Elettrotecnica/Comportamento dei materiali immersi in un campo magnetico

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro

Comportamento dei materiali immersi in un campo magnetico[modifica]

L'argomento che ci apprestiamo a trattare è il comportamento dei materiali nel campo magnetico.

Per agevolare questa parte della trattazione torna utile l'introduzione di alcune grandezze: prima di tutte la permeabilità relativa.

La permeabilità relativa di un certo materiale si definisce come rapporto tra la induzione B misurabile nell'interno di un solenoide avvolto su un anello torico del materiale in prova e la

induzione B0 che può misurarsi nell'interno del medesimo solenoide quando da esso si sia tolto il materiale stesso.

È quindi μr = B/B0 ed esso è quindi un numero adimensionale. Sappiamo che, con riferimento allo spazio vuoto, è B0 = H0 μ0 e pertanto:

(1)


ossia ponendo μ=μr μ0 si ha

(2)

Con riferimento alla medesima esperienza ideale si definisce intensità di magnetizzazione di un certo materiale la grandezza

(3)

è anche

(4)

oppure

(5)

Infine si definisce suscettibilità magnetica la grandezza:

(6)

Ciò premesso, notiamo che i materiali possono, dal punto di vista del loro comportamento in un campo magnetico, suddividersi in tre categorie.

  • Corpi diamagnetici: per essi la permeabilità è una costante caratteristica del materiale indipendente dalla temperatura: ha valore di poco inferiore alla unità.
  • Corpi paramagnetici: anche per essi la permeabilità è una costante caratteristica del materiale. Il suo valore è di poco maggiore dell'unità. Dipende dalla temperatura diminuendo al crescere di questa.
  • Corpi ferromagnetici: per essi la permeabilità non è una costante del materiale: dipende con legge complessa dal valore della induzione e dalla storia magnetica del materiale.

Il valore della permeabilità relativa è sempre di alcune migliaia o di alcune decine di migliaia di unità. Esso dipende, inoltre, dalla temperatura diminuendo al crescere di questa. Esiste anzi per ogni materiale un valore critico della temperatura, che assume il nome di punto di Curie, e che è quasi sempre nella gamma di temperature al disopra di 800°, per il quale il materiale ferromagnetico assume un comportamento paramagnetico.

L'appartenenza o meno di un determinato corpo ad una delle tre categorie su enunciate è denunciata dal suo comportamento, quando viene immerso in un campo magnetico.

  • Corpi diamagnetici vengono respinti verso le zone più deboli del campo;
  • Corpi paramagnetici vengono debolmente attratti verso le zone più intense;
  • Corpi ferromagnetici sono infine attratti violentemente verso le zone più intense del campo.

Di queste differenze di comportamento è possibile dare una spiegazione connessa alle caratteristiche strutturali della materia: l'analisi di tali teorie esce, peraltro, dai limiti del nostro lavoro.

Se ora sottoponiamo un materiale diamagnetico o paramagnetico (purché quest'ultimo, a temperatura costante) ad un campo magnetico di forza magnetica variabile e rileviamo per ogni valore di H il valore della induzione magnetica B, il grafico relativo risulta una retta la cui inclinazione è legata al valore della permeabilità magnetica del materiale in prova.

Non così, per la non costanza di μr, avviene per un materiale ferromagnetico.

Si supponga di avere un materiale magnetico del tipo ferromagnetico che sia stato precedentemente accuratamente smagnetizzato. Esso inizia, per così dire la sua storia magnetica con la nostra esperienza.

Sottoponiamolo ad un campo di forza magnetica variabile e rileviamo per ogni valore della forza magnetica il corrispondente valore della induzione. Se ne deduce la curva di prima magnetizzazione o curva normale di magnetizzazione. Questa curva ha alcune caratteristiche che è necessario richiamare.

Essa esce dall'origine tangente ad una retta inclinata d'un certo angolo rispetto alle ascisse e con la concavità rivolta verso l'alto. L'induzione cresce quindi rapidamente, in un primo tempo, al crescere della forza magnetica. Si ha, quindi, un flesso cui segue il così detto ginocchio della curva di prima magnetizzazione. Essa rivolge ora la sua concavità verso il basso e ben presto si raggiunge un valore della induzione che rimane costante al successivo aumentare della forza magnetica.

L'andamento della curva di prima magnetizzazione è quello della permeabilità magnetica relativa in funzione della forza magnetica, riportata nella figura seguente:

Se allora, per quanto si è visto si inizia a magnetizzare un materiale ferromagnetico a partire da uno stato di completa indifferenza magnetica esso segue la curva di prima magnetizzazione (tratto OBm della seguente figura).

Giunti in corrispondenza del valore Hm della forza magnetica, si diminuisce ora tale forza fino a tornare a O, provvedendo contemporaneamente alla misura di B. Ci accorgiamo che il valore della induzione diminuisce ma non più seguendo la curva tracciata in salita, bensi una nuova curva che a questa si mantiene sempre superiore finché giunti al valore 0 della forza magnetica si ha ancora un valore positivo e finito della induzione, Br, che prende il nome di induzione residua.

Invertendo ora il senso della forza magnetica il valore della induzione continua a diminuire fino ad annullarsi in corrispondenza di un certo valore -Hc denominato forza coercitiva. Il ciclo si completa poi simmetricamente.

La curva ciclica disegnata nel piano H,B dal vettore induzione magnetica in corrispondenza di una magnetizzazione alternativa prende il nome di ciclo d'isteresi e isteresi magnetica viene chiamato il fenomeno che la determina.

Il ciclo d'isteresi da atto in primo luogo della straordinaria complessità del fenomeno magnetico. Esso spiega perfettamente inoltre perché il comportamento dei materiali ferromagnetici e più specificatamente il valore della permeabilità relativa risenta della storia magnetica del materiale.

Infine può trarsi qualche indicazione sui criteri che presiedono alla scelta dei materiali da utilizzare nella costruzione di magneti permanenti.

Anzitutto è da notare il fatto che i magneti permanenti trovano nel fenomeno di isteresi magnetica, per così dire, la loro ragione stessa di esistenza. Solo infatti il fenomeno della induzione residua consente la preparazione dei magneti permanenti. Ma non sarà solamente una elevata induzione residua a dover essere ricercata in un magnete permanente. E' necessario anche che esso abbia una intensa forza coercitiva, si che non si possa arrivare alla facile smagnetizzazione del magnete in presenza di casuali forze magnetiche esterne di verso contrario.

È per questa ragione, ad esempio, che si preferisce normalmente l'acciaio al ferro per la costruzione dei magneti.

Il fenomeno di isteresi rappresenta, però, come tutti i fenomeni irreversibili, una dispersione d'energia. Ed è facile rendersi conto che l'area del ciclo di isteresi rappresenta, proporzionalmente, l'energia necessaria per produrre la variazione ciclica nell'unità di volume del materiale.

Non abbiamo ancora ricavato una espressione della energia contenutà nell'unità di volume di un mezzo sottoposto ad un campo magnetico di forza H che provochi una induzione B.

Tale espressione è:

(7)

L'energia elementare corrispondente ad una variazione dH della forza magnetica, cui corrisponde una variazione dB della induzione, è allora:

(8)

Sappiamo, d'altronde, che è

(9)

ossia

(10)

allora

(11)

in definitiva il lavoro elementare può essere rappresentato dalla areola tratteggiata. Per una variazione di B tra gli estremi B1 e B2 il lavoro necessario risulta

inserire figura titolo Lavoro elementare

essa risulta pertanto proporzionalmente rappresentato dalla superficie della porzione di piano H-B compresa tra la curva di magnetizzazione effettiva e l'asse delle ordinate.

Si pùò allora applicare il principio al ciclo d'isteresi riscontrando la verità di quanto affermato.

L'importanza ai fini pratici del fenomeno lamentato ha spinto più di un sperimentatore a ricercare una formula pratica, e quindi approssimata, capace di dare il lavoro di isteresi in funzione di un parametro caratteristico.

La più usata è la formiula di Steinmetz. Essa risulta da una lunga serie di esperienze condotte sui ferri industriali ed è rappresentabile con la seguente relazione:

(12)

ove η è un coefficiente caratteristico del materiale usato e sta a rappresentare il lavoro di isteresi per unità di volume e per ciclo, quando l'induzione varia entro i limiti di +1 weber/m2.

Trattiamo ora dei circuiti magnetici e delle principali leggi che al loro studio presiedono. Il punto di partenza è la constatazione che ai circuiti magnetici è applicabile il principio della continuità; intendendosi per circuito magnetico la porzione di spazio attraverso la quale si chiude un certo numero di linee di forza. L'applicabilità del principio deriva dal fatto che le linee di forza di un campo magnetico debbono in ogni caso considerarsi chiuse. Infatti ciò è ovvio per il caso in cui a generare il campo magnetico sia una corrente elettrica od un movimento qualsiasi di cariche elettriche: meno evidente risulta il caso in cui la fonte generatrice del campo sia un magnete permanente. In questo caso però è sufficiente porre mente a quanto a suo tempo avemmo occasione di dire circa la teoria della generazione di un campo magnetico da parte di un magnete permanente, perché l'affermazione acquisti un carattere di piena generalità.

La applicabilità del principio di continuità consente allora di affermare che se in una regione dello spazio converge un fascio di linee di forza cui corrisponde un flusso magnetico totale Φ e se dalla nominata regione si dipartono un certo numero di fasci di linee di forza cui corrispondono flussi Φ1, Φ2, Φ3 ecc., è certamente

(13)

ossia

(14)

E' manifesta l'analogia tra questa espressione e il 1° principio di Kirchoff, non appena si sostituisca alla grandezza flusso magnetico la grandezza corrente elettrica.

In questo senso si parla di un 1° principio di Kirchoff dei circuiti magnetici.

La seconda legge relativa ai circuiti magnetici può dedursi dalla prima legge circuitale dopo opportune manipolazioni.

Noi conosciamo la prima legge circuitale nella forma:

(15)

tenendo conto del fatto che è per definizione

(16)

essa può scriversi

(17)

o, nei circuiti a permeabilità magnetica costante:

(18)

Se il circuito si svolge in un mezzo a permeabilità non costante, può ottenersi ancora una formula di pratico uso introducendo il flusso magnetico totale, il che può farsi agevolmente quando si ricordi che è

(19)

La precedente espressione della legge circuitale diviene allora

(20)

Consideriamo ora che il circuito magnetico sia suddivisibile in tronchi per ognuno dei quali il flusso magnetico si mantenga costante. E allora

(21)

Se A e B sono gli estremi del tratto a flusso costante.

Alla quantità si dà il nome di resistenza magnetica o più semplicemente riluttanza. Essa si indica col simbolo R e nel caso, frequente nella pratica, che il tratto del circuito magnetico considerato abbia sezione e permeabilità magnetica costante, può più semplicemente scriversi

(22)

essendo l la lunghezza del tratto considerato.

La prima legge circuitale, nella forma ora considerata, viene talvolta indicata come secondo principio di Kirchoff dei circuiti magnetici.

Torniamo ora con la mente a quanto a suo tempo detto studiando il fenomeno della induzione. Risultò allora che là ove esiste una variazione del flusso magnetico concatenato con una spira, o più generalmente con un circuito, in questo stesso circuito si induce una forza elettromotrice, comunque la accennata variazione sia stata prodotta.

Si dà il nome di fenomeno di induzione mutua, al fenomeno di induzione quando la variazione di flusso concatenato con un circuito sia prodotta dalla presenza di altri circuiti percorsi da correnti variabili.

Si è visto più volte che il campo magnetico generato da una corrente i1 è proporzionale alla corrente stessa; per cui se il fenomeno di mutua induzione ha sede in un mezzo a permeabilità magnetica costante, alla corrente i1 risulta proporzionale anche l'induzione magnetica B. In ultima analisi, dati i legami notoriamente esistenti tra B e Φ, anche Φ risulta proporzionale alla corrente.

Per cui chiamato con Φ2 il flusso che si concatena con un circuito 2 per il fatto che in un circuito 1 circola una corrente i1 è

(23)


essendo M21 un coefficiente di proporzionalità.

Analogamente, facendo circolare una corrente i2 nel circuito 2, si concatenerà con il circuito 1 un flusso magnetico totale

(24)


Interessa mostrare che è sempre

(25)


per il che sarà sufficiente ricordare che l'energia elettromagnetica afferente al sistema in conseguenza delle forze che l'uno dei circuiti esplica sull'altro e viceversa, può rappresentarsi con il prodotto della corrente che percorre uno dei circuiti per il flusso che col medesimo circuito si concatena.

E', insomma,

(26)


ciò che conduce alle due espressioni

(27)


(28)


da cui deriva l'uguaglianza di M12 e M21; indicando allora con M il valore comune di M12 e M21, sarà

(29)


(30)


(31)


M assume il nome di coefficiente di mutua induzione tra i circuiti 1 e 2; esso si misura in Henry=weber/ampere.

Ricavando dalle precedenti espressioni il coefficiente di mutua induzione, è

(32)


(33)


il che conduce alle seguenti definizioni del coefficiente di mutua induzione.

  • 1°) - Il coefficiente di mutua induzione M tra due circuiti percorsi da correnti i1 e i2 è misurato dal flusso che si concatena con uno qualsiasi dei due circuiti quando l'altro sia percorso da una corrente unitaria.
  • 2°) - Il coefficiente di mutua induzione è misurato dalla energia elettromagnetica associata al sistema quando entrambi i circuiti siano percorsi da correnti unitarie. Se ora si suppone di variare la corrente in uno dei due circuiti - supponiamo ad esempio nel circuito 1 - nell'altro si desta per induzione una forza elettromotrice data da:
(34)


analogamente è:

(35)


il che consente una terza definizione della induttanza mutua.

  • 3°) - Il coefficiente di mutua induzione è misurato dalla forza elettromotrice che si desta in uno dei circuiti, quando la corrente varia nell'altro in ragione di un ampere al secondo. M risulta > 0 se una i > 0 genera un flusso > 0 che si concatena con l'altro circuito.

Il coefficiente di mutua induzione tra due circuiti è sempre misurabile con i ben noti metodi trattati dalle misure elettriche;

esso può, peraltro, essere calcolato nel caso in cui i circuiti abbiano forma e posizione relativa particolarmente semplice.

È ora facile introdurre il concetto di induzione propria di un circuito.

Si è visto che, nel processo di induzione mutua, si manifesta una forza elettromotrice in un circuito che indicammo con 2 quando variava la corrente i1 in un circuito che indicammo con 1; e ciò perché veniva a concatenarsi col circuito 2 un flusso variabile al variare della corrente i1. Ora è evidente che il flusso variabile generato dalla corrente variabile i1 oltre a concatenarsi col circuito 2 e con ogni altro circuito posto nelle vicinanze del circuito 1, si concatena anche con lo stesso circuito inducente. Così che in questo stesso si desta una f.e.m. che per la legge di Lenz è tale da opporsi alla variazione del flusso.

Con ragionamento analogo a quello fatto a suo tempo per il processo di induzione mutua potremo dire anche qui che, ove il fenomeno di induzione propria o autoinduzione si manifesti in un mezzo a permeabilità magnetica costante, il flusso che si concatena con un circuito in cui scorra una corrente i è, in definitiva, proporzionale alla corrente stessa. E cioè

(36)


ed al fattore di proporzionalità L, misurato come M in henry, si dà il nome di induttanza del circuito o coefficiente di autoinduzione.

Se varia la corrente nel circuito varia allora, come si è visto, il flusso che con esso stesso si concatena e ne nasce una f.e.m. di induzione espressa da

(37)


moltiplicando per i dt ambo i membri è

(38)


il lavoro elementare che la sorgente di energia dovrà compiere. Immaginando ora che la variazione di corrente avvenga tra un valore 0 ed un valore i, ed integrando il lavoro elementare da 0 a i è:

(39)


o anche:

(40)


Il che ci dice che la energia potenziale di un circuito immerso nel campo che esso stesso produce per mezzo della corrente i è uguale alla metà della energia che lo stesso circuito, percorso dalla medesima corrente, possiede quando per fenomeno di mutua induzione si concatena col medesimo flusso Φ.

L'energia ½ L i2 è in sostanza la energia che il circuito nella fase di accrescimento della corrente cede al mezzo circostante per la sua polarizzazione magnetica.

La medesima energia viene dal mezzo immagazzinata e permane inalterata per tutto il periodo di funzionamento a corrente costante. Essa viene infine restituita dal mezzo al momento della interruzione della corrente e si estrinseca sotto forma di scintilla o arco.

Si è già detto che, per la legge di Lenz, la forza elettromotrice indotta deve in qualche modo opporsi alla causa che la genera. Il che significa che se immaginiamo la variazione di corrente generata dalla brusca applicazione di una f.e.m. Ead un certo circuito di resistenza R la corrente i che ne deriva non è semplicemente data da E\R. La f.e.m.effettivamente agente sarà infatti la E meno la L di/dt che si desta nel circuito per autoinduzione. Ossia

(41)

Mettiamo allora in evidenza E

(42)


e moltiplicando ambo i membri per i dt è

(43)


o anche, essendo

(44)


(45)


ciò che chiaramente esprime il bilancio energetico prima accennato.

Nel tempo elementare dt l'energia fornita dal generatore solo in parte viene dissipata in calore per effetto Joule, il resto rappresentando l'energia necessaria all'incremento della polarizzazione megnetica del mezzo.

Analogamente a quanto fatto per il coefficiente di induzione mutua, è possibile dare ora alcune definizioni del coefficiente di autoinduzione la cui origine è, peraltro, evidente.

  1. Il coefficiente di autoinduzione di un circuito è misurato dal flusso che si concatena col circuito medesimo quando la corrente che lo percorre è unitaria.
  2. Il coefficiente di autoinduzione è misurato dal doppio dell'energia conferita al mezzo quando l'intensità della corrente che attraversa il circuito è unitaria.
  3. Il coefficiente di autoinduzione di un circuito è rappresentato dal valore della tensione che nel circuito medesimo si desta per induzione quando la corrente che lo percorre varia in ragione di una unità nell'unità di tempo.

Anche l'induttanza propria di un circuito può essere, in via generale, misurata con gli ordinari metodi delle Misure elettriche; analogamente al coefficiente di induzione mutua, essa può essere calcolata quando si tratti di circuiti di conformazione particolarmente semplice.

A conclusione di queste brevi note su questa parte della Elettrotecnica vogliamo accennare, senza peraltro entrare maggiormente nel merito alla questione, alla espressione della energia potenziale di un sistema di correnti.

Nel caso più generale essa consiste della somma delle energie proprie dei due circuiti e della energia potenziale di mutua induzione risultando in definitiva:

(46)


Infine accenniamo alle relazioni che esistono in un circuito magnetico tra la induttanza propria dei circuiti e la induttanza mutua. Tali relazioni mutano se il circuito magnetico considerato è perfetto, e cioè non esistono flussi dispersi, o imperfetto, e cioè esistono flussi dispersi.

Risulta, nel primo caso

(47)


mentre è, nel secondo caso

(48)

.