Il buddhismo giapponese/Il buddhismo nel Giappone contemporaneo

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Indice del libro
Monaco buddhista giapponese, 1897 (anno XXX dell'era Meiji).
Il generale Nogi Maresuke (乃木希典, 1849-1912), eroe della guerra russo-giapponese e famoso seguace del buddhismo Zen.

Il buddhismo nel Periodo Meiji[modifica]

La modernità inizia in Giappone nel 1868 con il Periodo Meiji che incise profondamente nella cultura e nelle tradizioni di questo paese. Tale periodo fu avviato dalla minaccia militare statunitense provocata dal commodoro Matthew Calbraith Perry (1794-1858) il quale si affacciò nel 1853 con quelle che venivano indicate come navi nere (黒船, kurofune) nella baia di Uraga imponendo al Giappone la riapertura dei suoi porti ai commerci con l'Occidente. A seguito di questo evento il Giappone abolì il bakufu (江戸幕府, Edo bakufu) riconsegnando il potere direttamente nelle mani dell'imperatore, cancellò la suddivisione in caste ivi compresa quella dei samurai e aprì definitivamente all'Occidente e alla sua cultura.

Anche le scuole religiose risentirono profondamente dei cambiamenti apportati da questa Era ad incominciare proprio dal buddhismo che vide ridursi drasticamente l'attenzione dello Stato nei suoi confronti. Il Periodo Meiji è infatti caratterizzato dalla mobilitazione della nazione giapponese sotto l'autorità dell'imperatore e quindi si fonda su una forte priorità nei confronti dell'antica fede nazionale scintoista che vedeva proprio nell'Imperatore oltre che il suo rappresentante anche la manifestazione terrena della divinità (kami, 神) Amaterasu (天照, dea del Sole), tutto ciò a discapito del buddhismo. La proclamazione dello Scintoismo come religione di stato (Kokka Shintō, 国家神道) e la perdita dei favori governativi, nonché la dichiarata separazione tra le due fedi religiose (shinbutsu bunri, 神仏分離)[1] provocò un generale disorientamento nelle scuole buddhiste anche se a livello della popolazione non incise profondamente nel sincretismo da sempre diffuso tra i giapponesi di accompagnare la fede scintoista con le credenze buddhiste. Tuttavia i cittadini giapponesi furono obbligati a registrarsi presso i templi locali scintoisti i cui sacerdoti erano nominati tali dal Governo imperiale. Tutto ciò finì per provocare una vera e propria persecuzione del buddhismo (haibutsu kishaku, 廃仏毀釈, lett. Cancellare il buddhismo e distruggere Shākyamuni) da parte del Governo che provocò la chiusura di oltre quarantamila templi buddhisti, la riduzione forzata allo stato laicale di migliaia di monaci e la cancellazione di qualsiasi presenza buddhista all'interno dei santuari scintoisti[2]. Questo fino al 1871 quando dopo alcune sanguinose ribellioni da parte della popolazione, soprattutto contadina, a difesa dei monaci buddhisti e dopo il consequenziale intervento dell'esercito imperiale, il Governo decise di trovare un accordo con la comunità buddhista giapponese.

Accordo che fu all'origine anche della totale acquiscenza delle scuole buddhiste nei confronti del Governo durante i processi e le successive condanne a morte per "Alto tradimento" che coinvolse alcuni monaci buddhisti anarco-socialisti, come Uchiyama Gudō, nei primi anni del XX secolo. Superate queste gravi crisi, il buddhismo giapponese dovette confrontarsi con le missioni cristiane che si andavano diffondendo lungo il paese correlandosi alla sua occidentalizzazione. Questo confronto contribuì alla nascita di associazioni laicali buddhiste e alla promozione organizzata di attività caritatevoli, peraltro già presenti nei templi fin dalla fondazione di questa religione.

Il buddhismo secondo la Via imperiale (Kōdō Bukkyō, 行動仏教)[modifica]

Monaci zen del monastero Eihei-ji (永平寺) durante l'addestramento militare a seguito della mobilitazione generale nel marzo del 1938 (anno XIII dell'era Shōwa).

Con il sopraggiungere della Seconda guerra mondiale il governo imperiale sottomise tutte le religioni ad uno stretto controllo per assicurarsi il loro appoggio nell'imminente conflitto. Durante il periodo dell'ultimo conflitto l'appoggio delle scuole buddhiste giapponesi nei confronti del Governo fu dunque pressoché totale, tale da far varare una nuova forma di buddhismo che si identificava totalmente con la figura dell'imperatore: il Kōdō Bukkyō (行動仏教, Il buddhismo secondo la Via imperiale).

Già l'esercito aveva apprezzato la formazione religiosa che alcuni alti ufficiali avevano ricevuto all'interno delle scuole Zen. Lo stesso generale Nogi Maresuke (乃木希典, 1849-1912), considerato l'eroe della guerra russo-giapponese, aveva studiato lo Zen Rinzai sotto il severo maestro Nakahara Nantembō (中原南天榛, 1839-1925) ottenendo il certificato dell'illuminazione.

Esemplificativo di questo atteggiamento di accondiscendenza alle tesi della guerra, fu la posizione del famoso maestro Zen Sōtō Sawaki Kōdō (沢木興道, 1880-1965)

« Il sutra di Kannon ci esorta a ricordare sempre la forza di Kannon. Il tenente colonnello Sugimoto sostiene che dobbiamo ricordare sempre la forza dell'imperatore. Se noi teniamo presente la forza dell'imperatore potremo liberarci della vita e della morte, trascendere la fortuna e la sfortuna e impegnarci in battaglia »
(Sawaki Kōdō Shoji o Akirameru Kata (Il merito per chiarire la vita-morte) in Daihorin maggio 1944, pagg. 6-7. Cit. in Brian Victoria. Lo Zen alla guerra Dogliani CN, Sensibili alle foglie, 2001)

Ma non fu solo lo Zen ad appoggiare lo Stato durante il conflitto, furono, indistintamente, tutte le scuole buddhiste. Certamente si registrarono singoli casi di protesta a questo stato di cose, ma furono solo casi individuali. Ciò che spinse il buddhismo giapponese ad appoggiare acrtiticamente il governo imperiale durante la Seconda guerra mondiale fu la genuina convinzione che tale guerra fosse una "guerra santa", una guerra di liberazione e di riscatto dell'intero continente asiatico nei confronti del colonialismo occidentale, i soldati giapponesi furono quindi considerati dai buddhisti giapponesi dei veri e propri bodhisattva[3].

Il buddhismo dal secondo Dopoguerra a oggi[modifica]

Scuole n. den. n. Templi n. Seguaci
Nichiren 37 6 500 30 000 000
Jodo-shin 10 21 000 14 000 000
Shingon 48 12 000 12 000 000
Soto Zen - 15 000 5 500 000
Jodo 6 8 000 4 700 000
Tendai 20 4 000 4 500 000
Rinzai Zen 15 6 000 3 000 000
Un monaco shingon mentre celebra l'oblazione al fuoco (goma 護摩).

La Seconda guerra mondiale terminò per il Giappone il 15 agosto 1945 con la sua sconfitta da parte degli Stati uniti. Tra le clausole del trattato di pace, i vincitori ottenerono una radicale rivisitazione della politica interna giapponese e un ridimensionamente delle dottrine shintoiste tra le quali la divinizzazione dello stesso imperatore. Ciò rappresentò anche la fine dello stesso Kōdō Bukkyō e dello stretto controllo statale sulle scuole buddhiste.

L'emergere di efferati crimini di guerra commessi dall'esercito giapponese in Cina, ad esempio lo Stupro di Nanchino, se da una parte furono negati da alcuni politici e storici nazionalisti, dall'altra generarono sgomento e riconsiderazione sui presunti valori incarnati dallo stesso Giappone durante questa guerra.

Le scuole buddhiste restarono a lungo in silenzio su questi scottanti temi, consapevoli di aver dato un deciso sostegno allo Stato imperiale durante la guerra. Furono gli intellettuali vicino a queste scuole come D.T. Suzuki (鈴木 大拙 Suzuki Daisetsu, 1870–1966) i primi ad aprire il dibattito circa la 'questione morale' del coinvolgimento religioso buddhista nella guerra.

Suzuki, anche se egli stesso fu un propugnatore dei valori bellici del buddhismo giapponese, decise di condurre un'analisi serrata degli accaduti in un articolo titolato Zenkai Sasshin (Rinnovamento dello Zen) scritto nel 1946 per il periodico Zengaku Kenkyu (禪學研究, Studi nel buddhismo zen). In questo articolo pur non negando il valore dell'illuminazione (悟 satori) dei maestri religiosi buddhisti sostenne:

« Con la scorta del solo satori è impossibile che i preti zen riescano a far fronte alle loro responsabilità di leader della società. Non solo questo è impossibile in assoluto, ma sarebbe presuntuoso se pensassero di poter svolgere tale funzione. (...) Nel satori c'è un mondo di satori. E, tuttavia, da solo, il satori non è in grado di giudicare quel che vi è di giusto e di sbagliato nella guerra. Per quanto riguarda le dispute nel mondo ordinario, si deve ricorrere alla discriminazione intellettuale (...) Inoltre, da solo, il satori non è in grado di determinare se una cosa come il sistema economico o il comunismo sia buona o cattiva. »
(D.T. Suzuki, cit. in Brian Victoria Op.cit. 251)

Nonostante l'intervento di intellettuali come Suzuki, le scuole buddhiste giapponesi rimasero a lungo in silenzio su questi temi. Ad oggi una presa di posizione ufficiale riguarda solo alcune di queste scuole: la scuola Jōdo Shin (浄土真宗) dichiarò, il 2 aprile 1967, che il proprio sostegno alla guerra fu "un'espressione di grande ignoranza e impudenza da parte nostra. Nel ricordarlo ora veniamo presi da un senso di vergogna da cui non troviamo scampo ..."; mentre la scuola Zen Sōtō (曹洞宗) pubblicò nel 1992 una "Dichiarazione di pentimento" (sanshaubun); un accenno sempre critico nei confronti del sostegno alla guerra è contenuto anche in una dichiarazione datata giugno 1994 da parte di un ramo della scuola Tendai (天台宗).

Il Dopoguerra ha visto anche la massiccia diffusione di nuove scuole laiche soprattutto di ispirazione Nichiren come la Soka Gakkai (創価学会) e la Risshō Kōsei Kai (立正佼成会).

Oggi, secondo gli studiosi statunitensi Richard H. Robinson; Willard L. Johnson[4] i sondaggi di opinione indicherebbero che molti giapponesi non si identificano più in una religione specifica. L'interesse per il buddhismo riguarda essenzialmente due differenti gruppi: il mondo rurale che per tradizione secolare si rivolge ai templi locali per i servizi religiosi e la classe colta delle città che si rivolge al pensiero buddhista come "filosofia critica" o "tecnica meditativa" di tipo psicoterapeutico o spirituale. Gli altri giapponesi si rivolgono alle scuole buddhiste come "buddhismo funerario" per la funzione sociale a cui sono relegati molti dei monaci buddhisti, coinvolti al solo scopo di celebrare quel genere di funzioni religiose.

Principali templi buddhisti giapponesi[modifica]

I principali templi buddhisti giapponesi suddivisi per scuole e denominazioni[5]. I templi il cui nome finisce in ji o dera (寺, templi) possono essere considerati più ampi (ma non per questo più importanti) rispetto a quelli che terminano con in ( 院, padiglioni). In genere un tempio(ji o dera) è costituito da più in, ma anche da sale per il culto (do, 堂) e da un alto stupa (, 塔).

Scuola Tempio Denominazione Indirizzo
Hosso Yakushi-ji Hosso-shu 457, Nishinokyo-Machi, Nara-shi, Nara
Hosso Kyomizu-dera Kitahosso-shu 1-294, Kyonmizu, Higashiyama-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Kegon Todai-ji Kegon-shu 406-1, Zoshi-cho, Nara-shi, Nara
Ritsu Toshodai-ji Ritsu shu 13-46, Gojo-cho, Nara-shi, Nara
Tendai Enryaku-ji Tendai shu 17712-1, Sakamoto, Honmachi, Otsu-shi, Shiga
Tendai Senso-ji Shokannon-shu 2-3-1, Asakusa, Taito-ku, Tokyo
Tendai Shitenno-ji Wa-shu 1-11-18, Shitennoji, Tennoji-ku, Osaka-shi, Osaka
Shingon Kongobu-ji Koyasan Shingon-shu 132, Oaza, Koyasan, Koya-cho, Ito-gun, Wakayama
Shingon Daigo-ji Shingon-shu Daigoha 22, Daigo, Higashi Oji-cho, Fushimi-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Yuzu Nenbutsu Dainenbutu-ji Yuzu Nenbutsu shu 1-7-26, Hirano Ue-machi, Hirano-ku, Osaka-shi, Osaka
Ji Syojyoko-ji Ji shu 1-8-1, Nishitomi, Fujisawa-shi, Kanagawa
Jodo Chion-in Jodo shu 400, ShinbashiYamato-oji, Higashi-iru, 3 chome, Higashiyama-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Jodo Komyo-ji Jodo shu 26-1, Sajo-no-uchi, Awao Nagaokakyo-shi, Kyoto
Jodo-shin Hongwan-ji Jodo-shin shu Hongwanji, Monzen-cho, Horikawa-dori, Hanayamachi, sagaru, Nagakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Jodo-shin Hongan-ji Shinshu Otaniha 754, Tokiwa-cho, Karasuma-dori, Shichijo-agaru, Shimogyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Zen Rinzai Kencho-ji Kenchojiha 8, Yamanouchi, Kamakura-shi, Kanagawa
Zen Rinzai Nanzenji Nanzenjiha Nanzenji, Fukuchi-cho, Sakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Zen Rinzai Daitoku-ji Daitokujiha 53, Murasakino, Daitokuji-machi, Kitaku, Kyoto-shi, Kyoto
Zen Rinzai Myoshin-ji Myoshinjiha 64, Hanazono, Myoshinji-machi, Ukyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
Zen Soto Eihei-ji Sotoshu Eihei-ji-cho, Yoshida-gun, Fukui
Zen Soto Soji-ji Sotoshu 2-1-1, Tsurumi, Tsurumi-ku, Yokohama-shi, Kanagawa
Nichiren Kuon-ji Nichirenshu 3567, Minobu, Minobu-cho, Minamikoma-gun, Yamanashi
Zen Obaku Mampuku-ji Obakushu Gokanosho, Uji-shi, Kyoto

Note[modifica]

  1. Il primo degli editti di separazione tra le due fedi religiose (Shimbutsu HanZen rei) è datato gennaio 1868 e fu promulgato dal neocostituito Ufficio dei Riti (Jinji Kyoku).
  2. James Edward Ketelaar Of Heretics and Martyrs in Meiji Japan. Princeton, New Jersey Princeton University Press, 1990, pag.9
  3. Brian Victoria. Lo Zen alla guerra Dogliani CN, Sensibili alle foglie, 2001 ISBN 88-86323-87-5; edizione originale Zen at War NY and Tokyo, Weatherhill, 1997.
  4. Richard H. Robinson; Willard L. Johnson, La religione buddhista, Roma, Ubaldini, 1998, pagg. 317 e segg.
  5. Questa lista dei templi buddhisti principali in Giappone è tratta dal volume Buddhist Denominations and Schools pubblicato dal Resarch Department della Bukkyo Dendo Kyokai di Tokyo, 1984, pag. 11.