Thomas Bernhard/Elementi

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Indice del libro
Autoritratto di (ca. 1588)
« Sento la morte che mi artiglia di continuo ora la gola ora le reni. Ma io non sono come gli altri: la morte mi pervade interamente. »
(Montaigne, esergo di Estinzione. Uno sfacelo)

Elementi teatrali in prosa e pittura[modifica]

In Antichi Maestri, Thomas Bernhard illumina gli aspetti teatrali della sua posizione di autore, la sua prosa stessa e il dipinto del Tintoretto. Bernhard è interessato all'idea di autoosservazione nella letteratura e nel teatro. Vale a dire, per quanto riguarda la prosa, il narratore è sia scrittore che spettatore-testimone, e in teatro l'attore è spesso il presentatore e colui che recita la parte di un altro personaggio. In questo modo, vengono esposti almeno due ruoli di un personaggio, consentendo l'osservazione di sé e la riflessione. Questo fenomeno è così significativo per Bernhard che Rudolf, il personaggio di Bernhard in Cemento, suo romanzo del 1984, dice: "In realtà mi osservo da anni, se non da decenni; la mia vita ora consiste solo nell'autoosservazione e nell'autocontemplazione, il che porta naturalmente all'autocondanna, all'autorifiuto e all'autobeffa."[1] L'interesse di Bernhard per l'osservazione di sé nel teatro corrisponde all'importanza che attribuisce al rapporto attore-pubblico. Proprio come un membro del pubblico guarda un attore recitare sul palco, l'attore può, secondo quanto scrive Bernhard in Cemento, osservare se stesso recitare il suo ruolo. Il mondo bernhardiano della scrittura è anche un mondo di interpretazioni, influenzato dalla filosofia di Schopenhauer, poiché "si basa sulla visione del mondo da parte del filosofo, come rappresentazione del soggetto pensante, che contemporaneamente si proietta nel suo mondo immaginato, dove si esibisce e si guarda nell'esecuzione, appollaiato nella scatola privata della sua mente."[2] La tecnica di auto-osservazione e interesse bernhardiana per il Vorstellung (spettacolo o rappresentazione) gli consente di enfatizzare gli elementi teatrali della sua scrittura, trasformando la sua opera in una serie di spettacoli. Questo particolare appello si manifesta in Antichi Maestri e in molti altri romanzi e opere teatrali di Bernhard. Il suo interesse per la teatralità dell'arte aiuta a capire come Bernhard vede l'inesorabile legame tra uno spettacolo sul palcoscenico e uno spettatore nel pubblico.

In questa Sezione 1, mi concentrerò sul rapporto di Bernhard con il teatro, sul suo interesse per la nozione di autoosservazione in Antichi Maestri e sul significato di un ritratto del Tintoretto come fulcro della trama narrativa in Antichi Maestri e su cosa implichi per questo romanzo il fatto che si svolga al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Per far ciò, userò il saggio di Friedrich Dürrenmatt del 1955 intitolato "Theaterprobleme" e la sua idea che "il pubblico è egli stesso" corrisponda alla nozione di Bernhard sull'autoosservazione di un attore nel teatro e su come tale osservazione di sé possa spiegare il duplice ruolo dell'attore di appartenente al palcoscenico e al pubblico. Sia per il Tintoretto che per Bernhard, la dinamica attore-pubblico svolge un ruolo fondamentale nella loro arte.

Inserendo il suo romanzo in un museo di antichi maestri, in cui sono custodite reliquie classiche e le invenzioni contemporanee per la maggior parte vengono ignorate, Bernhard fa una potente dichiarazione sul teatro sperimentale e postmoderno. Nella mia analisi di Antichi Maestri, il saggio di Dürrenmatt Theaterprobleme affronta i problemi associati ai classici canonizzati e alla condizione teatrale contemporanea.[3] L'osservazione di Reger sulla pittura dell'antico maestro Tintoretto lo ispira a riflettere sul passato e a considerare i problemi del presente, come lo stato del teatro nella Germania del dopoguerra (in particolare l'Austria, per Bernhard) e le questioni politiche, religiose, economiche e sociali nell'Europa del XX secolo. In Antichi Maestri, Bernhard crea un ambiente in cui vengono affrontati questi problemi dell'Europa del XX secolo.

Bernhard non era solo uno scrittore e un regista, ma anche un attore e quindi aveva basi profonde nelle prestazioni drammatiche. Da adolescente, aveva iniziato la sua vita sul palco cantando. Quando aveva diciassette anni, iniziò a prendere lezioni private di canto; tuttavia, le lezioni furono interrotte all'inizio di quella che si rivelò essere una lotta permanente con tubercolosi e malattie polmonari. Per tutta la sua vita, Bernhard si alternò tra letto d'ospedale e teatro. Il suo primo ricovero fu per una pleurite all'età di diciotto anni; questo gli fece iniziare una vita di visite ricorrenti ai sanatori per tubercolosi e a vari ospedali.

A causa della sua salute indebolita, Bernhard divenne ossessivo sui temi dell'infermità, della morte e della malattia. Più tardi nella sua vita, nel 1982, pubblicò Il nipote di Wittgenstein,[4] un romanzo che coinvolge il malato di mente Paul Wittgenstein e il protagonista "bernardiano" malato fisicamente. Ambientato in un ospedale, i due personaggi intrattengono dialoghi continui su morte, vita e salute fisica e mentale. La realtà della morte non sembra mai lasciare il pensiero di Bernhard.

All'età di ventiquattro anni, Bernhard iniziò a studiare recitazione e regia al Mozarteum di Salisburgo. Nella sua biografia di Thomas Bernhard intitolata Thomas Bernhard: The Making of an Austrian,[5] Gitta Honegger esamina i primi anni di Bernhard e la sua scrittura dell'epoca, mentre trascorreva gran parte del tempo nel suo casolare nell'Alta Austria e nei vari teatri di Vienna. I suoi primi lavori creativi furono poesie e drammi brevi. A trentadue anni, fu pubblicata la sua prima opera in prosa intitolata Gelo. Ciò segnò l'inizio di dozzine di altri progetti teatrali e prosastici.

Bernhard collaborò con Claus Peymann, un famoso regista austriaco, in almeno una dozzina delle sue opere teatrali — tra cui Piazza degli eroi, inaugurato a Vienna nel 1988, il loro progetto più critico e controverso. L'inaugurazione di Piazza degli eroi era prevista per il centesimo compleanno del nuovo Burgtheater sulla Ringstrasse di Vienna. La tempistica era stata sistematicamente calcolata in modo tale che "gli anniversari coincidenti del teatro e dell'annessione dell'Austria al Reich di Hitler creassero un dramma di preproduzione senza precedenti".[6] Il dramma stesso è controverso in quanto critica l'adorazione delle masse per Hitler al suo arrivo a Vienna. La Piazza degli eroi è dove si trovavano Hitler e il suo esercito e dove si svolge la rappresentazione di Bernhard. Il dramma inizia subito dopo il suicidio del marito del personaggio principale, che è saltato dal suo appartamento con vista sulla Piazza.[7] La manipolazione dei dettagli storici da parte di Bernhard per l'ambientazione controversa e il suo interesse per gli effetti disastrosi del peso della colpa austriaca lo resero rapidamente un eroe e anche oggetto di disapprovazione per molti conservatori viennesi, che lo ritennero irriverente.

Claus Peymann, il principale regista teatrale di Bernhard, era altrettanto radicale di Bernhard. Peymann era noto per aver fatto spesso osservazioni offensive. Aveva criticato quasi ogni aspetto del teatro viennese, incluso il Burgtheater, dove Piazza degli eroi doveva essere presentato in anteprima. In una dichiarazione radicale, Peymann definì "il Burgtheater così pieno di merda che avrebbe dovuto essere avvolto dall'artista Christo e abbattuto".[8] Insieme, Bernhard e Peymann rappresentarono una voce critica e, spesso, estremista che la maggior parte del mondo postbellico viennese non era pronta ad accettare. Il cinico drammaturgo ed il vocifero regista collaborarono fino alla morte di Bernhard nel 1989.

La Sala Terrena della Scuola di San Rocco a Venezia

Per quanto critico fosse nei confronti della città conservatrice di Vienna e del "contaminato" paese dell'Austria, Bernhard provava sentimenti contrastanti di lealtà, disapprovazione e vergogna verso la sua terra natale.[9] Nonostante i numerosi difetti del paese, Bernhard non offre una via di fuga definitiva dall'Austria. Sia Bernhard che Tintoretto, l'antico maestro che dipinse l’Uomo dalla barba bianca, sono prodotti unici del loro tempo proprio per questo legame con la loro terra natale. Il Tintoretto, Bernhard e il personaggio autobiografico di Bernhard, Reger, sono tutti sinceramente legati alla loro terra natale. Tuttavia, hanno modi radicalmente diversi di esprimere la loro connessione. Reger, fortemente critico nei confronti dell'Austria, pur rimanendo un residente permanente nel paese, afferma: "Indubbiamente, mio caro Atzbacher, abbiamo quasi raggiunto l'apice della nostra epoca di caos e kitsch, aggiungendo: l'intera Austria non è altro che un Kunsthistorisches Museum, cattolico-nazionalsocialista e spaventosa."[10]

Reger si lamenta delle questioni politiche e religiose dell'Austria con un tono alquanto radicale. Nel caso del Tintoretto, tuttavia, la terra natia non è l'Alta Austria, ma Venezia, in Italia. Tintoretto amava lo stato veneziano ed era fedele alla sua religione cattolica. Non era politico ma aveva un intenso patriottismo per Venezia. La sua commissione per la Scuola di San Rocco, a partire dal 1564, che impiegò ventitre anni per essere completata, lo portò a diventare attivo non solo come artista ma come amministratore. Tintoretto non solo era considerato molto più religioso e spirituale rispetto ai suoi contemporanei artistici, ma dedicò anche una parte sostanziale della sua vita al "focolare e allo studio".[11] L'approccio del Tintoretto al cristianesimo tendeva ad essere mistico e ottimista, mentre il Reger di Bernhard ha un'inclinazione sacrilega e irriverente, per così dire. Sebben Reger e Tintoretto siano entrambi fisicamente e mentalmente attaccati alla loro patria, esiste un enorme contrasto tra le azioni che Tintoretto e Reger intraprendono nelle loro rispettive patrie.

Sala del Kunsthistorisches Museum di Vienna

Bernhard promuove il legame tra Reger e il Tintoretto con le sue abilità di pittore facendo concentrare Reger sull’Uomo dalla barba bianca quale unico punto centrale di studio in tutto il romanzo. In questo modo, Bernhard fa una mossa innovativa. Facendo svolgere la sua "performance" in un museo, deposito di tesori classici e cimeli idealizzati – il luogo preciso in cui Dürrenmatt crede si trovi la condizione moderna del teatro – Bernhard crea una situazione ideale per criticare il teatro contemporaneo postbellico. Il personaggio principale, Reger, è stato seduto di fronte a un ritratto convenzionale del Tintoretto a giorni alterni per trentasei anni; Irrsigler,[12] la guardia del museo, veglia non solo sui dipinti ma anche su Reger che esige solitudine senza interruzioni. Di conseguenza, lo stesso Reger diventa un pezzo da esposizione. Un museo, che già assomiglia a teatro e palcoscenico, con l'arte come spettacolo e i visitatori come spettatori, diventa un altro palcoscenico con Reger quale pezzo forte e i visitatori quale pubblico. Il cordone rosso richiesto da Reger separa l'"attore" dal suo "pubblico". Mentre i visitatori del Kunsthistorisches Museum sorpassano la Sala Bordone, Reger, senza aspettarsi intrusioni, si siede nel suo "spazio sacro" e osserva l’Uomo dalla barba bianca.

Il fascino di Reger, e di Bernhard, per l’Uomo dalla barba bianca è un punto focale di interesse per l'esame di Antichi Maestri. Tintoretto, ispirato alla teatralità che circonda un miracolo (la nascita di Cristo e San Marco che salva uno schiavo), dipinse pensando allo spettacolo e al pubblico. Tuttavia, in Antichi Maestri, Reger sceglie di osservare un ritratto convenzionale di una persona sconosciuta fatto dal Tintoretto. A cominciare dalla metà dei suoi quarant'anni, quando iniziò ad osservare il ritratto dell'anziano, Reger, per trentasei anni, ha instaurato rapporti col dipinto e derivanti dal dipinto. Reger è dedito ossessivamente al ritratto di Tintoretto e al museo stesso perché lì ha incontrato sua moglie mentre guardava il dipinto, e anche perché sua moglie è morta al museo — più specificamente, sui gradini del museo. Reger esamina un uomo anonimo nel ritratto che, in un certo senso, restituisce l'interesse di Reger con il suo sguardo laterale.

Uomo dalla barba bianca, di , ca. 1570

All'età di ottantadue anni, Reger continua a osservare il ritratto di un vecchio, che sembra appartenere a una fascia d'età simile alla sua. Fino a che punto l’Uomo dalla barba bianca del Tintoretto potrebbe essere un autoritratto del Tintoretto stesso? Il dipinto, con date che vanno dal 1570 al 1580, sarebbe stato completato dal Tintoretto quando aveva già superato i cinquanta o sessant'anni. L’Uomo dalla barba bianca presenta sorprendenti somiglianze con l’Autoritratto del Tintoretto (1588), che fu dipinto quando Tintoretto aveva settant'anni (vedi fig. supra). Il naso, gli occhi, i baffi, la barba, gli zigomi, l'attaccatura dei capelli e la forma della testa ricordano da vicino il suo autoritratto del 1588. Tutti questi dettagli riguardanti le età e le date incoraggiano a confrontare il periodo in cui Bernhard scrive Antichi Maestri con il dipinto dell’Uomo dalla barba bianca. Quando Bernhard scrisse Antichi Maestri nel 1985, aveva cinquantaquattro anni. Ciò porta alla conclusione che sia Bernhard che Tintoretto stavano creando le loro rispettive opere verso la metà dei loro cinquant'anni. Con la conoscenza di queste date e di come le opere d'arte corrispondano alla storia del pittore e dello scrittore, si possono quindi proporre connessioni esistenti tra le informazioni autobiografiche e quelle immaginarie. Bernhard, a metà dei suoi cinquant'anni, scrive un romanzo su un uomo più anziano che guarda il ritratto di un uomo più anziano. Tintoretto, tra la metà e la fine dei suoi cinquant'anni, dipinse il quadro che Bernhard in seguito sceglie come obiettivo principale per il suo protagonista. Le connessioni, una volta stabilite, rafforzano la relazione esistente tra spettatore-spettacolo e creatore e la sua opera. Bernhard, in Antichi Maestri, crea un ambiente teatrale in cui il personaggio principale e i visitatori del museo corrispondono all'attore in uno spettacolo teatrale e al suo pubblico.

In Theaterprobleme, Dürrenmatt esamina varie realtà esistenti sia sul palcoscenico che nel pubblico del teatro contemporaneo. Crede che sia diventato più difficile, se non impossibile, per l'autore moderno conoscere il suo pubblico, a causa delle questioni di stile nel teatro sperimentale. I numerosi stili vengono creati con la stessa rapidità con cui l'arte contemporanea subisce la sperimentazione. Invece di studiare secondo una data drammaturgia, ci sono molti modi per praticare il teatro e teorizzare sull'arte. Per Dürrenmatt, lo stile non è più "proprietà comune, ma qualcosa di altamente privato, una decisione individuale. Non abbiamo uno stile, solo degli stili, per descrivere la situazione dell'arte oggi in breve."[13] Di conseguenza, l'autore o drammaturgo moderno non sa più ciò che il pubblico desidera o si aspetta dal teatro. Pertanto, si rigira su se stesso per cercare un'idea di com'è la gente o una comunità. Dürrenmatt osserva che, con l'esistenza di numerosi stili e individui "altamente privati" nel pubblico, il senso della comunità è andato perduto. Egli crede che l'autore moderno non conosca più il suo spettatore che, a sua volta, è diventato solo il "pubblico pagante", che può essere compreso più facilmente in termini di denaro. Sottolinea il problema dell'identità ambigua nella produzione teatrale del ventesimo secolo: "Un drammaturgo deve immaginare il suo pubblico; ma in verità il pubblico è lui stesso...".[14] Un autore di un'opera teatrale o di prosa, in definitiva, ma non esclusivamente, scrive per se stesso, poiché assume il ruolo di spettatore. In un'epoca in cui il pubblico è diventato difficile da conoscere e il senso di comunità sembra essere svanito, l'autore, il regista o il produttore rivela il pubblico dentro di sé, nel suo proprio interiore.

Se, a livello fondamentale, il linguaggio dell'autore esiste come una serie di dialoghi criptici tra le molteplici personalità del creatore, allora quali ruoli esistono per il pubblico stesso? Quanto è importante il pubblico per gli attori sul palco? Gli attori si vedono come se fossero membri del pubblico? A causa della difficoltà di un autore contemporaneo di capire o sapere cosa aspettarsi dal suo pubblico, ci sono ragioni crescenti per sostenere che un autore alla fine scrive per compiacere se stesso, proprio come l'attore si esibisce per guardarsi. Ma un autore o drammaturgo non perde mai la speranza per la risposta del pubblico. La platea, il pubblico e lo spettatore sono elementi intrinseci del dialogo drammatico. Dürrenmatt e Bernhard riconoscono i ruoli mutevoli dell'essere spettatori che si sviluppano tra autore e platea all'interno del teatro moderno, nonché la connessione interrelata tra drammaturgo, attore e pubblico.

Allo stesso modo, Reger crede che quando uno scrive, stia scrivendo per se stesso. Sebbene Dürrenmatt veda il pubblico come ambiguo a causa del cambiamento nella nozione di stile nell'arte contemporanea, egli nota anche un cambiamento nell'individuo a causa del potere creato prima e durante la seconda guerra mondiale e la colpa derivante dall'Olocausto.[15] Reger pensa che il pubblico è intellettualmente inaffidabile e che il suo interesse per l'arte sia superficiale, sebbene non spieghi esattamente le ragioni di ciò, come invece fa Dürrenmatt. Reger, in un ritratto critico ma umoristico dei visitatori europei al Kunsthistorisches Museum, afferma:

« I francesi attraversano il museo piuttosto annoiati, gli inglesi hanno l'atteggiamento di chi sa e conosce tutto. I russi trasudano ammirazione. I polacchi considerano ogni cosa con arroganza. I tedeschi al Kunsthistorisches Museum guardano tutto il tempo il catalogo mentre attraversano le sale, gli originali che sono appesi alle pareti li vedono appena, seguono il catalogo e attraversano il museo strascicando i piedi, immersi sempre più profondamente nel catalogo, finché non giungono all'ultima pagina del catalogo e a quel punto si ritrovano fuori dal museo. Di austriaci, e in particolare di viennesi che vanno al Kunsthistorisches Museum ce ne sono ben pochi... »
(AM pp. 33-34)

Reger ha un'opinione su ogni nazionalità che visita il museo. Ciò significa che il pubblico francese e inglese, i russi, i polacchi, gli italiani (praticamente gli unici che Reger ama!) e i tedeschi, non solo sono il pubblico di Reger e i visitatori del museo, ma sono anche i soggetti dell'osservazione di Reger, così come lui è un soggetto della loro osservazione. Bernhard manipola lo spettacolo e le aspettative del pubblico in un ambiente teatrale.

« Negli ultimi tempi sono più gli italiani che i francesi, più gli inglesi che gli americani a visitare il Kunsthistorisches Museum. Gli italiani, con la loro innata sensibilità artistica, si comportano sempre come se l'arte ce l'avessero nel sangue. »
(AM p. 33)

Anche se Reger trova il pubblico a volte ridicolo e comico, riconosce l'importanza della sua esistenza. Dopotutto, cosa sarebbe Reger senza il suo pubblico? Reger, in una conversazione con Atzbacher in merito alle esitazioni di Atzbacher sull'editoria, afferma: "Io non riesco a capire perché lei non voglia pubblicare i suoi scritti, neppure qualche brano, non foss'altro per venire a sapere una buona volta che cosa ne pensa il pubblico, che cosa ne pensa il cosiddetto pubblico competente, sebbene io stesso sostenga d'altra parte che questo pubblico competente non esiste, a dire il vero non esiste neppure la competenza, la competenza non è mai esistita e non esisterà mai..."[16] Reger sembra avere una visione cinica del pubblico, proprio come Dürrenmatt crede che i desideri e gli interessi del pubblico siano, per molti versi, troppo ambigui (almeno al suo tempo, quando scrive). Nonostante il pubblico non reagisca, uno continua a scrivere per le masse e per se stessi. In Antichi Maestri, Reger crede che la scrittura debba essere letta, sempre nel rispetto della presenza del lettore e del pubblico. Reger dice a Atzbacher: "Lei adesso scrive il suo lavoro ormai da decenni e dice di scrivere questo lavoro solo per se stesso, ma è atroce, non c'è nessuno che scriva un lavoro soltanto per se stesso, quando uno dice di scrivere quello che scrive solo per se stesso dice una menzogna, ma lei sa quanto me che nessuno è più bugiardo di colui che scrive, da che mondo è mondo non si conoscono individui più bugiardi di quelli che scrivono, più presuntuosi e più bugiardi."[17] Uno scrive come spettatore ultimo, sapendo, naturalamente, quali immagini vuole vedere e allo stesso tempo scrive per ricevere una reazione emotiva e intellettuale dal pubblico. Pertanto, è importante per Reger avere Atzbacher e i visitatori del museo come platea o pubblico, proprio come Atzbacher ha bisogno di un pubblico o di lettori per i suoi scritti.

Continuando a riflettere sull'importanza del pubblico, Bernhard non ignora mai la sua posizione di spettatore dei suoi stessi scritti. Di conseguenza, non si dovrebbe ignorare il fatto che la scrittura di Bernhard contiene elementi autobiografici, poiché spesso mette in scena vari aspetti di se stesso quando scrive opere di prosa e di teatro. Per Bernhard, l'autore è lo spettatore ultimo, che si osserva continuamente da diverse angolazioni. In Antichi Maestri, Reger, Atzbacher e Irrsigler potrebbero essere diversi aspetti della personalità di Bernhard. Tutti e tre i personaggi sono uomini austriaci che rappresentano varie fasi della vita. O sono impegnati ad osservare il dipinto o ad osservare l'altra persona nella sala. Pertanto, i personaggi assumono vari angoli di autoriflessione e autoosservazione. Nella sua biografia di Bernhard, Honegger sottolinea l'elemento performativo nei suoi scritti. Paragona il processo di scrittura di Bernhard alla suddivisione di se stesso in numerose parti. Esplora come lui, pienamente consapevole della sua posizione di scrittore, possa osservarsi mentre scrive. Ad esempio, Bernhard, scrivendo un romanzo su un protagonista principale che sta scrivendo alla sua scrivania, è sempre consapevole della propria scrittura. Bernhard si osserva al di fuori di sé e sperimenta una varietà di personaggi all'interno della sua personalità. Honegger afferma che Bernhard, "drammatizzato nello scrittore fittizio che si osserva, sempre sotto lo sguardo attento del «vero autore», che occasionalmente afferma la sua presenza con dettagli autobiografici, assomiglia a un attore in una performance".[18] L'autore assume il ruolo di uno spettatore dominante, che è in grado di considerarsi scrittore e interprete, nonché il creatore di tutti i personaggi. Come spettatore ultimo, Bernhard raggiunge numerosi livelli di consapevolezza — consapevolezza di se stesso come autore, spettatore e attore. I molteplici ruoli consentono molteplici prospettive e, in definitiva, una maggiore libertà di parola, pensiero e dialogo.

Più possibilità di prospettiva si hanno in una performance, più ci si avvicina a una "verità".[19] La verità, in questo senso, viene riconosciuta come risultato della scoperta di falsità sul palco. Bernhard, come Arthur Schopenhauer,[20] è interessato al paradosso della scoperta di una verità tramite il riconoscimento di molteplici menzogne o, nel caso del teatro, di molteplici prospettive della "finzione" sul palco. I personaggi di Bernhard spesso giudicano, osservano e criticano oggetti e persone, aggiungendo strati di prospettive e personalità alla sua diegesi.

I personaggi di Bernhard nelle opere successive corrispondono all'età dell'autore, poiché i suoi personaggi principali sono spesso uomini più anziani – scapoli austriaci "dediti" alla critica – che si isolano dalla società e accumulano energia attraverso lamentele incessanti. Questa tendenza è cruciale nell'analisi di Antichi Maestri in quanto Reger, che sta al centro della scena, per così dire, viene osservato da Atzbacher, lo scrittore immaginario di Bernhard. Irrsigler, la guardia del museo e di Reger (e in una certa misura la guardia di Atzbacher perché è compito di Irrsigler assicurarsi che Atzbacher passi inosservato nella sua osservazione segreta) è un altro rappresentante di Bernhard in tutto quello che sta al di fuori del mondo dell'intellettuale critico. Bernhard critica il Burgenland (la campagna austriaca), gli austriaci delle classi inferiori e qualsiasi cosa "non viennese", tramite la voce di Reger. In questo modo, si scoprono vari aspetti della personalità di Bernhard nei suoi personaggi principali. Di conseguenza, il suo tema di autoosservazione nel teatro acquista credibilità e significato. Honegger commenta le numerose personalità su un palcoscenico bernhardiano: "Ciò che il lettore bernhardiano vede è un'esibizione virtuosa di una mente solista riflessa attraverso diversi specchi".[21] Le diverse personalità di una performance incarnano le diverse prospettive in una mente umana — in particolare quella di Bernhard.

L'importanza dell'ambientazione per questa "rappresentazione virtuosa" nel romanzo di Bernhard diventa più chiara quando si iniziano a esaminare i problemi associati al teatro contemporaneo. Sia per Bernhard che per Dürrenmatt, un grave problema con il teatro contemporaneo in Austria e Germania è la forte dipendenza dai classici: le opere canonizzate. Dürrenmatt ritiene che i classici stiano sopraffacendo il palcoscenico, lasciando poco spazio al teatro sperimentale. Crede che il teatro di oggi assomigli a "un museo in cui vengono messi in mostra i tesori artistici delle passate epoche d'oro del dramma".[22] Il dilemma del teatro contemporaneo è causato dalla sua incapacità di sfuggire alle influenze idealizzate del passato: "È fin troppo naturale in un momento come il nostro — un tempo che, guardando sempre al passato, sembra possedere tutto tranne un presente."[23] Questa esitazione a recitare e dirigere spettacoli sperimentali è dovuta a registi teatrali conservatori che si comportano più come uomini d'affari, che sono più interessati ai profitti commerciali che ai registi e agli artisti, che non sono disposti a correre i rischi associati alla messa in scena di un'opera relativamente sconosciuta. I classici, anche se interpretati male, offrono ai dirigenti del teatro meno rischi di una controversa commedia di Brecht, Dürrenmatt o Bernhard.

Nel caso degli spettacoli ricorrenti dei classici, Dürrenmatt crede che la monotonia sta prendendo il posto del teatro sperimentale. Durante le ripetute esibizioni di Johann Wolfgang von Goethe, Friedrich Schiller e William Shakespeare, i membri del pubblico sono "sollevati dal compito di pensare ed emettere giudizi diversi da quelli appresi a scuola", mentre gli attori, dopo anni di rappresentazioni della stessa recita canonizzata, si sentono come se stessero perdendo spontaneità poiché il loro lavoro è diventato più sistematico (Dürrenmatt, p. 239). Gli attori diventano più come impiegati statali e meno come interpreti, creatori e artisti. Dürrenmatt, che scrive Theaterprobleme negli anni ’50, e Bernhard, che scrive Antichi Maestri negli anni ’80, vedono entrambi problemi di identificazione nell'ambito del mondo degli attori e dei membri del pubblico. La combinazione delle conseguenze della colpa dopo la Seconda Guerra Mondiale con l'esplosione del potere e la paura di eseguire spettacoli sperimentali che potrebbero perdere denaro e portare alla rovina finanziaria, guidano sia Dürrenmatt che Bernhard nei loro scritti. Come risultato di tale stagnazione del teatro contemporaneo, i membri del pubblico si identificano meno con gli attori e gli attori si preoccupano meno sia della loro performance che del pubblico. Il teatro moderno ha scoraggiato ogni speranza di interazione attore-pubblico e creatività, che sono elementi chiave nello sviluppo del dramma. Dürrenmatt sostiene che nel 1955 si sarebbe dovuto lasciare spazio al teatro sperimentale, che avrebbe introdotto freschezza e inventiva a un palcoscenico e a un pubblico altrimenti stagnanti.

In Antichi Maestri, il dilemma di Reger in merito ai cosiddetti classici ricorda le lamentele di Dürrenmatt relative alla prevedibile devozione e ricezione del teatro classico. Nel seguente, tipico pezzo di prosa "bernhardiana", Atzbacher ricorda ciò che Reger, in un modo piuttosto prolisso, ha detto sulla sopravvivenza e sui classici:

« Penso infatti che il Kunsthistorisches Museum sia l'unico rifugio che mi è rimasto, disse Reger, è dagli Antichi Maestri che io devo andare per poter continuare a esistere, proprio da quei cosiddetti Antichi Maestri che a dire il vero detesto da tempo, da decenni, infatti, non c'è niente che io detesti di più di questi cosiddetti Antichi Maestri del Kunsthistorisches Museum e degli Antichi Maestri in generale, di tutti gli Antichi Maestri, quale che sia il loro nome, in qualunque modo abbiano dipinto, disse Reger, pur essendo loro, gli Antichi Maestri, quelli che mi tengono in vita. »
(AM, p. 137)

Sebbene Reger scelga di vedere una sola opera di un antico maestro, egli riflette su tutti gli antichi maestri a cui deve la sua vita, per così dire. Tra tutti gli antichi maestri del Kunsthistorisches Museum, ce n'è solo uno che Reger osserva, scruta ed esamina. Secondo Dürrenmatt, "il teatro vive nell'interesse dell'intelletto ben investito, al quale non può più accadere nulla e per il quale non è necessario pagare diritti d'autore. Con la certezza di avere a portata di mano un Goethe, uno Schiller o un Sofocle, i teatri sono disposti di tanto in tanto a mettere su un pezzo moderno, ma preferibilmente solo per una prima esecuzione."[24] In un certo senso, il dilemma di Reger è la paura di Dürrenmatt, dato che Reger si impegna con gli "orrendi antichi maestri" perché solo loro tra gli artisti gli sono accessibili, e ha bisogno dell'arte per mantenersi in vita. Reger soffre del soverchiante peso degli antichi maestri (i classici), che in parte lo attraggono e in parte lo aggravano. Non può resistere agli antichi maestri perché assicurano la sua "sopravvivenza", ma lo indeboliscono col disgusto. L'arte simultaneamente lo salva e lo distrugge.

Reger sembra essere, in un certo senso, un prodotto della crescente domanda estetica che i critici richiedono dagli artisti. Reger si aspetta la perfezione dagli antichi maestri anche se capisce che la perfezione è impossibile. Dice: "Tutti questi cosiddetti Antichi Maestri, del resto, sono dei falliti, tutti senza eccezione erano condannati al fallimento, e un osservatore attento può constatare questo fallimento in ogni particolare dei loro lavori, in ogni pennellata, nel più piccolo, nel più infimo dettaglio. Senza contare poi che tutti questi cosiddetti Antichi Maestri hanno sempre dipinto solo un dettaglio dei loro quadri in modo davvero geniale, nessuno di loro ha dipinto un quadro geniale al cento per cento, nessuno di questi cosiddetti Antichi Maestri c'è mai riuscito..." (AM, p. 198). Qui, il problema risiede nella nozione del classico come ideale estetico; come sostiene Dürrenmatt, "ciò che si desidera è la perfezione che viene letta nei classici".[25] Per Reger, anche i classici sono imperfetti, poiché la perfezione dell'oggetto immaginato non può essere realizzata in forma solida. Rispetto all'arte contemporanea, i classici possiedono una storia più lunga in cui sono stati letti, guardati e ammirati. Da questo punto di vista, le creazioni contemporanee rappresentano una novità che può essere interpretata erroneamente come inadeguatezza e vulnerabilità. Reger combatte continuamente tra l'opera artistica idealizzata e quella reale; queste nozioni sono rappresentate dalla perfezione proiettata sui classici e su ciò che egli vede realmente nei classici, in questo caso il ritratto del Tintoretto.

Per Reger, il fascino di un dipinto è giustapposto al suo indimenticabile difetto; è un antico maestro o, peggio ancora per Bernhard, in ambiente austriaco e, di conseguenza, possiede un inevitabile "kitsch". Reger, commentando il famoso museo del Prado di Madrid, afferma che "...anche il Prado non contiene altro che imperfezioni e fallimenti, e tutto sommato solo cose ridicole e dilettantesche. Alcuni artisti, in determinati periodi, quando viene la moda... vengono semplicemente gonfiati fino a farne delle mostruosità elettrizzanti; poi una mente incorruttibile affonda d'improvviso un artiglio nella mostruosità elettrizzante, e di colpo la mostruosità elettrizzante, così come si è formata, esplode e di essa non rimane più nulla..." (AM p. 48). Per Reger, alcune di queste "mostruosità elettrizzanti" includono Diego Velázquez, Rembrandt, Giorgione, Blaise Pascal e Voltaire. Reger mostra, dopo aver commentato artisti e intellettuali spagnoli, italiani e francesi, che l'arte non deve essere esclusivamente austriaca per essere difettosa; tuttavia, non esita mai a criticare la sua avvincente eppure orribile Austria. Le aspettative estetiche che Reger rivela e critica continuamente nei suoi dialoghi con Atzbacher e Irrsigler sembrano imperfette. L'aspettativa stessa sembra essere contaminata o sfruttata a tal punto che gli oggetti diventano distorti nel significato e nel valore. Nella seguente dichiarazione, Reger contrappone l'attrattiva di una pasticceria austriaca con l'odore dei gabinetti del caffè austriaco: "Da un lato questo gigantesco e delirante culto per dolci e torte gigantesche, dall'altro queste toilette orribilmente sporche... Molte di queste toilette danno l'impressione che nessuno le pulisca da anni" (AM p. 108) È proprio la coesistenza di un idealismo estetico e di ciò che egli chiama la realtà ripugnante e "kitschificata" che crea una tale varietà di voci critiche e insoddisfatte in Reger.

Reger si dedica al quadro del Tintoretto nella Sala Bordone per motivi sentimentali, metafisici e filosofici. L’Uomo dalla barba bianca attrae Reger perché ha incontrato sua moglie davanti a tale dipinto, proprio sul divano su cui si siede ogni secondo giorno. La di lei perseveranza le permise di condividere un posto vicino a Reger nella Sala Bordone; e sia la sua antipatia per il dipinto che la sua personalità aggressiva attrassero Reger. La natura conflittuale della donna, che forse gli ricordava il proprio comportamento, fece appello a Reger. Gli piacevano anche le loro conversazioni, che non erano dissimili da un dibattito filosofico. Reger afferma che "[egli] non era interessato ai contenuti [della conversazione] ma piuttosto al modo in cui essa veniva condotta." (AM p. 130). Ricorda ad Atzbacher i momenti con sua moglie e gli rivela la sua posizione contraria: "Come vede, devo non poco a questo Kunsthistorisches Museum, disse. Forse è addirittura la gratitudine che mi spinge a venire al Kunsthistorisches Museum un giorno sì e un giorno no, ma no, non è così, ovviamente." (AM pp. 130). Reger è una mente inquisitrice — una mente alla ricerca di errori, sfide intellettuali e contraddizioni. È un filosofo, a cui piace mettere in discussione le questioni difficili e, spesso, senza risposta.

Oltre a non sapere davvero perché ritorna ripetutamente al museo, Reger trova imperfetto ogni dipinto e sceglie questo Tintoretto e non il lavoro degli altri antichi maestri perché lo trova il più gradevole di tutti i pittori antichi maestri. Reger afferma, infatti, che nulla è perfetto e che l'uomo scopre la sua felicità in frammenti. In una delle molte riflessioni di Atzbacher, ricorda Reger che dice: "Non esiste un quadro compiuto, e non esiste un libro compiuto e non esiste un pezzo musicale compiuto, la verità è questa, e questa verità fa sì che una mente come la mia, che pure, per tutta la vita, non è stata altro che una mente disperata, continui a esistere. La mente dev'essere una mente che cerca, una mente che cerca gli errori, gli errori dell'umanità, una mente che cerca il fallimento. Una mente diventa effettivamente una mente umana soltanto quando cerca gli errori dell'umanità. La mente umana non è veramente umana se non si mette alla ricerca degli errori dell'umanità" (AM p. 30). Reger riconosce le imperfezioni in tutte le cose e questa realizzazione lo ispira a indagare ulteriormente sulla sua cultura e società circostanti e a fare ulteriori critiche avverse sull'arte.

Reger è ossessionato dall'inevitabilità della morte in agguato dietro tutto e dallo stato imperfetto del quadro del Tintoretto — e dalla vita, per dirla tutta. La sua fissazione con la morte è dovuta a una tragedia personale e sociale: la morte di sua moglie e l'Olocausto.[26] Reger non è in grado di sfuggire alla persistenza dell'ombra della morte perché il Kunsthistorisches Museum non è solo il luogo dove ha incontrato sua moglie, ma anche il luogo in cui è accaduta la sua morte. Allo stesso modo, Reger non può dissociare la morte da Vienna a causa dei discorsi e delle dimostrazioni di Hitler e degli altri leader nazisti in quella città. Per Reger, la morte è parte integrante di questo focus sull'imperfezione. Un'opera d'arte creata dalle mani di un mortale non può sfuggire alla realtà della morte e cattura la tragedia e la storia del tempo in cui è stata dipinta. Pertanto, l'interesse di Reger per l'imperfezione del dipinto del Tintoretto, come l'inevitabile realtà che, a suo avviso, ogni opera d'arte originale è un falso, rivela ironicamente il suo fascino per gli scrittori, gli artisti e i filosofi che egli attacca e critica ("Ogni originale del resto è già di per sé una contraffazione... Qualunque opera d'arte può essere ridicolizzata..." AM p. 57). Inoltre, le imperfezioni del ritratto ispirano Reger a valutare le imperfezioni della sua patria austriaca nonché i prodotti dell'alta cultura austriaca e tedesca.

Reger legge la postura dell'uomo anonimo nella pittura del Tintoretto come nascondesse la realtà della morte e la finitudine della vita. L’Uomo dalla barba bianca assume una qualità realistica, se non addirittura vivace, nel momento che il vecchio barbuto si presenta a Reger, a Irrsigler e Atzbacher. A causa della sua posizione obliqua, la figura nel ritratto non esclude nessuno spettatore. Il suo corpo si presenta ad Atzbacher nella Sala Sebastiano e a Irrsigler alla porta che collega le due stanze; i suoi occhi guardano verso Reger, che si siede direttamente di fronte a lui. L'uomo nel dipinto assume una vita e una presenza reale sua propria. I vari sguardi rivolti ai diversi personaggi, tra cui all’Uomo dalla barba bianca, arrivano e poi rimandano il messaggio agli altri personaggi nei due triangoli prospettici: il triangolo Reger, Atzbacher, Uomo dalla barba bianca; e il triangolo Reger, Atzbacher, Irrsigler. In questo modo, sono inclusi tutti i personaggi principali. Nessuno può sfuggire agli occhi penetranti dell'uomo nel dipinto, che ricordano la propria mortalità — le preoccupazioni metafisiche di Reger. Per Reger, "l'illusione e l'autoinganno da soli offrono sollievo; la vera redenzione è fuori discussione."[27] Per Reger, si scopre un metodo di sopravvivenza quando ci si perde nell'arte.

Mediante il suo riconoscimento della morte in tutte le cose e la sua ammirazione per il ritratto del Tintoretto, Reger trova il suo sostentamento e la sua spinta, perché sceglie il coraggio piuttosto che la capitolazione. La tendenza infine ottimista di Reger[28] ricorda quella di Dürrenmatt, quando scrive: "Il mondo (e quindi il palcoscenico che rappresenta il mondo) è per me qualcosa di mostruoso, un enigma di sventure che deve essere accettato ma davanti al quale non può esserci alcuna capitolazione".[29] I dettagli pittorici del ritratto incoraggiano un filosofo come Reger a continuare a perseguire queste preoccupazioni metafisiche. I problemi associati al ritratto e al suo ambiente forniscono a Reger l'energia necessaria per la sua "sopravvivenza".

La dinamica tra l’Uomo dalla barba bianca e i suoi spettatori, così come la relazione teatrale tra Reger e i suoi spettatori, sottolinea l'importanza della teatralità nell'arte del Tintoretto. Un tema centrale o preferito del Tintoretto era la relazione dello spettatore con gli oggetti in vista, come si può trovare nell’Uomo dalla barba bianca (1570 circa), il Miracolo di San Marco che salva uno schiavo (1548) o la Natività (1578-1581). In questi tre dipinti del Tintoretto, le tecniche di scorcio, l'uso di luci e ombre e la distorsione di scala e prospettiva sono tutti dispositivi che possono essere attribuiti all'Alto Rinascimento e al Manierismo. L'uso dello spazio profondo da parte del Tintoretto e l'inversione di luce e ombra nel Miracolo di San Marco che salva uno schiavo è innovativo e sperimentale, mentre l’Uomo dalla barba bianca, con il viso e la mano sinistra illuminati, è un esempio di un ritratto tradizionale del Tintoretto. La scelta di Reger di osservare il ritratto convenzionale è una mossa paradossale da parte di Bernhard. Tintoretto sfida le posizioni del suo spettatore nei suoi dipinti e dimostra di essere influenzato dal teatro in dipinti come l’Ultima Cena (1547, 1560 ca.) e la Presentazione della Vergine (1551-1552). Questa dinamica tra il pubblico e gli "attori" è precisamente uno dei maggiori intrighi per Bernhard e il suo personaggio Reger. Tintoretto, ispirato all'ottimismo religioso, sfida implicitamente gli attacchi di Reger alla religiosità cattolica austriaca in Antichi Maestri. Reger, in una delle sue paternali antireligiose, afferma: "Questo Stato cattolico è privo di sensibilità artistica, e quindi anche gli insegnanti di questo Stato ne sono privi, o comunque non sono tenuti a esserne provvisti, questo è il fatto deprimente. Gli insegnanti insegnano che cos'è questo Stato cattolico, insegnano quello che lo Stato stesso li incarica di insegnare: grettezza e brutalità, volgarità e vigliaccheria, abiezione e caos. Da questi insegnanti gli alunni non possono aspettarsi altro che la mendacità dello Stato cattolico e del potere cattolico che governa lo Stato." (AM p. 36). Forse la dedizione di Tintoretto allo Stato veneziano incuriosisce Reger perché il suo rapporto con lo stato austriaco è così diverso. Ciononostante, Reger sceglie Tintoretto come pittore da osservare e, a sua volta, incorpora queste tendenze nel suo dilemma modernista.

Proprio come le informazioni biografiche di Bernhard svolgono un ruolo fondamentale nella comprensione della sua narrativa, i dettagli della vita del pittore manierista veneziano Jacopo Tintoretto dovrebbero essere inclusi nell'esame della sua tecnica pittorica. Tintoretto, figlio di un tintore (appunto), nacque nel 1518 a Venezia. Tintoretto, il cui nome significa "il piccolo tintore", iniziò a disegnare in tenera età mediente l'uso del carbone e dei coloranti di suo padre. Quando si pensa a Tintoretto, non si pensa immediatamente al suo ritratto dell’Uomo dalla barba bianca. È più probabile pensare al Miracolo dello Schiavo (1548), Susanna e i Vecchioni (1555), Ritrovamento del corpo di San Marco (1562), l’Ultima Cena (1592) o la Crocifissione, Cristo davanti a Pilato, e la Salita al Calvario, tutti inclusi nel progetto commissionato a Tintoretto nel 1564 alla Scuola di San Rocco. Secondo Tintoretto, la commissione della Scuola di San Rocco durata 23 anni divenne un periodo principale della sua vita. La pittura di Tintoretto avvenne sui due piani e nelle tre sale della Scuola di San Rocco. Tutte le altre opere di quel periodo, dal 1564 al 1587, furono fatte per così dire "tra parentesi".[30] L’Uomo dalla barba bianca, dipinto negli anni 1570, cadrebbe in questo periodo "tra parentesi".

Dipinti del Tintoretto citati[modifica]

Tintoretto era un membro speciale del movimento manierista nell'Italia del XVI secolo. La prima fase del Manierismo iniziò a Firenze, in Italia, e in seguito il movimento si diffuse a Roma e Venezia. La distorsione della proporzione e dello spazio sono elementi chiave di questo stile. L'esagerazione e la contorsione del corpo, obliquo nella forma e irrequieto nei movimenti, sono rappresentative della non convenzionalità del Manierismo. La tecnica dello scorcio, un modo di "realizzare l'illusione di forme che si proiettano nello spazio" e l'uso di colori audaci contribuiscono allo spazio manierista.[31] L'energia dell'invenzione per opera del Tintoretto lo segna come un pittore che ebbe il talento di educare se stesso. S.J. Freedberg osserva: "Sembra essere stato essenzialmente un autodidatta, posseduto da un vorace appetito per qualsiasi cosa potesse raccogliere quella implicita novità o radicalismo che per lui includeva tutto ciò che fosse accessibile degli stili contemporanei non veneziani".[32] Si diceva che fosse "anti-classico", "libertario" ed "esplosivo" per quanto riguardava la sua tecnica di colore. Fu nella sua opera del 1540 intitolata Sacra Conversazione che si distinse la sua unicità di stile per la prima volta.

La Sacra Conversazione contiene l'"opulenza di superficie della sua scuola natia e gli effetti del disegno manierista vengono ottenuti con un pennello che si muove liberamente. Ma il colore, come la forma manierizzante, è libertario, evidenziando che il suo senso principale è molto più estetico ed espressivo che descrittivo."[33] Egli combina la tendenza manierista verso l'energia e il movimento nel suo uso del colore, ma conserva un'eleganza e una grazia associate alla forma di "maniera".[34]

Nella Natività (Adorazione dei pastori), dipinto incluso nel suo lavoro alla Scuola di San Rocco a Venezia, Tintoretto dimostra di sfidare le tradizionali tecniche pittoriche con il suo uso dello spazio profondo nella parte superiore del dipinto (vedi immagine supra). Maria e Giuseppe si "librano" sopra il Bambin Gesù, che è proporzionalmente molto più piccolo rispetto a Maria, Giuseppe e alle due donne sedute alla destra dei genitori. Nella parte inferiore del dipinto, due uomini sul lato sinistro alzano la mano destra. L'uomo in piedi – con la schiena illuminata dalla luce – corrisponde all'uomo seduto – il suo petto esposto e il suo viso in ombra. Sul lato destro del dipinto, due figure (una donna, di fronte allo spettatore e una figura in ginocchio, con le spalle allo spettatore) corrispondono alle due figure sul lato sinistro del dipinto. Le spalle della donna sono illuminate dalla luce creata dal Tintoretto e anche la testa della figura inginocchiata è toccata dalla luce. Il dipinto non è tradizionale in quanto il Bambin Gesù non è immediatamente al centro dell'attenzione. Lo spazio affollato è pieno di adulti i cui corpi sono angolati in modo da enfatizzare il punto di fuga. Lo spettatore non è al livello del suolo, ma è piuttosto posizionato sopra, che guarda nel cesto in primo piano del dipinto.

Tiziano: Autoritratto, ca. 1562

Nell'Italia del XVI secolo, Tiziano e Tintoretto erano entrambi stimati ritrattisti e a Venezia l'arte della ritrattistica era sempre più richiesta. Già nel 1894, Bernhard Berenson nel suo libro Venetian Painters of the Renaissance sottolineava le aspettative estetiche al di là della somiglianza fisica nella ritrattistica veneziana. Scrive: "Il ritratto veneziano, si ricorderà, doveva essere più che una somiglianza. Ci si aspettava che desse piacere alla vista e stimolasse le emozioni. Tintoretto era pronto a dare ampia soddisfazione a tutte queste aspettative".[35] Lo stile artistico del Tintoretto lasciò una grande influenza nel mondo dell'arte veneziano del XVI secolo.

Il Manierismo è uno "stile che mostra l'abilità dell'artista e richiede la conoscenza dello spettatore", secondo Francis L. Richardson.[36] L’Uomo dalla barba bianca differisce dagli stili di ritratto più classici dalla metà alla fine del XVI secolo in quanto l'intero lato destro del corpo è oscurato dall'ombra e dall'oscurità. La faccia illuminata, la barba, i bottoni dorati e la mano sinistra contrastano nettamente con il resto del corpo, che rimane al buio. Esaminando lo stile di pittura ritrattistica del Tintoretto, Berenson osserva che il ritratto del Tintoretto fa sembrare il soggetto come se fosse sano e pieno di vita.[37] Berenson ritiene che i ritratti del Tintoretto diano allo spettatore una sorta di piacere simile a quello provato per i gioielli.

Reger sembra essere incuriosito da alcune informazioni contenute nell’Uomo dalla barba bianca. I dettagli relativi al posizionamento delle orecchie nel ritratto del Tintoretto sono discussi da Gregor Hens, che nota particolari nel dipinto che non sono comuni in altri suoi ritratti. Queste qualità del ritratto potrebbero ulteriormente contribuire al fascino permanente che Reger prova per il quadro. Nel suo libro Thomas Bernhards Trilogie Der Kuenste, Hens scrive che l'occhio destro dell’Uomo dalla barba bianca dovrebbe svanire un po' dietro il naso a causa della posizione contorta e dello sguardo dell'uomo.[38] L'osservazione di questo dettaglio da parte di Hens evidenzia i vari aspetti controversi della pittura del XVI secolo. Dietro l'orecchio visibile dell’Uomo dalla barba bianca continua la testa dell'uomo barbuto. Si vede la curva parallela dell'orecchio con la curva della parte posteriore della testa. L'estremo contrasto tra luce e oscurità tra le mani e il viso e il resto del corpo, l'aspetto del movimento negli occhi, la forte torsione del busto del corpo e il posizionamento dell'orecchio contribuiscono alle qualità ammirevoli del dipinto preferito e più discutibile di Reger.

Molte delle opere del Tintoretto rivelano i suoi espressi interessi sia nel teatro che negli elementi drammatici della pittura. La teatralità della pittura divenne una convenzione molto evidente nell'arte rinascimentale. Tintoretto, nei suoi dipinti, sottolinea la dinamica esistente tra lo spettatore e lo spettacolo. Egli era coinvolto nel teatro come costumista e spesso sperimentava con ombre, luci e scatole per creare un ambiente teatrale, che inevitabilmente gli forniva idee per i suoi dipinti. Sia la pittura che il teatro "condividono strutture di base sia a livello fenomenologico che formale, entrambe le arti si occupano di finzione mimetica, che coinvolge spettacolo e pubblico, palcoscenico e cavea, attore e pubblico, miracolo e testimone".[39] Come pittura e teatro divennero sempre più importanti per il Tintoretto, la popolarità del legame tra pittura e teatro ispirò e incuriosì anche artisti successivi nel Rinascimento. Alcune delle convenzioni di architettura teatrale e spettacolo teatrale introdotte in molte grandi città italiane come Firenze, Venezia, Parma, Roma e Milano includono "il palcoscenico del proscenio; lo scenario prospettico, che dava l'illusione della profondità, elaborati macchinari per il cambio di scena e la produzione di effetti speciali; e l'illuminazione artificiale."[40] L'interesse del Tintoretto per lo spettacolo drammatico fu influente sui successivi pittori in Italia, e la sua "preferenza per le composizioni diagonali che si tuffano o zigzagano nello spazio profondo, la teatralità dominante della sua illuminazione e il dinamismo generale, furono emulati dal Peter Paul Rubens, pittore in stile barocco."[41] L'enfasi del Tintoretto sulla prospettiva e sulle raffigurazioni dell'architettura nella sua pittura porta gli occhi dello spettatore al palco. Le impalcature architettonicamente solide del Tintoretto rappresentano il palcoscenico creato e offrono lo spazio per un teatro religioso.

Tiziano: il Bravo, ca. 1517
Tiziano: Madonna delle Ciliegie, ca. 1518

La determinazione del Tintoretto a rendere l'atto del vedere un dipinto un momento religioso e di conferma della fede, getta una nuova luce sul significato di Reger seduto davanti a un ritratto del Tintoretto, perché non solo il ritratto del Tintoretto non è religioso, ma non lo è neanche Reger stesso. Sceglie di non sedersi di fronte a Susanna e i Vecchioni (anch'esso nel Kunsthistorisches Museum — vedi supra), ma si impegna in un ritratto convenzionale di un uomo anonimo dipinto da un cattolico devoto, noto per i suoi innovativi dipinti manieristici raffiguranti scene religiose.

Reger è attratto dagli elementi inaspettati di Tintoretto. È sinceramente attratto dal ritratto del Tintoretto. Reger, mostrando le difficoltà della sua natura ostinata, dice: "...Ho sempre amato davvero l’Uomo dalla barba bianca. Non ho mai amato Tintoretto, ma ho amato l’Uomo con la barba bianca del Tintoretto" (AM p. 150). Il ritratto attrae Reger perché ha incontrato sua moglie davanti al dipinto, tuttavia afferma di approvare il dipinto più del pittore stesso. Il suo fascino per il ritratto è sia contrario che adeguato alla sua personalità. Forse ammira la combinazione nel Tintoretto di uno spirito rivoluzionario con riverenza religiosa. Quale potrebbe essere un ambiente migliore per il "palcoscenico in prosa" bernhardiano dell'ottantadueenne Reger, musicologo e conoscitore d'arte, che si dedica per trentasei anni al ritratto relativamente sconosciuto dell’Uomo dalla barba bianca? Reger esiste nell'ambito dell'ironia della sua situazione di spettatore non religioso, il quale è anche lo spettacolo non religioso.

Reger si impegna più seriamente nell'attività rituale di osservare un ritratto meno noto del Tintoretto nella Sala Bordone, che condivide una porta con la Sala Sebastiano, la stanza contenente il Bravo (1520 ca.) e la Madonna delle Ciliegie (1516-1518 ), entrambi di Tiziano (vedi immagini a fianco). Reger che preferisce un ritratto del Tintoretto invece di quelli di Tiziano, presunto maestro di ritratti, è un tipico motivo paradossale bernardiano. Atzbacher, per osservare Reger senza interruzione, deve stare nella Sala Sebastiano e guardare verso la Sala Bordone. Atzbacher scrive: "A malincuore fui dunque costretto, per poter osservare Reger davanti all’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, a sorbirmi Tiziano, e mi toccò guardarmelo in piedi..." (AM p. 1). Reger ha scelto Tintoretto piuttosto che Tiziano, che sembrava essere stato il più aggressivo e geloso dei due artisti.

Per Reger, il proprio punto di vista è cruciale per la sua "sopravvivenza". Secondo Reger, la sua posizione nella Sala Bordone del Kunsthistorisches Museum è l'ideale per la contemplazione e la riflessione. L'illuminazione e la temperatura nel Kunsthistorisches Museum gli si addicono, mentre, più precisamente, la Sala Bordone ha le migliori condizioni per la meditazione:

« ...io non vado nella Sala Bordone per Bordone, e neanche ci vado per Tintoretto, anche se in effetti considero l'Uomo dalla barba bianca uno dei quadri più straordinari che mai siano stati dipinti, nella Sala Bordone io ci vado per via di questa panca e per l'influenza ideale di questa luce sul mio temperamento, in effetti io vado nella Sala Bordone per la temperatura ideale che vi regna... E in verità non ce la farei mai a stare, per esempio, in prossimità di Velazquez. Per non parlare di Rigaud e di Largilliere, che fuggo come la peste. È qui, nella Sala Bordone, che la meditazione mi riesce meglio, e se qualche volta mi venisse voglia di leggere qualcosa qui sulla panca, il mio amato Montaigne, per esempio, o il mio forse ancor più amato Pascal, o il mio amatissimo Voltaire, come vede gli scrittori che io amo sono tutti francesi, neppure un tedesco, qui potrei farlo nel modo più piacevole e più fruttuoso... La Sala Bordone è la mia sala di riflessione e di lettura. »
(AM pp. 25-26)

Dürrenmatt sottolinea l'importanza di "conservare il punto di vista umano" e il pericolo di diventare un estraneo in questo mondo. Reger potrebbe apparire superficialmente un estraneo a causa della sua natura elitaria e separatista, ma è molto impegnato nella prospettiva "umana". Il suo spazio è lo spazio di questo mondo. Per quanto riguarda il suo rapporto con il ritratto, Reger afferma: "L’Uomo dalla barba bianca ha tenuto testa al mio intelletto e ai miei sentimenti per più di trent'anni, per questa ragione è per me la cosa più preziosa tra quelle esposte qui al Kunsthistorisches Museum" (AM p. 198). Reger mantiene il suo punto di vista umano quando sceglie di osservare il ritratto di un uomo barbuto, segnato da esperienza, età e saggezza.

L'uomo nel dipinto fa parte della nobiltà veneziana ma anonimo. La barba bianca indica la sua vecchiaia, come i suoi occhi mostrano segni di esperienza. Secondo Freedberg, Tintoretto riuscì a catturare l'intimità e la dolcezza della vecchiaia nei suoi ritratti. Freedberg osserva: "Nei suoi anni maturi ci sono esempi di grande merito, che sfidano quasi la dignità e l'eleganza di Tiziano. Ma è un aspetto speciale del genere ritrattistico che si adatta meglio alla sensibilità di Tintoretto: la ritrattistica di vegliardi o uomini anziani, i cui volti portano più profondamente l'impronta della loro umanità."[42] Reger, a ottantadue anni, non trova solo una somiglianza nell'età dell'uomo con la barba bianca, ma è del tutto possibile che, a livello filosofico, riconosca anche, alla sua età avanzata, la loro comune umanità. Le caratteristiche distintive che Tintoretto conferisce al suo anonimo anziano attirano Reger.

Se Reger dovesse personalizzare il suo rapporto con il Tintoretto e il soggetto del dipinto, si sentirebbe costretto a "schierarsi" con Tintoretto. È possibile che Reger, egli stesso piuttosto aggressivo e conflittuale, scelga di "onorare" il ritratto di Tintoretto subendo uno scambio mentale o un dibattito con Tintoretto, come se lo stesso pittore fosse l'uomo nel ritratto. Reger, quando non attacca la Chiesa cattolica, si lamenta dello stato austriaco, di politici e impiegati governativi corrotti. Reger, tutto il tempo, orienta il suo sguardo sul suo silenzioso confidente, la creazione del Tintoretto, veneziano profondamente religioso e non politico. La relazione di Reger con il dipinto è davvero paradossale. Reger è attratto da un dipinto convenzionale (non sperimentale) e afferma di amare il dipinto e non l'artista stesso (AM già prev. citato). L'interesse per tali differenze aiuta a valutare la natura spesso perversa di Reger.

Reger e Tintoretto, tuttavia, hanno un'importante qualità in comune. Nonostante il malcontento contrariante di Reger, questa caratteristica condivisa e precedentemente menzionata è il loro speciale attaccamento alla loro rispettiva patria. La religiosità di Tintoretto e la sua devozione a Venezia contrastano con l'atteggiamento sacrilego di Reger e i suoi continui attacchi contro l'Austria. La fervida romanticizzazione di Venezia da parte del Tintoretto contrasta con l'apparente soffocamento di Reger nella sua nativa Austria. Reger, per quanto disprezzi l'Austria e tutto ciò che l'Austria rappresenta, non può/vuole scappare dalla sua terra natia. Questa relazione di odio-amore con l'Austria alimenta le passioni di Reger e la sua voce creativa. Tintoretto, molto a suo agio a Venezia, desiderava decorare le pareti di Venezia con i suoi tratti di pittura e pennello. Voleva fare di Venezia il suo capolavoro. A differenza di Reger, che si vergogna di Vienna ma si impegna nel paradosso permanente di amarla e odiarla, Tintoretto si sentì orgoglioso della sua città e voleva rimanere lì. Tintoretto, unico rispetto ad altri importanti pittori del Cinquecento a Venezia perché in realtà era proprio nato in città, "si dedicò con notevole lealtà alla sua città natale".[43] Gli piaceva vivere e lavorare a Venezia, mentre Tiziano, non essendo nato in Venezia, non aveva quel legame interiore con la città. Reger si sarebbe sentito più un estraneo nella sua città natale rispetto al Tintoretto nella sua città natale. Forse questo è un altro motivo per cui Reger sceglie di guardare il ritratto di Tintoretto, poiché è incuriosito dalla lealtà di quest'ultimo nei confronti della sua terra natia.

Queste opinioni di Tintoretto sull'arte vanno parallele alle paradossali nozioni da parte di Reger di fare e dire ciò che potrebbe sembrare inaspettato. Reger, in Antichi Maestri, ammira il lavoro di Tintoretto e lo considera anarchico e ribelle rispetto alla scuola classica di pittura. Tintoretto non segue le regole della pittura, per così dire, e questo aspetto del pittore non convenzionale del XVI secolo fa appello a Reger. L'interesse paradossale di Reger per il ritratto del Tintoretto è, tuttavia, adatto al connoisseur dell'alta arte che sceglie il ritratto convenzionale e praticamente sconosciuto di un antico maestro profondamente religioso.

Reger è, allo stesso tempo, un ammiratore della reliquia di un antico maestro ed egli stesso una reliquia di ottantadue anni in mostra nella Sala Bordone. Parimenti, Atzbacher svolge molteplici ruoli come narratore, scrittore e "interpretante", dividendosi in attore e spettatore mentre "diventa" Reger attraverso la sua narrazione e scrittura.[44] Bernhard, usando questa tecnica teatrale, stabilisce una dinamica sul palco che ricorda l'idea di Dürrenmatt di "pubblico come egli stesso".

L'impostazione di Antichi Maestri è importante, non solo per la sua somiglianza con l'idea di Dürrenmatt del teatro contemporaneo come museo, ma per la sua esistenza come tentativo di soluzione al problema del dominio dei classici e del canone nell'Europa del dopoguerra. Antichi Maestri è rivoluzionario perché Bernhard sottolinea la necessità di sperimentazione e originalità tra i problemi del teatro. I problemi dei classici che Bernhard riconosce includono la natura limitante del canone classico, la quantità di tempo che i classici hanno avuto per essere accettati nella cultura della società e la loro più lunga storia nell'ambito della critica. Pur affrontando i problemi dei classici, egli riconosce anche la complessità nell'accoglienza del teatro sperimentale contemporaneo. Bernhard mette in scena una prosa sperimentale sfruttando lo status quo, la sicurezza e il conservatorismo dei classici. L'ambientazione di Antichi Maestri contiene elementi sia del classico (da qui il "requisito" di un museo come scena) sia di quello sperimentale: è quindi un buon esempio di produzione teatrale bernhardiana che coinvolge sia vecchi che nuovi ideali. Bernhard crea un ambiente teatrale contemporaneo in cui antichi maestri e artisti emergenti, come lui stesso, possono contemporaneamente esistere ed essere apprezzati.

Per approfondire, vedi Thomas Bernhard/Opere, Emozioni e percezioni e Generi letterari.

Note[modifica]

  1. Bernhard citato in Gitta Honegger, Thomas Bernhard: The Making of an Austrian, Yale UP, 2001, p. 230.
  2. Gitta Honegger, Thomas Bernhard: The Making of an Austrian, cit., p. 233.
  3. Il saggio di Dürrenmatt, intitolato "Theaterprobleme", è scritto intorno al 1955 e quando parla di "Teatro contemporaneo", si riferisce al suo attuale periodo — l'era del dopoguerra.
  4. D'ora in poi, cito tutti gli scritti di Bernhard coi titoli italiani. Per i titoli originali specifici e relative traduzioni, si veda comunque la sezione "Opere".
  5. Gitta Honegger, Thomas Bernhard: The Making of an Austrian, Yale University Press, 2002.
  6. Gitta Honegger, Thomas Bernhard: The Making of an Austrian, cit., p. 282.
  7. Gitta Honegger, Thomas Bernhard, cit., p. 282.
  8. Gitta Honegger, Thomas Bernhard, cit., p. 285.
  9. Sebbene, per circostanze particolari materne, fosse nato in Olanda (da genitori austriaci), Bernhard visse sempre in Austria e sempre si considerò austriaco.
  10. Antichi Maestri (d'ora in poi AM), p. 154.
  11. Eric Newton, Tintoretto, Longmans, 1952, p. 67.
  12. Prendere in considerazione il nome di Irrsigler significa constatare un'altra istanza dell'assurdo. In tedesco, "Irre" significa, nel maschile e nel femminile, un pazzo o una pazza, un lunatico, o un paziente psicotico; il verbo "siegeln" significa sigillare o chiudere; e una definizione del nome "Siegel" è "sigillo". Un "Siegler" sarebbe un custode di sigilli. Irrsigler potrebbe essere la combinazione di queste due parole, poiché mantiene la follia di Reger sigillata via dai visitatori del museo; e attraverso questo lavoro fuori dal comune, Irrsigler, il sigillatore e custode della follia, riceve il suo nome.
  13. Dürrenmatt, Theaterprobleme, cit., p. 240.
  14. Dürrenmatt, Theaterprobleme, cit., p. 241.
  15. Quest'ultima ragione verrà discussa nella Sezione 2, che si concentrerà sul potere e la colpa associati all'Europa postbellica.
  16. AM p. 118.
  17. AM p. 118.
  18. Honegger, op. cit., p. 230.
  19. Trovare la verità e la "moralità" mediante l'esposizione di spettacoli e strati di menzogna è di interesse per Thomas Elsaesser, come rivela il suo articolo intitolato "Ethnicity, Authenticity, and Exile: A Counterfeit Trade?" Le sue idee sullo spettacolo e il pubblico hanno fatto luce sulla nozione di teatro sperimentale austriaco di Bernhard. Elsaesser scrive di cineasti tedeschi a Hollywood, ma le sue idee sul film corrispondono anche all'azione che si svolge sul palcoscenico di un teatro. Elsaesser scrive quanto segue a riguardo della "decadenza viennese", della falsità e dello spettacolo: "Poiché ciò che alcuni émigrés raggiunsero fu di rendere la finzione una moralità; solo accumulando menzogne ​​potevano avvicinarsi a una verità. Altamente autocoscienti e autoreferenziali, i loro film (per esempio: Lubitsch, Lang, Wilder e Preminger) giocano con l'apparenza e con i molti livelli di ironia coinvolti nel finzione" (p. 121). Le idee di Elsaesser ricordano la filosofia di Schopenhauer secondo cui ogni scoperta di una menzogna è un pezzo di verità. Bernhard provò lo stesso sentimento e lo dimostrò includendo proprio questi problemi nella messa in scena delle sue opere teatrali e dei suoi romanzi.
  20. Arthur Schopenhauer e la sua influenza su Thomas Bernhard e Reger saranno affrontati nella Sezione 3.
  21. Honegger, op. cit., p. 222.
  22. Dürrenmatt, op. cit., p. 239.
  23. Dürrenmatt, op. cit., p. 239.
  24. Dürrenmatt, op. cit., p. 261.
  25. Dürrenmatt, op. cit., p. 261.
  26. Questo argomento della morte e dell'Olocausto verrà discusso più particolareggiatamente nella Sezione 2.
  27. Stephen Dowden, Understanding Thomas Bernhard, University of South Carolina Press, 1991, p. 63.
  28. La tendenza ottimista di Reger sarà discussa in maggior dettaglio nella Sezione 3.
  29. Dürrenmatt, op. cit., p. 255.
  30. Eric Newton, Tintoretto, Longmans, 1952, p. 60.
  31. J.J. McGrath & C.D. Barnes (curr.), Microsoft Encarta Encyclopedia 2002, s.v.
  32. S.J. Freedberg, "Venice 1540-1600: Tintoretto", in Painting in Italy: 1500-1600, Yale University Press, 1993, p. 518.
  33. S.J. Freedberg, "Venice 1540-1600: Tintoretto" cit., p. 519.
  34. Il manierismo è una corrente artistica prima italiana e poi europea del XVI secolo. La definizione di manierismo ha subito varie oscillazioni nella storiografia artistica, arrivando, da un lato, a comprendere tutti i fenomeni artistici dal 1520 circa fino all'avvento dell'arte controriformata e del barocco, mentre nelle posizioni più recenti si tende a circoscriverne l'ambito, facendone un aspetto delle numerose tendenze che animarono la scena artistica europea in poco meno di un secolo. Dal 1540-1600 Venezia fu rinomata per i suoi stili manieristi e l'artista veneziano Tintoretto ne divenne un famoso interprete.
  35. Bernhard Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, Putnam’s Sons, 1894, p. 59.
  36. Francis Richardson, "Tintoretto", Microsoft Encarta Encyclopedia, 2002.
  37. Bernhard Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, cit., p. 59.
  38. Gregor Hens, Thomas Bernhards Trilogie Der Kuenste, Camden, 1999, 147.
  39. David Rosand, Painting in Sixteenth-Century Venice: Titian, Veronese, Tintoretto, Cambridge University Press, 1997, p. 139.
  40. Barranger, Microsoft Encarta Encyclopedia 2002, cit.
  41. Richardson, Microsoft Encarta Encyclopedia 2002, cit.
  42. S.J. Freedberg, "Venice 1540-1600: Tintoretto" cit., p. 531.
  43. David Rosand, Painting in Sixteenth-Century Venice: Titian, Veronese, Tintoretto, cit., p. 161.
  44. Gitta Honegger, Thomas Bernhard: The Making of an Austrian, cit., p. 229.