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Greco antico/Pronuncia

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Indice del libro

La pronuncia del greco antico, così come si studia nelle scuole, è il frutto di una convenzione: infatti i suoni del greco antico hanno subìto una trasformazione profonda nel passaggio dalla fase arcaica a quella bizantina.

  • La pronuncia bizantina del greco è la stessa del greco moderno; i greci non hanno infatti mai usato una pronuncia per la lingua antica che fosse diversa da quella della loro lingua vernacolare. Essa fu sostenuta dal filologo tedesco Johannes Reuchlin (1455-1522), da cui trae la denominazione di pronuncia reucheliana o itacistica dal modo in cui viene pronunciata la ἦτα [ita].
  • L'umanista olandese Erasmo da Rotterdam (1466-1536) invece, avendo notato che questa pronuncia sembrava non corrispondere adeguatamente ad alcune descrizioni fonetiche antiche, cercò di ripristinare la pronuncia del greco classico (pronuncia erasmiana o etacistica, dal nome in cui viene pronunciata la ἦτα [ɛta]). La pronuncia descritta da Erasmo è considerata tuttavia obsoleta dai linguisti attuali perché a quel tempo mancavano ancora gli sviluppi della linguistica storico-comparativa nata nel XIX secolo, almeno 300 anni dopo la morte di Erasmo; la forma attuale della pronuncia ricostruita è detta scientifica ed è descritta nei lavori di linguisti come William Sidney Allen[1] e Geoffrey Horrocks[2].

La pronuncia erasmiana è quella che riflette maggiormente, anche se imperfetta nella sua forma originaria, la realtà fonetica del greco antico ed è quella adottata nelle scuole italiane ed europee. In Grecia invece il greco antico è pronunciato allo stesso modo del greco moderno, ossia con la pronuncia itacistica.

Le vocali si pronunciano nel seguente modo:

  • α: come la a italiana, breve o lunga.
  • ε, η: ε (e breve) si pronuncia chiusa [e] come in essa; η (e lunga) si pronuncia aperta [ɛ:] come in lei, lunga; nella prassi scolastica non vengono distinte;
  • ο, ω: o (o breve) si pronuncia chiusa [o] come in oltre; ω (o lunga) si pronuncia aperta lunga [ɔ:] come in oro; nella prassi scolastica non vengono distinte;
  • υ: in epoca arcaica era pronunciata [u], ma in seguito divenne [y]. Nei dittonghi si pronuncia u: εὖ [ɛu̯]
  • ου: si pronuncerebbe [o:] (o lunga chiusa), ma nella prassi scolastica si pronuncia "u".
  • ει: se deriva da contrazione sarebbe [e:] (e lunga chiusa), ma la prassi scolastica lo rende sempre come "ei".

I dittonghi greci sono formati dall'incontro di una vocale forte (α, ε, η, ο, ω) con una vocale debole (ι, υ) oppure da due vocali deboli (solo la sequenza υι). I dittonghi più frequenti sono formati da una vocale breve seguita da ι oppure υ: ευ, ει, ᾰυ ecc. Per quanto riguarda i dittonghi con primo elemento lungo sono abbastanza frequenti solo quelli con il secondo elemento ι (vedi la sezione Iota sottoscritto), mentre quelli con il secondo elemento υ sono piuttosto rari in attico e l'unico effettivamente utilizzato è ηυ, ad esempio nell'aoristo ηὗρον.

I due dittonghi ει e ου sono un caso particolare. Il primo può infatti derivare da contrazione ed è quindi la forma grafica della vocale lunga chiusa /e:/ come nell'imperfetto εἴων, ma può anche essere un autentico dittongo /eɪ̯/, come nell'aoristo congiuntivo εἴπω[3]; il secondo fino all'epoca classica notava la vocale chiusa lunga /o:/, anche derivante da contrazione. Nella pratica scolastica sono letti rispettivamente /ei̯/ e /u/.

Iota sottoscritto

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Nei dittonghi con prima vocale lunga e secondo elemento iota, che compaiono ad esempio nel dativo singolare della prima e seconda declinazione, la lettera iota non viene scritta sulla riga, ma rimpicciolita sotto la prima vocale: ᾳ, ῃ, ῳ (e non ᾱι, ηι, ωι)[4]. Nelle lettere maiuscole si scrive invece sulla riga (iota ascritto), ma spiriti e accenti si mettono sulla prima vocale: Ἄi, Ἤι, Ὤι. Questo tipo di scrittura si diffuse nel Medioevo per ripristinare graficamente lo iota che non era più pronunciato dall'inizio della koinè e veniva tralasciato nella scrittura. Nella prassi scolastica questo iota non si pronuncia.

Le consonanti si pronunciano nel seguente modo:

  • γ: ha sempre suono gutturale, ma quando si trova prima di γ, κ, ξ, χ, si pronuncia [ŋ] come la n italiana di panca; in tal caso è detto "gamma nasale" o, secondo la terminologia greca, ἆγμα ā̀gma.
  • κ: ha sempre suono gutturale.
  • ζ: nell'uso scolastico ha suono dolce [d͡z], come "zaino", ma originariamente si pronunciava [zd].
  • θ: propriamente sarebbe un'occlusiva aspirata [tʰ]; nella prassi scolastica si pronuncia come il gruppo "th" nella parola inglese "think", come nel greco moderno[5].
  • χ: propriamente sarebbe un'occlusiva aspirata [kʰ]; nella prassi scolastica si pronuncia come la c aspirata in toscano o il ch tedesco, come in greco moderno.
  • φ: propriamente sarebbe un'occlusiva aspirata [pʰ]; nella prassi scolastica si pronuncia come la f italiana, come in greco moderno.
  • τ: si pronuncia come la t italiana.
  • ξ: si pronuncia come la x latina.
  • ψ: scrive le due consonanti ps come in psicologia.

Il greco antico impiega tre accenti: l'accento acuto ά, l'accento grave ὰ e l'accento circonflesso ᾶ[6]. Nella pratica scolastica non si fa nessuna differenza nella pronuncia e corrispondono tutti a un accento tonico. Nei dittonghi l'accento è segnato sulla seconda vocale ma si legge sulla prima: αί = ài, εῦ = èu. In realtà il greco antico possedeva un accento musicale in cui la sillaba accentata era pronunciata più acuta delle altre. I tre accenti indicano i seguenti profili melodici:

  • l'accento acuto indica il tono alto sulla sillaba accentata; nelle vocali lunghe e sui dittonghi il tono alto si colloca sulla seconda mora (ή = /ɛɛ̯́/, ού = /oó̯/, εύ = /ɛú̯/, αί = /aí̯/ ecc.).
  • l'accento grave sostituisce l'accento acuto sull'ultima sillaba quando un'altra parola non enclitica segue immediatamente e indica un tono basso o l'annullamento del tono alto in quel contesto[7].
  • l'accento circonflesso indica il tono alto seguito dal tono basso; essendo bimoraico, possono portarlo solo le vocali lunghe e i dittonghi (ῆ = /ɛ́ɛ̯̀/, οῦ = /óò̯/, εῦ = /ɛ́ù̯/, αῖ = /áì̯/ ecc.). Da notare che la forma dell'accento circonflesso deriva dall'unione dei segni dell'accento acuto e dell'accento grave.

Quando una parola inizia per vocale o dittongo porta sempre uno spirito, ossia un segno che indica la presenza o l'assenza dell'aspirazione iniziale. Un semicerchio aperto sulla destra, detto spirito aspro, indica la presenza dell'aspirazione, mentre un semicerchio aperto sulla sinistra, detto spirito dolce, ne indica, pleonasticamente, l'assenza:

  • ἁ = /ha/
  • ἀ = /a/

Anche gli spiriti si segnano sul secondo elemento dei dittonghi, insieme all'eventuale accento: εὖ èu (o meglio /éù̯/), εἷς hèis (o meglio /héè̯s/), οὐρανός uranòs (o meglio /oːranós/), ἱκανός hikanòs (o meglio /hikanόs/) ecc.

  1. Vox Graeca, Cambridge University Press, 1987
  2. Greek: A History of the Language and its Speakers, Wiley-Blackwell, 2a ed., 2014 (1a ed. 1997, Longman Pub Group)
  3. Soltanto la pratica e la conoscenza etimologica del lessico permettono di distinguere il falso dittongo ει da quello autentico
  4. Alcune edizioni scientifiche utilizzano invece proprio questa scrittura, rigettando una regola ortografica medievale applicata a una fase della lingua in cui questo iota era ancora pronunciato e scritto sulla riga.
  5. Nella scuola talvolta è pronunciata [t͡s] come la z di zio, spazio, ma si tratta di un abuso che è preferibile evitare.
  6. La forma dell'accento circonflesso varia a seconda del carattere tipografico usato da quella a cuneo ^ (che è quella originaria, nata dall'accostamento dell'accento acuto e dell'accento grave) a quella a tilde ~, senza differenza di significato.
  7. Nella prima fase di applicazione grafica degli accenti l'accento grave era segnato su tutte le sillabe atone, ad esempio Θοὺκὺδίδὴς, e ciò ha fatto pensare che possa trascrivere un tono basso o l'assenza di innalzamento della voce; in seguito rimase solo come sostituto dell'accento acuto sull'ultima sillaba prima di un'altra parola accentata, ad esempio καλὸς καὶ ἀγαθός.