Agape: la nozione di "amore" nel cristianesimo
Il "simposio (συμπόσιον) era invece quel banchetto che seguiva, nella Grecia antica e nella Roma imperiale, la cena. I partecipanti indossavano ghirlande e dopo il canto di un inno si iniziava la bevuta di vino diluita con acqua e si avviavano i dialoghi, spesso seri, su argomenti filosofici o politici, e comunque eruditi. A volte di assisteva alla recitazione di poesie o a spettacoli di danza o di mimo accompagnati da una flautista. Il rito era coordinato dal "simposiarca" (συμποσιάρχης, symposiàrches; a Roma rex convivii).
Sulle differenze tra il simposio greco e l'agape ebraico-cristiana, il grecista Domenico Musti osserva:
Àgape (dal latino tardo agăpe-ēs; resa del greco ἀγάπη, agápē) è un termine che in lingua italiana possiede il significato di "amore", "affetto"[6] ma indica, in particolar modo, l'accezione cristiana del termine "amore"[7].
In quest'ultimo ambito il termine greco agápē ricorre per 320 volte nel Nuovo Testamento, testo redatto originariamente in lingua greco antica, e tradotto con il termine caritas nella sua versione latina risalente al IV secolo e conosciuta come Vulgata.
Il termine agápē ricorre nella letteratura cristiana delle origini anche per indicare quel fraterno banchetto che poteva accompagnare la celebrazione dell'eucarestia.
Agápē
[modifica | modifica sorgente]Etimologia del termine greco
[modifica | modifica sorgente]Il termine greco antico ἀγάπη è già presente in Omero il quale, ad esempio nell'Odissea XXIII, 214, fa esclamare a Penelope quando ella riconosce Odisseo:
A partire da questo primo testimone, il termine agápē ricorre, seppur non diffusamente, nella letteratura greca per indicare l'ambito dell'affetto e dell'amorevolezza. Pierre Chantraine evidenzia come l'origine del termine greco sia sconosciuta[8].
Termini e nozioni in lingua greca antica afferenti all'ambito dell'"amore"
[modifica | modifica sorgente]Sono diversi i termini che in lingua greca antica afferiscono a quello che noi intendiamo come "amore" nelle sue variegate sfumature: innanzitutto eros (ἔρως) inteso come "desiderio", con i suoi sinonimi o le sue sovrapposizioni, ad esempio himeros (ῖμερος) o anche pothos (πόθος) o philotes (Φιλότης)[9] tutti lemmi che, a partire da Omero e dai lirici in poi, intendono indicare nella letteratura greca quel "desiderio" che, come una potenza esterna, agisce su quella parte del corpo fisico in cui risiedono le emozioni: il petto (στῆθος, stèthos), il diaframma (φρένες, phrénes), il cuore (θυμός thūmós), per conquistarne le funzioni, finendo per occupare anche l'intelletto (il νοῦς, nous) e potendo quindi condurre alla vera e propria manìa (μανία), all'invasamento, colui che viene da questa potenza sottomesso.
In ambito filosofico il tema dell' Amore è citato in Parmenide (V sec. a.C.)[10] ma in Empedocle (V sec. a.C.) acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" (ριζώματα), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: Φιλότης[11] (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince»[12]), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων[13]). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)[14], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[15], indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[16]. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la potenza divina dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.
Con Platone (V-IV sec. a.C.) si compie il fondamentale passo filosofico e teologico inerente a Eros. Nel Fedro[17] l'anima (ψυχή, psyché) umana decade dal mondo perfetto e intelligibile nel corpo fisico, durante il suo esilio prova un'irresistibile nostalgia per la condizione perduta. Nel Simposio[18] Eros è un demone figlio di Indigenza (Πενία, Penia, la madre) e di Espediente, (Πόρος, Poros, il padre, Ricchezza). Povero come la madre, Eros aspira alla ricchezza del padre: Eros è quindi anche una tendenza, una mania (μανία), uno stato emotivo provocato dalla bellezza terrestre che stimola il ricordo di quella perfetta e intelligibile, celeste, da cui l'anima è caduta[19]. Non è tuttavia la "bellezza" l'oggetto del desiderio dell'anima ma la sua fecondità[20]. A questo punto il filosofo ateniese individua due tipi di Eros: l'amore sensuale (πάνδημος ἔρως, pandemos eros) attratto dalla bellezza dei corpi provocante la fecondità fisica, e l'amore celeste (ουράνιος ἔρως, oruanios eros) attratto dall'amore spirituale e provocante al fecondità spirituale[21]: «E malvagio è quell'amante che è volgare e ama il corpo più dell'anima»[22]. Il vero amante si eleva quindi per sei gradi di attrazione che lo conducono dall'attrazione fisica alla realizzazione spirituale[23]: amore per un corpo bello; amore per la bellezza fisica in sé; amore per la bellezza delle attività, delle condotte; amore per la bellezza del sapere; amore per la Bellezza in sé: «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea-, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e ai bei fanciulli [...] Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare -disse- se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino?».
Platone utilizza diverse volte termini afferenti ad agápē[24] ma senza accezioni teologiche particolari, più che altro per rendere il concetto di "avere caro", "avere affetto", "venerare", "desiderare", "dilettevole". Per quanto attiene l'ambito della philia (φιλία) il filosofo ateniese lo utilizza nel Fedro[25] per una nozione vicina a quella moderna di "amicizia". Tale termine era già stato utilizzato da Pitagora[26] sempre nell'ambito dell'amicizia, arrivando ad essere indicata come il "fine di ogni virtù"[27]. La philia (amicizia) viene profondamente indagata da Aristotele nell'VIII Libro dell'Etica Nicomachea; e trattata anche da Epicuro[28].
Ma è solo a partire dall'Amatorius (Ἐρωτικός, Sull'amore) del medioplatonico Plutarco che la riflessione filosofica si avvia a distinguere esplicitamente l'eros che conduce alla philia (φιλία)[29], l'amore sentimentale; dal puro desiderio fisico, epithymia (ἐπιθυμία), che conduce al piacere, l'hedoné (ήδονή)[30].
Sempre in ambito filosofico, Plotino[31] utilizza termini relativi ad agape per descrivere l'amore che l'Uno riserva a sé stesso, in quanto «Egli è ciò che ama»[32].
Utilizzo del termine agápē nell'edizione in lingua greca della Bibbia dei Settanta
[modifica | modifica sorgente]Nel 312 a.C. Tolomeo sconfisse Demetrio Poliorcete a Gaza. Alcuni ebrei di Gerusalemme, che osteggiarono il condottiero macedone, vennero deportati ad Alessandria dove costituirono una comunità ebraica sempre più fiorente con l'arrivo di nuovi immigrati. Intorno alla metà del III secolo a.C. su richiesta della corte tolemaica, o più probabilmente dei funzionari della biblioteca di Alessandria con l'intenzione di possedere testi di cultura orientale tradotti nella lingua greca, venne tradotta dall'ebraico al greco dapprima la Torah e, successivamente, le altre parti della Bibbia[33]. La Bibbia redatta in greco, tradizionalmente indicata con il termine dei Settanta, o Septuaginta, conserva alcune differenze con quella appartenente alla tradizione medievale ebraica. Oggi[34] si è portati a ritenere che le due bibbie si poggino su due differenti testimoni. Fatto rilevante è che a Qumran sono stati recuperati dei frammenti biblici in ebraico che corrispondono alla versione greca[35]. In questo contesto la Bibbia in lingua ebraica conserva un insieme di termini, alcuni dei quali afferenti alla radice 'hb o alla radice ydc, con cui si intende indicare l'amore di Dio per gli uomini o degli uomini per Dio, anche se va tenuto presente che in tale contesto la radice 'hb, la quale ricorre 251 volte, in almeno una trentina di queste possiede il significato di "amore erotico"[36] Così in se in Deuteronomio 6,5 il termine con la radice 'hb indica l'amore nei confronti di Dio, in Geremia 31,3 è l'amore di Dio nei confronti dell'uomo, in Levitico 19,18 è l'amore nei confronti del prossimo, in 2 Samuele 1,26 rappresenta l'amore tra amici, in Genesi 29,20 è l'amore tra Giacobbe e Rachele, in Proverbi 7,18 indica l'"amore erotico", mentre in Qoelet 5,9 è l'amore per il denaro e in Salmi 4,3 è l'amore per le cose vane.
Nel Deuteronomio, come nei profeti (Osea, Isaia, Geremia ed Ezechiele), l'amore divino diviene passione irresistibile e indicato con חשק (ḥā-šaq):
Così i termini di radice 'hb, da cui il brano che precede[37], quindi לאהבה (lə-’a-hă-ḇāh), vengono quasi sempre tradotti nella Septuaginta con il termine greco di ἀγάπη (agápē), questo anche nei casi di amore "profano".
L'utilizzo dei termini greci relativi a ὲράω (erao, da cui eros, "amore passionale") e φιλέω (philéo, "affetto amicale") è invece piuttosto raro nella traduzione greca della Bibbia.
I motivi per cui nella versione greca della Bibbia ebraica si sia preferito utilizzare il lemma greco agape al posto del più diffuso lemma eros per significare i diversi generi di "amore" sono sconosciuti[38].
Utilizzo del termine agápē e il suo valore nel Nuovo Testamento
[modifica | modifica sorgente]Il Nuovo Testamento, scritto anch'esso in greco antico, continua la lezione della Septuaginta, ma escludendo del tutto il gruppo afferente ὲράω (erao, da cui eros, "amore passionale") e utilizzando di rado quello relativo a φιλέω (philéo, "affetto amicale"), anche se con profondità teologica. Il gruppo afferente al lemma ἀγάπάω (agapao, da cui agápē) è attestato nel Nuovo Testamento con ben 320 evenienze.
Gli ambiti del lemma, sia come sostantivo che come verbo, sono nel Nuovo Testamento, per lo più riferiti ai detti di Gesù, per le sue gesta in genere si utilizzano lemmi come ἔλεος (eleos) che indicano la compassione, la misericordia nei confronti dei poveri e degli ultimi[39].
In continuità con la Torah, e segnatamente con il medio-giudaismo[40], anche il messaggio di Gesù pone l'amore per Dio e per il prossimo al centro del suo insegnamento:
Così come l'amore per i nemici e per gli stranieri.
Comandamenti già presenti anche nella Torah[41]. Tuttavia, come nota Edmondo Lupieri, anche se Gesù tratta i problemi propri del giudaismo dei suoi tempi:
Nell'insegnamento di Gesù vi sono anche le premesse per un superamento del culto dell'epoca[42] e un'apertura al mondo "pagano"[43].
Ma se l'amore di Dio per gli uomini ha come sua espressione concreta la necessità da parte degli uomini di essere perdonati per i mali commessi, tale perdono divino si realizza nel momento in cui gli uomini stessi sono capaci di perdonarsi tra loro: il perdono di Dio per gli uomini si fonda quindi sulla capacità degli uomini di perdonare i propri simili.
Un perdono che, come quello divino, non può avere limiti o confini, in quanto deve essere di una capacità infinita:
L'agápē nelle lettere paoline
[modifica | modifica sorgente]Questi sono i versi contenuti nella Prima lettera ai Corinzi redatta da Paolo di Tarso nel I secolo[44], conosciuti anche come "Inno all'amore" o "Inno alla carità"[45], considerato dagli esegeti il punto più alto dell'interpretazione paolina dell'agape neotestamentaria, una specie di "cristologia velata" in quanto sarebbe stato proprio il Cristo, per Paolo, a fondare questo ideale di ἀγάπη/amore/caritas[46].
Approfondimento
La nozione di "perdono" è presente nell'età classica e nella letteratura latina si riscontra, ad esempio, nei termini di clementia, lenitas, mansuetudo e misericordia. Nel De Clementia di Seneca questa viene appellata come la virtù più "umana" in assoluto[47]. D'altronde, nota Seneca, nessuno è esente da colpa, tanto meno coloro che giudicano, eppure colui che invoca il "perdono" difficilmente è in grado di riconoscerlo agli altri[48]. Inserendo la nozione della "clemenza" all'interno della scuola stoica, Seneca la differenzia dalle nozioni di "misericordia" e "perdono" in quanto sentimenti propri di chi non guardando il contesto dei fatti si limita a vivere il dolore degli sfortunati, perdendo in questo modo la tranquillità della mente e non restituendo a costoro una pari dignità umana[49]: Nella Bibbia ebraica i termini relativi al perdonare sono sālaḫ[50] nel significato di "perdonare"; nāsā[51], nel significato di "eliminare, sottrarre"; e kippœr[52] questo inerente soprattutto ai riti penitenziali e ai sacrifici riparatori. Questi termini ebraici sono resi, nella versione greca della Septuaginta, per lo più con i termini greci di aphienai (ἀφιέναι), aphesis (ἄφεσις). Tale ambito ebraico inerisce essenzialmente alla volontà di Dio di essere misericordioso con gli uomini[53] anche se non manca un diretto riferimento all'"amore" che copre ogni "colpa":
Nelle scritture cristiane il tema dell'amore nei confronti del prossimo, e quindi del perdono dell'offesa, diviene centrale nel messaggio religioso: solo perdonando, persino l'offesa del nemico, l'uomo può sperare nel perdono di Dio e quindi nella salvezza:
Per Paolo di Tarso, quindi, per quanto l'opera umana sia operativamente rilevante, l'"amore" è frutto dello "Spirito" di Dio[54], in questo lo scrittore cristiano intende differenziare tale amore spirituale da quello carnale che invece ha come obiettivo la propria soddisfazione anche a scapito del prossimo, quindi l'agape cristiano genera una umanità del tutto nuova resa tale dall'amore di Dio per mezzo del sacrificio del Cristo, inteso come fedeltà all'umanità e al piano divino per la sua salvezza[55], e che deve risultare visibile nella vita della chiesa cristiana[56].
L'amore del figlio di Dio è quindi superiore a ogni forma di conoscenza o consapevolezza umana:
Un paragone sostenibile è, per Paolo di Tarso, l'amore coniugale, immagine dell'amore di Cristo per la sua chiesa:
L' agápē nelle scritture non accolte nel canone neotestamentario
[modifica | modifica sorgente]Nelle letteratura cristiana non accolta nel Canone[57], il tema dell'amore e del perdono è presente e centrale come nelle scritture del Nuovo Testamento. Questi alcuni esempi.
- Didachè[58].
- Vangelo dei Nazareni[59].
- Vangelo degli Ebrei[61]..
Caritas, amor, dilectio
[modifica | modifica sorgente]Etimologia dei termini latini inerenti all'ambito dell'"amore"
[modifica | modifica sorgente]- Il termine latino caritas ("affetto", "benevolenza), da cui il latino ecclesiastico caritate ("amore per il prossimo"), è il termine utilizzato nella versione latina della Bibbia, detta Vulgata, per rendere il lemma greco agape. Caritas deriva dal latino carus ("amato", "persona cara") a sua volta di provenienza protoitalica con *kars-e (simile il venetico kanei), quindi dal proto-indoeuropeo *keh2-ro, conservando dei collegamenti con l'alto irlandese kars, con il celtico (bretone) car, con il lettone kars, sempre nel significato di "caro", "desiderabile", "amico"[62].
- Il termine latino amor, deriva dal latino amare. Il termine amare, il quale risulta connesso con il latino amma (mamma), o anche amita (zia), può avere quindi la sua possibile origine dal linguaggio infantile[63]. Un'altra possibile origine fa derivare il lemma latino dal protoitalico *ama e quindi dal protoindoeuropeo *h3mh3, col significato di "prendere, tenere", evolvendo in "prendere la mano di", quindi legarsi in amicizia (da qui anche il latino amicus, amica, amasius); quindi corrispondente al sanscrito amánti, amīṣi, col medesimo significato, e all'antico avestico əma[64].
- Il termine latino dilectio, dilectus, (amare, amato, da cui l'italiano "diligere", "diletto") deriva dal latino diligere ovvero sempre dal latino legere (nel senso di "raccogliere" ma inteso come "scegliere") a cui va aggiunto il prefisso dis.
Ulteriori termini in lingua latina che corrispondono all'ambito dell'"amore", ma questi intesi più per la sua accezione "erotica" che "spirituale" o "filosofica", sono, tra gli altri: desiderium, cupiditas, libido.
Utilizzo dei termini dilectio e caritas nelle versioni latine del Nuovo Testamento
[modifica | modifica sorgente]Le prime versioni in lingua latina del Nuovo Testamento, poi canonizzato a partire dal III/IV secolo, vanno sotto il nome di Vetus Latina e sono attestate a partire dal III secolo in quelle comunità che iniziavano ad avere difficoltà a comprendere il greco[65]. La presenza di più varianti di queste traduzioni latine, osservata da Agostino e Girolamo, porterà quest'ultimo, a partire dal 383 e su spinta di Damaso, a rivedere e quindi a riproporre le traduzioni latine dei Vangeli che, unitamente alla traduzione dell'Antico Testamento, vanno sotto il nome di Vulgata (nome da intendere come "[versione] universalmente diffusa"). Va tenuto tuttavia presente che la Vulgata non è opera di un singolo autore, ad esempio il Corpus Paulinum fu probabilmente rivisto da Rufino il Siro e comunque non da Girolamo. A partire dal 390 Girolamo avviò anche la traduzione dell'Antico Testamento partendo dalla versione greca e utilizzando anche testimoni in lingua ebraica[66] e altre traduzioni in lingua latina.
A differenza della Vetus Latina che rese come dilectio, Girolamo utilizzò il termine caritas per tradurre il greco agape[67].
Eros, agápē, amor, dilectio e caritas nella prima letteratura cristiana
[modifica | modifica sorgente]- Se come abbiamo visto nella cultura greca a partire da Platone con il termine eros non si indica solo passione per i corpi ma anche quell'amore che, prescindendo dai sensi, si indirizza verso il "Bene", il principio "primo" delle teologie platonica e neoplatoniche, la letteratura cristiana che eredita termini e nozioni dagli scritti neotestamentari che utilizzano esclusivamente il termine agape (reso nelle versioni latine come dilectio o caritas) si interroga fin dall'inizio sulle ragioni di questa scelta. A detta di Origene[68] ciò dipende dal fatto che la Bibbia ha preferito non generare equivoci con i propri lettori non esperti[69]. Purtuttavia, nota Origene, il termine eros viene utilizzato laddove non genera equivoci con la carnalità come ad esempio, ed è sempre Origene a richiamarlo, in Sapienza 8,2 per indicare la "sapienza":
Dal che il teologo cristiano[70] sostiene, citando un passo di Ignazio di Antiochia, che anche Dio può essere indicato come amor ossia come eros. Ignazio di Antiochia aveva infatti scritto: «ό ὲμὸς ἒρως ἐσταύρωται κ.τ.λ.» («La mia passione umana è stata crocifissa» in Lettera ai Romani VII,2) Origene, come d'altronde Dionigi Areopagita[71], leggono che ό ὲμὸς ἒρως intenda il Gesù Cristo crocifisso.
Successivamente anche un altro scrittore in lingua greca, Gregorio di Nissa[72], utilizzerà, in questo contesto spirituale[73], in modo prevalente eros intendendolo come agape intensificata[74] seguendo in questo Clemente che intendeva questo eros come "celeste" e "divino"[75].
Commentando Dionigi Areopagita così riassume Enzo Bellini:
- Nella Prima lettera ai Corinzi del vescovo di Roma Clemente I, scritta in greco probabilmente a cavallo tra il I e il II secolo, il tema dell'agape viene indagato e approfondito nel suo significato fondante cristiano:
- Nella Lettera di Barnaba, uno scritto in greco raccolto anche nel Codice Sinaiticus (IV secolo), ma databile intorno alla metà del II secolo e attribuita a Barnaba, a partire da Clemente Alessandrino,
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Cfr. Vangelo di Luca, 14, 12 e sgg.; Vangelo di Giovanni, 12, 2.
- ↑ Lettera di Giuda, 12: Οὗτοί εἰσιν ἐν ταῖς ἀγάπαις ὑμῶν σπιλάδες, συνευωχούμενοι, ἀφόβως ἑαυτοὺς ποιμαίνοντες· νεφέλαι ἄνυδροι, ὑπὸ ἀνέμων παραφερόμεναι· δένδρα φθινοπωρινά, ἄκαρπα, δὶς ἀποθανόντα, ἐκριζωθέντα·
- ↑ VIII,2
- ↑ X, 96.
- ↑ Agostino, Contra Faustum Manichaeum 20,21; De civitate Dei 8,27.
- ↑ Vocabolario Treccani.
- ↑ Alberto Nocentini, L'Etimologico
- ↑ Chantraine Dictionnaire étymologique de la langue grecque, p.7. L'ipotesi di un prestito dalle lingua semitiche, o da quella egizia, occorso forse in epoca achea, rimane controversa.
- ↑ Cfr. ad esempio Iliade 23,14; 14, 494; 3, 441; Odissea 14,144; Esiodo Scudo, 35 e sgg., Esiodo Teogonia 910 e sgg,; Euripide, Ippolito, 525 e sgg., etc.
- ↑ Fr. 13
- ↑ Φιλότης non va confuso con φιλία indicando il primo un vissuto più forte (cfr. Ivan Gobry Vocabolario greco della filosofia, p.168.
- ↑ D-K 31 B 19
- ↑ D-K 31 B 28
- ↑ D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71
- ↑ D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.
- ↑ Werner Jaeger, La teologia... p. 215.
- ↑ Cfr. 245-249
- ↑ 203 C-D
- ↑ Fedro 250 A.
- ↑ Simposio 206 B.
- ↑ Simposio 180 D
- ↑ Simposio 183 D-E
- ↑ Simposio 210-211
- ↑ Cfr. Simposio 180b, 181c, 210d; Fedro 230c, 233e, 241d, 247d, 253a e 257e.
- ↑ 231e
- ↑ "Amicizia è uguaglianza", Giamblico, Vita di Pitagora, 162
- ↑ Proclo, Commento all'Alcibiade primo, 109c.
- ↑ Massime capitali, 23
- ↑ Precedentemente già Platone (Leggi, VIII, 837a) aveva utilizzato il termine eros inteso come intensa philia.
- ↑ Calame XXXI e sgg.
- ↑ Enneadi, VI, 8,16.
- ↑ Faggin p.1325.
- ↑ Sulla deportazione imposta da Tolomeo cfr. con fonti prime ben indicate in Paolo Sacchi Storia del Secondo Tempio, p.137 Torino, SEI, 2006; mentre sulle ragioni della traduzione in lingua greca della Bibbia cfr. Paolo Sacchi in Ebraismo a cura di Giovanni Filoramo, p.88, Bari, Laterza 1999.
- ↑ Sacchi, Eb. 88
- ↑ Sacchi, Eb. 88
- ↑ Cfr. Paolo Martino, Agape un problema etimologico, in L'archetipo dell'amore fra gli uomini, Roma, Studium, 2007, p.44.
- ↑ In greco antico: πλὴν τοὺς πατέρας ὑμῶν προείλατο κύριος ἀγαπᾶν αὐτοὺς καὶ ἐξελέξατο τὸ σπέρμα αὐτῶν μετ᾽ αὐτοὺς ὑμᾶς παρὰ πάντα τὰ ἔθνη κατὰ τὴν ἡμέραν ταύτην.
- ↑
- ↑ Sulla tema della misericordia e della compassione (ἔλεος) cfr. ad es. Matteo, 9,13; 12,7; 23,23; Luca 1,50, 54, 58, 72, 78; 10,37.
- ↑ Cfr. la risposta del dottore della Legge in Luca 10,25. Cfr. Patrizio Rota Scalabrini, Enciclopedia filosofica, vol. 1, Milano, Bompiani, 2004, p. 165 e sgg.
- ↑ Cfr. Levitico, 19, 18 e 34. Esodo, 23, 4-5 e Deuteronomio 22, 1-4; anche Patrizio Rota Scalabrini, Enciclopedia filosofica, vol. 1, Milano, Bompiani, 2004, p. 165 e sgg.
- ↑ Da notare anche la risposta dello scriba a Gesù in Marco 12,32: «Lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici"», da confrontare con Osea, 6,6; Isaia, 1, 11 e sgg.; Zaccaria, 7, 9 e sgg.
- ↑ Lupieri, 60
- ↑ Va tenuto presente che le Lettere di Paolo di Tarso, unitamente a quella di Giacomo e alla Didaché, sono i testimoni più antichi della letteratura cristiana, antecedenti alla redazione degli stessi Vangeli. Delle quattordici lettere contenute nel Nuovo Testamento solo sette sono considerate senza alcun dubbio, e unanimemente, opera di Paolo. Tra queste lettere figura la Prima lettera ai Corinzi che, come le altre sette (Prima lettera ai Tessalonicesi, Seconda lettera ai Corinzi, ai Galati, ai Romani, ai Filippesi e a Filemone), è stata scritta in un arco di circa dieci anni intorno all'anno 50. Queste lettere sono in assoluto i documenti più antichi del cristianesimo.
- ↑ "Carità" in questo caso e non "amore" ma solo in quanto il testo latino rende caritas e per alcuni renderebbe meglio in questo caso la nozione: «1 si linguis hominum loquar et angelorum caritatem autem non habeam factus sum velut aes sonans aut cymbalum tinniens 2 et si habuero prophetiam et noverim mysteria omnia et omnem scientiam et habuero omnem fidem ita ut montes transferam caritatem autem non habuero nihil sum 3 et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas et si tradidero corpus meum ut ardeam caritatem autem non habuero nihil mihi prodest 4 caritas patiens est benigna est caritas non aemulatur non agit perperam non inflatur 5 non est ambitiosa non quaerit quae sua sunt non inritatur non cogitat malum 6 non gaudet super iniquitatem congaudet autem veritati 7 omnia suffert omnia credit omnia sperat omnia sustinet 8 caritas numquam excidit sive prophetiae evacuabuntur sive linguae cessabunt sive scientia destruetur 9 ex parte enim cognoscimus et ex parte prophetamus 10 cum autem venerit quod perfectum est evacuabitur quod ex parte est 11 cum essem parvulus loquebar ut parvulus sapiebam ut parvulus cogitabam ut parvulus quando factus sum vir evacuavi quae erant parvuli 12 videmus nunc per speculum in enigmate tunc autem facie ad faciem nunc cognosco ex parte tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum 13 nunc autem manet fides spes caritas tria haec maior autem his est caritas.»
- ↑ Rota Scalabrini 166
- ↑ I, 3, 2 «Nullam ex omnibus virtutibus homini magis convenire, cum sit nulla humanior, constet necesse est».
- ↑ I, 6,2-4 «Quotus quisque ex quaesitoribus est, qui non ex ipsa ea lege teneatur, qua quaerit? quotus quisque accusator vacat culpa? Et nescio, an nemo ad dandam veniam difficilior sit, quam qui illam petere saepius meruit. Peccavimus omnes, alii gravia, alii leviora, alii ex destinata, alii forte impulsi aut aliena nequitia ablati; alii in bonis consiliis parum fortiter stetimus et innocentiam inviti ac retinentes perdidimus; nec deliquimus tantum, sed usque ad extremum aevi delinquemus. Etiam si quis tam bene iam purgavit animum, ut nihil obturbare eum amplius possit ac fallere, ad innocentiam tamen peccando pervenit.»
- ↑ «Adice, quod sapiens et providet et in expedito consilium habet; numquam autem liquidum socerumque ex turbido venit. Tristitia inhabilis est ad dispiciendas res, utilia excogitanda, periculosa vitanda, aequa aestimanda; ergo non miseretur, quia id sine miseria animi non fit. Cetera omnia, quae, qui miserentur, volo facere, libens et altus animo faciet; succurret alienis lacrimis, non accedet; dabit manum naufrago, exuli hospitium, egenti stipem, non hanc contumeliosam, quam pars maior horum, qui misericordes videri volunt, abicit et fastidit, quos adiuvat, contingique ab iis timet, sed ut homo homini ex communi dabit; donabit lacrimis maternis filium et catenas solvi iubebit et ludo eximet et cadaver etiam noxium sepeliet, sed faciet ista tranquilla mente, vultu suo. Ergo non miserebitur sapiens, sed succurret, sed proderit, in commune auxilium natus ac bonum publicum, ex quo dabit cuique partem. Etiam ad calamitosos pro portione improbandosque et emendandos bonitatem suam permittet; adflictis vero et forte laborantibus multo libentius subveniet. Quotiens poterit, fortunae intercedet; ubi enim opibus potius utetur aut viribus, quam ad restituenda, quae casus impulit? Vultum quidem non deiciet nec animum ob erus alicuius aridum aut pannosam maciem et innixam baculo senectutem; ceterum omnibus dignis proderit et deorum more calamitosos propitius respiciet.» (Seneca De Clementia, II, 6, 1-3).
- ↑ Ad es. Lv 4,20; 1 Re 8,34; Sal 86,5.
- ↑ Ad es. Gn 18, 24-26; Nm 14, 18 e sgg.; Is 53,12.
- ↑ Ad es. Lv. 4,20 e sgg.
- ↑ Cfr. ad es. Os. 11,8
- ↑ Cfr. Galati 5,22: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé/Ὁ δὲ καρπὸς τοῦ πνεύματός ἐστιν ἀγάπη, χαρά, εἰρήνη, μακροθυμία, χρηστότης, ἀγαθωσύνη, πίστις».
- ↑ Cfr. Rm, 5,8.
- ↑ Rota Scalabrini 166
- ↑ La distinzione di un canone cristiano dove raccogliere le scritture ritenute autentiche separandole dalle altre, risale alla metà del IV secolo ed è attestato per la prima volte in Atanasio (Ep. fest., 39; Dopp 166). Nei sinodi africani, a partire dal 393, appaiono per la prima volta i termini relativi di scripturae canonicae e canon. Ha senso parlare di "canone" cristiano, comunque, non prima della fine del II secolo. In assenza di un canone i cristiani fino a quel momento avevano a disposizione solo un testo divinamente ispirato, l'Antico Testamento, probabilmente nella versione della Septuaginta (Simontetti/Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 32; anche Letteratura cristiana antica, vol.1 p.19).
- ↑ Una delle prime scritture cristiane, probabilmente risalente alla seconda metà del I secolo o, comunque, agli inizi del II.
- ↑ Risalente agli inizi II secolo d.C. era in uso nelle comunità cristiane di tradizione e lingua ebraica anche se probabilmente in origine fu scritto in aramaico (Pesce p.601) o in siriaco (Hanig in Doop/Geerlings 264).
- ↑ Risalente al II secolo d.C. era in uso nelle comunità cristiane di tradizione e lingua ebraica.
- ↑ Risalente tra la prima metà e la fine II secolo d.C. era in uso nelle comunità cristiane di tradizione ebraica che vivevano in Egitto. Probabilmente la sua lingua di origine fu il greco. (Pesce 611)
- ↑ Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages, Brill, p.95
- ↑ Alberto Nocentini, L'etimologico.
- ↑ Michiel de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages vol.7 del Leiden Indo-European Etymological Dictionary Series (a cura di Alexander Lubotsky). Leiden, Brill, 2008, p. 39
- ↑ Schulz-Flugel in Dopp.857
- ↑ In questo caso non senza difficoltà perché sia Agostino che Rufino intesero che egli volesse sostituire la lezione in lingua ebraica a quella in lingua greca della Septuaginta e si ersero a difensori di quest'ultima (Schulz-Flugel in Dopp.857).
- ↑ Celestina Milani, Varia linguistica, Milano, Università Cattolica, 2009, p. 254. Così Isidoro di Siviglia in Etymologiae, VIII, 6:«Caritas Graece, Latine dilectio interpretatur, quod duos in se liget. Nam dilectio a duobus incipit, quod est amor Dei et proximi; de. qua Apostolus (Rom. 13,10) 'Plenitudo', inquit, 'legis dilectio.'»
- ↑ Cfr. Prologo al Commento sul Cantico dei Cantici; ma va tenuto presente che di tale trattato conserviamo esclusivamente la versione in latino di Rufino. Tuttavia ci si può orientare dal fatto che Rufino utilizza amor, cupido per eros; mentre agape è reso con dilectio o caritas.
- ↑ Così Origene nel Prologo al Commento sul Cantico dei Cantici: «Mi sembra poi che la Sacra Scrittura, volendo evitare che sorga qualche inciampo ai lettori a causa della parola amore, per riguardo a qualcuno un po’ troppo inesperto, quello che i sapienti del mondo dicono "eros" con termine più decoroso ha chiamato "agape"»
- ↑ Cfr. Origene, PG 13,70 D.
- ↑ Dionigi Aeropagita, Nomi divini, IV, 12, 710.
- ↑ Cfr.Omelie al Cantico dei Cantici.
- ↑ 773D: «il rapporto dell'anima con Dio trasporta la passione all'assenza di passioni»; «solo per lo Spirito ribolle in noi d'amore la mente»
- ↑ «Infatti un agape intensificata si chiama eros» Cant. 13, PG 44, 1048 C.
- ↑ Su questo ambito cfr. Walther Völker, Gregorio di Nissa, filosofo e mistico, Milano, Vita e Pensiero, 1993, pp.222 e sgg.
Bibliografia
[modifica | modifica sorgente]- Anders Nygren, Eros e Agape. La nozione cristiana dell'amore e le sue trasformazioni, trad. it., Il Mulino, Bologna 1971
- Benedetto XVI, Deus caritas est, lettera enciclica, 2006
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