Ebrei e Gentili/Teoria

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Indice del libro
Frontespizio della "Guida dei Perplessi"
Frontespizio della "Guida dei Perplessi"

« Quando l'intelletto contempla l'essenza di Dio, l'apprensione diventa incapacità. »
(Maimonide)

Teoria dell'Intelletto Acquisito[modifica]

Maimonide respinse la posizione di Halevi. Ai suoi occhi gli esseri umani sono esseri umani; non ci sono specie differenti di esseri umani. Egli è forse l'universalista più coerente dell'ebraismo medievale. Tale universalismo è, da un punto di vista contemporaneo, acquisito ad alto costo: profondo elitarismo intellettuale. L'universalismo e l'elitarismo di Maimonide sono basati su una psicologia ed epistemologia che egli aveva ereditato da Aristotele passando per Avicenna. Dobbiamo quindi intraprendere una discussione di queste materie.

Maimonide implicitamente adotta una visione (in seguito tenuta esplicitamente da Gersonide) secondo cui quello che ci rende umani, e di conseguenza quello che sopravvive dopo la morte,[1] è ciò che conosciamo.[2] Secondo questa opinione, il soggetto umano non conta nulla, mentre gli oggetti della conoscenza contano tutto. Questa posizione maimonidea-gersonideana scaturisce dall'adozione dell'idea che gli esseri umani sono animali razionali. Da ciò ne consegue che noi condividiamo con gli animali tutto quello che non è in noi razionale.

Quello che chiamerò comprensione "iper-intellettualista" (e quindi elitaria)[3] di Maimonide riguardo alla natura della natura umana è ben nota e non la esamineremo qui troppo a lungo.[4] Non c'è dubbio che egli accetti la definizione aristotelica degli esseri umani come animali razionali. In termini del nostro genus, noi siamo animali (in contrasto, per esempio, con un articolo di mobilia o con fenomeni meteorologici). La nostra differenza specifica, ciò che ci distingue da tutti gli altri membri del regno animale, è la nostra razionalità: il raziocinio. Tutto ciò che non è un riflesso diretto del pensiero razionale – speranze e paure, amore e odii, desideri, necessità, passioni – è una conseguenza della nostra natura animale.

Per poter capire la posizione di Maimonide in queste materie dobbiamo esaminare la sua teoria dell anima. Maimonide adottò una variante di un resoconto medievale aristotelico abbastanza standard della natura dell'anima umana. Secondo questo approccio gli umani nascono con un potenziale di apprendimento, che possono o meno attualizzare; è in questa capacità e nella sua attualizzazione che si basa la nostra umanità. Nasciamo con differenti capacità di apprindimento e di conoscenza; nella misura in cui attualizziamo tale capacità apprendendo verità astratte abbiamo veri intelletti — abbiamo in tal modo acquisito un intelletto. Se non riusciamo ad attualizzare il nostro potenziale intellettuale, questa capacità con cui siamo nati è sprecata e nulla sopravvive alla morte del nostro corpo.[5]

Maimonide fa riferimento alla natura dell'intellezione nel primo dei suoi scritti principali, il Commentario alla Mishnah. Nell'introduzione a tale opera (indirizzata, bisogna sottolineare, agli studiosi rabbinici e non ai filosofi) scrive: "Non c'è dubbio che l'intelletto di colui che comprende qualcosa di significativo non è come l'intelletto di chi non ne comprende nulla. Il primo possiede vero intelletto, e il secondo possiede solo intelletto potenziale".[6] Gli esseri umani possono comprendere verità significative; tale abilità è chiamata "intelletto potenziale". Coloro che realmente apprendono tali verità convertono i loro intelletti potenziali in intelletti effettivi. È soltanto l'intelletto effettivo, spiega Maimonide, e soltanto l'intelletto effettivo che sopravvive alla morte.

Il punto viene ribadito in un altro passo del Commentario alla Mishnah. Troviamo la seguente affermazione nel primo degli Otto Capitoli con cui Maimonide apre il suo commentario ad Avot:

« Sappi che questa anima singola... è come materia, e l'intelletto è la sua forma. Se non ottiene la sua forma, l'esistenza della sua capacità di ricevere tale forma è nulla ed è, per così dire, futile. Questo è il significato della sua (di Salomone) dichiarazione: "L'anima senza conoscenza non è cosa buona" [Prov. 19:2]. Significa che l'esistenza dell'anima che non ottiene la sua forma, ma che è piuttosto un'anima senza conoscenza, non è cosa buona.[7] »

Riguardo all'intelletto, l'anima è come materia, mentre rispetto alla materia, essa è una forma; nel primo aspetto, l'anima è come materia (e la materia, come ben sanno gli studenti di Maimonide, esiste potenzialmente, non effettivamente, finché non è unita alla forma)[8] e l'intelletto è la sua forma (che esiste effettivamente e non solo potenzialmente). Se l'anima rimane nella sua fase materiale (cioè non riesce ad ottenere la condizione di "intelletto"), allora avrà sprecato la sua capacità di ottenere questo livello. Un'anima che rimane materiale, che non raggiunge mai la condizione di intelletto (ottenimento che dipende dalla conoscenza), non è cosa buona. Questa è un'affermazione della teoria riassunta supra: nasciamo con una capacità di conoscere; nella misura in cui noi attualizziamo tale capacità, noi diventiamo intelletti in actu — abbiamo acquisito i nostri intelletti. Se non riusciamo ad attualizzare il nostro intelletto, quella capacità con cui siamo nati viene sprecata e nulla sopravvive alla morte del nostro corpo.

Nel secondo degli Otto Capitoli, Miamonide afferma che la "virtù razionali" sono la saggezza e l'intelligenza, la seconda che include (a) "l'intelletto teorico", (b) "l'intelletto acquisito, ma non è questo il suo posto"; (c) "splendore".[9] Particolarmente importante qui è il fatto, notato da Herbert A. Davidson, che questo termine (cioè, l'intelletto acquisito) non appare nel Fusul al-madani di Alfarabi, il testo su cui si basa Maimonide per la sua discussione. Era abbastanza importante ai suoi occhi, da aggiungerlo di propria autorità.[10]

Un punto simile a quello appena addotto dal primo degli Otto Capitoli sembra apparire in un altro testo nel Commentario alla Mishnah,quello dell'introduzione di Maimonide al decimo capitolo della Mishnah Sanhedrin, il noto "Introduzione a Perek ḥelek". Commentando l'affermazione rabbinica "Nel Mondo a venire non si mangia, non si beve, lava, unge né si hanno rapporti sessuali; ma i giusti si siedono con le loro corone sulla testa godendo dello splendore della shekhinah" (TB Ber. 17a), Maimonide scrive: "L'intento della dichiarazione «le loro corone sulla testa», è l'esistenza dell'anima tramite l'esistenza di ciò che conosce, in quanto esse sono la stessa cosa, come mantengono gli esperti di filosofia".[11] Uno ottiene quindi l'immortalità mediante ciò che apprende, "come mantengono gli esperti di filosofia".[12] In questo testo, Maimonide attribuisce ai rabbini talmudici una posizione sostenuta dagli "esperti di filosofia".[13] Secondo questa posizione, uno ottiene l'immortalità grazie – esclusivamente – alla conoscenza che uno ha acquisito.

Se ora esaminiamo la successiva opera principale di Maimonide, la sua Mishneh Torah, troviamo ulteriori indicazioni che egli aveva adottato una versione della teoria dell'intelletto acquisito. In "Leggi delle Fondamenta della Torah", 4:9, egli spiega perché l'anima può sopravvivere alla morte del corpo: "Questa forma dell'anima non è distrutta, poiché non richiede vita fisica per le sue attività. Conosce e apprende le intelligenze che esistono senza sostanza materiale; conosce il Creatore di tutte le cose; e dura per sempre".[14] Se l'ultima congiunzione di questo passo è intesa come "e quindi" (costrutto di certo coerente con l'ebraico) allora Maimonide dice che l'anima di una persona dura per sempre grazie alla conoscenza acquisita del Creatore. Dato il passo citato nella sua "Introduzione a Perek ḥelek", e altri passi da considerarsi in seguito, questo sembra essere il costrutto migliore da darsi a tale testo.

Maimonide rende il punto molto chiaro nel successivo passo che fa riferimento alla nostra materia. Commentando nuovamente sul passo in TB Berakhot 17a a cui si allude nel suo commentario a Perek ḥelek, egli dice: "La frase «le loro corone sulla testa» si riferisce alla conoscenza che hanno acquisito, e grazie alla quale [shebiglalah] hanno ottenuto la vita nel mondo a venire".[15] Non potrebbe essere più chiaro! Si ottiene la vita nel mondo a venire grazie alla conoscenza che uno ha acquisito.

Se poi esaminiamo la Guida, di nuovo troviamo riferimenti e indicazioni ma, come già notato, non troviamo un'esposizione chiara di una qualche teoria psicologica. Nel discutere il termine "mangiare" in Guida i.30 (p. 63), Maimonide evidenzia che è applicato figurativamente a "conoscenza, apprendimento e, in generale, apprensioni intellettuali mediante cui la permanenza della forma umana pedura nello stato più perfetto, proprio come il corpo perdura mediante cibo nel migliore dei suoi stati." Perfezione e "resistenza permanente" (cioè immortalità), allora, sono conseguenze delle "apprensioni intellettuali".

Nella sua ben nota discussione (in Guida i.68; pp. 163-6) dell'affermazione che Dio è "l'intelletto, come anche il soggetto intellettualmente cognitivo, e l'oggetto intellettualmente conosciuto", Maimonide fa uso di molti elementi della teoria dell'intelletto acquisito: "che prima che un uomo conosca una cosa, egli è potenzialmente il soggetto intellettualmente cognitivo", che se esiste un intelletto in actu "esso è identico all'apprensione di ciò che è stato conosciuto intellettualmente", e l'identificazione dell'"intelletto ilico" con l'"intelletto potenziale". Spiega inoltre che egli non si riferisce qui ad ogni aspetto della sua teoria psicologica, e a spiegare ogni rispettiva questione, perché il suo libro era inteso per coloro "che hanno filosofato ed hanno acquisito conoscenza di quello che è diventato chiaro con riferimento all'anima e a tutte le sue facoltà". Maimonide ci dice qui che sta elaborando quella che oggi chiameremmo la teoria standard o teoria ricevuta della psicologia dei suoi tempi; e ciò può solo essere una variante della teoria dell'intelletto acquisito.

Forse il riferimento più chiaro della teoria dell'intelletto acquisito si trova in Guida i.70 (pp. 173-4):

« Poiché le anime che rimangono dopo la morte non sono l'anima che viene ad essere nell'uomo al momento che viene generato. Dato che quella che viene in essere al momento che un uomo è generato, è soltanto una facoltà che consiste di preparazione, mentre la cosa che dopo la morte è separata dalla materia è la cosa che è diventata effettiva e non l'anima che anche viene ad essere; quest'ultima è identica allo spirito che viene ad essere. »

Insomma, prima che ci venga un capogiro, Maimonide qui ci vuol dire che l'anima che sopravvive alla morte non è identica all'anima con cui siamo nati. L'anima con cui siamo nati è semplicemente una capacità. Se la rendiamo effettiva, essa allora sarà trasmogrificata in un'entità separata dalla (cioè, indipendente dalla) materia. Ci vien detto qui che gli esseri umani nascono con una capacità o potenziale di attualizzare le proprie anime. Nella misura in cui lo fanno, le loro anime sopravviveranno alla morte del corpo. In questo passo Maimonide non dice come noi dobbiamo attualizzare il nostro potenziale d'immortalità. Tuttavia, combinando uesto testo con quelli già citati, otteniamo un quadro abbastanza completo della teoria dell'intelletto acquisito: nasciamo con una capacità di perfezionarci intellettualmente. Se attualizziamo tale capacità, acquisiamo intelletti in actu e quindi otteniamo una misura d'immortalità.

In Guida i.72 troviamo ulteriore, e più chiara, testimonianza che Maimonide abbia veramente adottato una qualche variante della teoria dell'intelletto acquisito. Primo, nello spiegare perché l'essere umano, unico tra gli abitanti dell'universo, è chiamato "microcosmo", egli indica che "ciò accade a causa di quello che è un proprium solo dell'uomo, cioè la facoltà razionale — voglio dire l'intelletto, che è l'intelletto ilico; qualcosa che non si trova in nessuna specie di esseri viventi all'infuori dell'uomo" (p. 190; cfr. anche p. 192). Secondo, Maimonide commenta: "sappi che ci aggradava paragonare la relazione che esiste tra Dio, che Egli sia glorificato, e il mondo a quella che esiste tra l'intelletto acquisito e l'uomo; questo intelletto non è una facoltà nel corpo ma è veramente separata dal corpo organico e trabocca verso di esso" (p. 193). Qui abbiamo un riferimento specifico all'intelletto acquisito. Come l'intelletto acquisito della teoria generale, questo intelletto acquisito non è una facoltà nel corpo, ed è separata dal corpo (cfr. il testo citato da Guida i.70).[16]

In Guida ii.4 (p. 257), Maimonide, discutendo dell'intelletto attivo, dice che la sua "esistenza è indicata dal fatto che i nostri intelletti passano da potenzialità a effettività". Qui, dunque, egli ci dice esplicitamente che noi siamo equipaggiati sin dalla nascita con intelletti potenziali, la cui realizzazione dipende, in un modo o nell'altro, dall'attività dell'intelletto attivo.[17] Questa attività è ciò che ci permette di acquisire un intelletto in actu.

Ulteriore testimonianza a supporto della nostra tesi si può riscontrare alla fine della Guida. In iii.27 (p. 511) Maimonide ci dice che "la perfezione ultima dell'uomo è di diventare razionale in actu". Ciò significa che nasciamo col potenziale di diventare veramente razionali. Diventare razionali allora dipende in una certa misura dai nostri sforzi stessi. Pertanto, anche

« il quarto tipo [di perfezione] è la vera perfezione umana: consiste nell'acquisizione delle virtù razionali — mi riferisco al concetto degli intelligibili, che insegnano le vere visioni della metafisica. Questo è nella realtà vera il fine ultimo; questo è ciò che dà all'individuo la vera perfezione, una perfezione che appartiene solo a lui; e gli dà una durata permanente; per mezzo di essa l'uomo è uomo. (Guida iii.54; p. 635) »

È il concetto degli intelligibili che perfeziona gli esseri umani in quanto tali, garantisce loro l'immortalità, e per loro tramite si attualizzano come esseri umani.[18]

L'epistemologia e psicologia incorporate nella teoria dell'intelletto acquisito trova espressione in una sorprendente quantità di contesti. Per esempio, si dice che gli esseri umani siano stati creati ad immagine di Dio solo grazie "all'intelletto che Dio fece traboccare sull'uomo e che è di questi la perfezione ultima".[19] Cosa significa avere un tale intelletto nel modo più perfetto possibile? Consiste nel "conoscere tutto ciò che concerne tutti gli esseri e che sia nella capacità dell'uomo di conoscere secondo la sua perfezione ultima" (Guida iii.27; p. 511). Questa perfezione è puramente intellettuale. Maimonide continua: "È chiaro che a questa perfezione ultima non appratengono né azioni né qualità morali". Pertanto, essere umani, attualizzare il nostro potenziale di somiglianza con Dio, vuol dire conoscere tutto ciò che possiamo conoscere. È solo questa conoscenza che ci rende umani: il comportamento morale e le virtù morali sono, secondo Maimonide, propedeutica necessaria verso la perfezione (intellettuale) umana, ma non ne fanno parte per se.[20]

Il succitato elitarismo intellettuale radicale di Maimonide è un altro esempio di una posizione forzatagli addosso dall'epistemologia della teoria dell'intelletto acquisito. Ma non si ritrae da una conseguenza necessaria della sua veduta sugli esseri umani definiti dal loro intelletto: gli individui nati da genitori umani che non hanno ottenuto un livello minimo di perfezione intellettuale sono subumani.[21] "Tu sai", scrive Maimonide in Guida i.7 (pp. 32-3), "che chiunque non è dotato di questa forma [di intelletto]... non è un uomo, ma un animale che ha la forma e configurazione di uomo". Tali animali dall'apparenza umana sono in effetti più pericolosi delle semplici bestie, poiché possono abusare nel male della loro perfezione intellettuale non realizzata. Pertanto grande è il pericolo degli umani non realizzati "cosicché è cosa da poco ucciderli, e viene persino ingiunto a causa della sua utilità" (Guida iii.18; p. 475).[22] Tali esseri, ci dice Maimonide verso la fine della Guida (iii.51; p. 618), "non hanno il rango di uomini, ma hanno tra gli esseri un rango inferiore al rango di uomo ma superiore al rango delle scimmie".[23]

Tutte queste posizioni scaturiscono dall'adozione da parte di Maimonide della teoria dell'intelletto acquisito. Gli esseri umani nascono tutti col potenziale di apprendere verità astratte. Coloro che lo fanno diventano totalmente umani e si creano una porzione nel Mondo a venire. Coloro che falliscono, muoiono così come sono nati: esseri umani potenziali che non hanno posto nel Mondo a venire. Per i nostri fini, la conseguenza più importante della teoria dell'intelletto acquisito è che Maimonide non ha un meccanismo con cui egli possa distinguere ebrei da non ebrei in un qualche modo ontologico. Gli esseri umani sono umani, e gli umani ebrei non sono né più né meno umani degli umani non-ebrei.[24] Proprio come le distinzioni tra permesso e proibito, santo e profano, puro ritualmente ed impuro ritualmenrte si riferiscono soltanto allo status halakhico, così anche, per Maimonide, la distinzione tra ebreo e non-ebreo è una funzione della halakhah, non dell'ontologia. È ad una discussione di questa materia, il punto di questo libro, che finalmente ci rivolgiamo.

Note[modifica]

  1. Poiché di certo ciò che condividiamo con gli animali (le emozioni, per esempio) non sopravvive alla nostra morte.
  2. Gersonide sosteneva che ciò che ci rende umani è la nostra conoscenza astratta. W.Z. Harvey ha dimostrato che, per Gersonide, "conta" qualsiasi conoscenza astratta, mentre per Maimonide deve essere la conoscenza di materie metafisiche. Si veda W.Z. Harvey, "Rabbi Hasdai Crescas". L'intellettualismo di Gersonide lo portò a deprecare l'importanza degli esseri umani vis-à-vis gli intelletti separati. Ciò sollevò molta ira contro di lui, ira che poteva benissimo essere diretta anche a Maimonide, dato che entrambi ragionavano identicamente in materia. Gli interpreti di Maimonide sono divisi sulla questione se pensasse o meno che fosse veramente possibile che chiunque potesse guadagnarsi una porzione nel Mondo a venire. Per una recente discussione, con riferimenti a studi precedenti, si veda l'ottimo H.A. Davidson, "Maimonides on Metaphysical Knowledge".
  3. L'elitarismo intellettualista di Maimonide è una caratteristica prominente e rinomata del suo pensiero.
  4. Per un pensatore medievale che interpreta Maimonide in questo modo, si veda Kellner, "Maimonides and Samuel ibn Tibbon". Tra i moderni, Isaac Husik interpreta Maimonide in questo modo; si veda il suo History of Medieval Jewish Philosophy, 299-300.
  5. Una magistrale esposizione di queste materie vien fatta da H.A. Davidson, Alfarabi, Avicenna, and Averroes on Intellect. Davidson discute di Maimonide a pp. 197-207.
  6. Trad. (EN) Kafih, i.37.
  7. Citato dal testo di Maimonide, Scritti etici, trad. (EN) Weiss e Butterworth, 64.
  8. Cfr. Guida iii.8, partic. pp. 430-2.
  9. Maimonide, Scritti etici, 65.
  10. H.A. Davidson, "Maimonides' Shemanoah Peraqim". Attraverso un'analisi testuale, Davidson dimostra che Maimonide ha fatto largo uso del Fusul al-madani di Alfarabi in Otto Capitoli. Qui il nostro testo si basa su Fusul al-Madani, sez. 7 (ibid. 38 n. 16).
  11. Trad. (EN) Kafih, iv.205.
  12. Barry Kogan asserisce che l'esperto filosofo a cui si allude qui è Avicenna: si veda "What Can We Know and When Can We Know It?".
  13. È sorprendente quanto liberamente Maimonide permetta ai suoi lettori rabbinici (qui si tratta di un testo dal suo Commentario alla Mishnah) di vederlo usare idee e testi filosofici nelle sue spiegazioni degli autori della Mishnah e del Talmud. il locus classicus di ciò è la sua breve introduzione agli Otto Capitoli, in cui annuncia ai suoi lettori che, per poter spiegare il significato del trattato Avot, è docuto ricorrere agli scritti di filosofi antichi e moderni. Come ha dimostrato H.A. Davidson in "Maimonides’ Shemonah Peraqim", questi filosofi antichi e moderni si rivelano essere Aristotele e al-Farabi.
  14. Citato dal Libro della Conoscenza, trad. (EN) Hyamson, 39a.
  15. "Leggi del Pentimento", 8:3, in Libro della Conoscenza, trad. (EN) Hyamson, 90a-b.
  16. Il termine "traboccamento" (cioè "emanazione"; fayd in arabo e shefa in ebraico) è definito da Maimonide come l'attività peculiare di un essere separato dalla materia. Si veda Guida ii.12 (p. 274) e Diamond, Maimonides and the Hermeneutics of Concealment, 193. La fonte di Maimonide per questo (tra)visamento di Aristotele sembra essere stato Avicenna. Si veda H.A. Davidson, "Maimonides, Aristotle, and Avicenna". L'affermazione di Maimonide qui non deve essere interpretata come se significasse che l'intelletto acquisito esiste indipendentemente e antecedentemente alle nostre attività intellettuali. Noi acquisiamo – in effetti creiamo – i nostri intelletti acquisiti. Una volta acquisiti, essi influenzano il nostro comportamento e quindi "traboccano verso" di noi. Cfr. Altmann, "Maimonides on the Intellect and Metaphysics", 75-80.
  17. Qui Maimonide disconosce chiaramente la teoria platonica (adottata esplicitamente da Sa’adiah e implicitamente da Halevi) che gli esseri umani nascono con anime complete.
  18. Vale la pena di notare che Abravanel, che non aveva interesse ad attribuire a Maimonide una teoria filosofica che non gli piaceva, lo interpreta comunque come propongo qui. Si veda il commento da Abravanel riguardo a Guida i.1 e 41, nel suo commentario a Genesi, p. 67, e Yeshuot meshiḥo, Sezione (iyun) 1, cap. 5, p. 92. Abravanel vede Alessandro di Afrodisia quale fonte di Maimonide e critica quest'ultimo fortemente per aver seguito Alessandro in questa materia. Nel commentario di Abravanel ai "Primi Profeti", 1 Sam. 25, sesta "radice" (dove Abravanel attribuisce la teoria dell'intelletto acquisito a Maimonide e indica Alessandro come fonte) Abravanel adotta esplicitamente la veduta dell'anima derivata da Platone, in contrasto con la posizione di Maimonide. Come Abravanel, anche Shem Tov ibn Shem Tov capì chiaramente quello che Maimonide stava insegnando. Nell'era moderna, S.D. Luzzatto criticò molto l'adozione da parte di Maimonide dell'interpretazione aristotelica dell'anima. Si veda Harris, "Image of Maimonides", 119-20.
  19. Guida i.2 (p. 24)>
  20. Per altri testi in merito, e per una discussione delle interpretazioni oltre qualla qui offerta, si veda Kellner, Maimonides on Human Perfection, 1-5, e gli studi ivi citati, ai quali si può aggiungere Kreisel, Maimonides’ Political Thought, 88-92, 128-41 e 164-75.
  21. Per un'importante discussione delle questioni qui sollevate, si veda S. Harvey, "A New Islamic Source", 55-9.
  22. Per esempi di tale "utilità" si veda il Libro dei Comandamenti, comandamenti positivi 186 ("città apostata"), 187 ("sette nazioni") e 188 ("Amalek"), ed il comandamento negativo 49 (di nuovo, "sette nazioni") e i passi corrispondenti nella Mishneh Torah. Si veda anche Guida i.37 e 54.
  23. Si veda Melamed, Image of the Black, 139-48, per una discussione degli esempi offensivi che Maimonide usa qui. Si veda inoltre il commento di Maimonide sulla Mishnah Ḥag. 2:1, secondo cui sarebbe stato meglio che gli uomini non realizzati non fossero mai venuti al mondo. Questa dottrina venne fortemente criticata da Hasdai Crescas, che si offese particolarmente per il fatto che, secondo questa dottrina, i bambini piccoli che non avevan o mai peccato ma che anche non avevano mai avuto possibilità di sviluppare i loro intelletti non avrebbero avuto una porzione del Mondo a venire. Si veda il suo Or hashem ii.6.i.
  24. A questo punto dobbiamo notare il seguente passo di Guida iii.12 (p. 448): "Tramite le due considerazioni che sono state presentate, la Sua beneficenza, che Egli sia glorificato, riguardo alle Sue creature ti diverrà chiara, in quanto Egli porta in esistenza ciò che è necessario secondo il suo ordine di importanza e in quanto Egli rende gli individui della stessa specie uguali al momento della loro creazione. Con in vista di questa vera considerazione, il Maestro di tutti quelli che sanno [Mosè] dice: «Poiché tutte le Sue vie sono giustizia» (Deut. 32:4. E Davide dice: «Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia» e così via (Salmi 25:10), come abbiamo reso chiaro." Dio "rende gli individui della stessa specie uguali al momento della loro creazione". A meno che uno non voglia proporre l'affermazione assurda (che nessuno ha mai sostenuto, e che tutti contestano) che Maimonide sostenesse che ebrei e non-ebrei appartengono a specie differenti, qui vediamo che egli asserisce che tutti gli esseri umani (ebrei e non ebrei) sono uguali al momento della creazione.