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Colonizzazioni d’Africa

Africa, o meglio Afriche. Una complessità di realtà, di intrecci sociali e solidarietà culturali in una sequenza senza soluzione di continuità, originata dal continuo avvicendarsi di genti che dapprima colsero il diverso e poi ne fecero oggetto di denigrazione. Una sequenza sostenuta dalla grande ma non inesauribile capacità degli indigeni di includere l’estraneo anche nei suoi accenti fortemente arroganti; caratterizzata dagli ovvi cedimenti dinanzi a irrispettose forze impari; resa originale soprattutto per effetto dei modi impiegati per cambiare rimanendo però sempre se stessi da parte di entrambe le parti in gioco. Questo breve contributo vuole essere una fotografia sgranata, senza contorni troppo delineati del continente africano; un’immagine, un ritratto sgranato perché manca lo spazio e l’occasione per entrare in profondità, ma capace comunque di definire i tratti somatici essenziali, così da rendere le rughe profonde di chi ha molto sofferto e la luce intensa dello sguardo fiero di chi ha cura e rispetto del suo io più profondo, cosciente del suo essere in costante relazione con diverse forme di vita che insieme costituiscono l’ecosistema di cui si è parte e che non possono che essere sue pari, coattori in un’unica opera: la vita. Lo scopo è quello di dare alla storia la possibilità di rispondere ai perchè di oggi, di fornirci una lezione di vita.

Parole chiave: scoperta, relazione, pregiudizio, dominio, forza, ecologia, etica, conflitto, dialogo, potere, forza, rispetto, abitare, costruire, equità sociale.


DIALOGHI POSSIBILI?

Quando i mussulmani (già nel corso del VIII secolo) e poi  gli europei (a partire dal XV secolo) misero piede in questo continente era già forte l’identità indigena, che già allora presentava forti differenziazioni tra gruppi, accanto al persistere di caratteri e di valorialita ‘ che invece univano e da questa particolare essenza deriva la base di quello che oggi ci consente di parlare di un’unità tollerante la diversità; allora la tratta negriera era già pratica consolidata,  era parte integrante di un sistema che garantiva l’equilibrio sociale e alimentava un commercio a cui entrambi gli stranieri a loro tempo , per motivi strettamente economici, vollero partecipare. Iniziò così un dialogo tra Africa e resto del mondo; le regole del commercio rimasero titolarità esclusiva dei  negrieri indigeni , lo scambio poteva avvenire solo se autorizzato dai poteri locali e   i nuovi venuti non cercarono nemmeno  di comprendere; semplicemente di adeguarono pur di entrare in possesso di un uomo reso merce, oggetto e spinsero a livelli mai visti prima la domanda , con il benestare dei poteri locali. Così, se fino al loro arrivo l’uomo venduto si era prima macchiato di un crimine, oppure si prestava come offerta per confermare il potere di chi comunque pensava per garantire il bene della comunità di cui era a capo, dopo l’inclusione del sistema di genti diverse la cattura di uomini da assoggettare e mercificare divenne sistematica, estesa, rispondente alla legge del mero profitto. È stato calcolato che ogni anno venisse venduto poco meno dell’uno per mille della popolazione, andando quasi ad annullare la crescita naturale della popolazione; in breve tempo la vendita degli schiavi non esaurì intere comunità, ma spessso ne modifico gli equilibri interni, sottraendo forza lavoro e abilità politiche, lasciando solo i più deboli, costringendo al lavoro donne e anziani. Un uso e abuso sistematico, questo, esempio anzitutto  di come la non volontà di comprendere e di accogliere strutture culturali  generi un sistema vizioso destinato all’esaurimento di un ecosistema. Diventa  dunque motivo di riflessione sull’ indispensabilità di relazioni tra soggetti in grado di condividere il valore dell’inclusivita’ e della sostenibilità. Un esempio concreto anche  di come l’Africa abbia modificato parte dei suoi caratteri identitari in conseguenza dell’arrivo di nuovi attori sul suo suolo, rendendo una pratica fondamentale per l’equilibrio sociale, un semplice fattore economico (la tratta rese un guadagno di circa il 6%). Si è anche   così rivelato  del fatto che l’Africa vive un quotidiano  da secoli ormai a due diverse velocità: una, quella delle strategie e delle pratiche quotidiane, capace di resistere al tempo; l’altra, quella resa evidente dalla geostoria e dalla geografia politica, che invece ha assunto caratteri via via diversi, espressione dei diversi interessi  che qui si sono avvicendati e del loro controverso   dialogo con le molteplici identità locali e con la forza della natura e della tecnologia. Attorno a questa terra si sono infatti sentite invitate per secoli  le potenze europee e mondiali, dapprima  attratte dalla necessità di prendersi cura dei propri sudditi e poi spinte dalla sete di potere e di guadagno,  dagli   orgogli nazionali e privati. 

L’impegno profuso da molti studiosi negli ultimi anni ha dimostrato infatti i diversi caratteri che il viaggio in Africa ha assunto e la capacità che la presenza straniera, con o senza la connivenza dei poteri locali, ha avuto sia nel modificare paesaggi ed equilibri sociali, sia nel far emergere le molte identità indigene che, pur nella loro diversità, sono accomunate dalla ferma volontà di custodire e trasmettere ai posteri i caratteri unici delle singole identità culturali. Sono stati costruiti dialoghi di volta in volta diversi e spesso all’apparenza impossibili e spesso fortemente conflittuali; ciò che accomuna questo caleidoscopio di esperienze si riassume in tre elementi: la costante tensione africana all’affermazione del valore dell’ecologia profonda, che porta a generare un naturale equilibrio nella disparità; una continua , incapacità, da parte dello straniero, di sapere considerare l’altro assoluto come diversità arricchente con la quale condividere. ; la volontà da parte di tutti i coinvolti di affermare la propria identità, urlando oppure nel silenzio.

-1- Sei buoni motivi per andare in Africa

Emergenza demografica, esigenza di prestigio, necessità di prendersi cura del proprio popolo portarono la casa regnante portoghese alla ricerca di una via più breve per raggiungere l’India e di nuove terre, dove irradiare il coltivo e cercare ricchezze capaci di alimentare i commerci. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo Enrico il Navigatore, senza muoversi dal duo regno, il Portogallo, si impegnò nell’esplorazione via mare, dirigendosi verso le coste orientali dell’Africa , confidando che oltre i confini delle terre esplorate ci fosse dell’altro. Fu tale l’impegno e tante le tecnologie acquisite, che nel 1433 il Portogallo riuscì a doppiare Capo Bojador; nel volgere di pochi anni furono scoperti l’arcipelago delle Azzorre, le Canarie, le isole di Capo Verde e poi ancora si esplorarono le coste dell’Africa orientale, quindi il Senegal, la Sierra Leone, il Rio Oro, la Costa d’Oro, per poi spingersi oltre e fino a doppiare il Capo di Buona Speranza, raggiungere Angola e Mozambico. Man mano che il successo arrideva al non esteso regno portoghese, nel rispetto delle regole di un gioco politico che molto spazio offriva alla rivalità, si aggiunsero nuove potenze, così se il XV e XVI secolo comunque videro sempre il Portogallo in testa alla classifica dei re dei mari, con l’inizio del XVII secolo prima l’Olanda e poi la Gran Bretagna le contesero il titolo.

fu  un susseguirsi di accordi, paci e  trattati ( come ad esempio quello di Alcacovas tra Spagna e Portogallo, che sanciva il monopolio commerciale su tutte le nuove terre d’Africa poste a sud del 26° parallelo al Portogallo, a nord dello stesso alla Spagna). Fu un perfetto matrimonio tra Tecnica e volontà politica e in breve dall’esplorazione di passò al dominio su altri popoli. 

La richiesta europea di pepe e di zucchero fu alla base di una sempre più fortemente avvertita esigenza di ottenere il pieno controllo su porti, città , aree e poi uomini. Alla scoperta e conquista parteciparono armatori, mercanti, monarchi interessati, dunque, ma ben presto si aggiunsero anche missionari e guerrieri cristiani, impegnati, come già da tempo a casa propria, nella guerra contro l’infedele (per quanto non mancasse un ritorno personali in termini di potere e autorità.) Autorizzate dalle proprie corone, che si garantivano così prestigio e un ritorno economico, si costituirono le prime imprese private, o per meglio dire le prime espressioni di quelle che oggi definiamo società a responsabilità limitata (le regular company), che chiedevano l’investimento di capitali, per esplorare, conquistare, alimentare una rete di commerci, in cambio della condivisione degli utili. Se inizialmente l’impegno era limitato anche a una sola impresa, quando, nel 1601, si affacciò sul mercato l’Olanda, si costituirono compagnie commerciali fatte per resistere al fluire del tempo e così furono costituite le joint stocked company, primordi delle odierne società per azioni. Il viaggio in Africa e non solo si rese così motivo di affermazione, oppure di ascesa sociale per intere famiglie, per i giovani rampolli delle aristocrazie e anche per i figli dei mercanti di un qualche successo. Dall’Africa d’altronde transitavano le spezie orientali sempre più richieste in Europa; divenne ben presto importante non tanto individuare e conoscere nuove terre, ma monopolizzare i porti di transito delle pregiate merci e irradiare il coltivo. Fu così che anche l’Africa divenne motivo di scontro tra potenze per l’egemomia, senza cura per l’integrità delle genti estranee, ma solo con una particolare attenzione a favorire la propria causa. Quando l’economia di piantagione divenne pratica comune europea, il viaggio in Africa fu inoltre principalmente motivato dall’acquisto di un prodotto indispoensabile per rendere pienamente efficiente il sistema. Questo prodotto, seppur concepito come oggetto, era in realtà un uomo, lo schiavo africano di cui abbiamo detto. Fu proprio il commercio di schiavi a motivare viaggi in Africa anche tra il XVI e il XVIII secolo, quando i mercati asiatici e soprattutto americani attrassero il principale interesse internazionale. Sul finire del XVIII secolo,poi, l’Africa fu oggetto di una nuova ondata di profondo interesse da parte di una moltitudine di attori, alcuni dei quali nuovi alla colonizzazione di terre lontane; tutti parimenti interessati a quello che è stato definito imperialismo avanzato e radicale, caratterizzato dall’interesse verso l’espansionismo programmato. Fu allora che si arrivò a quella che il Times intitolò “Scramble of Africa”, spartizione, parcellizzazione del continente africano, perché si era diffusa l’idea che il colonialismo fosse indispensabile al capitalismo.

DIVERSI MODI PER ESSERE IN AFRICA SE L’esplorazione e poi la colonizzazione africana furono investimenti magari non completamente programmati ma comunque sempre interessati, non pochi sforzi furono siedi per individuare come rendere possibile avvicinare e abitare una terra enigmatica. Il XV e il XVI secolo furono spesi anzitutto nella ricerca tecnica: furono migliorate le strutture delle navi aumentando il pescaggio, inserendo l’abbinamento della vela quadrata con la vela triangolare e il timone di poppa; furono individuate migliori rotte, per sfruttare i venti e non restarne vittime (fondamentale furono la volta do mar largo e quella di De Gama, ad esempio); fu introdotto l’astrolabio e la balestriglia per il calcolo della latitudine. Dai naviganti orientali si comprese come osservare le nuvole per capire se ci fosse terra in vista e come costruire la bussola. Queste innovazioni tecnologiche favorirono sia l’esplorazione delle coste africane, che il viaggio oltre, verso nuove terre, mai viste, o difficilmente in precedenza avvicinate.Eppure, nonostante gli sforzi i musulmani e i poteri locali cercarono in ogni modo di impedire che l’Europa scoprisse l’entroterra africano, per proteggere un sistema economico consolidato; ma soprattutto quando i portoghesi scoprirono ed esportarono il sistema delle piantagioni, nessun contendente rinuncio facilmente e di impegnarono in ogni modo nella conquista di terra, negli accordi diplomatici, nella costruzione di Monopoli, forti, città , colonie. Nel XIX secolo, spinti dalla necessità, l’Europa è l’America aguzzarono L’ingegno e diedero alla luce il battello a vapore per la navigazione fluviale. l’Inghilterra navigò la Zambesi, la Francia e ancora l’Inghilterra il Niger; furono rintracciate le principali rotte dei traffici commerciali transahariani, si studiarono virus e batteri per combattere una barriera naturale: la febbre gialla, il tifo, la malaria, la malattia del sonno.


NOMI A VOLTI

Africa terra da colonizzare dunque, in modi e tempi diversi. Tra i tanti che investirono risorse e ingegni in questa avventura alcuni più di altri lasciarono un’impronta indelebile. Tra questi Alfonso Albuquerque, l’ammiraglio che a cavallo tra XV secolo fu il vero protagonista di quella fase della conquista dell’Africa caratterizzata dall’edificazione di colonie di appoggio e di insediamento; il militare portoghese utilizzò la tecnica del contatto diretto e dello sfruttamento delle rivalità interne, per crearsi uno spazio in un mondo dominato da altri e poi protesse i porti e i tratti di costa più esposti con forti. Infine favorì l’insediamento nelle aree dove impiantò le piantagioni e costruì centri urbani in Mozambico e in Angola. Se al Portogallo si deve l’esordio della colonia di inediamento, alla Francia si devono audaci tentativi di penetrare nell’entroterra; si erse sin da subito a paladina della fede e investì nell’opera di evangelizzazione, per poi tentare appunto, anche la penetrazione già nel 1485 e poi nel decennio successivo, anche se furono osteggiati dai locali. Dal 1506 iniziarono la penetrazione in Mozambico, ma anche in questo caso per ben tre volte la fortuna non gli arrise: respinti da popoli locali prima, bloccati dalle malattie in seguito. Non abbiamo un nome, ma la figura dei diversi ministri delle finanze francesi, che investirono in questo progetto spesso soli, osteggiati dagli stessi aristocratici della madrepatria. La conquista europea fu certo difficile e spesso si rese possibile solo dalla peculiare figura dell’intermediario, che inizialmente si mise a disposizione come guida, , per poi divenire l’elemento indispensabile per mantenere contatti, relazioni, affari e ottenere lasciapassare. Quando, tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo sempre più potenze programmarono l’estensione dei propri territori Iniziò allora una vera e propria corsa alla conquista e all’assoggettament e fecero sentire la loro voce gli oltre 150 regni che costituivano la comunità locale, fiera della propria identità ; tra questi ad esempio gli Zhulu.

Le forze generanti cambiamento in Africa non provennero solo dall’esteno; tra i volti dei protagonisti indigeni non possiamo non ricordare quella di Mohammaad, che guidò il primo serio progetto di modernizzazione in Egitto. Sotto la sua guida fu modificata la composizione dell' esercito e fu quantomeno tentata la colonizzazioe del Sudan. Sotto i suoi successori si creò uno spazio per la negoziazione con le potenze economiche europee 8prime fra tutte la Gran Bretagna) e con il nipote, Ismail, la politica di ammodernamento si rivolse in particolar modo alla sfera economica. Per raggiungere gli obiettivi prefissi non si rinunciò ad accettare crediti preferenziali dagli inglesi e in un primo momento sembrò che la scelta fosse stata vincente, dato il ritmo delle esportazioni dei prodotti tessili  durante la guerra di indipendenza americana.  purtroppo, però, alla fine  del conflitto molti dei facoltosi nuovi clienti ripresero  i contatti con i vecchi  fornitori, lasciando il Paese in una situazione di profondo disagio finanziario: entrate ridotte, ingenti debiti in scadenza.

In Tunisia i bey locali seguirono in parte l’iniziativa egizian, trovandosi anch’essi in breve in una situazione debitoria difficile da sostenere. Anche in questa nuova fase espansionistica la Francia scelse la conquista e conquisto militarmente l’Algeria, nel 1830; questo angolo di Africa non rinunciò a combattere per evitare l’assimilazione e in questa missione identitaria si distinsero le figure di Abd al Kadir, poi di Ben Bella. La forte partecipazione africana ai conflitti mondiali aveva accresciuto la loro autostima e il loro sentimento di appartenenza alla nazione. Altri ; personaggi che si erano formati in occidette, come ad esempio Yomo Kenyatta, di ritorno in patria, si impegnarono per favorire l’indipendenza perché questo era l’unico modo per conservare pratiche che di fatto costituivano la base sociale su cui di era rettò l’equilibrio delicato e indispensabile in un ecosistema fragile. Dinanzi alla rabbia della natura, che reagiva allo sfruttamento selvaggio dello straniero, l’indigeno reagiva, chiedendo con forza che questa sua tradizione, cresciuta nel tempo e nel rispetto, avesse la meglio rispetto a una sovrastruttura esteriore, incapace di quella semplicità propria solo di una vita vissuta dall’interno, a cui sola si deve là sensibilità del rispetto condiviso

LA SPARTIZIONE DELL’AFRICA

Quando, nel XIX secolo, le grandi potenze mondiali “strappare con le unghie” tutta la terra in mano a quei selvaggi così arretrati da dover essere governati per il loro stesso bene:L ( questa la versione diffusa tra la gente, perché l’opinione pubblica sostenesse una vera e propria marcia a ritmo forzato contro popoli inermi, in terre mai avvicinare prima, per appropriarsi di risorse naturali come se davvero potessero appartenere a qualcuno, come se alla vita non si dovesse rispetto) , si tornò ad investire nell’esplorazione e nell’imposizione di una spiritualità altra, con una nuova ferocia: quella propria di chi si è auto eletto il migliore. Non sembrava più vero, allora, che la luce della ragione potesse rischiarare chiunque; anzi, al contrario pareva in quel frangente che a pochi eletti spettasse il compito di soggiogare la moltitudine di irrazionali, di diversi e per questo inferiori. La ricerca sul campo condotta da abili esploratori portò ad individuare le vie commerciali dall’Algeria al Senegal, dal Marocco al Senegal e in generale le rotte transhariane; in questo modo si ampliò il sistema dei commerci con l’Africa nord Occidentale. Fu più difficile, invece, lo studio stesso dell’Africa centrale e del sud ovest, soprattutto a causa della necessità di muoversi parte via acqua e parte via terra, con enorme dispendio di tempo e mezzo e soprattutto con un’alta probabilità di cadere vittime di terribili imboscate. Basto’ poco per capire che alcuni sultanati potevano essere agilmente circoscritti e ridotti al proprio servizio, mentre per altri non si poteva che cedere al compromesso (come ad esempio Zanzibar e Pemba, che detenevano il monopolio del commercio dei chiodi di garofano). Chi, invece, aveva bisogno di supporto o di protezione la ottenne, in cambio però di una progressiva soggezione: fu questa la tecnica utilizzata dagli olandesi per conquistare il predominio su un’ampia porzione di territorio. Altri non esitarono invece ad abusare delle moderne armi da fuoco e di ogni ritrovato della tecnica per spaventare gli indigeni e allontanarli, oppure costringerli alla resa incondizionata : fu la tecnica usata dal Belgio in Congo ad esempio e dagli inglesi nel Natal.

Quando  per l’inghilterra divenne indispensabile , individuare la migliore via marittima  per connettere l’India con la madrepatria, dopo attenti studi condotti da intellettuali del calibro ad esempio di Lovejoy, si capi’ che il passaggio nel  Mar Rosso fosse fondamentale  e non si  esitò ad entrare in guerra contro gli arabi per ben tre volte pur di  raggiungere l’obiettivo. anche se l’impresa fu vana. Fino agli anni 70 del 1800, con esclusione di Senegal e Algeria, il predominio europeo in Africa appartenenva alla Gran Bretagna, che arrivò a proporre e sancire  il paramont power  nel 1857, ovvero  il diritto di pretesa su un territorio e il conseguente diritto a  tenere dallo stesso lontano altre potenze.  Fu  sulla base di questo non certo democratico principio che il fortemente indebitato e dipendente Portogallo dovette desistere dal progetto di imperialismo sul Congo e più in generale dal  progetto di conquistare i territori compresi tra i suoi storici domini: Angola e Mozambico. A partire dagli anni 70, però, dinanzi a una più agguerrita politica estera francese,  alla volontà di Bismark di inserirsi nella corsa alla colonizzazione, nonchè alla comparsa in questa lotta del  Belgio, iniziò quello che il Times chiamò “scramble of Africa”,. Aperta la strada a chiunque,  la gara acquisto maggior enfasi e velocità;  reazione africana tardò a manifestarsi,  perchè non fu semplice cogliere gli effetti di questo nuovo interessamento, che senza una visione d’insieme non appariva poi tanto diverso  rispetto a quella forma di dominio conosciuta ormai da tempo. Ma quando  fecero la loro comparsa, con evidente rabbia, la  peste bovina e la  prima epidemia di encefalite, quando si rese evidente l’effetto del  venir meno di ogni qualsivoglia forma di ecologia, allora l’opposizione dei nativi  si levò in modo energico. Gli Xoa  e gli ottentoti, oltre ai già citati Zhulu, reagirono; i primi ebbero la meglio, mentre i secondi soccombettero. ; ridusse i secondi alla sudditanza e furono costretti Altrove furono usate le armi proprie dell’economia e della diplomazia; la  Tunisia ad esempio divenne protettorato francese (nonostante il rifiuto e l’intervento armato italiano, che tentò  di imporsi in loco  ma ne uscì sconfitta); le origini di questa nuova sudditanza si devono all’errore africano di accettare prestiti troppo onerosi, divenendo così vittima di una preda affamata. L’anno seguente, nel 1882, una sorte analoga toccò all’Egitto, il cui controllo spetto alla  Gran Bretagna. I fatti generarono un a firma di risveglio dei nazionalismi, tanti che  il  mahdi del Sudan di rese protagonista di un serio  progetto di protezione dall’europeizzazione incipiente. Leibniz, per parte tedesca,   firmò un accordo vantaggioso anche se frutto di un raggiro o comunque di un sotterfugio; mise così le mani sul  Botswana

Ci furono situazioni in cui l’interesse condiviso da più potenze sullo stesso territorio obbligo’ a un compromesso che prevedeva la spartizione del potere: si chiuse così la lunga vicenda del Madagascar, nel 1883, quando i due contendenti, Francia e Inghilterra, si accordarono per la gestione della politica estera nelle mani della Francia, mentre alla regina inglese spetto’ il potere indiscusso in politica interna. In Guinea il dominio fu suddiviso tra gli inglesi e i tedeschi; una situazione analoga si verifico’ nel Niger, dove gli inglesi conquistarono la parte inferiore e i francesi la superiore. Sempre la Francia occupò la Costa d’Oro, l’Algeria e il Senegal e il Benin, mentre i tedeschi, gli olandesi e i belgi poi si impossessarono del Congo. infine i tedeschi si interessarono alla costa orientale, fondarono una specifica compagnia, conquistarono Togo e Camerum, per poi accettare lo scontro

con gli inglesi; conflitto che si concluse con la  conquista del  Tanganica, lasciando il  Kenya  agli avversari. 

Di nuobo l’Inghilterra coquistò l’Uganda, ma dovette cedere Zanzibar e il suo tratto di costa ai tedeschi. La politica dello sfruttamento intrapresa da questi ultimi portò presto alla rivolta dei popoli sottomessi, con particolare riferimento ai Nama (Botswana) e agli Herero; contemporaneamente anche in Togo e nel Camerum si fecero sentire con sempre maggior insistenza segnali di insofferenza; poichè la pacificazione rappresentò un’elevata voce di spesa, la politica tedesca iniziò a manifestare il suo dissenso nei confronti di un progetto che sin dall’inizio aveva ricevuto prevalentemente il favore dei capitalisti e degli investitori locali e si sottrasse all’impresa imperialista A un risveglio dell’interesse dell’islam , che interessò inizialmente la Cirenaica e la Tripolitania, fece seguito la fondazione del califfato di Sokoto, primo avversario dell’imperialismo avanzato occidentale (o meglio, allora ancora europeo).

Quando in Costa d’Oro, in Niger e in Camerum si registrarono segnali di modernizzazione e di cristianizzazione ad opera di alcuni schiavi ritornati alla libertà, altri indigeni seppero dimostrare la loro ferma volontà a resistere alla prepotenza estera: ne è esempio la reazione del popolo Ashanti, che riuscìa resistere ai primi attacchi inglesi tra il 1850 e il 1874, quando, per inferiorità tecnica, fu costretta a cedere. Ben presto anche l’Inghilterra fu impegnata in costosi tentativi di contenimento degli indipendentismi e sembro’ per un attimo voler rinunciare all’impresa imperiale, ma già nel 1895 tornò sui propri passi, tentando la conquista dei territori fino al El Cairo. Quindi convinse l’Italia ad accettare un accordo con gli inglesi e colonizzò la Somalia. L’allora regno dei Savoia si accordò con Menelik nel 1898, cos’ quando l’anno seguente lo stesso salì al potere in Eritrea, fu siglato l’accordo di Uccialli: secondo la traduzione swahili una convenzione per il libero commercio; secondo la versione italiana, invece, l’accettazione della sottomissione. Quando gli africani scoprirono l’inganno reagirono con forza, annientando le forze armate italiane. Nel 1898 le forze anglo egiziane conquistarono il Sudan, sottraendolo di fatto alla Francia. Negli stessi anni la Francia mosse guerra a Samory Ture, ostacolo nella conquista delle terre oltre il Ciad; l’Inghilterra conquistò la Nigeria ed estese il suo controllo sul sultanato di Sokoto. Pressoché contemporaneamente la Francia concesse una porzione di Marocco ( la striscia dell’RTi) alla Spagna, ma il nuovo dominio non fu mai accettato dai locali. Nel 1912 l’Italia attaccò la Turchia e poi la Libia sganciando bombe dagli aerei, rendendo questo moderno mezzo di trasporto per la prima volta uno strumento per la guerra. Dopo la fine della prima guerra mondiale Togo e Camerum furono spartiti tra Francia e Inghilterra, mentre l’Africa sudoccidentale andò a costituire l’Unione Sudafricana e l’Italia di Mussolini, a gran fatica, nel 1936 aggiunse a Libia, Eritrea e Somalia anche l’Etiopia. L’Africa fu dunque un’opportunità per miglirare le condizioni di vita dei regni che via via la scelsero come forma di investimento; divenne espressione dell’incapacità, per l’uomo occidentale, di essere interazione propositiva, positiva, generante vero sviluppo sociale. La forza di conservazione, il legame con i propri retaggi culturali furono spesso motivo di fiera opposizione a questo straordinario egoismo.


AFRICA E NON PIU’ AFRICA

Quando l’imperialiamo africano non fu più redditizio Francia e Inghilterra scelsero due diverse strade per rimanere dominatori, concedendo nel contempo uno spazio per la partecipazione attiva. La via britannica prese il nome di indirect rule: una forma rispettosa delle autonomie e impegnata a garantire il progresso sociale della colonia; non era però prevista alcuna “modernizzazione politica” e le elite locali non godettero di un sufficiente prestigio, in contrasto con la locale cultura del dono I francesi invece certo favorirono le elites locali, ma annullarono qualsiasi spazio per il sussistere delle culture endemichei; imposero le loro decisioni politiche e le loro scelte finanziarie; operarono la politica di svuotamento delle colonie ricche e imposero un grave cuneo fiscale durante le fasi della seconda guerra mondiale alle colonie. entrambe le potenze concordarono sulla necessità di concedere spazi, ma continuare a governare sulle prime e solo a partire dal 1920 di assistette a una prima firma di indipendentismo, dichiarato sulla carta e realizzato in oltre vent’anni , non senza scontri. ciò si tradusse nell’attuazione a lungo di un’economia di rapina, di sfruttamento della manodopera, di sottrazione della proprietà collettiva e dell’esproprio. Non fu semplice veder riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e ancor oggi il pregiudizio, l’incapacità di attribuire a ogni essere umano il diritto a cercare ed essere se stesso, attore nel teatro dell’esistere, nega la convivenza libera e pacifica.

L’africa ha assistito a un generale processo di urbanizzazione, ma le città sono state destinate prevalentemente ai bianchi, mentre  gli i africani sono stati relegati ne gli slums: nonostante tutto qui poterono quantomeno conservare la loro cultura,