanza.

L'abilità tattica si è dimostrata spesso più importante di qualunque tecnica, come hanno fatto gli Israeliani con i Super Sherman contro carri arabi di tipo più moderno. Lasciare avanzare gli avversari e scivolargli ai fianchi prima di sparare è spesso assolutamente micidiale, al di là dei meriti tecnici dei veicoli di per sè. Dopotutto, non era un caso che gli americani volessero almeno 4 carri Sherman per ogni Tiger o Panther, con due carri che lo distraevano frontalmente e gli altri sui fianchi per sparargli a breve distanza.

Gli ostacoli da superare sono anch'essi fondamentali. Per questo è altrettanto fondamentale la presenza del Genio. In ogni caso i carri armati hanno adottato la capacità di guado profondo sott'acqua, e opzionalmente possono avere rulli antimine, pale apripista, sistemi per scavare posizioni come nel caso dei T-72.

Il raggio di tiro è anch'esso importante. Un tipico campo di tiro europeo è spesso dell'ordine di un km. Due carri si affrontavano nel '40, uno magari con 60 mm di corazza frontale e 40 mm laterale, l'altro con 40 e 30 mm. I cannoni, grossomodo equivalenti, erano in grado di perforare 60 mm a 100 m, 40 mm a 500 m, 30 mm a 800 m. In sostanza, uno dei due carri può perforare l'altro a 500 m frontalmente e 800 m lateralmente. Quindi l'altro era entro certi limiti invulnerabile nel raggio di tiro tipico. Il carro più pesante era invulnerabile, a seconda degli angoli, tra i 100 e i 500 m. Magari stiamo parlando di un Char B1 bis contro un Panzer III, ma non è realmente importante. Con carri moderni la cosa è notevolmente diversa. Sempre nel campo di tiro di 1 km, un carro M1 e un T-72 si possono affrontare con varie possibilità: l'M1 può distruggere il T-72 a tutte le distanze e angolazioni, il T-72 no; ma sui fianchi può fare fuoco a grande distanza e perforare lo stesso il mezzo nemico. Quindi la situazione è diventata più pericolosa, anche per il mezzo più pesante e protetto. Se anche un carro pesante può essere penetrato ad oltre 2-3 km, un tiro da posizioni defilate, ben difficili da vedere, rappresenta una minaccia potenziale formidabile. A questo si aggiungono gli stabilizzatori di tiro, computer di tiro, sistemi di visione notturna, e ottiche migliorate con un periscopio di puntamento e di osservazione che nei tempi della II GM era di 1,5-3x, adesso di 6-20x. La differenza maggiore tra Panther e Leopard 1 in sostanza è questa. Inoltre la luminosità dei mirini è migliore, perché l'ingrandimento da solo non basta ad ottenere un'immagine buona (per fare la prova si provi un binocolo 8x30 e un 10x25). È ben vero che nel Golfo gli M1 e i Challenger hanno stracciato i carri irakeni, ma anche qui, quale è stata la causa? Dopotutto anche gli AMX-30 francesi sono stati usati nel '91 e nonostante la loro corazza debole nessuno è andato distrutto nonostante combattimenti impegnativi.

Per le navi da battaglia e incrociatori è più o meno la stessa cosa. L'area 'di sicurezza' era intesa, per queste grandi navi, come quella entro cui il proiettile nemico non era in grado di perforare la cintura corazzata (protezione verticale) sulla linea di galleggiamento, che richiedeva tiro teso, e non era ancora in grado di perforare il ponte corazzato essendo ancora troppo tesa la traiettoria per dare un sufficiente angolo d'impatto. Per esempio, le corazzate 'Yamato' erano invulnerabili ai loro cannoni o equivalenti tra i 20 e i 35 km. Per questi livelli di protezione eccezionali, dovuti a minacce eccezionali, si richiese un tale livello di peso da fare navi sempre più pesanti e costose, nonché lente. Si arrivò a pensare a navi da 150 mila tonnellate, grosse il doppio delle Yamato (era un progetto tedesco rimasto sulla carta).

La corazza degli incrociatori era limitata dall'esigenza di andare molto più veloci delle navi da battaglia, mentre gli incrociatori da battaglia erano un po' un intermediario. Le navi di questo tipo erano quelle inglesi e tedesche. Le prime erano mediamente più armate e magari veloci, ma il loro target era quello di incrociatori corazzati, armati molto meno di una corazzata. Gli incrociatori da battaglia tedeschi erano apparentemente meno appariscenti, con un dislocamento superiore, meno veloci, meno armati, ma in realtà più potenti essendo protetti non contro gli incrociatori corazzati, una categoria minore, ma contro altre navi maggiori. Per questo allo Jutland combatterono molto meglio delle navi inglesi omologhe inglesi, di cui 3 esplosero con quasi tutto l'equipaggio. Se la cintura degli incrociatori corazzati britannici era di 152 mm e quella di quelli tedeschi era di 250 mm, la differenza si sentiva grandemente, anche se i ponti corazzati erano più spessi nel caso delle navi britanniche.

Il limite dei pesi era pure notevole. Con le regole post-Prima GM le corazzate vennero limitate a 35.000 t, gli incrociatori pesanti 10.000 con cannoni fino a 203 mm. Gli Italiani con la classe Zara fecero una classe di navi che poteva affrontare altri incrociatori pesanti resistendo ai pezzi da 203 mm. Ma per farlo dovettero fare qualcosa al di fuori degli schemi: potevano ridurre da 4 a 3 le torri binate d'artiglieria, oppure ridurre i motori riducendo la velocità a poco più di 20 nodi se andava bene. Oppure, lasciare la corazzatura ridotta. I 'Trento' avevano 100 mm di corazza d'acciaio in cintura, 50 mm di ponte, 70-100 mm di torri e barbette. Non erano messi peggio di altre navi dell'epoca, a dire il vero che spesso avevano solo 76 mm di cintura corazzata. Gli 'Zara' avevano 100-150 mm di cintura, 70+20 mm di ponte, fino a 150 mm di torri, fiancata superiore alla cintura di 30 mm. Per riuscirci oltre a ridurre i motori rispetto ai 'Trento' (95.000 hp nominali su due assi anziché 150.000 su 4), ma soprattutto dovettero aumentare il dislocamento standard a 11.500-11.900 t. Se avessero dovuto ritornare dentro i limiti del dislocamento concessi, avrebbero dovuto smontare come minimo tutta la cintura corazzata e la fascia corazzata, diventando una sorta di incrociatori protetti. Forse nemmeno questo sarebbe bastato per scendere di quasi 2.000 t di stazza, il che dà un'idea dell'impatto dell'armatura sul dislocamento delle grandi navi di linea. Nel caso degli incrociatori, dato il rapporto lunghezza-larghezza di quasi 10:1 anziché 6:1 delle navi da battaglia, la cintura corazzata era più importante rispetto al ponte corazzato quanto a peso complessivo.

Bibliografia[modifica]

  • Cappellano, Filippo, I cannoni controcarri dell'Armata rossa, Panorama&Difesa, settembre 1997 pagg 42-48
  • Le armi controcarro su Storia dei mezzi corazzati, Fratelli Fabbri editori, 1976, pagg 552-560 e 613-616.
  • Maraziti, Antonio: L'Ariete a Bir El-Gobi, Storia Militare gen.2005 pag.4-16
  • Landi, Guglielmi: Carri M in Africa Settentrionale, Storia Militare giugno 2000 pag. 19-32
  • Landi, Guglielmi: Carri M in Africa Settentrionale, Storia Militare luglio 2000
  • Cappellano, Federico: Serafimovich, 30-31 luglio 1942, Storia Militare Maggio 2000 pagg. 17-27
  • Del Rosso, A. Bir Hakeim, Storia Militare nov. 2007 p. 17-30
  • enciclopedia Armi da Guerra fascicolo 46 'I cannoni controcarri della II GM'.